ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 20 febbraio 2015

Una volta mangiavano bambini, adesso i cardinali..!

Se un cardinale è dato in pasto ai comunisti cinesi

I cardinali nel mirino non sono soltanto quelli che difendono l’insegnamento tradizionale della Chiesa su matrimonio e famiglia. Ieri faceva impressione vedere in primo piano sul sitoVatican Insider un attacco durissimo al cardinale cinese Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong, accusato di voler dirigere la Chiesa cinese dal di fuori e di opporsi al promettente dialogo tra Cina e Santa Sede. Ormai chiunque provi anche solo a porre qualche domanda sulla “gioiosa macchina da guerra” che vuole pacificare il mondo intero, viene stroncato senza pietà, ovviamente sempre invocando la misericordia. Il problema è che il genuino slancio missionario del Papa avrebbe bisogno di collaboratori competenti più che di guardiani della rivoluzione e clericali in carriera.
E così il povero cardinale Zen, una delle figure più significative della Chiesa cinese contemporanea, sicuramente quello che conosce meglio i governanti di Pechino (che più volte da vescovo ha affrontato a muso duro) è finito sulla lista dei cattivi. Certo, Zen è un cinese se vogliamo atipico, temperamento focoso che non va per le spicce quando c’è da affermare una verità, tanto che a 83 anni a Hong Kong sta spesso in piazza insieme ad altri dimostranti per chiedere la libertà o per chiedere conto a Pechino – lo ha fatto nei giorni scorsi - della scomparsa di due vescovi di cui non si sa nulla da molti anni. 
Ma cosa ha fatto di male il cardinale Zen? Secondo l’accusa si oppone al dialogo tra Cina e Santa Sede proprio in un momento in cui un qualche successo storico sembra vicino, e favorisce la spaccatura nella Chiesa cinese cercando di condizionare l’atteggiamento dei cattolici nei confronti di Pechino. Sarebbe dunque un pericoloso disturbatore nel processo di riconciliazione in Cina.
Accuse pretestuose e ridicole per chi conosce la situazione e il cardinale Zen. Ma bisogna almeno sinteticamente ricordare da dove ha origine il problema cinese: ovvero dalla decisione del regime comunista, poco dopo la vittoria militare di Mao Zedong, di istituire una Chiesa nazionale cattolica sotto il controllo del Partito comunista. Stesso trattamento per le altre religioni riconosciute. Lo scopo era evidente: mettere sotto controllo il fenomeno religioso come primo passo verso la completa estirpazione delle religioni. Per la Chiesa cattolica, pur minoritaria, la questione era ed è più complicata perché fa riferimento a un capo straniero, la cui “influenza” su cittadini cinesi è ovviamente ritenuta inaccettabile. Non per niente Cina e Santa Sede non hanno mai allacciato relazioni diplomatiche, e la Santa Sede è ormai uno dei pochissimi stati a riconoscere Taiwan (almeno formalmente) come legittimo governo cinese. 
A quel punto comunque i cattolici avevano due possibilità: aderire all’Associazione patriottica creata dal governo e quindi accettare il primato del regime comunista; o continuare a professare apertamente il primato di Pietro ed entrare in clandestinità. La divisione dei cattolici – dai vescovi fino all’ultimo fedele - ha origine qui, anche se negli anni le cose si sono via via complicate e i confini tra le “due Chiese” si sono fatti sempre meno distinti (molti vescovi “patriottici” negli anni passati sono tornati in comunione con il Papa). Con le lettere alla Chiesa in Cina di Giovanni Paolo II (1996 e 1999) e di Benedetto XVI (2007) un cammino di riconciliazione tra le diverse anime del cattolicesimo cinese è stato avviato, ma in anni recenti il regime di Pechino ha cercato di riallargare le ferite imponendo l’ordinazione di “suoi” vescovi.

Nel frattempo poi, quella linea di divisione che ha caratterizzato i cattolici cinesi si è replicata a Roma tra chi è disposto a fare concessioni unilaterali a Pechino pur di arrivare a normalizzare le relazioni e chi invece invoca la fermezza nei confronti di un regime che non ha mai dato segnali di reale cambiamento nei confronti della libertà religiosa. Appare evidente che in Segreteria di Stato prevale la prima corrente (e non è una novità del Pontificato di Francesco), molto criticata invece dal cardinale Zen, che non si è mai opposto al dialogo ma piuttosto al compromesso politico, giudicando non sinceri i governanti di Pechino. 
