Il Card. Braz de Aviz nuovo “custode” della fede. Dialoghi religiosi a corrente alternata
(di Maurizio Grosso) Sembra che sia suonata la campanella della ricreazione in questa Chiesa di oggi, sempre più confusionaria, che solleva opinioni e favorisce scambi di vedute sui fondamenti dell’essere umano, sull’amore tra uomo e donna – e già che ci siamo anche tra uomo e uomo… – sulla famiglia fondata sul matrimonio unico e indissolubile. Fino a mettere in grave pericolo la fede che sui quei fondamenti si regge.
Ai tempi che cambiano e alle situazioni nuove che offre il mondo di oggi dovrebbe corrispondere, ma solo a livello pastorale, lo sforzo della Chiesa di adeguarsi e di capire. Come se il pastore non fosse lo stesso dottore della fede e come se la fede non fosse già, essa stessa, pascolo verdeggiante.
Molti prelati, soprattutto dopo il Sinodo, in grande libertà, si sono espressi dicendo che la via verso le aperture, ma solo in modo pastorale, è solo al suo inizio. Ora bisogna percorrerla fino in fondo, entro un anno. E sono questi stessi prelati che a sostegno delle loro “tesi pastorali”, che vanno a cambiare, anche se solo progressivamente, la dottrina della fede su matrimonio, eucaristia, penitenza, battesimo, ecc., hanno invocato il Concilio Vaticano II. Qualcuno ha detto pure che al Sinodo si respirava la stessa atmosfera del Concilio.
Sempre in tema di Vaticano II e affini si è registrata anche una recente intervista del Card. Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione vaticana per i religiosi, pubblicata sulla rivista dehoniana «Testimoni», di ottobre 2014, a cura del direttore p. Lorenzo Prezzi.
Fa grande meraviglia il tono così entusiastico – tipico di chi parla di cose di casa sua – con cui il Porporato brasiliano risponde alla domanda sui suoi ricordi della teologia della liberazione e sull’acceso confronto con quel magistero parallelo. Dice Braz de Aviz, non senza aver prima indicato il Vaticano II quale motore di tante forze positive: «La teologia della liberazione è stata una cosa grande che ci ha aiutato a far crescere la nostra consapevolezza cristiana in ordine ai poveri, però alcuni sono andati per una via in cui la fede è scivolata in secondo piano. O è stata addirittura nascosta. Con la conseguenza di una interpretazione dualista della società, della contrapposizione classista».
Ma è veramente così? Fu davvero una «cosa grande» quella “teologia”, che in tanti suoi derivati invitò anche ad imbracciare il mitra e a fare la guerriglia?
Quale era a tal proposito il giudizio di Joseph Ratzinger che a quel tempo guidava la Congregazione per la Dottrina della Fede e di Giovanni Paolo II, che ne ordinò il documento di ferma condanna? Di recente, in un libro-testimonianza su Giovanni Paolo II, il suo fedele collaboratore, divenuto poi papa, si esprime a proposito della teologia della liberazione, definita senza mezzi termini una «falsificazione della fede cristiana».
Benedetto XVI, riprende per la prima volta la parola, dopo il suo ritiro, nella prefazione al libro Accanto a Giovanni Paolo II. Gli amici & i collaboratori raccontano (Ares 2014) e scrive: «La prima grande sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma era un errore. La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. (…) Non era questione di aiuti e di riforme, si diceva, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico. (…) Naturalmente, queste idee si presentavano con diverse varianti e non sempre si affacciavano con assoluta nettezza, ma, nel complesso, questa era la direzione. A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro». (…)
Giovanni Paolo II «ci guidò da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall’altro a esporre l’autentica vocazione della chiesa alla liberazione dell’uomo».
La teologia della liberazione non è un tutto prelibato, all’interno del quale ci sono delle sviste pericolose. Se c’è in verità un’accezione vera e biblica di “liberazione”, da poter spiegare e approfondire a livello teologico, non esiste, in realtà, una teologia della liberazione buona. Ciò per due ragioni: sia perché non è stata sviluppata difatti la teologia della liberazione, ma si sono avute più teologie della liberazione, sia perché i loro contenuti principali emersi sono in contraddizione con la fede, una sua falsificazione.
Così dice il documento vaticano firmato da Ratzinger e ratificato da Giovanni Paolo II, dal titolo Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione (6 agosto 1984): «Le diverse teologie della liberazione si diversificano appunto, da una parte in base all’opzione preferenziale per i poveri riaffermata con forza e senza ambiguità, dopo Medellin, alla Conferenza di Puebla e dall’altra parte in base alla tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza ad un vangelo terrestre».
