ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 11 dicembre 2014

In medio stat virtus !?



Perché non possiamo dirci tradizionalisti ma nemmeno progressisti

I cattolici che militano nelle diverse fazioni ideologiche ragionano e scrivono di argomenti ecclesiali con un linguaggio che ha senso solo nelle analisi sociologiche al servizio della dialettica politica, a cominciare dai termini più usati, come tradizione in opposizione e progresso,conservazione in opposizione a riformacontinuità in opposizione a rottura. Invece noi ragioniamo e scriviamo in termini unicamente teologici. Noi siamo convinti che, quando si tratta delle questioni di fondo riguardanti la vita della Chiesa, nessuno può fare un discorso serio e costruttivo che sia utile al popolo di Dio, se non ricorrendo alle categorie e ai principi della scienza teologica.




Autore Antonio Livi
Autore
Antonio Livi

 Le note e i commenti sull’attualità ecclesiale che noi dell’Isola di Patmos andiamo pubblicando in questi mesi potrebbero
sangiovanni2.jpgsembrare, per un lettore che fosse in qualche modo prevenuto, un ennesimo contributo all’annosa polemica tra cattolici “conservatori”, o “tradizionalisti”, sia moderati che estremisti; e cattolici “progressisti”, o “riformatori”, sia moderati che estremisti.
Le virgolette che ho usato per ognuna di queste etichette stanno a indicare che tali posizioni ideologiche sono qualifiche sociologiche — di sociologia della cultura e di sociologica religiosa — che alcuni si affibbiano reciprocamente in una schermaglia retorica dove scarseggia il realismo teologico e abbonda la fabulazione idealistica. In realtà nessuna di queste posizioni si trova effettivamente allo stato puro, in forma coerente e completa, in una persona singola, nella coscienza di un credente in carne e ossa che abbia a cuore le sorti della Chiesa in generale e della propria anima in particolare. Ma dell’irrealtà prodotta dalla visuale sociologistica delle cose della fede cattolica dirò più avanti.


Autore  REDAZIONE dell'Isola di Patmos
L’aquila simboleggiante l’Apostolo Giovanni

Ora voglio dire che sbaglia di grosso chi ama collocare noi dell’Isola di Patmosda una parte o dall’altra di questa barricata virtuale. Io e gli altri scrittori dell’Isola di Patmos siamo accusati da taluni di essere troppo ostili ai lefebvriani e ai sedevacantisti, così come altri ci accusano di non essere abbastanza “bergogliani”  — circola in Italia questa denominazione tragicomica —, per il fatto che non ci accodiamo alle litanie di chi plaude in ogni occasione alle  — presunte — intenzioni riformistiche e/o rivoluzionarie di Papa Bergoglio. Tutti si sentono autorizzati a etichettarci, anzi pretendono che noi stessi ci auto-etichettiamo schierandoci ufficialmente da una parte o dall’altra; e siccome noi rivendichiamo il nostro sacrosanto diritto di non schierarci affatto, ecco che allora ci troviamo a essere il bersaglio del fuoco incrociato dei fanatici dell’una o dell’altra parte.
I progressisti amano ricorrere al vecchio ma retoricamente sempre utile ragionamento leninista in base al quale «chi non è rivoluzionario è complice della classe al potere». In Italia si preferisce da sempre la versione gramsciana, sostenendo che ogni intellettuale deve essere «organico alla rivoluzione». Si tratta comunque di un ragionamento che, tradotto nel “politichese” di oggi, suona così: “l’equidistanza è un modo subdolo di appoggiare la parte cui segretamente si appartiene”. Invece di tradizionalisti ci accusano di essere “normalisti”, di chiudere gli occhi alla tremenda realtà della crisi che affligge la Chiesa, ragione per cui ci giudicano irresponsabili e non esitano a sbatterci in faccia i rimproveri che la Scrittura rivolge ai cattivi pastori e ai falsi profeti: «cani muti», «ciechi che guidano altri ciechi» eccetera.


GERMANY, Bonn, "Online" - Human miniatures on a computer keyboard.
… non ci schieriamo per nessuna fazione

Noi diciamo ancora una volta che non ci schieriamo per nessuna fazione,perché siamo convinti che per essere coerentemente cattolici non è necessario essere faziosi. Anzi proprio la coerenza nella fede cattolica suggerisce di non assumere atteggiamenti e linguaggi che sono propri delle fazioni, dei partiti, delle ideologie. Tanti anni fa un santo sacerdote ammoniva a non ridurre la santa Chiesa a una delle tante chiesuole che sempre si sono formate in seno alla Chiesa e che tendono a polemizzare l’una con l’altra o cercare di fare proseliti l’una contro l’altra: diceva: «Io non sono fanatico di nessuna forma di apostolato, nemmeno di quella praticata dall’opera che io ho fondato» … Le chiesuole nuocciono all’unità della Chiesa e si oppongono alle esigenze della carità tra i suoi membri, anche quando non si costituiscono in vera e propria setta, del tipo di quelle sette che si formarono già ai primordi della Chiesa, come testimoniano le recriminazioni in proposito che leggiamo nelle lettere di san Paolo e in quelle di san Giovanni. Ogni chiesuola con propensione a diventare settasi arroga l’interpretazione infallibile della verità  — appellandosi alla Tradizione, allo spirito del Concilio o direttamente allo Spirito Santo —, ma il fanatismo non ha nulla di divino e invece è qualcosa di “umano, troppo umano”, come diceva Nietzsche a proposito di ben altro. Il fanatismo è prodotto dalle peggiori miserie dello spirito  — la presunzione, l’ambizione, l’esaltazione del gruppo di appartenenza, il particolarismo, l’esclusivismo, l’invidia sociale —, miserie che la coscienza dei singoli può riconoscere facilmente ma che poi vengono “sublimate”, direbbe Freud, quando l’individuo si appoggia psicologicamente ad altri e si forma lo “spirito di gruppo”, con il quale è facile trovare mille giustificazioni pragmatiche per le cose ingiuste che si pensano, si dicono e si fanno.

L’ideologia?

No, grazie! Se si tratta della Chiesa

preferisco la teologia




karl marx
il pensatore tedesco Karl Marx
Cardinale Marx
un omonimo tedesco: il Cardinale Reinhard Marx

La critica dell’ideologia è nata con Marx, e i marxisti, anche nel Novecento  — ad esempio, il francese Louis Althusser — hanno creduto di combattere e di vincere l’ideologia “borghese” con la “scienza”, che per loro era solo il marxismo. Progetto fallito, perché in politica  — o in economia politica — non c’è alcuna possibile scienza, e il marxismo, come io ebbi a scrivere tanti anni or sono, altro non è se non un’ideologia tra le altre, “l’ideologia della rivoluzione” (1). Quando invece si tratta della verità rivelata, fondamento della fede della Chiesa, allora la scienza esiste, ed è la teologia. E la teologia è la critica di ogni ideologia all’interno della Chiesa. È infatti la teologia la coscienza critica della fede cattolica, essendo basata per statuto sul presupposto della distinzione tra il dogma e l’opinione, tra verità comune a tutti i credenti e una ipotesi di interpretazione e/o di applicazione pastorale. Solo chi esamina la realtà ecclesiale con un criterio teologico è capace di distinguere un’opinione dal dogma, e solo a partire da questa distinzione può e deve criticare qualsiasi opinione, anche legittima, che voglia spacciarsi per verità assoluta, identificandosi così con il dogma. Un’opinione teologica che ignori i propri limiti deve essere criticata, perché va contro lo statuto epistemologico della teologia, assolutizzando se stessa ed escludendo le altre opinioni, anche quelle che dovrebbero essere considerate — perché lo sono — altrettanto legittime.


vera e falsa teologia
L’opera di Antonio Livi: Vera e falsa teologia

In un saggio pubblicato un paio di anni or sono dicevo che un grave peccato contro la fede comune è appunto quello che tante scuole teologiche hanno fatto, nella storia della Chiesa, assolutizzando la propria posizione e “scomunicando” quelli che ne sostengono altre (2).
Ma si può applicare, in pratica, questo criterio così rigorosamente teologico? Certamente, lo stiamo applicando noi dell’Isola di Patmos. Lo applichiamo ricavando, appunto, dalla buona teologia la necessaria distinzione tra “dogmae “opinione. Questa distinzione è classica, tant’è che ha ispirato i padri della Chiesa a formulare questo chiarissimo e utilissimo programma di dialettica ecclesiale: “In necessariis, unitas; in dubiis, libertas; in omnibus caritas!”. Ci atteniamo a questo criterio per agire sempre come cattolici senza etichette, come cattolici senza paraocchi, come cattolici non ottusi ma open minded, cioè davvero aperti con la mente e con il cuore a valorizzare ogni contributo che sembri utile alla comprensione della verità rivelata. Per questo siamo abituati a proporre ogni nostra riflessione sulla fede e sulle vicende umane della Chiesa come un’opinione tra le altre possibili, ossia come una tesi che intende essere davvero rispettosa delle altre e anche accogliente riguardo alle altre. Noi infatti non cadiamo nell’errore di fare di tutte le erbe un fascio, etichettando un autore come “amico o “nemico solo perché appartenente ad una determinata corrente teologica, a una testata giornalistica o a un certo gruppo ecclesiale, senza vagliare, caso per caso, se quello che dice in una data occasione, è plausibile. Se lo è, noi non esitiamo a citarlo o addirittura a pubblicarlo, avvertendo chi non lo dovesse capire da solo che approvare una singola tesi di una autore non significa mai “sposare” ogni sua opinione e ogni sua intenzione. Nemmeno significa sentirsi solidali o complici di tutte le cose che i suoi amici o sodali hanno fatto o vogliono fare. Si tratta di “distinguer pour unir” come diceva Maritain parando di altro (3): in questo caso, si tratta di distinguere il dogma dall’opinione, per unire sempre nella fede comune tutti coloro che a torto vengono ritenuti — o si ritengono essi stessi — separati o emarginati o esclusi per il fatto di adottare diversi punti di vista teoretici o diversi metodi pastorali legittimi, cioè compatibili con la fede della Chiesa.