I problemi finora insormontabili nel dialogo Cina-Santa Sede sono due: la nomina dei vescovi, e il ruolo dell’Associazione patriottica. Per i vescovi, la Chiesa non può accettare che la loro nomina sia decisa o pesantemente condizionata da un governo, ma il regime comunista di Pechino non può accettare che ci possano essere nomine che non siano controllate dal Partito. L’altra questione, che è legata, riguarda l’Associazione patriottica la cui natura di controllo della Chiesa non può ovviamente essere accettata dalla Santa Sede.
Il cardinale Zen ritiene da molti anni che la Chiesa abbia già concesso troppo a Pechino e oggi trova immotivato l’ottimismo del Segretario di Stato, cardinale Parolin, che recentemente ha parlato di rapporti «promettenti» e di entrambe le parti che vogliono il dialogo. Come ha scritto: «Nessuno nega che senza il dialogo non si risolvono i problemi. Ma perché il dialogo riesca occorre la buona volontà da ambedue le parti. Da parte di Roma, c'è ovviamente questa buona volontà. Ma c'è anche dalla parte di Pechino? Supporre che ci sia, in un ottimismo infondato, è pericoloso. Può essere ""wishful thinking". Se la controparte non è disposta a cedere niente e noi vogliamo arrivare ad ogni costo ad un accordo, l'unica cosa da fare è di arrenderci, vendere noi stessi. Dunque noi non temiamo il dialogo. Non siamo contrari al dialogo, ma abbiamo paura di un compromesso ad oltranza, un cedere senza una linea di fondo».
Ma Zen ha criticato anche due interviste fatte da Vatican Insider ad altrettanti vescovi cinesi, che sembravano “pilotate” per criticare coloro – come Zen – che mettono i puntini sulle i.«Sembra che qualcuno voglia farci tacere», aveva denunciato Zen appena 3 giorni fa sull’agenzia Asia News, facendo notare che è «crudele e ingiusto» intervistare vescovi che non sono in condizione di parlare liberamente, come è per chi sta in Cina. Ed ecco quindi pronta la risposta di Vatican Insider sotto forma di lettera aperta di un “sacerdote clandestino” che nega a Zen il diritto di parlare di Chiesa cinese. Prontamente Asia News ha pubblicato l’intervento di un altro “sacerdote clandestino” che invece sostiene le ragioni dell’arcivescovo emerito di Hong Kong (davvero curiosa questa coincidenza di posta che arriva lo stesso giorno dalla Cina). 
Ma è indubbio che, per la collocazione della testata, l’attacco di Vatican Insider è significativo. Qualcuno evidentemente ritiene che mettere a tacere Zen sia un passo fondamentale per far progredire i rapporti con la Cina e riconciliare i cattolici. Illusione: si fa solo un piacere al Partito Comunista cinese. Quando nel 2009 il cardinale Zen andò in pensione, ci fu chi a Roma brindò prevedendo una rapida normalizzazione dei rapporti con Pechino, ma negli anni successivi le cose non solo non sono progredite, sono anche peggiorate per i cattolici.
di Riccardo Cascioli


 http://www.lanuovabq.it/it/articoli-se-un-cardinalee-dato-in-pastoai-comunisti-cinesi-11863.htm

Un sacerdote cinese:
«Se Pechino non concede libertà alla Chiesa, le diplomazie sono inutili»


Un sacerdote cinese:<br> «Se Pechino non concede libertà alla Chiesa, le diplomazie sono inutili»
di Peace *
Sin dagli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, i rapporti fra Cina e Vaticano sono divenuti oggetto di attenzione da parte dei media internazionali. Ogni evento collegato a questa questione sarà sempre sotto gli occhi dei giornali e porterà nuove analisi da parte loro sulla situazione. Guardando agli ultimi anni, partendo dal 2008, la Cina ha ordinato il maggior numero di vescovi illeciti (ovvero senza il mandato papale) della sua storia e ha convocato l'ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici. Questi fatti hanno portato le relazioni sino-vaticane al punto più basso degli ultimi decenni.
