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venerdì 5 dicembre 2014

La sottile eresia

Separare pastorale e dottrina è “sottile eresia”, dice il cardinale Müller


Il cardinale Müller


Roma. Sappiano, i padri sinodali che tra poco meno d’un anno si ritroveranno a Roma per la grande assemblea ordinaria sulla famiglia cui seguiranno le decisioni papali, che il confine tra ciò che è conforme all’insegnamento di Cristo e l’eresia è sottile. E’ stato chiaro, il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, aprendo la sessione plenaria della commissione teologica internazionale di cui è presidente. E’ inconcepibile, ha detto, separare la dottrina dalla pastorale, dicendo che la prima nessuno la discute mentre sulla seconda si può agire allo scopo di svecchiarla e adeguarla alle esigenze mutate della società contemporanea.
“Ogni divisione tra la teoria e la prassi della fede sarebbe il riflesso di una sottile eresia cristologica di fondo”, ha avvertito Müller, aggiungendo che ciò “sarebbe frutto di una divisione nel mistero del Verbo eterno del Padre che si è fatto carne. Sarebbe l’omissione della dinamica incarnazionista di ogni sana teologia e di tutta la missione evangelizzatrice della chiesa”. Non è sfuggito, ai presenti, che il più autorevole sostenitore della liceità di operare quella divisione sia il cardinale Walter Kasper, autore della relazione concistoriale sulla famiglia dello scorso febbraio e lodato pubblicamente dal Papa perché capace di fare quella “teologia in ginocchio” senza la quale si rischia di “dire tante cose senza capire niente” (parole pronunciate da Francesco solo due giorni fa nella consueta omelia a Santa Marta).

ARTICOLI CORRELATI C’è ecumenismo ed ecumenismo. Gli svizzeri sbracati, ad esempio, no La nuova pastorale: “Non siamo più nella cristianità”Per il capo dell’ex Sant’Uffizio, la tesi del connazionale Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, non regge e non può sottostare a un dibattito che potrebbe portare a mutare l’approccio della chiesa cattolica riguardo la morale sessuale. Non sono ammesse, a giudizio di Müller, interpretazioni di sorta circa il pensiero di Cristo così come scritto nei Vangeli perché “Cristo può essere detto il teologo per eccellenza e ci ha detto ‘io sono la via, la verità e la vita’”, ed è in lui che “sta la via per comprendere sempre meglio la verità che si è offerta a noi e si è fatta nostra vita”. La teologia, ha osservato ancora il porporato (già vescovo di Ratisbona prima di essere chiamato a Roma nel 2012), “non è mai una pura speculazione o una teoria distaccata dalla vita dei credenti”, perché “nell’autentica teologia non c’è mai stato un distacco o una contrapposizione tra l’intelligenza della fede e la pastorale o la prassi vissuta dalla fede”. Si potrebbe addirittura dire, ha aggiunto, che “tutto il nostro pensiero teologico, tutte le nostre investigazioni scientifiche hanno sempre una profonda dimensione pastorale. Sia la dogmatica, la morale o le altre discipline teologiche hanno sempre una propria dimensione pastorale”. Infondata è quindi la teoria che la “sacra doctrina” sia “una pagina morta”.

