A Roma è stata promossa da CISM ed USMI una conferenza sulla rivoluzione comunicativa di papa Francesco e padre Lombardi ha fornito la propria esegesi di tale fenomeno analizzando, “fra le tante che dice”, sette parole chiave di Bergoglio (CLICCA QUI per leggere l’inserto di Zenit). Esegesi attenta e ragionata la sua, capace di trasmettere il forte coinvolgimento personale e quella ispirazione profonda che abbiamo potuto apprezzare quando, dopo la storica fondazione dell’ONU delle religioni, ne ha mostrato al mondo il documento ufficiale con la commossa gravità con cui qualcun altro mostrò al popolo le Tavole della Legge.
di Patrizia Fermani
Innanzi tutto padre Lombardi è stato colpito dall’“uscita”, quella che secondo Bergoglio la Chiesa deve fare per annunciare il Vangelo. Non senza avere rinunciato prima alla sua autoreferenzialità. Un vizio, questo, che nessun papa aveva mai denunciato. In effetti, trattandosi di neologismo venuto in uso per indicare ogni tipo di autocertificazione, ci pare di capire che la Chiesa dovrebbe smetterla di vantare la propria origine divina senza sicure pezze di appoggio e rimettere democraticamente al popolo la questione della proprie referenze.
Sempre sulla “uscita”, Lombardi fa poi notare che Bergoglio si ispira anche a quell’uscire “in mare aperto” caro a Giovanni Paolo II. Ma, più modestamente, lo pratica di persona nella vita quotidiana, quando con il dribbling elude le procedure vaticane. Insomma quando, scartando valletti e guardie svizzere, trova subito la porta per arrivare al popolo di Dio.
Dunque anche il pastore deve uscire, ma purché non abbia una meta conosciuta. Infatti una volta uscito egli si deve mettere a “camminare”, “alla ricerca della volontà di Dio nella propria vita”. Ovviamente il pastore non cammina da solo, perché il suo è “un camminare insieme, sinodale, per trovare la via” che come abbiamo visto è rigorosamente sconosciuta. Del gregge non si parla, ma supponiamo che se ne stia prudentemente al riparo in attesa di qualche ragguaglio sulla propria eventuale incerta destinazione, e anche un po’ preoccupato per la propria sorte.
Comunque andare alla cieca, “dove tu non sai”, ha i suoi vantaggi, perché si possono fare tanti incontri interessanti, puoi incontrare persino Dio, basta “ascoltare e lasciarsi stupire”. In questo senso – dice sempre commosso Lombardi – “vivere nella Chiesa di Francesco richiede una fede grandissima”. E su questo nessuno può dargli torto.
Di qui nasce la cultura dell’“incontro”, quella per cui è dato “condividere se stessi, incontrarsi come persone ad un livello totale”. La proposizione parla da sola, ma il portavoce vaticano ci tiene a spiegarne meglio il significato: “Dopo le udienze con i capi di Stato, se Benedetto in due minuti faceva una sintesi dettagliata di quello che dicevano, Francesco parla del cuore, delle persone, dei valori”. Concetto chiarissimo. Una cosa è sintetizzare in due parole un discorso: bisogna essere intellettualmente capaci e culturalmente preparati. Ma se uno non è capace e non ha studiato, che fa? Parla del cuore, parla delle persone e dei valori, così come capita, ed è fatta. Stavolta però ci sembra che quella vecchia volpe, a volere buttare per forza la polpetta avvelenata, si sia intrappolato da solo e non gli è riuscito di spiegare chi in concreto figuri come proprietario del cuore e dei valori, dopo le udienze con i capi di Stato. Non sarebbe generoso però dire che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Sono incidenti del mestiere, anzi di percorso.
Lombardi del resto ritrova presto il tono elegiaco e ci spiega la dimensione bergogliana del “servire”. Qui emerge di nuovo il forte coinvolgimento personale: egli ci indica come può essere bello “lavare i piedi elle ragazze musulmane” e guardarle “negli occhi con tenerezza” senza “avere paura di mostrare loro” “di essere per loro fino in fondo”. Speriamo che per la prossima Pasqua gli facciano almeno reggere il bacile!