radaelli
l’opera del filosofo Enrico Maria Radaelli

Il criterio che ho esposto è il medesimo criterio che mi ha portato, anche prima di partecipare all’impresa apostolica dell’Isola di Patmos, a scrivere prefazioni o postfazioni a libri di autori dei quali non condivido affatto l’ideologia ma che scrivono anche cose che mi sembrano degne di essere prese in considerazione sine ira et studio. Mi viene in mente la prefazione che ho scritto per un libro sulla preghiera del liturgista claretiano Matias Augé, che contiene idee condivisibili, anche se altrove egli si è schierato a favore di una ancora più radicale riforma liturgica secondo l’orientamento prevalente, che è quello progressista (4); così come posso menzionare le prefazioni che ho scritto per tre saggi ecclesiologici di Enrico Maria Radaelli, uno studioso laico, discepolo di Romano Amerio, che invece si dichiara tradizionalista, anche se poi, di fronte alle mie riserve, ha voluto correggere la dizione dicendosi “tradizionista”, il che non cambia la sostanza: sempre di un’ideologia si tratta (5). Ma, come ho detto, in un quadro globale di ideologia si possono trovare e valorizzare tesi di valore autenticamente teologico, e io ci tengo a valorizzarle, perché non sono accecato dal fanatismo né perseguo fini ideologici di sorta.

La serietà dei temi teologici

non ammette le semplificazioni e le generalizzazioni

che sono strumentali all’ideologia




Bernard fellay 2
Il Vescovo Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità di San Pio X durante un pontificale
abusi liturgici
un vescovo durante una “sceneggiata” liturgica con i clows sul presbiterio

Nei ragionamenti dei tradizionalisti e dei progressistiio vedo troppa approssimazione nella raccolta dei dati e nella loro interpretazione, così come vedo troppa acqua (eventi ecclesiali) portata al proprio mulino (interessi umani, individuali o di gruppo). Noi dell’Isola di Patmos ci asteniamo dal fare discorsi ideologici, a proposito delle vicende della Chiesa, perché sulla Chiesa vogliamo fare solo discorsi teologici. Le critiche o il disprezzo di coloro che non comprendono le ragioni della nostra neutralità in rapporto alla grande guerra tra fazioni non ci riguardano e non ci interessano. I temi che costoro affrontano (il dogma, la pastorale, la liturgia, il concilio ecumenico, il sinodo dei vescovi, le conferenze episcopali, i teologi eccetera) certamente ci interessano, ma non vogliamo affrontarli “con”loro (come fazione), almeno non “come” loro (quando parlano come esponenti di una fazione). Loro tramutano una serie di frammenti di verità (rilevamenti storici e sociologici, per la loro stessa natura provvisori e parziali) in una visione globale delle vicende mondane, ivi comprese le vicende esteriori della Chiesa cattolica. A forza di estrapolare dai fenomeni osservati qualche teoria generale (cosa che è epistemologicamente scorretta, perché in nessuna scienza è ammessa l’induzione illegittima), hanno creato personaggi ed eventi immaginari, che inducono la loro audience allo sconforto apocalittico o alla speranza messianica. Tutti ricordano le accorate riflessioni di Benedetto XVI sulconcilio del media, un evento immaginario che ha fatto esultare per mezzo secolo i fans della grande Riforma filo-luterana e ha fatto piombare nella disperazione i fans della Tradizione dura e pura.
isoladipatmosAttenzione: noi dell’Isola — io in particolare — non disprezziamo né condanniamo nessuno di questiosservatori romani che hanno voluto schierarsi da un parte o dall’altra. A volte si tratta di persone intelligenti, colte e animate dalle migliori intenzioni di servizio alla Chiesa. Ma io non ho mai potuto condividere — da un punto di vista teologico — il giudizio sommario che alcuni autori hanno voluto e vogliono tuttora formulare sulla vita della Chiesa “come tale”, ritengono di aver potuto valutare adeguatamente il bene o il male che determinati eventi producono nel Corpo mistico di Cristo. Nelle opere di questi autori non mancano analisi profonde e valutazioni in gran parte condivisibili, ma io noto sempre anche la pretesa di una sintesi impossibile e dunque infondata. Mi domando: qual è il referente reale dei loro discorsi? Quando parlano di “Chiesa” o di “cattolicesimo” a che cosa concretamente si riferiscono? Noi uomini — dobbiamo ammetterlo se abbiamo nozioni teologiche di base — nulla sappiamo dei progetti di Dio e del suo intervento nel segreto delle coscienze di ogni uomo. Questa è una verità elementare che tutti gli autori cui mi riferisco in teoria ammettono; ma allora, perché immaginano di poter sapere come va e dove va la Chiesa “come tale”? Essi di fatto si limitano ad analizzare e a valutare alcune poche cose tra quelle che esteriormente appaiono nella condotta degli uomini di Chiesa, e/o nei documenti dottrinali e disciplinari, nel costume dei fedeli nelle varie parti del mondo cattolico. Sanno bene di riferirsi a poche misere evidenze empiriche, ma poi si lanciano a prospettare eventi epocali e a profetizzare una e ancora un’altra “nuova Pentecoste, oppure a diagnosticare malattie mortali per la Chiesa, ritenendo di avere tutti i dati necessari per applicare con certezza al tempo presente le profezie dell’Apocalisse sulla “grande apostasia.
Gli uni e gli altri sono liberi di congetturare in positivo o in negativo il presente e il futuro della Chiesa, ma non certamente con laideologiapretesa che tali fantasticherie siano certezze teologiche. Il linguaggio è certamente teologico, ma il messaggio è ideologico, non teologico. Occorre avere sempre presente che un messaggio è teologico se si può tradurre in questi precisi termini epistemici: è “una cosa che ha rivelato Dio”, o almeno si deduce logicamente da quello che ha rivelato. Parlare delle cose della Rivelazione “con timore e tremore” è proprio del vero credente e del vero teologo. Invece, ostentare una sicurezza senza fondamento scientifico alcuno è quello che si fa in ogni parte del mondo quando si parla di politica — il linguaggio della politica è sempre fatto di retorica su base sociologica — ed è quello che si fa in ambito teologico quando l’intentior profundior di chi tratta i problemi della Chiesa è ideologica più che teologica. Ecco allora che spetta alla teologia, per un dovere di chiarezza nei confronti dell’opinione pubblica cattolica, prendere le distanze dall’ideologia conservatrice come da quella, progressista.


vitello oro
uno dei risultati naturali più antichi dell’ideologia: il vitello d’oro

I cattolici che militano in una di queste fazioni ideologiche ragionano e scrivono di argomenti ecclesiali con un linguaggio che ha senso solo nelle analisi sociologiche al servizio della dialettica politica, a cominciare dai termini più usati, come “tradizione in opposizione e “progresso,” “conservazione in opposizione a “riforma, “continuità in opposizione a “rottura. Invece noi — lo ripeto — ragioniamo e scriviamo in termini unicamente “teologici”. Noi siamo convinti che, quando si tratta delle questioni di fondo riguardanti la vita della Chiesa, nessuno può fare un discorso serio e costruttivo — utile cioè al popolo di Dio — se non ricorrendo alle categorie e ai principi della scienza teologica. Studiare i problemi attuali della Chiesa con le categorie e con i principi della scienza teologica vuol dire essere umili — perché la teologia obbliga a rispettare i limiti della comprensione umana dei misteri rivelati, rinunciando alle pretese del razionalismo — ma è l’unico modo di evitare discorsi superficiali e frivoli, per rispondere invece alle esigenze dell’apostolato. Perché è l’apostolato ciò a cui noi miriamo sempre, prima con il ministero sacerdotale e poi anche con gli scritti. Ciò che ci muove e ci guida, come sacerdoti di Cristo, è sempre e solo la nostra responsabilità pastorale, il dovere di contribuire alla vita di fede delle persone con le quali entriamo in contatto direttamente o indirettamente.

