Spesso sentiamo parlare di una sorta di “essenza del Cristianesimo” e quindi di una presunta gerarchia delle verità, per cui alcune sarebbero più importanti e altre meno. È proprio così? Prima di rispondere facciamo un po’ di mente locale.
Nella Teologia cattolica del XX secolo per motivi ecumenici si è fatta strada l’idea di un Cristianesimo “essenziale” distinguibile da un Cristianesimo da accettare nella sua interezza. Ma questa posizione è una posizione errata e quindi da rifiutare.
Quando due persone non vanno d’accordo è da saggi proporre di pensare a ciò che è importante e di trascurare il superfluo. Le discussioni umane riguardano l’umano e nell’ambito dell’umano si può tendere alla verità ben sapendo che è difficilissimo raggiungere la verità tutt’intera. Questo vale per le discussioni umane, ma non può e non deve valere per le questioni religiose, perché, in tale caso, non siamo più nell’ambito della verità umana ma della Verità rivelata, quindi non più del tendere verso la verità, ma della conoscenza della Verità tutt’intera.Nella Teologia cattolica del XX secolo per motivi ecumenici si è fatta strada l’idea di un Cristianesimo “essenziale” distinguibile da un Cristianesimo da accettare nella sua interezza. Ma questa posizione è una posizione errata e quindi da rifiutare.
Almeno dall’inizio del secolo XX nell’ambito di una certa teologia cattolica (diciamo “certa” perché non sempre coincide con la vera Teologia cattolica) si è fatta strada la cosiddetta teoria dell’“essenza del Cristianesimo”, ovvero la teoria secondo la quale il Cristianesimo sarebbe costituito da un’essenza e da elementi puramente accidentali, cioè meno importanti. Un po’ come la differenza tra la bistecca e l’insalata: la bistecca è la sostanza; l’insalata, il contorno. Insomma, questa teoria afferma che il Cristianesimo avrebbe un “cuore” che lo renderebbe tale e la semplice adesione a questa “essenza” basterebbe per definirsi cristiano.
Come abbiamo già detto, la teologia cattolica ha tenuto a lanciare una simile teoria per motivi ecumenici. È evidente che il dialogo con gli ortodossi e i protestanti, in tal modo, sarebbe molto più facile, ma si tratterebbe di pura svendita e rinnegamento del patrimonio di verità del Cattolicesimo; il dialogo si deve fare nella verità e non a discapito di questa. Per capire quanto questa posizione sia sbagliata basterebbe ricordare il noto adagio: «Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu». Il bene, infatti, è nell’accettare la verità tutt’intera, perché nell’ambito della verità assoluta solo l’interezza conta. Sant’Agostino, nel Commento al Salmo 54 (precisamente al numero 19), afferma: «In molte cose [di fede] concordano con me; in alcune con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me a nulla serve loro essere con me d’accordo in molte». Scrive Leone XIII nella sua Satis Cognitum: «Ripugna infatti alla ragione che anche in una sola cosa non si creda a Dio che parla. [...] Gli Ariani, i Montanisti, i Novaziani, i Quartodecimani, gli Eutichiani [qui Leone XIII elenca alcune famose eresie] non avevano abbandonato in tutto la dottrina cattolica, ma solo questa o quella parte; e tuttavia è cosa nota che essi sono stati dichiarati eretici ed espulsi dal seno della Chiesa [...]. Tale è infatti la natura della fede che essa non può sussistere se si ammette un dogma e se ne ripudia un altro. [...] Colui che anche in un sol punto non assente alle verità da Dio rivelate, ha perduto tutta la fede, perché ricusa di sottomettersi a Dio, somma Verità e motivo proprio della fede. [...] Perciò la Chiesa, memore del suo ufficio [di custodire il deposito della fede], non si è mai con ogni zelo e sforzo tanto affaticata come nel tutelare in ogni sua parte l’integrità della fede». Anche Benedetto XIV allude a questo errore, precisamente nella sua Ad Beatissimi Apostolorum Principis: «La Fede o si professa intera o punto non si professa, perché la natura della Fede è tale che essa non può sussistere se si ammette un dogma o se ne ripudia un altro, perché colui che anche su di un solo punto non assente alle verità da Dio rivelate, ha perduto tutta la Fede, poiché ricusa di sottomettersi a Dio, somma verità e motivo proprio della Fede». E anche il Magistero più recente ne accenna. Nell’Udienza generale del 20 agosto del 1997, papa Giovanni Paolo II pronunciò delle parole che richiamano chiaramente la condanna di questo errore. Il Papa disse in quell’occasione: «Il Concilio esorta i fedeli a guardare a Maria, perché ne imitino la fede “verginalmente integra”, la speranza e la carità. Custodire l’integrità della fede rappresenta un compito impegnativo per la Chiesa chiamata ad una vigilanza costante, anche a costo di sacrifici e di lotte. Infatti, la fede della Chiesa è minacciata, non solo da coloro che respingono il messaggio del Vangelo, ma soprattutto da quanti, accogliendo soltanto una parte della verità rivelata, rifiutano di condividere in modo pieno l’intero patrimonio di fede della Sposa di Cristo. Tale tentazione, che troviamo sin dalle origini della Chiesa, continua purtroppo ad essere presente nella sua vita, spingendola ad accettare solo in parte la Rivelazione o a dare alla Parola di Dio un’interpretazione ristretta e personale, conforme alla mentalità dominante e ai desideri individuali. Avendo pienamente aderito alla Parola del Signore, Maria costituisce per la Chiesa un insuperabile modello di fede “verginalmente integra”, che accoglie con docilità e perseveranza tutta intera la Verità rivelata. E con la sua costante intercessione, ottiene alla Chiesa la luce della speranza e la fiamma della carità, virtù delle quali, nella sua vita terrena, è stata per tutti esempio ineguagliabile».
Va detto che per sostenere la teoria dell’“essenza del Cristianesimo” si fa riferimento al Cristianesimo delle origini affermando che questo si basasse solo sull’amore e sulla misericordia, nuclei importanti ed essenziali del Cristianesimo stesso. È evidente che anche il Cristianesimo delle origini (in quanto Cristianesimo) si fondava sull’amore e sulla misericordia. Ma anche in quei tempi l’amore era sempre giudicato dalla Verità e la misericordia sempre esito del pentimento e del riconoscimento del peccato. Anzi, verrebbe da dire a tanti archeologisti che mitizzano quei tempi: perché non tornare anche alle pratiche penitenziali allora in vigore? Forse si cambierebbe idea. Ma lasciamo perdere... A differenza di quanto si crede, soprattutto quel Cristianesimo si fondava sull’annuncio della Verità e sulla condanna del peccato; d’altronde, se così non fosse stato, non si capirebbe come mai quei “pochi” siano riusciti a cambiare il mondo, a convertire uomini e strutture politiche e far sì che nascesse la civiltà cristiana.
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