Poi Bergoglio è anche capace di “includere”, cioè ha il coraggio, “senza il timore di essere polemico”, di denunciare il traffico di esseri umani e la schiavitù. Un coraggio – ci tiene a sottolineare il portavoce – che solo a chi è latinoamericano viene così, di getto. Insomma, ancora una volta è questione di cultura.
Infine la settima grande parola di questo pontificato è “custodire”, che sta ad indicare la responsabilità verso gli altri e verso il mondo, e sarà al centro della prossima enciclica sull’ecologia e l’ambiente. Idea nuovissima anche questa, a parte Hans Jonas e altri e, nell’attesa di questo nuovo scritto papale, Lombardi non sta più nella pelle.
Intanto per il problema dei gabbiani che mangiano le colombe a piazza S.Pietro, sarà meglio rivolgersi a padre Amorth.
Spett.le Redazione,
Innanzi tutto padre Lombardi è stato colpito dall’“uscita”, quella che secondo Bergoglio la Chiesa deve fare per annunciare il Vangelo. Non senza avere rinunciato prima alla sua autoreferenzialità. Un vizio, questo, che nessun papa aveva mai denunciato. In effetti, trattandosi di neologismo venuto in uso per indicare ogni tipo di autocertificazione, ci pare di capire che la Chiesa dovrebbe smetterla di vantare la propria origine divina senza sicure pezze di appoggio e rimettere democraticamente al popolo la questione della proprie referenze.
Sempre sulla “uscita”, Lombardi fa poi notare che Bergoglio si ispira anche a quell’uscire “in mare aperto” caro a Giovanni Paolo II. Ma, più modestamente, lo pratica di persona nella vita quotidiana, quando con il dribbling elude le procedure vaticane. Insomma quando, scartando valletti e guardie svizzere, trova subito la porta per arrivare al popolo di Dio.
Dunque anche il pastore deve uscire, ma purché non abbia una meta conosciuta. Infatti una volta uscito egli si deve mettere a “camminare”, “alla ricerca della volontà di Dio nella propria vita”. Ovviamente il pastore non cammina da solo, perché il suo è “un camminare insieme, sinodale, per trovare la via” che come abbiamo visto è rigorosamente sconosciuta. Del gregge non si parla, ma supponiamo che se ne stia prudentemente al riparo in attesa di qualche ragguaglio sulla propria eventuale incerta destinazione, e anche un po’ preoccupato per la propria sorte.
Comunque andare alla cieca, “dove tu non sai”, ha i suoi vantaggi, perché si possono fare tanti incontri interessanti, puoi incontrare persino Dio, basta “ascoltare e lasciarsi stupire”. In questo senso – dice sempre commosso Lombardi – “vivere nella Chiesa di Francesco richiede una fede grandissima”. E su questo nessuno può dargli torto.
Di qui nasce la cultura dell’“incontro”, quella per cui è dato “condividere se stessi, incontrarsi come persone ad un livello totale”. La proposizione parla da sola, ma il portavoce vaticano ci tiene a spiegarne meglio il significato: “Dopo le udienze con i capi di Stato, se Benedetto in due minuti faceva una sintesi dettagliata di quello che dicevano, Francesco parla del cuore, delle persone, dei valori”. Concetto chiarissimo. Una cosa è sintetizzare in due parole un discorso: bisogna essere intellettualmente capaci e culturalmente preparati. Ma se uno non è capace e non ha studiato, che fa? Parla del cuore, parla delle persone e dei valori, così come capita, ed è fatta. Stavolta però ci sembra che quella vecchia volpe, a volere buttare per forza la polpetta avvelenata, si sia intrappolato da solo e non gli è riuscito di spiegare chi in concreto figuri come proprietario del cuore e dei valori, dopo le udienze con i capi di Stato. Non sarebbe generoso però dire che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Sono incidenti del mestiere, anzi di percorso.
Lombardi del resto ritrova presto il tono elegiaco e ci spiega la dimensione bergogliana del “servire”. Qui emerge di nuovo il forte coinvolgimento personale: egli ci indica come può essere bello “lavare i piedi elle ragazze musulmane” e guardarle “negli occhi con tenerezza” senza “avere paura di mostrare loro” “di essere per loro fino in fondo”. Speriamo che per la prossima Pasqua gli facciano almeno reggere il bacile!
