- OLTRE ALLA “BANCA DI DIO”, ESISTE UN MONDO PARALLELO DI ISTITUTI RELIGIOSI CON PATRIMONI IMMOBILIARI DA URLO: SI PARLA DI DUEMILA MILIARDI DI EURO - CASE, UFFICI E PALAZZI DISSEMINATI NEL MONDO, METÀ DEI QUALI IN ITALIA -
Dal “buco” da decine di milioni della Congregazione dei frati minori francescani allo scandalo dell’Istituto dermatologico dell’Immacolata, emerge una galassia sorprendente di centri di potere finanziario difficile da governare - Ora la Curia cerca di pilotare una svolta nel segno della trasparenza…
Paolo Rodari per “Affari & Finanza - la Repubblica”
È noto che l’Istituto per le Opere di Religione (Ior) si appresta a iniziare una nuova stagione segnata da una limitazione del proprio raggio di azione. Con l’istituzione della segreteria per l’economia guidata dal cardinale australiano George Pell che risponde direttamente al Papa, la banca vaticana non potrà essere più quel luogo ambiguo, una sorta di finanziaria offshore, nel quale scandali enormi hanno potuto proliferare.
L’ultimo ha il nome di quella dirigenza che nell’èra di Karol Wojtyla al soglio di Pietro sembra — l’accusa è mossa oggi direttamente dal promotore di giustizia del Vaticano — abbia commesso reato di peculato per operazioni immobiliari avvenute fra il 2001 e il 2008. Ma non di solo Ior vivono le finanze cattoliche. Esiste anche un mondo parallelo e di difficile decifrazione, fatto di istituti religiosi con patrimoni ingenti. Secondo delle stime pubblicate nel 2013, su 2mila miliardi di euro di immobili disseminati nel mondo e di proprietà di frati e suore, circa la metà si trova in Italia.
E si tratta del 20 per cento del patrimonio nazionale. Sono istituti e congregazione che gestendo autonomamente il proprio patrimonio risultano essere colpevoli, ma a volte anche vittime, di reati finanziari più o meno importanti. L’ultimo caso in ordine di tempo riguarda la Congregazione dei Frati minori francescani. Il «buco» in bilancio è di decine di milioni di euro investiti, secondo la procura svizzera che indaga, in società finite sotto inchiesta per traffici illeciti. Ad alimentare il passivo sarebbe stato anche l’hotel “Il Cantico”, ristrutturato recentemente in via Gregorio VII a Roma.
È una «grave situazione di difficoltà finanziaria» quella che, in una lettera a tutti i frati, ha documentato il ministro generale, padre Michael Perry, facendo trapelare il fatto che è la stessa Congregazione a ritenersi vittima sia di gente esterna sia di se stessa. O meglio, di pochi che al proprio interno hanno male governato. «Sembrano esserci state un certo numero di dubbie operazioni finanziarie, condotte da frati cui era stata affidata la cura del patrimonio», ha detto Perry.
E ancora: «La portata e la rilevanza di queste operazioni hanno messo in grave pericolo la stabilità finanziaria della Curia generale». Per questi motivi, ha detto, il Definitorio generale «all’unanimità ha deciso di chiedere l’intervento delle autorità civili, affinché esse possano far luce in questa faccenda». Insomma è già partita una denuncia alla procura di Roma. Il caso dei francescani è emblematico.
Perché spesso in questi istituti religiosi più o meno grandi, sono le colpe di pochi a ricadere sull’intero corpo. All’interno degli istituti, in sostanza, vi è chi ruba, chi volutamente male amministra, a danno dei più. Ma accanto a essi, spesso, proliferano astuti faccendieri, persone capaci dall’esterno di imbonirsi frati e suore per interessi propri. Del resto, fin dagli inizi della Chiesa è stato così: il buon seme è sempre cresciuto accanto al loglio.
Ed è soltanto con Francesco che, almeno sulla carta, il tempo di questi veri e propri approfittatori specializzati in enti ecclesiastici sembra poter essere giunto al capolinea. «Dio non ha niente a che vedere con i soldi, e la Chiesa non può essere affarista», ha detto pochi mesi fa durante un’omelia a Santa Marta. Perché «ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente».
