ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 6 aprile 2015

Non è gradita a tutti


A proposito della consacrazione
di Don Faure da parte di Mons Williamson


Articolo pubblicato sul n° 313 di DICI, del 3 aprile 2015

Dopo la consacrazione di Don Jean-Michel Faure da parte di Mons. Williamson, il 19 marzo 2015 a Nuova Friburgo, Brasile, diversi siti a loro favorevoli hanno pubblicato diverse dichiarazioni del consacratore e del consacrato, nelle quali essi espongono le circostanze particolari di questa consacrazione episcopale, annunciata solo alla vigilia ed alla quale sono stati invitati solo un numero ristretto di sacerdoti e di fedeli. Queste dichiarazioni contengono anche alcune ragioni hanno motivato questa cerimonia.
Negli estratti seguenti, i passi sottolineati in corsivo sono della direzione di DICI

Nel suo sermone nel corso della cerimonia, Mons. Williamson ha dichiarato:
«Io mi scuso per non aver voluto rendere pubblico l’annuncio di questo avvenimento, ma volevamo assicurare la cerimonia e proteggerla da certi impedimenti che potevano sorgere: poiché questa cerimonia non è gradita a tutti, ed è evidente!»



Poco dopo, in una intervista Mons. Faure ha precisato: «La consacrazione ha dovuto essere realizzata così perché non fosse impedita. La situazione di Mons. Williamson rimane delicata. Abbiamo scelto questo monastero dall’accesso molto difficoltoso perché permetteva l’adozione di certe misure di sicurezza.»
Qui si tratta di un’allusione al fatto che Mons. Williamson possa essere disturbato nei suoi spostamenti in seguito alle sue dichiarazioni sulle camere a gas durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nello stesso sermone, Mons. Williamson ha affermato: «Si sarebbe potuto pregare, chiedere, sperare in un segno della Provvidenza, come fece Mons. Lefebvre nel 1988, ma io penso che la Chiesa non può sussistere senza vescovi che possano ordinare dei sacerdoti e cresimare i ragazzi e gli adulti… Nella situazione politica attuale, una terza Guerra Mondiale può esplodere da un momento all’altro; una novità recente dal mio paese, l’Inghilterra, ci informa che sono state approntate delle bombe atomiche per essere sganciate a mo’ d’anticipo sulla Russia. … È una follia, ma gli uomini sono impazziti ed hanno l’istinto suicida, come i liberali, e la terza Guerra Mondiale sarà il prodotto di questo istinto suicida. Questo accadrà, e allora è impossibile dire come si svolgeranno gli avvenimenti. Questo significa che rimanere il solo a cresimare e a ordinare sarebbe stato un atto di irresponsabilità; il mondo non è tranquillo ed è molto instabile. Non sappiamo cosa succederà

Nella sua intervista successiva alla consacrazione, Mons. Williamson ha precisato il suo pensiero, rispondendo alla domanda: «Cosa lo ha convinto a realizzare la consacrazione adesso?»; «Ogni giorno diventava sempre più logico, vista la minaccia di guerra che è molto vicina; essa è stata evitata per due volte con la Siria e l’Ucraina, e l’Occidente criminale continua a provocare la Russia, finché arriverà il momento in cui Putin dirà basta e attaccherà.»

Trattandosi della necessità di sostituirsi alla Fraternità San Pio X che, secondo lui, avrebbe tradito il suo fondatore, Mons. Faure, in un’intervista rilasciata a Rivarol il 2 aprile, ha dichiarato: «Ma umanamente parlando, Mons. Fellay dà molte indicazioni della sua ferma volontà di ricongiungersi alla Chiesa conciliare, (…) Menzingen … perde la sua autorità perché non è più fedele alla verità.»

«volevamo assicurare la cerimonia e proteggerla da certi impedimenti che potevano sorgere»; «Si sarebbe potuto pregare, chiedere, sperare in un segno della Provvidenza, come fece Mons. Lefebvre nel 1988, ma io penso che»; «allora è impossibile dire come si svolgeranno gli avvenimenti».
Ora, «umanamente parlando», queste motivazioni personali possono apparire effettivamente troppo umane, anche se sono accompagnate da dichiarazioni di intenzione soprannaturale sulla «difesa della verità» e la necessità di essere gli umili «riparatori della luce d’emergenza (accesa da Mons. Lefebvre) (sermone del 19 marzo)». E tuttavia, questi motivi contrastano singolarmente con la ragione delle consacrazioni del 1988.

Ecône, 30 giugno 1988

Appoggiandosi ad ampii stralci del sermone di Mons. Lefebvre nel corso della cerimonia del 30 giugno 1988, Don Jean-Michel Gleize, professore di ecclesiologia al seminario di Ecône, ricorda come e perché il fondatore della Fraternità San Pio X attuò quell’atto importante.