Poi Bergoglio è anche capace di “includere”, cioè ha il coraggio, “senza il timore di essere polemico”, di denunciare il traffico di esseri umani e la schiavitù. Un coraggio – ci tiene a sottolineare il portavoce – che solo a chi è latinoamericano viene così, di getto. Insomma, ancora una volta è questione di cultura.
Infine la settima grande parola di questo pontificato è “custodire”, che sta ad indicare la responsabilità verso gli altri e verso il mondo, e sarà al centro della prossima enciclica sull’ecologia e l’ambiente. Idea nuovissima anche questa, a parte Hans Jonas e altri e, nell’attesa di questo nuovo scritto papale, Lombardi non sta più nella pelle.
Intanto per il problema dei gabbiani che mangiano le colombe a piazza S.Pietro, sarà meglio rivolgersi a padre Amorth.
– di Patrizia Fermani
Una testimonianza dal blog bergoglionate [qui],
della quale merita tener conto. Dice con semplicità e chiarezza cose
già di per sé evidenti. Fornisce ragioni, ma il problema rimane in tutta
la sua serietà e gravità, soprattutto per via della strana alleanza tra
il clero eretico e quello donabbondiesco...
Spett.le Redazione,
sono
un ragazzo colombiano che risiede da molti anni in Italia per motivi
lavorativi. Vi scrivo per darvi un contributo da una visuale
latinoamericana, realtà che per società, cultura e nascita conosco bene.
Il
mio padre spirituale è un sacerdote italiano che ha iniziato a studiare
a sei anni e da allora non ha mai smesso d’imparare. Viene da un ambito
culturale che ha favorito la sua conoscenza, la crescita e lo sviluppo e
oggi, a 50 anni, è un uomo che di storia della Chiesa, di teologia, di
cristologia, di patrologia, e soprattutto di dogmatica, ne sa certo
parecchio. Ho visto io stesso, più volte, che molti colleghi teologi di
alto livello lo trattano con molto rispetto. L’ho visto citare i vangeli
in greco a memoria a un piccolo dottore in sacra scrittura, che non
sapeva dove attaccarsi per rispondere. E non vi dico come sia e cosa sia
quando celebra la Santa Messa: si trasforma, diventa veramente un altra
persona.
Perché ve lo
racconto? È da tutto questo nasce il problema, non solo di Jorge Mario
Bergoglio, ma in generale: lo scontro tra due mondi, due mentalità e due
formazioni totalmente diverse, quella europea e quella latinoamericana
(nello specifico quella argentina).
Prima di
tutto è necessario capire la concezione che padre Bergoglio ha
dell’essere cristiano-cattolico. Una concezione che si può spiegare con
l’esempio di un bambino che incontra una persona affascinante e
meravigliosa, il Signore Gesù: lo segue, cerca di imitarlo, ma non
riesce a capirlo fino in fondo perché ha una mentalità limitata dalla
sua età infantile. Per tutta la vita rimane con questa “concezione
infantile” della Fede, non cerca di svilupparla, di maturarla, perché
per Jorge Mario Bergoglio, come per tanti cattolici latinoamericani,
l’importante è trovare un modello da seguire e un ideale sociale,
politico o religioso, con il quale identificarsi.
Seconda
cosa importante da capire di papa Francesco è la sua concezione
dell’episcopato, dunque del papato, la quale differisce totalmente dalla
concezione romana. Per lui è una visione principesca autoritaria ed
estranea al popolo, racchiusa nelle strutture di governo e nei palazzi
antichissimi, incapace di capire che quei palazzi nascono per dare
dignità all’ufficio del vescovo e della Chiesa tutta, non certo alla
persona in sé.
Per Jorge Mario Bergoglio, come
per molti dei confratelli latinoamericani, il vescovo è solo un prete di
campagna con un po’ più di importanza. Per lui l’importante, più che
ammaestrare il gregge, è stare con i “poveri” e ascoltarli, farli
sentire vicini, soprattutto si teniamo in conto che in molti paesi della
America tutte le figure che rappresentano l’autorità, sempre hanno
avuto in confronto del popolo un atteggiamento di padroni, di casta
sociale distaccata o, nei peggiori dei casi, di dittatori.