Un altro caso significativo è quello dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata (Idi), il polo sanitario religioso di proprietà della Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione. Nell’aprile del 2013, con l’accusa di fatture false, bancarotta patrimoniale fraudolenta e un’appropriazione indebita aggravata, venne arrestato a Roma padre Franco Decaminada, consigliere delegato dell’Istituto fino al dicembre 2011: secondo gli inquirenti avrebbe accumulato circa 4 milioni di euro.
Insieme a lui, ai domiciliari, la Guardia di Finanza di Roma arrestò con le stesse accuse anche due imprenditori, Domenico Temperini e Antonio Nicolella. Per salvare l’Istituto, i padri della Congregazione si affidarono prima a Giuseppe Incarnato poi ad Antonio Macciotta il quale, due mesi dopo l’assunzione dell’incarico, venne arrestato per il crac da 13 milioni di euro del policlinico Città di Quartu.
Maciotta aveva diverse entrature nella Chiesa. E come lui tanti altri manager dal curriculum più o meno pulito, gente capace di riciclarsi soprattutto in quelle strutture ospedaliere gestite autonomamente da frati e suore non sempre all’altezza del proprio difficile compito. Oggi, per salvare l’Idi, è di fatto dovuto intervenire il Vaticano. Una fondazione che i padri concezionisti hanno chiamata “Padre Monti”, infatti, rileverà l’Istituto e cercherà di chiudere i debiti, fra questi le perdite del 2014 arrivate a 37 milioni.
I membri della Fondazione verranno indicati dal Vaticano che in questo modo proverà a fare ciò che non è mai riuscito a fare prima d’ora: intervenire per sanare debiti di enti esterni. Già, perché c’è un solo ospedale che la Santa Sede amministra direttamente: l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, dal quale si è appena dimesso il presidente Giuseppe Profiti. Legato al cardinale Tarcisio Bertone e alla vecchia guardia in auge ai tempi di Ratzinger, si è dimesso in accordo con la segreteria di Stato vaticana guidata dal cardinale Pietro Parolin.
Per il resto, su tutti gli altri ospedali, il Vaticano non ha potestà. Tutto è in mano a istituti e congregazioni, un mare magnum di difficile decifrazione. Occorre vigilare attentamente affinché i beni degli Istituti religiosi «siano amministrati con oculatezza e trasparenza» e perché «siano ancora oggi, per la Chiesa e per il mondo, gli avamposti dell’attenzione a tutti i poveri e a tutte le miserie, materiali, morali e spirituali», ha scritto il Papa in messaggio inviato per un simposio organizzato dal “ministero” vaticano che segue proprio gli istituti religiosi.
Non così, tuttavia, hanno fatto diversi istituti religiosi nel corso degli anni. Nel 2013 è finito agli arresti l’ex superiore generale dei camilliani, padre Renato Salvatore, accusato di essersi appropriato di una decina di milioni di euro del proprio ordine religioso e di aver concorso a un sequestro lampo di due confratelli per impedire loro di partecipare alla votazione per l’elezione del nuovo superiore.
Sarà, invece, il 22 aprile prossimo che si aprirà il processo contro don Giovanni Mazzali, ex economo generale dei salesiani, la seconda congregazione al mondo per numero di aderenti. È accusato di truffa nei confronti della propria congregazione a cui, nell’ambito di una complessa vicenda che riguarda l’eredità del marchese Alessandro Gerini (660 milioni), senatore democristiano, avrebbe tentato di sottrarre 100 milioni di euro.
Numeri certi e ufficiali sui beni posseduti dagli istituti religiosi nel mondo non ne esistono. Ogni ordine religioso ragiona autonomamente ed è sempre molto geloso del proprio patrimonio. Oltre ai numerosi immobili, ci sono anche altre voci che vanno a formare gli stessi patrimoni. Fra queste, le offerte e i lasciti. Un patrimonio di cui nessuno, a parte i frati e le suore appartenenti ai rispettivi istituti, possono disporre.
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