Secondo analisi e notizie apparse sui giornali, la Cina e la Santa Sede avrebbero deciso di mitigare le proprie posizioni dalla metà dello scorso anno (2014). Oggi i contatti fra Cina e Santa Sede sono abbastanza frequenti, e la loro relazione - si dice - potrebbe presto divenire un rapporto diplomatico ufficiale. Di certo non importa dove questi contatti possano condurre: il dialogo fra due parti è sempre apprezzabile e degno di lode. Infatti soltanto attraverso contatti sinceri e dialoghi costruttivi si potrà portare la situazione a una conclusione soddisfacente per entrambi. Sui punti cruciali di questa relazione e sulle sue prospettive per il prossimo futuro, vorrei  presentare alcuni punti per la discussione e la riflessione.
Anzitutto vorrei sottolineare come nel processo di dialogo e contatto - inclusi gli sforzi per costruire relazioni diplomatiche fra la Cina e la Santa Sede - entrambe le parti si sono sedute al tavolo con scopi ovviamente diversi. Il governo cinese sta considerando i pro e i contro di una relazione ufficiale con la Santa Sede, che rappresenterebbe un inevitabile influsso del cattolicesimo sulle ideologie marxiste. Inoltre questo sviluppo potrebbe portare influenze positive dal punto di vista internazionale, in particolare ora che la Cina diventa sempre più importante per le politiche mondiali.
Dal punto di vista della Santa Sede, invece, lo scopo principale è che la comunità cattolica possa praticare con libertà il diritto alla libertà religiosa nella terra di Cina.
Dall'inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, la posizione degli ultimi tre pontefici sulla "Questione Cina" è sempre stata chiara e consistente. I cattolici di Cina, come i fedeli cristiani di altre parti del mondo, possono e dovrebbero godere della libertà religiosa anche nella Repubblica popolare. Questo significa che ogni cattolico cinese dovrebbe vedersi riconosciuta la propria dignità umana e personale, e quindi avere il diritto a vivere la propria fede in maniera libera come recita la "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" riconosciuta dalle Nazioni Unite.
In molte occasioni la Santa Sede ha invitato il governo cinese a intraprendere azioni concrete per garantire questo diritto fondamentale per tutti i cittadini della Repubblica popolare cinese. Tuttavia, purtroppo, noi non abbiamo visto alcuna azione particolare al riguardo: e perciò non vi è alcun modo in caso di abusi a questa libertà di ottenere protezione legale- secondo l'attuale legislazione cinese - attraverso metodi amministrativi e giudiziari.
Noi riteniamo che il diritto alla libertà religiosa dovrebbe essere il punto principale nei dialoghi e nei contatti fra la Cina e la Santa Sede. Guardando alla situazione attuale della società cinese dal punto di vista politico, non è facile sostenere che il governo di Pechino voglia mettere davvero in pratica e proteggere il diritto alla libertà religiosa per tutti i propri cittadini. Sotto l'attuale situazione sociale e politica in Cina, sembra che non si possano vedere segnali positivi riguardo questa questione.
Vi prego di considerare i seguenti punti.
Il primo punto riguarda i principi di "indipendenza e auto-gestione della Chiesa, che deve essere governata in maniera democratica" delineati dal governo cinese riguardo la Chiesa cattolica di Cina. Questi principi sono stati chiaramente definiti "incompatibili con la dottrina cattolica" all'interno della "Lettera ai vescovi, sacerdoti, consacrati e fedeli laici della Chiesa cattolica di Cina" inviata nel 2007 dal Papa emerito Benedetto XVI. Tuttavia, in questi anni abbiamo osservato come l'attitudine del governo cinese nei confronti della Chiesa cattolica cinese sia di fatto delegare il controllo della stessa al Partito comunista. Oggi non vediamo alcun beneficio od opportunità per il governo cinese che lo spinga ad abbandonare questi principi.
Al secondo punto vorrei considerare la questione della nomina dei vescovi, uno dei punti più controversi nelle relazioni fra Cina e Vaticano. Come dovremmo risolvere questa situazione? È una delle domande più difficili per entrambe le parti coinvolte nel dialogo. Da quello che possiamo vedere, il governo cinese ha ormai un considerevole diritto di parola sulla questione dato che negli ultimi 15 anni la Santa Sede ha riconosciuto un buon numero di vescovi graditi all'esecutivo (per la maggior parte, cinquantenni). Nei prossimi 20 anni almeno, le difficoltà che questo stato di cose porterà alla vita della Chiesa in Cina non possono essere sottostimate.