Ma il Card. Braz de Aviz sembra che non ricordi tutto ciò. Non ricorda neppure che lo stesso Clodovis Boff – incontrato personalmente e recentemente dal Cardinale, come dice nell’intervista – fratello di Leonard Boff, ha divorziato ufficialmente con la teologia della liberazione, sostenuta accanitamente dal fratello, rifiutandone addirittura “l’errore di principio” e si è avvicinato alla posizione di Ratzinger, che come Papa inaugurò la Conferenza dei Vescovi latino-americani ad Aparecida (13 maggio 2007) e ne dettò di nuovo la linea. Questo un punto forte del discorso di Papa Benedetto in quell’occasione: «…l’opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor8, 9)». Non è necessario rimpastarla come principio teologico. Qui tutto il nodo dell’ambiguità.
Sembra, invece, che nell’analisi del Porporato brasiliano ritorni l’applicazione sbagliata di un principio che a fatto furore anche nella prima settimana sinodale, ma poi solennemente bocciato nei circoli minori e nella Relatio finale: il principio della gradualità, inteso come gradualità della legge. Sembra cioè – ed è la tentazione di tanti – che si possa trovare ovunque un po’ di bene. Anche in una realtà moralmente disordinata o, nel nostro caso, inficiata sin dall’origine a livello teologico, quali le plurime teologie della liberazione, si potrebbe, anzi, si deve vedere, in obbedienza allo spirito del dialogo e della “misericordia”, scaturenti, non si sa come, ma scaturenti dal Vaticano II, quel bene che c’è nel disordine. Il bene, se c’è, è assorbito dal disordine. Un bene se non è integro non è un bene, ma è un male. Perché ci sia un male, una teologia sbagliata, basta un solo difetto e tutto è compromesso. Esigenze della verità.
Al Cardinale brasiliano interessa piuttosto “difendere” le forze di novità sprigionate dal Concilio Vaticano II, «tante forze positive in ordine alla promozione dell’uomo e della donna, della giustizia, della pace e della fraternità». E, sulla base di queste forze di rinnovamento (sociale), chi si permette di sollevare qualche critica sull’interpretazione meno edulcorata del Concilio Vaticano II, ma più coerente con i fatti, allora è un anti-conciliare, uno che rifiuta il Concilio. Così è bollato, senza appello e senza dialogo: cioè il caso dei Francescani dell’Immacolata.
Sempre nell’intervista curata dal p. Prezzi, il Cardinale brasiliano si sofferma sulle ultime vicende che hanno interessato la Congregazione dei religiosi, il caso dei Legionari di Cristo e quello dei Francescani dell’Immacolata. Con questi ultimi il Prefetto Braz de Aviz se ne esce con parole che lasciano esterrefatti per la loro genericità:
«Nei confronti dei frati dell’Immacolata troviamo difficoltà. Ci stiamo accorgendo che dietro il riferimento al rito straordinario (latino) si nasconde la negazione del concilio, che non è accettabile. Non vediamo ancora con chiarezza il loro futuro. C’è purtroppo molta resistenza e ci sono anche accuse all’intervento che il papa ha voluto. In parallelo ci sono difficoltà anche con le suore dell’Immacolata».
Si potrebbe chiedere di quale concilio si stia parlando. Ma è ovvio che si parla dell’ultimo, come se fosse l’unico. Dicevamo della genericità dell’affermazione: è mai possibile che dopo più di un anno di duro commissariamento non si è ancora venuti a capo del problema? «Ci stiamo accorgendo che…». E quando finiranno per accorgersene definitivamente? Dopo che li avranno completamente disciolti? Infatti, il Porporato non vede ancora un futuro per loro.
Forse il Concilio è un paravento, psicologicamente pregnante, per dire tutto, e allo stesso tempo per non dire qual è il vero problema di questa Congregazione religiosa. Ma ormai l’hanno tutti capito. E poi, ammesso pure che ci fosse tra i frati dell’Immacolata il rifiuto dottrinale del Vaticano II, non sarebbe questo un affare dell’ex Sant’Uffizio? Non si dovrebbe aprire una procedura dottrinale per verificare eventuali errori serpeggiati tra questi fraticelli, come per le famose Suore americane? Invece, tutto è nelle mani di Braz de Aviz, che fa da “custode” della fede e della teologia (che piace) dei religiosi. Con dialoghi a corrente alternata.
