Omosessualità, il Magistero scomparso
Sono
ormai moltissimi i vescovi che si sono espressi a favore delle unioni
omosessuali «purché non si chiamino matrimonio». Tra le tante,
ricordiamo la presa di posizione di monsignor Bruno Forte che, durante
la presentazione della «Relatio post disceptationem» del
recente Sinodo straordinario ha esclamato: «Non si può escludere la
codificazione di diritti per le coppie omosessuali, è un discorso di
civiltà!». Anche molti laici influenti hanno ammesso la possibilità di
riconoscere pubblicamente le unioni omosessuali «purché non si chiamino
matrimonio» e purché non si pretenda l'adozione di bambini da parte di
genitori con tendenze omosessuali.
Eppure – se non m'inganno, non essendo un esperto - il Magistero si è già espresso in maniera chiara su questo tema.
Mi riferisco ad un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede intitolato Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (clicca qui).
Si tratta di un documento firmato dall'allora Prefetto della
Congregazione cardinale Ratzinger, in calce al quale è posta una scritta
di qualche rilievo: «Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell'Udienza
concessa il 28 marzo 2003 al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha
approvato le presenti Considerazioni, decise nella Sessione Ordinaria di
questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione» (scritta che
non compare su ogni documento delle Congregazioni vaticane).
In questo documento la posizione della Chiesa appare nettissima: «In
presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure
dell'equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai
diritti che sono propri di quest'ultimo, è doveroso opporsi in forma
chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione
formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente
ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale
sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il
diritto all'obiezione di coscienza» (§ 5).
A sostegno di questa affermazione vengono aggiunte diverse considerazioni di
ordine relativo alla retta ragione («Lo Stato non potrebbe legalizzare
queste unioni senza venire meno al dovere di promuovere e tutelare
un'istituzione essenziale per il bene comune qual è il matrimonio», §
6); di ordine biologico ed antropologico («Esse [le unioni civili di
persone con tendenze omosessuali] non sono in condizione di assicurare
adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana.
[...] è anche del tutto assente la dimensione coniugale, che rappresenta
la forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali. [...] l'assenza
della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei
bambini eventualmente inseriti all'interno di queste unioni», § 7); di
ordine sociale («Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due
persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni
possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale,
con grave detrimento del bene comune», § 8); di ordine giuridico
(«Poiché le coppie matrimoniali svolgono il ruolo di garantire l'ordine
delle generazioni e sono quindi di eminente interesse pubblico, il
diritto civile conferisce loro un riconoscimento istituzionale. Le
unioni omosessuali invece non esigono una specifica attenzione da parte
dell'ordinamento giuridico, perché non rivestono il suddetto ruolo per
il bene comune», § 9).
La stessa cosa si potrebbe dire dell'altro tema che
ha infiammato le pagine dei quotidiani durante il Sinodo (che avrebbe
dovuto essere dedicato alla famiglia): la comunione ai divorziati
risposati.
Anche in questo caso – sempre se non mi sbaglio - esiste una Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica circa la recezione della Comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (clicca qui).
Anche questo documento è stato stilato dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede; e anche in questo caso la posizione della Chiesa
appare chiarissima: «Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa
afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era
valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati
civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente
contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla
Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione»
(§ 4).
«Roma locuta, causa finita», scrisse sant'Agostino. E
così si diceva fino a qualche tempo fa per indicare una semplice e
chiara regola per «sentire cum ecclesia», come si esprimeva sant'Ignazio
di Loyola. Eppure – a quanto pare, e come è stato spiegato da qualcuno -
oggi il Magistero si aggiorna, è in continua evoluzione, recepisce i
progressi della scienza, si adatta al mutare dei costumi e delle
circostanze sociali.
Anche su questo modo di intendere il magistero, tuttavia, pare
che la Chiesa abbia preso una netta posizione. Non faccio riferimento
all'ennesimo dimenticato (o mai letto) documento della Congregazione per
la Dottrina della Fede, bensì alla lettera enciclica Pascendi dominici gregis (clicca qui),
data da san Pio X l'8 settembre 1907 a tutti i fedeli del mondo. In
questa lettera il santo Pontefice condanna – non senza una buona dose di
elegante ironia – la tesi secondo la quale «Dogma, Chiesa, culto, Libri
sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri
che sottostiano alle leggi dell'evoluzione. [...] Lo stimolo precipuo di
evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle
tradizioni dei popoli. [...] I dogmi e la loro evoluzione debbono
accordarsi colla scienza e la storia».
Richiamando il Magistero non intendo certo calarmi indebitamente nel
ruolo di teologo, ecclesiologo, canonista o storico della Chiesa (ci
sarebbe solo da ridere); mi riconosco piuttosto in quel «cattolico
medio» che, secondo Vittorio Messori, è «abituato a fare a meno di
pensare in proprio, quanto a fede e costumi».
Mi pare però molto strano che il Magistero della Chiesa,
che fino a qualche tempo fa era unanimamente considerato il faro della
vita di ogni credente, sia scomparso dai dibattiti che animano la vita
ecclesiale degli ultimi tempi.
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