Al terzo punto, quello peggiore, c'è il fatto che anche se i primi due problemi potranno essere risolti tramite il dialogo e i contatti fra la Cina e la Santa Sede questo non vuole dire per forza che la comunità cattolica cinese potrà godere del diritto alla libertà religiosa. Dato che questo diritto fondamentale non dipende soltanto da questi due problemi - anche se naturalmente non sottovalutiamo l'importanza di queste problematiche per la vita della Chiesa - la realizzazione della libertà religiosa in Cina dipende da una vera attuazione dei diritti umani nella nazione. E su questa non vi è una prospettiva ottimista, data l'attuale situazione politica e sociale. Vediamo perché:
1)      Per quanto riguarda la politica, i conflitti e gli scontri interni al Partito sono oggi molto intensi. E noi non possiamo sapere con chiarezza quale delle parti in causa sia interessata a un dialogo con il Vaticano. Ci domandiamo se coloro che si oppongono ai dialoghi con il Vaticano potrebbero usare questa occasione per censurare e bloccare coloro che invece sono a favore. Questa complicatissima situazione politica rappresenta quanto meno il momento "non migliore" per dialogare con la Cina da parte della Santa Sede.
2)      Dal punto di vista del governo cinese, la questione della Chiesa cattolica in Cina non è isolata ma collegata con i problemi di altre religioni ed etnie. È impossibile per il governo risolvere il punto dei cattolici senza affrontare altre questioni come quella del Tibet, dello Xinjiang e della gestione autonoma di alcuni gruppi etnici. Se il governo cinese non prepara un piano che comprenda tutte le questioni etniche e religiose, per risolvere i problemi ad esse collegati, sarà difficile separare il punto della Chiesa e la natura dell'accordo del Vaticano per proteggerne la libertà religiosa.
3)      Dal punto di vista della Chiesa cattolica, anche se il governo cinese fosse sincero abbastanza da voler risolvere il problema della "indipendenza e auto-gestione della Chiesa, che deve essere governata in maniera democratica" e quello della nomina dei vescovi questo non vorrebbe dire garantire davvero alla comunità cattolica il diritto di godere di piena libertà religiosa. Se il governo non decide di concedere davvero il diritto alla libertà, alla democrazia e agli altri diritti umani, allora risolvere i due problemi di cui sopra non porteranno libertà alla comunità. Ad esempio, se non viene garantita la libertà di stampa allora la Chiesa continuerà a vivere dei limiti nella libera informazione sulla vita cattolica in Cina; se il governo non rispetta il diritto dei genitori a scegliere la migliore educazione per i propri bambini, allora l'educazione cattolica continuerà a essere limitata; se la terra di Cina rimane proprietà dello Stato, allora la Chiesa non potrà avere proprietà immobiliari. Sono molti i problemi e le questioni sociali che vanno risolti, e che sono collegati all'esercizio della libertà religiosa dei cattolici cinesi. Questi problemi non si risolveranno presto. E prima della loro soluzione. ogni accordo firmato da entrambe le parti sarà soltanto una lettera morta, senza alcun contenuto reale.
Il quarto punto, alla luce di quelli presentati fino ad ora, è quello della garanzia e del rispetto della libertà religiosa: molto c'è ancora da fare prima di arrivare a questo risultato, e ci vorrà molto tempo. La risoluzione di questi problemi dipenderà anche da un altro fatto: se i cristiani cinesi saranno in grado di divenire una coscienza sociale. I semi del Vangelo possono essere sparsi in questa terra. Qui, oggi, questi semi possono divenire profetici, luce e sale della società in Cina. Di conseguenza:
1)      Per i cattolici in Cina, come dice il Papa emerito Benedetto XVI nella   "Lettera ai vescovi, sacerdoti, consacrati e fedeli laici della Chiesa cattolica di Cina", il compito fondamentale è quello della formazione per il presente e il futuro, per un periodo considerevole di tempo. Questo perché soltanto il lavoro di formazione permette ai vescovi, sacerdoti, consacrati e fedeli laici di essere profeti di questo tempo, lievito della società, e diffondere i semi del Vangelo in questa terra di Cina.