In che cosa consiste l’approccio teologico




oro
“l’oro autentico non ammette aggettivi”

Il primo compito del lavoro teologico è indicare sempre, in ogni occasione e su qualsiasi argomento, quali siano gli “articuli fidei”, ossia quelle poche e certissime verità che debbono orientare il pensiero e la prassi di tutti i cattolici, a prescindere dalle libere opinioni che riguardano l’interpretazione scientifica e l’applicazione pastorale — di per sé contingente — del dogma. Per questo dicevo che il criterio teologico è l’unico capace di distinguere, nei discorsi sulle realtà ecclesiali, il dogma dall’opinione, evitando di relativizzare i dogma e assolutizzare l’opinione, come fanno le ideologie di qualsiasi tipo. Noi dunque non ci schieriamo con i conservatori o con i progressisti perché teologicamente queste denominazioni non hanno senso. Non avrebbe senso professarci “cattolici tradizionalisti” o “cattolici progressisti”, perché davanti a Dio e davanti al popolo di Dio importa solo professare la fede cattolica ed essere fedeli alla dottrina della Chiesa. Ed la fedeltà alla disciplina della Chiesa e alla sua dottrina ammette molte vie diverse, molte modalità espressive e molte declinazioni operative. Noi siamo e ci diciamo semplicemente “cattolici”. Diceva quel santo che citavo prima che “l’oro autentico non ammette aggettivi”, e infatti, se uno vende oro con qualche aggettivo vuol dire che quello che vuole spacciare per oro è qualche altra cosa. Di fronte ai problemi del dogma e della pastorale, l’unica cosa che conta è individuare, professare e difendere la verità della fede cattolica, che è comune a tutti e nella quale non ci possono essere divisioni, fazioni o partiti.


libertà di pensiero
“si ha tutto il diritto di giudicare i fatti che avvengono e le idee che circolano nella Chiesa, ma l’importante è non trasformare il giudizio su singoli fatti, verificabili e giudicabili con criteri cristiani, in un giudizio globale su persone, dottrine e istituzioni”

Ma allora, non si ha la libertà di pensiero? Non ci si può fare un’opinione sulle cose che avvengono nella Chiesa e che sono sulla bocca di tutti? Non è legittimo esprimere die giudizi di valore circa le attuali tendenze ecclesiali siano esse di riforma del papato in senso “sinodale” o di conservazione delle strutture tradizionali? Non si può essere contro la riforma liturgica di Paolo VI e a favore del “Vetus Ordo” o viceversa? Insomma, i cattolici hanno il diritto di pensare e di qualificarsi come conservatori o come progressisti? La risposata a domande del genere è scontata: certamente si ha tutto il diritto di giudicare i fatti che avvengono e le idee che circolano nella Chiesa, ma l’importante è non trasformare il giudizio su singoli fatti, verificabili e giudicabili con criteri cristiani, in un giudizio globale su persone, dottrine e istituzioni, facendo di tutte le erbe un fascio e mancando sistematicamente alla carità e alla giustizia. Soprattutto, non si può trasformare un’opinione — per sua natura ipotetica e contingente — in un sistema di pensiero apodittico. Non si può estrapolare da osservazioni empiriche di dettaglio una legge scientifica generale che travalichi ogni limite di verificabilità e ogni giustificazione epistemica. In altri termini  — in termini rigorosamente logici — non si può passare da opinioni ben circoscritte nella materia e nel tempo a un’ideologia. L’ideologia è l’arma preferita della politica ma è la negazione della consapevolezza critica che regge il lavoro di ogni scienza, anche e soprattutto della scienza teologica. Sicché può succedere che una opinione, circoscritta a uno specifico tema e dunque perfettamente legittima, tanto che chiunque la esamini spassionatamente debba considerarla ammissibile e condivisibile, diventi poi, se chi la difende si mette scriteriatamente ad assolutizzarla, un’ideologia totalizzante, che genera fanatismi. (En passant, ricordo che “fanatico” è un aggettivo con cui i teologi dell’antichità cristiana designavano i pagani che celebravano i loro culti nei boschi sacri).


Credo1
Simbolo di fede niceno-costantinopolitano

Il principio dal quale partire all’inizio di ogni ragionamento riguardante la Chiesa — per poi ripartire ogni volta che le cose si complicano e manca la chiarezza — è questo: bisogna mantenere sempre quello che per grazia di Dio noi cristiani abbiamo come criterio teologico assolutamente certo, ossia che «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità». Ma la conoscenza della verità rivelata, fede che ci salva, non è mai la fede “soggettiva” — luterana, modernista —, una verità che possa essere arbitrariamente inventata da qualcuno: è sempre e solo la fede professata dalla Chiesa, ossia il dogma. Nel dogma — il “Simbolo degli Apostoli” o il “Simbolo Niceno-costantinopolitano”, ossia il “Credo” che recitiamo la domenica nella Santa Messa — noi tutti ci riconosciamo pienamente d’accordo e siamo perfettamente uniti. Poi, a partire dal dogma, sono possibili e di fatto storicamente si producono molte “interpretazioni” teoretiche e “applicazioni” pratiche. Tali interpretazioni e applicazioni sono sempre legittime e anche utili alla vita della Chiesa se restano assolutamente fedeli al dogma dal quale partono, altrimenti si tratta di corruzione della vera fede (eterodossia) o di deviazione dalla retta via indicata da Cristo (scisma). La distinzione concettuale tra dogma e opinione teologica, tra verità indiscutibile e ipotesi ammissibile, è ardua ma necessaria, e a illustrarla in termini rigorosamente scientifici ho dedicato il mio trattato su “Vera e falsa teologia”, che i credenti avvezzi a leggere i quotidiani e le riviste “cattoliche” più che i testi di studio hanno volutamente ignorato, mentre i teologi che in quel libro ho criticato hanno cercato in tutti i modi di toglierlo dalla circolazione (6).

Perché è inutile o addirittura dannoso

l’approccio meramente sociologico

alla vita della Chiesa




teologia preghiera
la teologia si fa pregando
pugili
l’ideologia si fa litigando

Per chiarire ancora ciò che distingue l’approccio teologico da quello ideologico alla vita della Chiesa, faccio notare che le ideologie ecclesiali di ogni tipo — dagli estremi del tradizionalismo anti-conciliarista e del progressismo conciliarista riformatore, alle tante posizioni che si presentano come “moderate”, come una “terza via” — si basano volentieri su rilevamenti sociologici, addirittura ai dati statistici. E quanto più gli argomenti sono di questo genere, tanto più il criterio autenticamente ecclesiale viene offuscato. Io vorrei richiamare l’attenzione di chi parla e scrive di problemi ecclesiali su quanto sia inutile, quando non è proprio dannoso, l’approccio sociologico alla vita della Chiesa, perché qualunque considerazione che si basi sui dati — empirici o scientifici — della sociologia religiosa non riesce a toccare nemmeno superficialmente la realtà effettiva della vita della Chiesa. La Chiesa, infatti, è un mistero soprannaturale; della sua vita reale, ossia della grazia che santifica e salva le singole anime nella concretezza della storia umana, noi non possiamo sapere nulla e ci dobbiamo accontentare delle verità meta-storiche che Dio stesso ci ha rivelato. Non posiamo sapere con certezza, al di là delle apparenze che sono sempre ingannevoli, chi appartenga effettivamente, in questo momento, al corpo mistico di Cristo è la Chiesa, così come non possiamo pretendere di sapere quali siano concretamente i piani della Provvidenza che la governa realmente, «volgendo ogni cosa al bene di coloro che amano Dio», come è scritto nella “Lettera ai Romani”. Di ciò che realmente è un bene o un male nella vita della Chiesa noi credenti abbiamo solo qualche indizio attraverso la fede nella rivelazione divina, e poi qualche verifica sperimentale nell’esame della propria coscienza (cioè nell’esperienza mistica, anche ordinaria, che consente al credente di rilevare, alla luce della fede, gli effetti sensibili dell’azione invisibile della grazia divina), come pure nell’esperienza pastorale (cioè nei risultati visibili dell’azione apostolica volta all’incremento della fede del prossimo).


treno moderno
treno evoluto …
treno antico
treno involuto …

Il progresso o l’involuzione dei quali parlano tanto, in chiave sociologica, i progressisti e i conservatori sono tutt’al più ipotesi degne di rispetto – nel caso che le intenzioni siano davvero buone – ma non sono mai da prendere troppo sul serio, perché – ripeto – mancano di serietà scientifica, osservano solo i fenomeni di massa, giudicano situazioni che non possono valutare in profondità, nella concretezza esistenziale della vita cristiana, dove si combatte la quotidiana battaglia tra la grazia e il peccato. Anche per i progressisti e i conservatori, chiusi nei loro schemi ideologici, vale l’ammonimento dello Spirito Santo per bocca dell’Apostolo: «Parlano di ciò che non conoscono». Noi dell’Isola di Patmos, ben sapendo che dobbiamo parlare solo di ciò che conosciamo — dice san Paolo: “Credo, e per questo parlo” —, non ci facciamo i portavoce di quei profeti tristi che annunciano uno scisma imminente, e nemmeno di quei profeti ilari che annunciano l’avvento del Regno attraverso una nuova Chiesa “ecumenica e sinodale”. Noi ci dedichiamo a ricordare a tutti che la sociologia religiosa e la politica ecclesiastica forniscono dati di scarso interesse per la vita cristiana dei singoli fedeli, ai quali va annunciato, in ogni epoca e in ogni circostanza socio-politica, la verità del Vangelo sine glossa, come diceva san Francesco. O meglio, con tutte le glosse necessarie per poter distinguere quello che è l’essenziale (il dogma) da quello che è accidentale (le opinioni teologiche).