1 - In una lettera datata 8 luglio 1987, Mons. Lefebvre scriveva al cardinale Ratzinger: «una volontà permanente di annientamento della Tradizione è una volontà suicida, che per ciò stesso autorizza i veri e fedeli cattolici a prendere ogni iniziativa necessaria alla sopravvivenza e alla salvezza delle anime» (1).
E il giorno delle consacrazioni, il 30 giugno 1988, Monsignore ritornava su questa constatazione per concludere con la legittimità delle consacrazioni episcopali: «È necessario che voi comprendiate bene che non vogliamo per niente al mondo che questa cerimonia sia uno scisma. […] Tutto il contrario: è per manifestare il nostro attaccamento a Roma che facciamo questa cerimonia. È per manifestare il nostro attaccamento alla Chiesa di sempre, al Papa e a tutti quelli che hanno preceduto questi papi che, disgraziatamente, a partire dal concilio Vaticano II hanno creduto di dover aderire a degli errori, degli errori gravi che sono in procinto di demolire la Chiesa e di distruggere tutto il sacerdozio cattolico. […] Noi ci troviamo di fronte ad uno stato di necessità.» (2).

2 - In tal modo è fatta la distinzione tra il principio stesso dell’autorità nella Chiesa e il suo esercizio nelle circostanze particolari. Per definizione, il Papa ha per missione di fornire alle anime i mezzi per la loro salvezza, cioè vescovi e sacerdoti che predichino la vera fede cattolica e amministrino i veri sacramenti secondo il rito della Chiesa. Ma per sfortuna, dopo il concilio Vaticano II, i papi che si sono succeduti a Pio XII hanno reso, se non impossibile, quantomeno difficile il ricorso normale a questi mezzi ordinarii di salvezza. E si può legittimamente temere che, in mancanza di una reazione, i fedeli della Chiesa cattolica non possano più beneficiare della predicazione della vera dottrina, né ricevere la grazia dei veri sacramenti. Dunque vi è uno stato di necessità che, non solo rende legittimo, ma reclama la consacrazione episcopale del 30 giugno 1988, come mezzo necessario per la salvezza delle anime.
Mons. Lefebvre l’ha spiegato molto bene: «Mi sembra di sentire la voce di tutti quei papi a partire da Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, San Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, che dicono: “Di grazia, di grazia, che state facendo dei nostri insegnamenti? della nostra predicazione? della Fede cattolica? la state abbandonando? la state lasciando sparire da questa terra? Di grazia, di grazia, continuate a conservare questo tesoro che vi abbiamo dato. Non abbandonate i fedeli! Non abbandonate la Chiesa! Continuate la Chiesa! … Se voi non fate qualcosa per continuare questa Tradizione della Chiesa che vi abbiamo data, tutto sparirà. La Chiesa sparirà, le anime saranno perdute”» (3).

3 - In effetti, nella Chiesa tutta la legge ecclesiastica è ordinata alla salvezza delle anime. Se l’applicazione di questa legge rende difficile, se non impossibile, tale scopo essenziale della legge, ecco che abbiamo a che fare con quello che il diritto della Chiesa chiama: stato di necessità. Questo autorizza ogni membro della Chiesa ad agire per la salvezza delle anime, secondo le sue capacità e secondo le grazie che egli riceve, anche nonostante l’ostacolo costituito dall’applicazione ingiusta della legge ecclesiastica fatta dall’autorità. Infatti, il Codice di Diritto Canonico dice: «I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti» (4).
Questo , in particolare, significa che ogni vescovo è tenuto ad usare il suo episcopato in vista della salvezza delle anime e del bene comune della Chiesa, cosa che può implicare la trasmissione del sacerdozio e dell’episcopato quand’anche la stessa autorità suprema della Chiesa vi si opponesse in maniera ingiusta.