Infine,
la concezione di papa Francesco sulla dottrina e la liturgia. Per lui,
come per tanti pastori latinoamericani, queste cose sono del tutto
accidentali. Cose che esistono, sono lì, ma in fondo, nella vita
quotidiana, hanno poco a che fare. Per papa Bergoglio, come per tanti
altri, la dogmatica è una cosa storica passata e lontana dalle realtà.
La parola “dogma” spaventa e disturba i pastori tipo l’attuale vescovo
di Roma, perché confondono l’assolutezza della Fede con l’assolutismo
dei regimi dittatoriali. Non capiscono che l’assoluto è base e
fondamento della Fede.
Per papa Francesco ciò
che conta è “fare esperienza”, amicizia, con Dio e basta: tutto il resto
è un optional. Così Gesù, da Redentore e Maestro, diventa un
“compagnone”, come appare in un film del 1999 (Dogma) che il mio padre
spirituale e io abbiamo visto più volte.
Una
prova di queste parole che vi scrivo è il fatto che noi non abbiamo
sviluppato, come è successo qui in Europa nei 2000 anni di
cristianesimo, un pensiero forte, chiaro e definitivo, riguardo alla
dottrina, la liturgia e le tradizioni. Noi, in America Latina, siamo
rimasti a un pensiero debole, conformista e accomodante.
Il
primo confronto che noi latinoamericani abbiamo avuto in ambito
apologetico è stato con le sette protestanti, pagate e promosse dal
pensiero protestante nordamericano, e purtroppo dobbiamo ammettere che,
fino ad oggi, sembra che noi abbiamo perso la battaglia, grazie anche ai
“finti ortodossi” come l’ex vescovo di Buenos Aires – oggi vescovo di
Roma – che, gesuiticamente, ha pensato di farsi “amici” i “nemici”,
sprofondando nelle peggiori forme di manifesto e evidente sincretismo
religioso.
A tutto questo vi prego di
aggiungere la aggravante della psicologia argentina. Gli argentini sono
un popolo così scioccamente orgoglioso che gli altri latinoamericani, in
particolare quelli del mio paese di nascita, sono specializzati a
prenderli in giro. Tutte le affermazioni popolari degli argentini hanno a
che fare con il abbinamento alla parola “Dio”, proprio per mettere in
luce questo loro orgoglio enorme. Esempio: “Se Gesù nascesse ancora
sarebbe argentino… Gesù fece scendere lo Spirito Santo in Giudea per
puri disguidi tecnici perché il cenacolo era stato programmato in
Argentina … Dio parla in spagnolo con accento argentino… noi siamo
perfetti come è perfetto Dio… ecc.”.
Papa
Francesco si è formato negli anni ’70 in America latina prima e in
Germania poi, respirando da una parte il disprezzo verso Roma dei nostri
teologi della inculturazione e dell’indigenismo, dall’altra, in
Germania, la romanofobia dei tedeschi.
Il
dramma è che oggi, sulla Sede di Pietro, abbiamo come papa qualcuno che,
nel profondo, disprezza la romanità, che non ha una teologia, né un
magistero, perché la sua “teologia” e il suo “magistero” è tutto un
parlare per slogan populisti. Non ha il senso dell’universalità, ma
vuole trasformare la località – la sua località – in universalità: lo fa
con il sorriso sulle labbra, ma in modo arrogante e sprezzante.
Ecco
perché io capisco, conoscendo il contesto di provenienza e la
situazione latinoamericana, le preoccupazioni di molti vescovi e di
molti fedeli al vedere un papa regnante che si mette a fare “magistero”
sui giornali della sinistra laicista e anticattolica.
Ultima
cosa: non dimenticate che per opera dell’allora primate, cardinal
Bergoglio, in Argentina sono diventati vescovi alcuni dei peggiori preti
ultra-progressisti, bastava che parlassero di “poveri” e “povertà”.
Spero di essere riuscito a darvi il contributo che desideravo darvi e di essermi spiegato al meglio.
Vi porgo i miei saluti carissimi.
Jorge
13 novembre 2014
Signore abbi pietà di noi!
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