triregno
… e le porte degli inferi non prevarranno su di essa

Il riferimento costante di ogni discorso propriamente teologico non sono i movimenti delle masse anonime rilevabili sociologicamente: è la vita di fede di ogni singola persona, direttamente o indirettamente raggiungibile con il messaggio, la quale deve accogliere nel suo cuore la verità rivelata, che è la sola speranza di salvezza. Per questo ogni discorso propriamente teologico si deve basare sempre e solo sul dogma, sulla dottrina certa della Chiesa che si esprime in enunciati formali (le formule dogmatiche), che non danno adito a dubbi e non sono suscettibili di interpretazioni contraddittorie. Grazie a Dio, per quanto possano essere o sembrare sconcertanti le vicende ecclesiastiche degli ultimi decenni, tutti noi cattolici continuiamo ad avere come punto di riferimento certissimo e attualissimo il dogma, elaborato dalla tradizione ecclesiastica con un’evoluzione omogenea che parte dagli Apostoli e arriva fino all’ultimo concilio ecumenico; un dogma che tutti possono trovare chiaramente esposto e opportunamente sintetizzato nel “Catechismo della Chiesa cattolica”, che è uno dei meriti storici del papa che lo ha voluto (san Giovanni Paolo II). A chi dice stoltamente che esso è “superato” — se ne rallegra o se ne affligge — va ricordato che si tratta di un documento del magistero post-conciliare che non è stato abrogato da alcun atto ufficiale del magistero stesso, né mai può esserlo. La Chiesa è di Cristo, ricordava Benedetto XVI nel momento di rinunciare al ministero petrino, e per questo essa è indefettibile, ossia non potrà mai soccombere alle “porte degli inferi”. Sarà sempre mater et magistra. I sacerdoti Giovanni Cavalcoli, Ariel S. Levi di Gualdo ed io ne siamo certi perché lo ha detto Lui, non perché lo abbiamo sentito dire da un qualche teologo, conservatore o progressista che sia.
Introitus Dominica Secunda Adventus
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Gli Autori dell’Isola di Patmos promuovono la tutela del patrimonio del buon canto e del latino liturgico
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NOTE
(1) Vedi Antonio Livi, Louis Althusser: “Pour Marx”, Emesa, Madrid 1973; Fernando Ocariz, Il marxismo, ideologia della rivoluzione, a cura di Antonio Livi, Ares, Milano 1976.
(2) Cfr Antonio Livi, Interpretazione o ri-formulazione del dogma?, in Verità della fede. Che cosa credere e a chi, a cura di Gianni Battisti, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, pp, 21-94.
(3) Cfr Jaques Maritain, Distinguer pour unir, ou Les Degrés du savoir,Desclée de Brouwer, Paris 1931.
(4) Antonio Livi, Presentazione, in Matias Augé, Un mistero da riscoprire: la preghiera, Paoline, Cinisello (Milano) 1992.
(5) Cfr Antonio Livi, Presentazione, in Enrico Maria Radaelli, Il mistero della Sinogoga bendata, Effedieffe, Milano 2002, pp. I-IX; Idem,IntroduzioneLe disavventure di un filosofo cristiano, in Enrico Maria Radaelli, Romano Amerio. Della verità e dell’amore, Costantino Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005, pp. VII-XXVIII; Idem, Prefazione, in Enrico Maria Radaelli, La Chiesa ribaltata. Indagine estetica sulla teologia, sulla forma e sul linguaggio del magistero di Papa Francesco, Gondolin Edizioni, Verona 2014, pp. I-XX.
(6) Cfr Antonio Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012. Vedi anche La verità in teologia. Discussioni di logica aletica a partire da “Vera e falsa teologia” di Antonio Livi, a cura di Marco Bracchi e Giovanni Covino, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014.



— editoriali dell’Isola —

PERCHE NON POSSIAMO DIRCI

TRADIZIONALISTI

MA NEMMENO PROGRESSISTI

http://isoladipatmos.com/perche-non-possiamo-dirci-tradizionalisti-ma-nemmeno-progressisti/

Alla radice della crisi: storia delle occasioni perdute



Autore Giovanni Cavalcoli OP
Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

ALLE RADICI DELLA CRISI:

STORIA DELLE OCCASIONI PERDUTE


Papa Benedetto, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto.



tu es petrus
Tu es Petrus …

Il pensiero cattolico sorge di fatto e di diritto dalla congiunzione dell’attività del Magistero della Chiesa con quello dei teologi. La guida, l’interpretazione autentica e la garanzia della verità della dottrina della fede viene dal Magistero sotto la presidenza del Papa. Compito invece dei teologi è quello di indagare sulle questioni ancora aperte avanzando opinioni o ipotesi interpretative o proponendo nuove soluzioni, onde favorire il progresso della conoscenza della Parola di Dio, sottoponendo al giudizio della Chiesa le scoperte fatte e le nuove teorie.

dogma
Stampa d’epoca raffigurante l’assisa del Concilio Ecumenico Vaticano I

IMagistero, nel custodire, proporre ed interpretare il dato rivelato e nell’approvare o respingere le dottrine nuove dei teologi, non sbaglia, in quanto gode dell’assistenza dello Spirito di Verità a lui promesso da Cristo fino alla fine del mondo. Invece le dottrine dei teologi, soprattutto quando essi trascurano di misurarsi sul Magistero o ne fraintendono gli insegnamenti, possono essere errate. Ma anche una dottrina teologica certa (theologice certum), seppur rigorosamente dedotta da princìpi di fede, non può mai pretendere di essere considerata nella Chiesa come verità di fede, perché resta sempre semplice dottrina umana, per quanto fondata sulla fede. Solo al Magistero infatti spetta, con sentenza infallibile ed irreformabile, questo gravissimo compito di determinare e definire le verità di fede per mandato di Cristo. Tuttavia, può capitare che una nuova dottrina teologica interpretativa o esplicativa del dato rivelato venga ad avere tanta importanza o validità agli occhi del Magistero, che questi la eleva alla dignità di dogma della fede.
Nell’insieme storico di fatto del pensiero cattolico occorre pertanto distinguere accuratamente i pronunciamenti dottrinali del Magistero in materia dogmatica o di fede — Papa da solo o col Concilio — dalle dottrine od opinioni correnti fra i teologi, dottrine che, data la loro opinabilità ed incertezza, possono essere legittimamente contrastanti tra di loro, senza che ciò comprometta necessariamente in nessuna di esse il dato di fede o la sana ragione. Alcune teorie possono essere più conservatrici o tradizionaliste, altre più innovative o progressiste: nulla di male, nulla di pericoloso, nulla di cui preoccuparsi, nulla di scandaloso, ma anzi fenomeno normale, fisiologico e proficuo, espressione di legittima libertà di pensiero, che comporta tra le diverse correnti o scuole arricchimento reciproco, a patto che non si spezzi la fondamentale unità, convergenza e concordia sulle verità essenziali e che non si esca fuori dai limiti della retta fede.

Dante eretici
Farinata illustra all’Alighieri la condizione degli eretici

Il regime o funzionamento normale a livello ecclesiale e collettivo del pensarecattolico comporta di diritto e di fatto, nella storia, un certo generale accordo di massima fra le posizioni del Magistero e quelle dei teologi, salvo eccezionali dolorose ed inevitabili deviazioni, che si riscontrano in teologi ribelli, solitamente caratterizzanti il fenomeno o dello scisma o dell’eresia. Questo fenomeno fu grave, macroscopico, diffuso ed impressionante per non dire tragico con la nascita del luteranesimo. Ma nella storia della Chiesa il Magistero è sempre, nel complesso, riuscito a regolare, controllare e dominare il clima o la situazione generale, sì da assicurare alla generale compagine teologica e dei fedeli una certa uniformità, coerenza ed obbedienza allo stesso Magistero, mentre i teologi, dal canto loro, si sono sempre, nell’insieme, sentiti di buon grado per non dire con fierezza rappresentanti del Magistero, sicché il fedele che desiderava conoscere la via del Vangelo e la dottrina della Chiesa poteva sempre rivolgersi al teologo, qualunque teologo, e riceveva da lui la risposta autorevole, chiara, persuasiva e sicura; trovava insomma in lui la guida fidata ed autorevole per camminare nella verità del Vangelo ed essere in comunione con la Chiesa. Chi voleva andarsene dalla Chiesa se ne andava apertamente, come del resto fece lo stesso Lutero — los von Rom! —, e non restava perfidamente ed ipocritamente a distruggerla dal di dentro fingendo di continuare ad essere cattolico e magari spavaldamente come cattolico “avanzato”. In tal modo i nemici della Chiesa, scoperti eventualmente da buoni teologi o denunciati dagli stessi fedeli, erano sollecitamente, senza interminabili tergiversazioni, dichiarati tali dall’autorità ecclesiastica, cosicché erano ben noti, e quindi i fedeli anche meno istruiti avevano modo di riconoscerli, di guardarsene e di stare alla larga, così come si distinguono i funghi buoni dai velenosi.