2)      Per quanto riguarda la Santa Sede va detto che la sua funzione principale non è diplomatica o politica, ma quella di aiutare il Santo Padre a confermare la fede dei cristiani di Cina. Lo scopo ultimo della diplomazia e delle politiche della Santa Sede non è null'altro se non quello di aiutare i cristiani cinesi a vivere in piena comunione ecclesiale. La vita di ogni Chiesa locale dovrebbe essere aperta. Sulle questioni sociali deve poterci essere un buon livello di collaborazione fra le Chiese e i governi locali. Tuttavia, il prerequisito è che i governi locali devono rispettare in maniera coscienziosa il diritto alla libertà religiosa dei gruppi cattolici, o almeno che non si usino forze politiche o ideologiche per intervenire negli affari interni della religione. Nei dialoghi fra la Segreteria di Stato e il governo cinese, quest'ultimo dovrebbe garantire la promozione del diritto alla libertà religiosa per le comunità e i singoli fedeli cattolici; inoltre i mezzi diplomatici dovrebbero essere usati per evitare che forze politiche o ideologiche intervengano con la forza nella Chiesa cattolica. Il governo cinese ha bisogno che la Chiesa divenga una vera Chiesa cattolica di Cina, ma nella comunione con la Chiesa universale che ne garantisca l'indipendenza, e non con l'intervento del governo nel lavoro religioso o negli affari interni. Prima di stabilire relazioni diplomatiche fra Cina e Santa Sede, bisogna assicurare la comunione ecclesiale e la libertà religiosa delle comunità cattoliche cinesi. Fino a che questo obiettivo fondamentale non verrà raggiunto, credo che non si debba avere fretta nelle relazioni diplomatiche. Un proverbio cinese dice: "Chi ha troppa fretta non arriverà mai". Il tempo della Chiesa è il tempo di Dio: la Chiesa crede nella morte e risurrezione di Cristo. La Chiesa ha tempo, può aspettare altri 300 anni.
La Santa Sede, inoltre, non ha motivo di sospendere la nomina di vescovi per la Chiesa cinese nell'ottica di voler evitare l'irritazione del governo cinese in questo processo di dialogo e contatti. Dato che la missione della Chiesa è sempre una missione di fede, teologia e pastorale, non deve agire sulla base di motivazioni politiche o diplomatiche. L'esistenza di un episcopato è essenziale alla vita di una Chiesa locale. Le esperienze della vita cattolica ci hanno sempre mostrato che dove esistono vescovi, là esiste una Chiesa.
L'episcopato è una delle espressioni fondamentali della Chiesa. E se la comunità di una Chiesa locale non ha vescovo e il popolo di Dio ha urgente bisogno di un pastore, allora la Santa Sede dovrebbe considerare la validità dei candidati con il giusto potenziale e nominare un vescovo fra questi. Soltanto così facendo si confermerà la fede dei fratelli di Cina. Possono verificarsi situazioni in cui nessuno sia in grado di essere vescovo. Ma se il candidato accetta questa missione, accetta di portare la Croce che ne deriva, allora la Santa Sede non ha motivo di ritardare o negare la nomina per ragioni politiche o diplomatiche. Le persecuzioni religiose non possono essere la causa che impedisce la nomina di vescovi.
I vescovi nominati dalla Santa Sede possono testimoniare la loro fede nella persecuzione. Questo può esprimere con maggior forza la vita del Vangelo e l'amore di Cristo per la Sua Chiesa. Inoltre, il Papa emerito Benedetto XVI ha dichiarato "incompatibili con la dottrina cattolica" i principi di "indipendenza e gestione democratica" della Chiesa.
Questioni altrettanto serie come le ordinazioni episcopali illegittime - senza mandato papale - sono offese secondo il sistema canonico della Chiesa cattolica. Alcuni membri della Chiesa in Cina vivono ancora in questo stato, che danneggia seriamente la comunione ecclesiastica. Nel momento in cui si dovranno nominare vescovi per la Chiesa di Cina, candidati come questi non dovrebbero essere considerati anche se non si vogliono considerare le loro qualità personali. Se la Chiesa permette la nomina di un sacerdote con questi difetti pubblici ci troveremo davanti a una questione inaccettabile dal punto di vista morale e lontana dalla verità, a meno che il sacerdote in questione non rinunci in pubblico ai principi di "indipendenza dalla Santa Sede" e "gestione democratica della Chiesa". Per le stesse ragioni, se la Santa Sede deve considerare dei candidati all'episcopato, dovrebbero avere priorità sugli altri coloro che si oppongono a questi dettami.