Infatti, c’è una parola magica ed è “dialogo”. Questo famoso dialogo il cardinale Braz de Aviz lo ha ricercato con tutte le forze con la CLAR (Confederazione latino-americana dei religiosi), pur conoscendo i contrasti avuti con Roma, nel suo viaggio in Equador, come ci dice lo stesso Cardinale nell’intervista citata: «…mi sono presentato senza un testo scritto, senza alcuna idea preconcetta. Volevo incontrarli e basta. Un atteggiamento che mi ha dato la possibilità di dire con libertà e di ascoltare con altrettanta libertà quello che avevano nel cuore». Non risulta finora che lo stesso atteggiamento lo abbia avuto con i Francescani dell’Immacolata, ai quali, invece di permettere «di dire con libertà», è riservato solo il bastone. Forse in nome dello stesso “dialogo”.
Ma, ciò che più stupisce è che il famoso dialogo è coltivato dal Dicastero di Sua Eminenza Braz de Aviz e si rafforza ogni giorno più con le Suore americane, modello di primo piano di femminismo teologico e sociale. In un articolo su queste suore, sempre la rivista “Testimoni” (ottobre 2014), così titolava a caratteri molto grandi: Dialogo resistente. Sottotitolo: «La vicenda delle Suore americane». E nel cappello: «Business as usual, tutto va avanti come previsto».
È lo stesso Cardinale brasiliano, il quale nell’intervista al p. Prezzi, ci informa che, «sta uscendo la valutazione finale della visita apostolica alle 57.000 suore di quel paese. Abbiamo voluto un testo positivo e di sostegno per tutto il bene che hanno fatto e fanno alle Chiese e alla società. Ci sono poi alcuni problemi che interessano alcune congregazioni e faremo dei documenti specifici per loro. Mentre è ancora in atto l’indagine della commissione episcopale (presieduta da mons. J. Peter Sartain di Seattle) in base alla valutazione dottrinale elaborata dalla Congregazione della dottrina della fede. Essa riguarda la Leadership Conference of Women Religious (LCWR). È un lavoro non concluso e che conosce difficoltà. Però la scelta della nuova presidente, suor Sharon Holland, è di buon auspicio perché è molto stimata e ha lavorato anche qui in Congregazione».
Per chi non ricorda come sono andate le cose, nel 2008 fu disposta una visita apostolica per le comunità religiose femminili in America, dal precedente cardinale prefetto dei religiosi, Franc Rodé. La visita fu sollecitata da diversi cardinali americani e fu severa in modo particolare con la LCWR, la quale, sebbene non raccolga sotto il suo ombrello tutte le suore americane liberal è comunque la realtà che fa più tendenza nel mondo religioso femminile degli Stati Uniti. Le cose però si arenarono con il cambio di guardia alla Congregazione dei religiosi. Scrive a tal propositoil vaticanista Sandro Magister:
«…da quando, il 4 gennaio 2011, subentrò a lui (a Rodé) il cardinale brasiliano João Braz de Aviz, focolarino, e, prima ancora, da quando diventò segretario della medesima congregazione il redentorista americano Joseph W. Tobin, la visita apostolica proseguì e si concluse in forma molto più conciliante.
Questo cambio della guardia al vertice della congregazione per i religiosi non era piaciuto affatto ai cardinali degli Stati Uniti allora residenti a Roma – Levada, Raymond L. Burke, James F. Stafford, Bernard F. Law, John P. Foley –, tant’è vero che nessuno di loro assistette all’ordinazione episcopale di Tobin nella basilica di San Pietro, il 9 ottobre 2010…
Sta di fatto che la visita apostolica promossa dalla congregazione vaticana per i religiosi è finita su un binario morto».
Anzi no, è un normale business, «tutto va avanti come previsto». Nel frattempo però Tobin è stato “promosso” arcivescovo di Indianapolis negli Stati Uniti, dopo essere stato uno dei principali artefici del commissariamento, ancora oscuro, dei Francescani dell’Immacolata.
Si vede che questa nuova forma di dialogo ammette delle preferenze (l’opzione per i poveri). Dove ci sono sempre alcuni che sono più uguali degli altri, direbbe Orwell. E intanto le teologie della liberazione hanno prodotto la liberazione di tanti dalla stessa teologia: ciò che conta ormai è la “povertà reale” non quella evangelica.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.