Pio X
il Santo Pontefice Pio X

I pastori, con la loro dottrina, fedeltà al Papa, prudenza ed amore per il gregge, sapevano smascherare questi impostori,questi anticristi, falsi cristi e falsi profeti, questi lupi travestiti da agnelli e metterli con le spalle al muro. Ricordiamo a tal proposito la stupenda enciclica Pascendi dominici gregis di San Pio X. Oggi invece gli eretici ce la fanno sotto il naso e nessuno se ne accorge, nessuno se ne dà pensiero, nessuno interviene, anzi ricevono lodi e ottengono successo, incarichi di insegnamento e chi si azzarda a far notare che il re è nudo, viene quanto meno preso in giro per non dir di peggio.
I teologi, un tempo, come sacerdoti e religiosi, in forza del loro mandato ecclesiastico, erano umilmente e diligentemente coscienti della loro missione e quindi della loro grave responsabilità davanti a Dio, ai superiori, alla Chiesa e alle anime del loro delicatissimo ufficio di dottori della verità cattolica, nè passava ad alcuno per la testa di creare dottrine soggettive ed arbitrarie, così come fa il buon medico, il quale si sente rappresentante della scienza medica e si guarderebbe bene dall’inventare pratiche personali senza fondamento scientifico. Invece purtroppo a partire dagli anni dell’immediato post concilio è iniziato un fenomeno gravissimo di scollatura fra Magistero e teologi. Molti vescovi, ingenuamente ed entusiasticamente convinti dell’avvento di una “nuova Pentecoste”, allentarono la vigilanza sostituendo la bonomia alla perspicacia, il rispetto umano allo zelo coraggioso, i propri interessi alla difesa del gregge contro i lupi, il buonismo alla bontà e scambiando per misericordia la debolezza.

Concilio Vaticano II
un’assemblea plenaria dell’assisa del Vaticano II

I teologi, soprattutto coloro che erano stati periti del Concilio (1), dal canto loro si montarono la testa e, alla maniera protestante, cominciarono a farsi credere, indipendentemente e contro il Magistero, come depositari inappellabili della Parola di Dio ed interpreti infallibili della Sacra Scrittura, nonché dei documenti del Concilio, che viceversa distorcevano in senso modernista. A questo punto abbiamo le radici della crisi della quale oggi soffriamo. Esse consistono essenzialmente in questo: che il movimento sovversivo e rivoluzionario dei teologi, quella che è passata alla storia come “contestazione del Sessantotto”, è stato scambiato da molti nel popolo di Dio e tra gli stessi pastori e teologi come una rivoluzione dottrinale operata dallo stesso Concilio, il quale avrebbe mutato dati di fede fino ad allora considerati immutabili, soprattutto circa la superiorità del cristianesimo sulle altre religioni, sul concetto di Rivelazione e della Chiesa e circa la condanna delle eresie del passato, condanna che sarebbe caduta in prescrizione.

colonnato san pietro
nuvole sulla Chiesa

In realtà le nuove dottrine conciliari,rettamente interpretate, al di là di qualche espressione non del tutto chiara, non costituivano affatto una rottura o smentita dei dogmi tradizionali, ma al contrario una loro esplicitazione ed esposizione in un linguaggio moderno, adatto ad essere compreso dall’uomo di oggi, né l’approccio del Concilio alla modernità era da intendersi alla maniera modernistica come acritica soggezione agli errori moderni, ma bensì la proposta di un sano ammodernamento o, come si diceva, “aggiornamento” del pensiero e della vita cristiani, che raccoglieva alla luce dell’immutabile Parola di Dio quanto di valido può esserci nella modernità.
Sorsero invece due tendenze ecclesiali e dottrinali che videro nelle dottrine del Concilio una rottura o mutamento rispetto alla dottrina tradizionale ed alle condanne del passato, ispirati ad una totale assunzione della modernità: quella dei lefebvriani, i quali, prendendo a pretesto che nel Concilio non si trovano nuove definizioni dogmatiche solenni, negavano l’infallibilità delle dottrine conciliari accusate di essere infette di liberalismo, illuminismo razionalista, indifferentismo, secolarismo, filoprotestantesimo ed antropocentrismo, tutti errori che erano già stati condannati dalla Chiesa nel XIX secolo e nei secoli precedenti, soprattutto al Concilio Vaticano I e a quello di Trento.

rahner fuma
il teologo gesuita tedesco Karl Rahner

L’altra corrente che apparve ed appare tuttora a molti col crisma dell’ufficialità e di interprete dell’ ammodernamento conciliare, è quella che per lungo tempo è stata chiamata o si è autoproclamata “progressista”, titolo visto da molti come altamente positivo ed ambìto, mentre tale corrente chiama con disprezzo “conservatrice”, “tradizionalista” o “integrista”, o più recentemente “fondamentalista” la corrente dei lefevriani, nella quale però include indiscriminatamente tutti coloro che non accettano il suo modernismo. Per lunghi anni questa corrente, oggi fortissima nella Chiesa, grazie soprattutto al contributo di Rahner, ha prosperato fregiandosi dell’onorevole titolo di progressista, riferimento al valore indubbio del progresso, del nuovo e del moderno, ma in realtà per i suoi eccessi sempre più scoperti ed impudenti, tipici di chi prova la falsa sicurezza di sentirsi al comando, si è sempre più rivelata come modernista, e quindi chiara falsificazione dei veri insegnamenti del Concilio, i quali se promuovono il moderno, non certo avallano il modernismo, eresia già condannata da San Pio X.
Volendo esprimerci nel linguaggio sportivo, potremmo dire che l’autorità ecclesiastica locale ed anche al vertice è stata presa “in contropiede”. Dopo il clima di dialogo e di sereno confronto intra ed extra ecclesiale creato dal carisma straordinario di San Giovanni XXIII, si era largamente sparsa la convinzione nell’episcopato e in molti ambienti teologici che ormai non esistessero più eresie o, se esistevano teologie che si scostavano dalla dottrina ufficiale del Magistero, si trattava per lo più di dottrine discutibili o espressioni di pluralismo teologico o tentativi magari un po’ audaci di innovazione da guardare con benevolenza e interesse. In realtà le cose non stavano affatto così. A cominciare dall’immediato post concilio la tendenza modernista, approfittando dell’immeritata fiducia che seppe astutamente strappare da un episcopato ingenuamente ottimista, cominciò compatta e spavalda a venire alla luce, sicura dell’impunità ed anzi con l’aureola del progressismo, quasi a realizzare un piano precedente internazionale, proveniente soprattutto dai Paesi di tradizione protestante, segretamente elaborato in precedenza.

falsi profeti
“Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?” [Mt 7, 15-20]

I pochi che segnalarono il pericolo incombente, come il Maritain, il von Hildebrand, il de Lubac e il Daniélou, non certo sospetti di conservatorismo o chiusi al nuovo, furono visti come personaggi disturbatori, uccelli del malaugurio, nostalgici dell’Inquisizione, guastafeste che, come si suol dire, rompevano le uova nel paniere. Quei “profeti di sventura”, catastrofici e scoraggianti, dai quali San Giovanni XXIII aveva intimato di guardarsi. Eppure non ci si rese conto della grave imprudenza nella quale si era caduti, abbassando la guardia, quasi che fossero scomparse le conseguenze del peccato originale, ed ormai la Chiesa e la teologia avessero iniziato una nuova era di uomini tutti di buona volontà, tutti intimamente sollecitati nel preconscio (Vorgriff) dall’esperienza divina atematica pre-concettuale, tutti cristiani anonimi anelanti a Dio, tutti oggetto della divina misericordia, secondo le mielose formule rahneriane. Nasceva quel “buonismo distruttivo” e quella falsa misericordia recentemente denunciati dal Papa nel suo discorso al sinodo dei vescovi.
Il Concilio ebbe indubbiamente un’impostazione progressista,nel senso di voler procurare alla Chiesa una nuova spinta o un nuovo slancio verso il futuro, avvalendosi dei valori del mondo moderno: il Concilio, più che sulla necessità di conservare o recuperare o restaurare il perduto, puntò sul dovere di andare avanti, di rinnovare e progredire, mutando ciò che non era più adatto o non serviva più ai nuovi tempi o alle nuove esigenze, che si intendeva preparare e soddisfare in un orizzonte escatologico. Non c’è da meravigliarsi pertanto, se la corrente assai numerosa dei Padri e dei periti che apparve maggiormente interprete del Concilio fu quella che si convenne di chiamare “progressista”, mentre quelli che facevano resistenza al nuovo o non lo comprendevano o troppo insistevano sull’immutabile e sulla tradizione, si cominciò a chiamarli con un certo accento di sopportazione e non di ammirazione, “conservatori” o “tradizionalisti”.