Se un vescovo nominato dalla Santa Sede è abbastanza coraggioso da testimoniare il Vangelo sotto la persecuzione politica, allora mostra la forza innata della Buona Novella e l'amore di Cristo per la Sua Chiesa. Al contrario, i vescovi che appoggiano i principi del governo e che vengono ordinati senza mandato papale non possono lavorare in maniera armoniosa all'interno della Chiesa.
Se un sacerdote ha elevate virtù personali, è rispettato ed è in grado di guidare bene il popolo di Dio ma allo stesso tempo accetta i principi contrari alla dottrina, non dovrebbe essere scelto per la dignità episcopale. In tal caso saremmo davanti a una persona che sbaglia in maniera consapevole e aperta. Se una persona del genere venisse nominata vescovo dalla Santa Sede, allora dal punto di vista morale sarà come se la Santa Sede avallasse questi errori.
Allo stesso modo vi sono sacerdoti che si oppongono in pubblico a questi principi: se la Chiesa locale ne ha bisogno, allora la Santa Sede dovrebbe prendere in considerazione le qualità personali di costoro e - se valide - procedere alla nomina episcopale.
* "Peace" è lo pseudonimo di un sacerdote non ufficiale della Chiesa in Cina

Dialogo?
VATICANISTA DE LA STAMPA
20/02/2015
Il cardinale non nega la necessità di un dialogo, ma «affinché abbia successo, è necessaria buona volontà da parte di entrambi. Roma l'ha messa, pensare lo stesso di Pechino è pericoloso». Il paladino dei diritti di Hong Kong è contrario a qualsiasi accordo tra le parti che rappresenti un compromesso che svilisca le posizioni, la dottrina e la teologia cattolica. Zen richiama ad una linea di fondo, quella espressa da Benedetto XVI nella sua lettera alla Cina e ricorda che nessuna concessione può essere fatta sulle ordinazioni vescovili e sulla presenza dell'associazione della Chiesa patriottica cinese, fedele a Pechino. Ma, soprattutto, per Zen nessun dialogo, nessun compromesso può prescindere dal rispetto di Pechino dei diritti civili e ricorda che due vescovi, Thaddeus Ma di Shanghai e Su Zhimin di Baoding, sono detenuti (il primo in «ritiro spirituale» nel seminario di Shanghai e del secondo non si sa nulla da anni). Il cardinale chiede anche un intervento sul vescovo Shi Enxiang di Yixian, arrestato l'ultima volta 14 anni fa e sul quale nei giorni scorsi si è diffusa la notizia della morte, senza conferme e senza che il corpo fosse restituito ai familiari. È molto duro e pessimista circa i rapporti tra Cina e Vaticano, il cardinale emerito di Hong Kong Joseph Zen, da sempre critico sulle posizioni della Cina soprattutto in termini di diritti e libertà tanto da partecipare a manifestazioni (le ultime in sostegno del movimento degli ombrelli) e attirandosi critiche da Pechino e anche da alcuni presbiteri dell'ex colonia britannica. In un intervento pubblicato da alcuni giornali cattolici, Zen critica l'approccio morbido e accondiscendente del Vaticano nei confronti della Cina per la ripresa dei colloqui ufficiali. «Nessun accordo - scrive Zen - è meglio di cattivo accordo. Non possiamo, per amore delle pace, tollerare un accordo che rinneghi la nostra identità».Il presule critica le posizioni espresse in una intervista italiana a due vescovi cinesi, considerate troppo morbide con Pechino, ma sottolineando come i due parlino in un ambiente ostile, che non li fa essere liberi di esprimersi. Zen ne ha anche per il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Il ministro degli esteri del Papa alla fine di dicembre aveva parlato di «prospettive promettenti» e di «parti disposte a parlare», ma il cardinale di Hong Kong è tranchant, spiegando che «non vediamo nessun segnale che incoraggi la speranza che il partito comunista cinese stia cambiando la sua restrittiva politica religiosa». Zen scrive che quello che succede in Cina continua a preoccupare, che è difficile essere ottimisti. 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.