4 - Quello che spiega l’attitudine di Mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X non è, quindi, un attaccamento personale al bene particolare di un’opera personale, ma la preoccupazione per la salvezza delle anime, per l’unità della fede e del culto, che corrispondono al bene comune della Chiesa. Di norma, appartiene al successore di Pietro assicurare, con i vescovi, la salvaguardia ordinaria di questo bene comune.
L’iniziativa del 30 giugno 1988, nell’essere necessaria al più alto grado, assicura solo la sopravvivenza straordinaria in un contesto molto particolare in cui il successore di Pietro non agisce più come tale. Questo spiega perché, compiendo quell’atto delle consacrazioni episcopali, apparentemente contrario alla volontà del Papa, Mons. Lefebvre non ha mai rifiutato di continuare a rimanere in contatto con i rappresentanti della gerarchia, allo scopo di far sentire a Roma la voce pura ed integra della Tradizione cattolica così che essa potesse ritrovare i suoi diritti in tutta la Chiesa: «È per questo che ho inviato una lettera al Papa dicendogli chiaramente: “Noi non possiamo, malgrado ogni desiderio che abbiamo di essere in comunione con Voi. Dato questo spirito che regna oggi a Roma e che Voi volete comunicarci, preferiamo continuare nella Tradizione, conservare la Tradizione, in attesa che questa Tradizione ritrovi il suo posto, in attesa che questa Tradizione ritrovi il suo posto nelle autorità romane, nello spirito delle autorità romane. Questo durerà quanto è previsto dal Buon Dio. Non sta a me sapere quando la Tradizione ritroverà i suoi diritti a Roma, ma penso che è mio dovere fornire i mezzi per attuare ciò che chiamerei operazione sopravvivenza, operazione sopravvivenza della Tradizione”. (…) così sarà tra pochi anni – non lo so: il Buon Dio solo conosce il numero degli anni che serviranno perché arrivi il giorno che la Tradizione ritrovi i suoi diritti a Roma – noi saremo abbracciati dalle autorità romane che ci ringrazieranno per aver mantenuto la Fede nei nostri seminari, nelle famiglie, nelle città, nei nostri paesi, nei nostri conventi, nelle nostre case religiose, per la maggior gloria del Buon Dio e per la salvezza delle anime» (5).

Quindi, la consacrazione del 30 giugno 1988 fu un atto di prudenza, un atto ispirato dalla retta ragione e dallo Spirito Santo. Rifare quell’atto richiamandosi al fatto che la Fraternità San Pio X avrebbe fallito nel suo ruolo provvidenziale, suppone che quest’ultima non dia più alle anime i mezzi per salvarsi, perché in particolare essa non predicherebbe più la vera dottrina per il semplice fatto che non si opporrebbe più ai veri errori del Concilio. In concreto, questo suppone che la Fraternità non offra più l’unico Sacrificio con un rito immutato, che essa abbia adottato la predicazione modernista e che non si opponga più alle riunioni interreligiose ispirate dal falso ecumenismo, che essa abbia adottato i nuovi catechismi, la nuova ecclesiologia e tutte le novità conciliari, che essa lavori nei fatti – nei fatti accertati e non supposti – all’autodistruzione della Chiesa.

Ora, perché un tale ragionamento non sia solo un processo alle intenzioni, deve poggiare su delle prove tanto più solide per quanto più grave sia il fatto richiamato. Il che significa che il semplice dubbio e ancor meno il sospetto, non possono essere sufficienti. Il semplice dubbio può motivare solo una folle precipitazione e non una reale prudenza. Come diceva Mons. Lefebvre: «se un argomento è dubbio, non si ha il diritto di trarne delle conseguenze eccessive!» (6).

NOTE

1 – Mons. Lefebvre, «L’état de nécessité» in Vu de haut n°13 (autunno 2006), p. 62.
2 – Mons. Lefebvre, sermone a Ecône del 30 giugno 1988, per le consacrazioni episcopali.
3 - Mons. Lefebvre, sermone a Ecône del 30 giugno 1988, per le consacrazioni episcopali.
4 – Codice di Diritto Canonico del 1917, canone 682; Nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, canone 213.
– Mons. Lefebvre, sermone a Ecône del 30 giugno 1988, per le consacrazioni episcopali.
6 – Mons. Lefebvre, Conferenza a Ecône del 16 gennaio 1979.


Offese all’intelligenza

A proposito delle reazioni alla consacrazione episcopale di Mons.  Jean-Michel Faure
di Belvecchio


Indubbiamente, soprattutto per il mondo della Tradizione, l’evento più eclatante, e dirompente, è stata la consacrazione episcopale di Mons. Jean-Michel Faure effettuata da Mons. Richard Williamson il 19 marzo 2015. Essa ha suscitato una miriade di reazioni, com’era prevedibile e com’è logico che sia, molte delle quali però lasciano allibiti per la pochezza e per l’inconsistenza che palesano e per il vuoto argomentativo che le caratterizza.

La prima considerazione che si impone è relativa alla dichiarata e ripetuta sorpresa che l’evento avrebbe causato. Eppure, a partire dal Vaticano II, la divisione che si è prodotta nella Chiesa tra i sostenitori della millenaria continuità dottrinale e liturgica e i propugnatori e i realizzatori della moderna discontinuità, tendente alla realizzazione di una nuova religione e di una nuova Chiesa, non v’è dubbio che abbia imposto la necessità della consacrazione di nuovi veri vescovi cattolici, a partire dalla consacrazione di quattro di essi effettuata da Mons. Marcel Lefebvre il 30 giugno del 1988.
Ciò nonostante, questa nuova consacrazione, non solo non è piaciuta a tanti, ognuno per i suoi motivi particolari, ma avrebbe sorpreso tutti come fosse un evento caduto dal cielo e del tutto insospettabile.
Abbiamo ragione a parlare di offesa all’intelligenza?