marcel lefebvre
L’Arcivescovo Marcel Lefebvre

Tra questi ultimi emerse, come si sa, sin di primissimi anni del post concilio la famosa figura di Monsignor Marcel Lefèbvre, che presto cominciò ad attirare un certo seguito, fino a fondare l’altrettanto famosa Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), tuttora esistente e prospera. Monsignor Lefèbvre, sostenitore non del tutto illuminato della sacra Tradizione, che secondo lui il Concilio aveva tradito, insieme con pochissimi altri, invece di scorgere le eresie denunziate dal sant’Uffizio nella teologia dei modernisti, ebbe invece la grande sprovvedutezza di trovarle proprio nello stesso Concilio, che quindi accusò dei terribili errori già condannati dai Papi del XIX secolo, come il liberalismo, il razionalismo e l’indifferentismo.
Più di recente, negli anni Ottanta, Romano Amerio ha aggiunto alla lista dei presunti errori del Concilio la “mutazione del concetto di Chiesa”. Secondo il suo discepolo Enrico Maria Radaelli, il Concilio avrebbe invece “ribaltato” la Chiesa. Paolo Pasqualucci, dal canto suo, nota la presenza dell'”antropocentrismo”. Monsignor Brunero Gherardini vede invece nei documenti del Concilio una contraddizione col Vaticano I. Lo storico Roberto De Mattei nega poi l’infallibilità delle dottrine del Concilio sotto pretesto che in esse non c’è nessun dogma definito secondo i canoni esposti dal Concilio Vaticano I. Tutti costoro confondono le dottrine del Concilio col modernismo nato dopo di esso. Si tratta di una confusione deleteria la quale, se da una parte comporta una retta definizione di modernismo secondo il criterio offerto da San Pio X, dall’altra accusa di modernismo proprio quel Concilio Vaticano II che, a ben guardare, ne è il saggio antidoto con la sua proposta di un sana modernità alla luce del Vangelo, della dottrina della Chiesa e di San Tommaso d’Aquino, come fece per esempio Jacques Maritain.

Edward Schillebeeckx
il teologo domenicano olandese Edward Schillebeeckx

Fin dal primo sorgere del lefebvrismo Paolo VI assunse nei suoi confronti un atteggiamento molto severo, mentre restò blando e indulgente nei confronti del rahnerismo. Questo comportamento non imparziale purtroppo si è mantenuto nei Pontefici seguenti fino all’attuale. Benedetto XVI tentò un approccio ai lefebvriani col togliere la scomunica ai loro vescovi e col famoso motu proprio Summorum Pontificum. Per la verità il rahnerismo si è fatto sentire anche nella liturgia col fenomeno della profanazione del sacro e della secolarizzazione, conseguenza del falso concetto rahneriano del sacerdozio e la negazione del carattere sacrificale della Messa. Viceversa, i teologi che si riconoscevano nella corrente genericamente ed equivocamente detta “progressista”, si riunirono attorno alla rivista Concilium, tuttora esistente. Ma quando l’equivoco si chiarì ed apparve che alcuni “progressisti” in realtà erano modernisti, allora ci fu la separazione degli uni dagli altri: da una parte, i progressisti onesti e veramente fedeli al Concilio e alla Chiesa, come Ratzinger, von Balthasar, Congar, de Lubac e Daniélou, si accorsero dei criptomodernisti, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg ed altri. Fu così che gli autentici progressisti si separarono dai secondi fondando la rivista Communio. Quanto a Ratzinger, accortosi della tendenza modernista di Rahner, lo abbandonò e lo criticò severamente in Les principes de la théologie catholique (2) del 1982, un anno dopo che fu nominato Prefetto della CDF da San Giovanni Paolo II.

Alfredo ottaviani e Karol Woytila
il Cardinale Alfredo Ottaviani con il Cardinale Karol Woytila

Nel 1966 il Cardinale Alfredo Ottaviani, pro-prefetto del Sant’Uffizio, ormai divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede, congiuntamente al Segretario, il dottissimo cristologo Pietro Parente, inviavano un’allarmata lettera (3) ai Presidenti delle Conferenze Episcopali denunciando in 10 punti una serie di gravi errori che stavano serpeggiando tra i teologi cosiddetti “progressisti”. A molti tale grave denuncia deve essere apparsa esagerata o una specie di doccia fredda; ad altri, già infetti dal modernismo, deve aver suscitato irritazione ed essere apparsa un freno reazionario o una insopportabile condanna della nuova teologia promossa dal Concilio.
La nuova Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), guidata dal Cardinale Franjo Šeper, non dette per la verità prova di un’energia sufficiente a far fronte ai gravissimi problemi denunciati dal Cardinale Ottaviani e da Monsignor Parente, fatto poi cardinale. Questi, con la perspicacia e il coraggio che l’aveva caratterizzato negli anni precedenti, scrisse nel 1983 un aureo libretto (4), che avrebbe potuto essere il testo di un’enciclica pontificia, segnalando le eresie di numerosi teologi, come Küng, Rahner, Schillebeeckx, Schoonenberg, Hulsbosch ed altri. Purtroppo solo in piccola parte e in modo troppo blando la CDF censurò questi autori, i quali nella maggioranza poterono continuare indisturbati a diffondere i loro errori, protetti da potenti forze filoprotestanti e filomassoniche, forse clandestinamente insinuatesi nella Chiesa stessa.

Tomas Tyn 2
il giovane teologo domenicano Tomas Tyn

Sin dai primi anni del post concilio ci fu una schiera di buoni teologi e prelati, i quali si premurarono di commentare i testi conciliari nella linea del Magistero, mostrando la loro continuità col Magistero precedente, difendendoli dall’accusa di modernismo, e sottraendoli alla manipolazione dei modernisti. Tra i suddetti teologi e prelati ci furono il Cardinale Giuseppe Siri, Jacques Maritain, Yves-Marie-Joseph Congar, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Padre Raimondo Spiazzi, Jean Guitton, Jean Galot, i teologi domenicani di Roma, di Firenze e di Bologna, ed il Collegio Alberoni di Piacenza fino al Servo di Dio Padre Tomas Tyn in anni più recenti. Purtroppo, la loro opera meritevolissima nei decenni, non del tutto ignorata dalla Santa Sede, è stata quasi sopraffatta dai due partiti avversi dei lefebvriani e dei modernisti, i primi con attaccamento ostinato e miope ad un tradizionalismo superato, i secondi, forti del successo ottenuto, con una progressiva scalata ai posti di potere nella Chiesa, cominciando nel Sessantotto col conquistare i giornalisti, i giovani, i laici, il basso clero e i religiosi e via via salendo alla conquista dei livelli superiori dell’episcopato e negli anni più recenti penetrando nello stesso collegio cardinalizio.
I segni conturbanti di ciò li abbiamo avuti di recente in occasione del sinodo dei vescovi, tanto che la parte migliore del collegio cardinalizio, capeggiata dai cardinali Gerhard Ludwig Müller e Raymond Leonard Burke, ha avvertito l’urgenza di intervenire in difesa del Magistero della Chiesa e del Papa, il quale però non pare abbia mostrato nei loro riguardi una sufficiente gratitudine per la preziosa opera da loro svolta.

Paolo VI 2
il Beato Pontefice Paolo VI

Paolo VI, al quale andò il compito gravissimo di far applicare i decreti del Concilio, si trovò subito davanti ad una situazione difficilissima, che egli stesso, come ebbe a confessare dieci anni dopo il Concilio, non prevedeva (5). I modernisti olandesi, con incredibile tempestività, pubblicarono già nel 1966, elaborato sotto l’influsso di Schillebeeckx, con l’autorizzazione del Cardinale Bernard Jan Alfrink, il famoso “Catechismo Olandese”, uscito in Italia nel 1969, che ebbe un enorme successo. Il Catechismo, non privo certo di qualità, ma che è rimasto fino ad oggi il manifesto della Chiesa modernista, conteneva numerose eresie e gravi carenze dottrinali, che Paolo VI fu costretto a far correggere da un’apposita commissione di cardinali nel 1968. Evidentemente questo Catechismo era l’attuazione di un grandioso piano segreto elaborato già durante gli anni del Concilio, durante i quali numerosi periti di orientamento modernista celarono astutamente e slealmente le loro eresie sotto un comportamento esterno corretto, dando anzi a volte un contributo dottrinale lodevole nel corso dei lavori del Concilio. Il loro morbo in loro restò allora in incubazione e venne chiaramente alla luce solo a partire dagli anni dell’immediato post concilio (6). Nel frattempo stava conquistando sempre più consensi il pensiero di Karl Rahner, il quale era stato uno dei più influenti periti del Concilio, consigliere del Cardinale Franz König. Rahner parte dal principio dell’identità dell’essere con l’essere pensato, per cui confonde l’essere come tale con l’essere divino.