Il dissenso di Müller rispetto alle tesi kasperiane non è cosa nuova. Già poche settimane dopo l’indizione del Sinodo, il prefetto aveva pubblicato sull’Osservatore Romano un lungo intervento (originariamente apparso sul Tagespost già nel giugno precedente) in cui sottolineava l’impossibilità di mutare la pastorale su uno dei punti più controversi e divisivi, quello relativo alla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti: “Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”. Una presa di posizione netta, al punto che da più parti si parlava di Müller come del novello Alfredo Ottaviani, il prefetto del Sant’Uffizio nominato da Pio XII che fece da capofila alle resistenze curiali verso le aperture conciliari di Giovanni XXIII prima e Paolo VI poi. Tanto che – in concomitanza con il diffondersi di voci circa un suo possibile allontanamento da Roma per assumere la guida di una diocesi tedesca (Berlino o Magonza, ad esempio) – fu rilevato come, in occasione della grande messa a conclusione del Sinodo per la beatificazione di Paolo VI, il porporato tedesco si fosse tenuto a debita distanza dal Papa, evitando perfino di salutarlo al termine della celebrazione. Ricostruzione che Müller, qualche giorno dopo, avrebbe seccamente smentito nel corso di un incontro pubblico sulla famiglia: “E’ una falsità, avevo parlato a tu per tu con lui il giorno prima. Noi curiali, che stiamo a Roma e abbiamo udienze di tabella, in queste circostanze lasciamo il posto a quanti vengono da fuori e hanno quindi meno possibilità di parlare con il Pontefice”.
http://www.ilfoglio.it/articoli/v/123496/rubriche/vaticano/religione-cardinal-muller-separare-pastorale-e-dottrina-sottile-eresia.htm

L’affaire Dupuis l’ultimo eretico messo al bando dal Vaticano. Esce l’autodifesa del gesuita morto nel 2004 accusato per aver sostenuto il dialogo interreligioso
La Repubblica