panteismo
l’antica insidia panteista

In questa visuale panteistica l’essere umano è ridotto all’essere divino; il divino (la “grazia”) entra nella definizione stessa dell’essere umano, che tuttavia mantiene un aspetto storico (“l’uomo è trascendenza e storia”), che relativizza il concetto di natura umana, il sapere umano e la legge naturale, sul modello hegeliano, mentre l’essere divino è essenzialmente umano. Cristo quindi è il vertice divino dell’uomo e Dio è necessariamente Cristo. Da qui la confusione panteistica della grazia con Dio, intesa come costitutivo dell’uomo. Ogni uomo è essenzialmente e necessariamente in grazia. Essa non può essere né acquistata né perduta. Il peccato non toglie la grazia ma si annulla da sé, perché è contradditorio. Cristo salva non in quanto redentore (concetto mitico), ma in quanto fattore del passaggio dell’uomo a Dio e di Dio che diviene uomo. La fede non è dottrina o conoscenza concettuale, ma incontro con Dio, autocoscienza ed esperienza di Dio pre-concettuale ed atematica (Vorgriff). Essa comporta sul piano dell’azione un’opzione fondamentale per Dio, atto di suprema libertà, per la quale tutti si salvano indipendentemente dagli atti categoriali, empirici e finiti, propri del libero arbitrio, cognitivi e morali, buoni o cattivi, che si pongono sul piano mutevole della storia e del relativo. Da qui la relatività e mutabilità del dogma, inevitabilmente incerto e fallibile, al contrario dell’esperienza di fede comunque salvifica, che è esperienza del divenire di Dio nella storia.

catechismo olandese
una delle prime stampe del Catechismo Olandese, subito tradotto in numerose lingue e diffuso in tutto il mondo

Con l’affermarsi di queste idee di Rahner, la linea di questo Catechismo Olandese, ancora di carattere illuministico-razionalista, assunse un accento manifestamente panteistico hegeliano-heideggeriano nel “Corso fondamentale sulla fede” di Rahner, pubblicato in Germania nel 1976 e in Italia nel 1977. Questa volta nessuna commissione cardinalizia ebbe il coraggio e la saggezza di condannare questo pseudo-catechismo (7), peggiore del precedente. I modernisti, diventati sempre più potenti, cominciavano a far tacere la stessa Santa Sede. Infatti Paolo VI non prese nessun provvedimento. Non ci fu alcuna autorevole confutazione da parte di qualche esponente della Santa Sede o teologo in vista. Anche la CDF, guidata dal Cardinale Seper, non fece nulla. Rahner faceva troppa paura. Per la verità, il grave errore pastorale della Santa Sede fu a mio giudizio quello di lasciarsi prevenire dal Catechismo Olandese, dimenticando la provvidenziale e tempestiva sollecitudine della Chiesa della Riforma tridentina, la quale, immediatamente dopo il Concilio di Trento e quasi come suo documento finale e riassuntivo, pubblicò il famoso e utilissimo Catechismo Tridentino, che fondamentalmente è ancor oggi validissimo.
Paolo VI, nel corso del suo pontificato, ci ha proposto o da sé o per mezzo della CDF un notevole corpo dottrinale, che oltre a sviluppare le dottrine del Concilio, confuta anche le false interpretazioni e condanna errori insorgenti, ma non è mai stato capace di affrontare di petto ed esplicitamente il problema del rahnerismo. Anzi nominò Rahner membro della Commissione Teologica Internazionale, dalla quale poco dopo, deluso perché si vedeva respinte le sue idee, se ne uscì con tono infastidito e arrogante accusandola di conservatorismo. Paolo VI con molti saggi ed acuti interventi contro il secolarismo, lo spirito di contestazione, l’immanentismo, l’antropocentrismo, il falso carismatismo, il liberalismo, le false novità, il relativismo ed evoluzionismo dogmatico, la profanazione della liturgia, il lassismo e soggettivismo morale, ha girato più volte attorno all’obbiettivo, senza però centrarlo mai del tutto, sicché i rahneriani, con l’audacia e l’ipocrisia che li caratterizza, si sono sempre sentiti al sicuro ed autorizzati a proseguire nelle loro idee e nei loro costumi.

Paolo VI 3
il Beato Pontefice Paolo VI

Il 1974 poteva forse essere l’occasione per risolvere il problema del rahnerismo con una buona condanna dei suoi errori e l’indicazione della vera via del rinnovamento e del progresso della teologia. Ma purtroppo Paolo VI perse anche questa occasione, che era data da un grande convegno su San Tommaso d’Aquino nel VII centenario della morte, organizzato dai Domenicani, che ebbe l’adesione di ben 1500 studiosi di tutto il mondo. Per questa occasione emerse nettamente sulla scena del mondo teologico internazionale la grande figura del dottissimo e sapientissimo Padre Cornelio Fabro, il quale elaborò (8) il progetto della bellissima lettera “Lumen Ecclesiae” del Papa al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine di Frati Predicatori, dedicata a raccomandare, con dovizia di opportuni argomenti, lo studio, l’approfondimento e la diffusione del pensiero di San Tommaso d’Aquino, nonché la sua utilizzazione per il confronto con la cultura moderna, in conformità alle disposizioni del Concilio (9).

cornelio fabro
il teologo stimmatino Cornelio Fabro

Nel medesimo anno 1974 Fabro pubblicavaLa svolta antropologica di Karl Rahner (10), un’indagine acutissima delle radici gnoseologiche e metafisiche del pensiero di Rahner, uno studio poderoso, nel quale il teologo Stimmatino dimostrava inconfutabilmente, testi alla mano, valendosi della sua eccezionale conoscenza e di San Tommaso e dell’idealismo tedesco, l’abominevole benché fascinosa impostura con la quale Rahner, falsificando gli stessi testi tomistici, pretendeva presentare l’Aquinate,Doctor Communis Ecclesiae, come conforme ad Hegel, il cui idealismo è stato più volte condannato dalla Chiesa. Quale più chiaro tacito messaggio inviato a Paolo VI dell’assoluta necessità di non tenere i piedi su due staffe, ma del fatto che l’affermazione della verità non può non comportare la condanna dell’errore e nella fattispecie la chiara ed inequivocabile affermazione che il rinnovo e il progresso della teologia ordinato dal Concilio non doveva passare da Rahner ma da San Tommaso? E invece nulla venne da Paolo VI. L’opposizione dei buoni teologi non si scoraggiò. Consapevoli della loro responsabilità verso le anime e ligi al loro dovere di fedeltà al Magistero della Chiesa, continuarono a segnalare i pericolosi errori di Rahner, anche se purtroppo, come era da aspettarsi, il rahnerismo non è arretrato, ed anzi si è rafforzato sino ad oggi. La storia di questa terribile lotta all’interno della Chiesa l’ho brevemente narrata nel mio libro su Rahner (11), che va aggiornato per esempio con la persecuzione fatta ai Francescani dell’Immacolata, nella quale non è difficile vedere la vendetta dei rahneriani per il congresso teologico internazionale antirahneriano dei Francescani del 2007 (12).

elezione Giovanni Paolo II
prima benedizione urbi et orbi di Giovanni Paolo II

Con l’elezione di San Giovanni Paolo II si ebbe l’impressione che il papato riuscisse a prendere in mano la situazione. Il Papa nel 1981 sostituì alla guida della CDF il Cardinale Seper con il grande teologo Joseph Ratzinger, ed un immediato risultato si cominciò a notare con un atteggiamento più deciso nei confronti degli errori di Schillebeeckx e la condanna degli errori della teologia della liberazione. Ratzinger riuscì a colpire alcuni seguaci di Rahner, ma lo stesso Rahner, che morì nel 1984, rimase intoccato. Il ricchissimo insegnamento di Giovanni Paolo II corresse indubbiamente molti errori di Rahner, ma lo fece in modo solo allusivo e generico, limitandosi ad esporre la sana dottrina, senza entrare con precisione nel merito delle questioni, come fa il buon medico che fa un’analisi accurata e precisa della malattia, onde apporre l’adeguato rimedio.
Grande impresa del Papa fu la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica nel 1992. Anche questo indubbiamente fu indirettamente un robusto antidoto contro gli errori di Rahner, benché ovviamente egli non poteva esservi nominato. Interessante come poi Papa Benedetto XVI indicò il Catechismo come criterio per discernere gli errori dei teologi. Il Papa avrebbe avuto due grandi occasioni per affrontare di petto, una volta per tutte, l’annosa ed incancrenita questione: le due grandi encicliche Veritatis splendor del 1993 e la Fides et Ratio del 1998. Solo nella prima c’è un accenno alla distinzione rahneriana, senza che Rahner sia nominato, fra il “trascendentale” e il “categoriale”, che si esprime in morale nell'”opzione fondamentale” e negli “atti categoriali”. Così, ancora negli anni 2004-2005, l’anno prima della morte del Pontefice, la lotta fra rahneriani ed antirahnriani si riaccese alla grande: con un congresso di avversari in Germania nel 2004 (13), al quale seguì, quasi risposta polemica, un convegno a suo favore all’Università Lateranense, durante il quale l’unica voce che si fece sentire in decisa opposizione fu quella di Monsignor Antonio Livi.

rahner-karl
Karl Rahner, brinda

Indubbiamente c’è da restare sconcertati nel constatare il successo ottenuto da Rahner, se egli è stato celebrato nella più prestigiosa delle Università Pontificie Romane. È il segno di una situazione drammatica, che sempre più urgentemente chiede di essere risanata, soprattutto considerando le disastrose conseguenze delle idee di Rahner nel campo della morale e della vita ecclesiale. In questo clima di accesa battaglia mi stupisco e ringrazio il Signore di come col permesso dei miei superiori, ai quali pure sono grato, ho potuto pubblicare il mio libro su Rahner, che ha riscosso un discreto successo, benché mi si riferisca della sorda guerra che i rahneriani gli fanno e del disprezzo del quale lo coprono. Eppure io sono sempre qua, pronto a correggere eventuali errori interpretativi e ed ascoltare ragioni in sua difesa. Ma nessuno si fa vivo.

prima benedizione urbi et orbi di Benedetto XVI

Benedetto XVI, l’acuto critico di Rahner, salito al soglio pontificio, dove avrebbe avuto tutta la competenza, l’intelligenza, l’autorità e il potere di agire per la soluzione del gravissimo problema, anche lui purtroppo non ha fatto nulla e probabilmente per quei pochi allusivi interventi che ha fatto, si è tirato addosso le ire dei rahneriani, che lo hanno portato ad abdicare e quindi a rinunciare al ministero petrino. L’enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco, completamento di quella iniziata da Benedetto, ripete luoghi comuni e ignora completamente la questione. Oggi il problema è quindi ancora aperto. Papa Francesco non parla mai di Rahner. Ma non credo affatto che sia la soluzione migliore. Rahner è notissimo e seguitissimo. I suoi gravi errori, che continuano a far danno, sono stati dimostrati ormai da cinquant’anni da una schiera enorme di studiosi e il Magistero della Chiesa in questi cinquant’anni, nella condanna di tanti errori, lascia intravedere ancora l’ombra sinistra del rahnerismo, non assente per esempio nella corrente buonista emersa persino all’ultimo sinodo dei vescovi. Non è giunto dunque il momento di “mettere, come si suol dire, le carte in tavola”? Perché far finta di ignorare ciò che tutti sanno? Ci sono ancora dei ritardatari sedicenti progressisti che non hanno ancora capito da dove viene il male? Se invece è chiara come è chiara la sua origine e la natura, dato che peraltro esistono i rimedi, perché non prenderne atto francamente una buona volta e decidersi a curarlo, viste le sue nefaste conseguenze, dopo una diagnosi precisa e circostanziata? Forse che il male potrà andarsene da solo?
Fontanellato, 21 novembre 2014

Introitus Dominica Prima Adventus
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Gli Autori dell’Isola di Patmos promuovono la tutela del patrimonio del buon canto e del latino liturgico
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1. Si narra che Don Giuseppe Dossetti affermasse che “il Concilio lo aveva fatto lui”. Non parliamo poi delle sparate che si sono fatte da parte della grande stampa laicista sulla parte avuta da Rahner al Concilio.
2. Edizione tedesca Erick Wewel Verlag, Muenchen 1982, edizione francese Téqui, Paris 1985.
3. Epistula ad venerabiles Praesules Conferentiarum Episcopalium, in Congregatio pro Doctrina Fidei, Documenta inde a Concilio Vaticano secundo expleto (1966-1985), Libreria Editrice Vaticana 1985.
4. La crisi della verità e il Concilio Vaticano II, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo 1983.
5. “Ci aspettavamo una nuova primavera, ed è venuta una tempesta”.
6. Sbagliano, quindi, quegli storici, come De Mattei, i quali sostengono, sulla linea di Lefèbvre, che questi periti avrebbero dato un indirizzo modernista al Concilio. E’ possibile, anzi è probabile che alcune tesi moderniste siano emerse durante i dibattiti, il che preoccupò fortemente Paolo VI, ma esse poi scomparvero al momento dei documenti finali. Così pure è sbagliata l’interpretazione del Concilio data dalla Scuola di Bologna, per la quale occorre, nei documenti ufficiali, rintracciare uno “spirito” o l’ “evento” che va oltre la lettera retrivamente conservatrice , e che non consiste altro che nelle sue idee moderniste. Sbaglia pure il card.Kasper a vedere nel Concilio delle “contraddizioni” “tensioni non risolte” tra elementi fissisti e tradizionali superati e il”nuovo”, in continua evoluzione, che non è altro che quel modernismo, per il quale egli simpatizza. Il contributo valido dato da Rahner al Concilio in collaborazione con Ratzinger è illustrato da Peter Paul Saldanha nella sua opera Revelation as “self-communication of God”, Urbaniana University Press, Rome 2005.
7. Rahner stesso non ebbe la faccia tosta di chiamarlo “catechismo”, ma in pratica è evidentissima la sua intenzione di proporre comunque un’iniziazione alla fede inficiata di gnosticismo protestante e in antitesi con quella cattolica.
8. Me lo comunicò personalmente in via confidenziale.
9. Optatam totius, 16 e Gravissimum educationis, 10.
10. Edizioni Rusconi, Milano.
11. Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, II ed.
12. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Un’analisi critica, a cura di Padre Serafino Lanzetta, Edizioni Cantagalli, Siena, 2009.
13. Gli atti sono pubblicati in Karl Rahner. Kritische Annāherungen, a cura di David Berger, Verlag Franz Schmitt, Siegbug 2004

7 commenti:

  1. Quanti bla bla bla escono da queste bocche che propongono la di loro ideologia che sotto mentite spoglie chiamano "teologia".

    Quando personaggi che propagandano il loro "sapere teologico e scritturisco" paventanto d'essere migliori di quei che da sempre hanno accusato il pastorale concilio maledetto v2 tanto da scrivere simili lenzuolate, significa che oramai la VERA Chiesa Cattolica (che mai si è staccata dalla Tradizione e qui non mi riferisco a sedevacantismo che è un'eresia post cv2 ) sta' per essere sommersa, ma quando riemergerà dalle nebbie in cui l'hanno affossata non vorrei essere al loro posto.

    Dopo tutti i disastri che sono stati prodotti da quel v2, alcuni "dotti" sono ancora quì a discettare sul nulla e senza conoscere fatti e misfatti della storia si può costruire anche certa "teologia" e spacciarla per tale.

    Quando personaggi come sopra, scrivono lenzuolate per cercare di assolvere il cv2 ma allo stesso tempo attaccano l'Opera meritoria di Mons. Lefebvre, significa che NON possono essere credibili. La storia recente della Chiesa li ha già seppelliti con una risata.


    Su cavalcoli poi stenderei un velo pietoso.....

    Solo ora criticano rahner l'eretico? e prima questi grandi "sapienti" dov'erano? Cose da matti!!

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  2. Basta, basta e superbasta, ne abbiamo piene le tasche delle vostre chiacchere da saputoni. Guardatevi un po' intorno cari presbiteri, stropicciatevi bene gli occhi e togliete le fette di salame . Ma non vedete nulla ?. Sapete tutto, avete tante lauree, in filosofia, in teologia, in ingegneria, in economia in commercio, in psicologia e anche di più, ma siete come dei cembali tintinnanti, vi manca la carità! Nei nostri ospedali i malati vedono pochissime volte i sacerdoti, già perchè per voi presbiteri saputoni i preti che si occupano dei malati negli ospedali sono di quinta categoria, intanto i moribondi muoiono da soli e senza i conforti religiosi,nelle case i nostri vecchi non vi vedono quasi mai e mai sentono parole di verità, i nostri giovani vivono vite disperate perchè non conoscono l'amore di Gesù, neppure vi degnate di parlar loro dei novissimi .Le famiglie non vi vedono mai, non andate più a benedirne le case. Avete buttato perfino alle ortiche l' abito angelicale. Non sapete cos'è ? Ma è il talare. Non è più moderno.? Dio non conosce mode. Le anime da salvare per la Gloria di Dio sono sempre le stesse, quelle di mille anni fa come quelle di adesso.Non esistono giovani o vecchi, le anime non hanno età. Fate i sacerdoti per amor di Dio, scrivete di meno, pregate di più e occupatevi delle anime che nostro Signore vi ha affidate. jane

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    1. Grande Jane, grande questa intemerata..! In poche righe hai riassunto molto anche del mio pensiero e sentimento, specialmente quando parli dei malati e dei vecchi, che vedo sopravvivere partecipando eroicamente alla insipide liturgie quotidiane, oppressi e annichiliti da insulse omelie che non dicono niente!
      Grazie

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    2. un bacino sul naso. grazie a te amico Brontolo. jane

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  3. la trappola del demonio e della massoneria sta andando a buon fine .......tavole rotonde....bla..bla..bla...la laurea in filosofia era proibita x i presbiteri....non hanno più tempo di elevare a Dio la preghiera con l'intercessione di Gesù...vogliono che i laici facciano i preti e i preti si stanno trovando bene "nel mondo"...e si vedono i risultati !!!Gesù pietà di noi risveglia le menti assopite dalle tenebre e donaci il TUO SANTO SPIRITO!!!AMEN!

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  4. "Nei ragionamenti dei tradizionalisti e dei progressisti io vedo troppa approssimazione nella raccolta dei dati e nella loro interpretazione, così come vedo troppa acqua (eventi ecclesiali) portata al proprio mulino (interessi umani, individuali o di gruppo)".

    Questo mi sembra difficilmente contestabile. Quante diatribe inutili a causa di presupposti infondati

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  5. devono tornare a Dio!insegnare la via che porta alla vita eterna!altro che perdersi in discussioni infinite che servono solo a far perdere la fede x lo scandalo!Gesù perdonaci!

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