(Giancarlo Bosetti) Un libro postumo costringe a riaprire il dossier di Jacques Dupuis, il teologo cattolico belga del pluralismo religioso, trattato e “notificato” come un eretico dal cardinale Ratzinger, allora prefetto della fede. Era il 2000, lo stesso anno, gli stessi giorni in cui usciva la Dichiarazione “Dominus Iesus”, il più criticato documento pontificio degli ultimi decenni, acclamato solo dagli “atei devoti”. Dupuis è morto a ottantuno anni nel 2004, accasciandosi nella mensa della Università Gregoriana, depresso per le accuse di eresia.
Dupuis era amareggiato per essere divenuto il bersaglio di un procedimento dell’inquisizione e per essere la “bestia nera” proprio di quel testo con cui la Chiesa arretrava di fronte al dialogo con le altre religioni, e umiliato per la sospensione dall’insegnamento. Il libro che appare ora in italiano per EMI (le cattoliche Edizioni missionarie italiane) è stato curato dal suo editor e amico americano William Burrows e contiene due lunghi testi di autodifesa, dello stesso condannato, nei confronti della “notificazione” (la sentenza della Congregazione della Dottrina Fede) e di accusa contro la «Dominus Iesus», che a Dupuis fu chiesto di condividere, come prova della bontà del suo pentimento. Il mite teologo belga non accettò di condividere e di firmare una prima versione della sentenza che lo accusava di «gravi deficienze» e dedicò gli ultimi anni a stendere questi scritti. Firmò poi una seconda versione della notificazione (piegandosi alle esigenze “politiche” di una situazione che lo imbarazzava) in cui il reato era diminuito a «notevoli ambiguità». Quel movimentato cambio dei testi coinvolse Papa Wojtyla in una delle pagine più ingloriose nella traiettoria di Ratzinger.
Il titolo italiano suona Perché non sono eretico , quello inglese Jacques Dupuis Faces the Inquisition . Il primo, più prudente del secondo, rispecchia comunque lo sconcerto di un teologo, che Burrows definisce «revisionista» ma ortodosso, per non essere stato capito e persino non proprio «letto» dal cardinale Ratzinger. Questi si sarebbe malauguratamente affidato — scrive l’autore, cui l’avrebbe confidato personalmente il futuro pontefice, guardandolo negli occhi — ai giudizi e agli scritti del segretario di Stato Tarcisio Bertone e del consultore della Congregazione Angelo Amato, due figure chiave del papato di Benedetto XVI. Il secondo, che è stato poi promosso cardinale ed è attualmente prefetto della Congregazione delle cause dei santi, è generalmente considerato l’estensore della “Dominus Iesus”.
Dupuis è sempre stato consapevole della difficoltà della sua impresa teologica. Il suo obiettivo era quello di riprendere il tema, per eccellenza plurale, delle dosi di verità e di possibile salvezza concesse al di fuori della Chiesa e ai noncristiani, di riprenderlo dove l’aveva lasciato il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione Nostra aetate ( 1965). La sua Chiesa come quella di Giovanni XXIII e di Paolo VI «nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle altre religioni e vi riconosce «un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». Idee rafforzate dalla lunga esperienza asiatica: aveva speso 36 anni in India. Tu non puoi vivere — diceva — a contatto con la fede di milioni e milioni di esseri umani devoti ai loro riti, dotati di morale e senso del peccato, e poi immaginare per loro nient’altro che la dannazione perché non sono entrati a far parte della Chiesa Romana, una opportunità di cui tre quarti dell’umanità non è neppure venuta a conoscenza.
La teologia del dialogo rimaneva per lui strettamente all’interno di una visione “cristocentrica” della salvezza, certo distinta dalla prospettiva “ecclesiocentrica”, di cui non ha trovato le basi nei testi sacri e che riteneva frutto maligno della paura. E ha prodotto in queste pagine un lavoro affascinante anche per i non credenti. L’opera imponente di Dupuis cui è stata destinata la censura del tribunale vaticano è Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso , (Queriniana, 1997). Non è soltanto teologia, è anche una storia del pensiero, interamente ripercorsa attraverso la ricerca del principio di salvezza dai primi alessandrini fino ai giorni nostri. Dupuis individua passaggi lampeggianti, come in Origene di Alessandria, che, forte del suo platonismo, immaginava per tutto il genere umano una finale restituzione o riabilitazione; si soffermava sulle pagine del De Pace Fidei di Nicola Cusano, umanista ma anche potente cardinale del Quattrocento, che immaginava un concilio celeste in cui tutte le fedi del mondo trovavano un accordo sulla unicità della religione «nella varietà dei riti». Per Cusano, in quel sogno, le religioni erano diverse perché Dio aveva mandato diversi profeti in diversi tempi e con diversi linguaggi, ma erano in sostanza «complementari».
L’arditezza, certamente sospetta di eresia, non sfuggiva a Dupuis, e nemmeno a un altro teologo riformatore come Urs Von Balthasar, il quale scrisse che la mossa di Cusano fu così «avventurosa che ci si può soltanto sorprendere che non sia stato messo all’indice». Ce lo racconta lo stesso Dupuis, tenendosi lontano da un possibile peccato di indifferenza o equivalenza, ma questo non gli impedisce di affrontare il tema più ri- levante che per un cristiano, come per qualunque fedele di ogni religione, presenta la comparsa e la vicinanza di tante religioni diverse.
Nell’esaminare l’ampiezza della prospettiva della salvezza nella teologia cristiana Dupuis vede tre tappe storiche: una prima in cui il principio extra ecclesiam nulla salus è affermato in tutto il suo esclusivismo, quello di un cristianesimo minoritario e assediato, nell’Impero romano prima di Costantino; una seconda con una limitata apertura per le altre religioni in quanto primordiale rivelazione; una terza in cui si colgono valori positivi nelle altre religioni in quanto preparatori. E vede poi quello che appare come il compito di oggi, non solo per la teologia cristiana, ma anche per quella delle altre fedi: rispondere alla domanda «che significato le altre tradizioni hanno nel disegno divino?». Ed è questo il terreno della sfida per la «teologia delle religioni» o «teologia pluralista». Quel terreno che gli autori della “Dominus Iesus” immaginavano di cancellare o di «ordinare», nel senso di «subordinare» interamente alla gerarchia di verità dettata dalla dottrina vaticana.
Il testo postumo di Dupuis ci offre oggi anche la più argomentata caccia alle «ambiguità» e agli «errori» di quel documento che intendeva sbarrare la strada a una ripresa delle tesi conciliari e a chiudere il passo al dialogo interreligioso. Questione da riaprire, questione aperta dalla memoria di un gesuita che attende la riabilitazione.
IL LIBRO Perché non sono eretico di Dupuis (Emi, pagg. 224, euro 17)
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