Se poi si vanno a guardare i vari interventi, comunicati e dichiarazioni, si è portati progressivamente a sorridere e quindi a ridere amaramente.

C’è stata la solita inconsistente dichiarazione “romana” sulla scomunica “latae sententiae”, come se la divisione nella Chiesa e la “separazione”, lo “scisma”, fosse praticata solo da certi cattolici, detti “fondamentalisti” e non invece dai vescovi, a centinaia, che hanno rinunciato ai “fondamenti” del Vangelo per abbracciare il progresso intellettuale e comportamentale del moderno “illuminismo” seppure riveduto e corretto alla luce della teologia conciliare, come ha ripetutamente “insegnato” il cardinale Ratzinger, già papa cattolico ed oggi papa emerito.

La consacrazione episcopale senza il preventivo mandato pontificio sarebbe un atto scismatico, ripetono in tanti; ergo, i responsabili attivi e passivi sarebbero scomunicati “ipso facto”.
Il ridicolo è, l’offesa all’intelligenza è che in questa nuova Chiesa conciliare si pretende che certi vescovi chiedano al Papa regnante di essere autorizzati da lui ad agire contro il Papa regnante!
E se poi il Papa regnante, com’è logico  che accada, rifiutasse l’autorizzazione, ecco che i vescovi che agiscono contro di lui, per ciò stesso metterebbero di farlo.

Ma l’errore – dicono – è proprio quello di agire contro il Papa, quindi…!
Facile a dirsi, soprattutto per i cattolici, conciliari e “tradizionali”, che si ergono a critici di questa nuova consacrazione effettuata senza mandato pontificio; ma nei fatti non è permesso acconsentire al Papa se questi viene meno al suo mandato: che mandato potrebbe essere richiesto ad un papa che come unico mandato ha quello di trasformare la Chiesa tradizionale cattolica in Chiesa conciliare e mondialista?

C’è stata poi la reazione dei cattolici “tradizionali” che amano pensarsi “irriducibili”, tali da non riconoscere la sussistenza di un papa a Roma, e che partendo da una premessa schematica giungono ad una conclusione semplicistica: chiunque riconosca che a Roma c’è un papa, per ciò stesso non è cattolico; e siccome io, noi, sono, siamo gli unici a tenere questa posizione, gli unici cattolici siamo noi.
Posizione questa che, seppure apprezzabile per la bontà delle motivazioni, rivela un’evidente sterilità e produce distingui e critiche fini a se stesse.

C’è stata poi la reazione dei cattolici “tradizionali” che dirigono attualmente la roccaforte cattolica fondata da Mons. Lefebvre, i quali si sono distinti per la profonda riflessione secondo la quale, quando fanno qualcosa loro è certamente buona e giusta, quando la stessa cosa la fanno altri che prima erano con loro e oggi non lo sono più, questa cosa è certamente cattiva e sbagliata.
Una sorta di seconda faccia dell’atteggiamento intellettuale e religioso dei cattolici che amano pensarsi “irriducibili”.
Mentre questi ultimi, però, partono dalla premessa che già Mons. Lefebvre avrebbe sbagliato, tanto da sentirsi autorizzati ad abbandonarlo a suo tempo, i primi si industriano a citare Mons. Lefebvre per dimostrare che Monsignore consacrò senza mandato pontificio, ma con un mandato personale che solo nel suo caso era quanto di più cattolico e di più tradizionale si potesse e si possa pensare.

In effetti, l’assunto di questi ultimi è basato sul seguente ragionamento:
l’attitudine di Mons. Lefebvre e della Fraternità San Pio X non è, quindi, un attaccamento personale al bene particolare di un’opera personale, ma la preoccupazione per la salvezza delle anime, per l’unità della fede e del culto, che corrispondono al bene comune della Chiesa.” (le citazioni sono riprese dall’articolo: “A proposito della consacrazione di Don Faure da parte di Mons. Williamson”, pubblicato nel n° 313 di DICI del 3 aprile 2015)
Peccato che lo stesso Mons. Lefebvre, nel corso del sermone del 30 giugno 1988 per la consacrazione di quattro vescovi, ebbe a dire:
«Oggi, in questa giornata, si compie l’operazione sopravvivenza, e se io avessi concluso quella operazione con Roma, proseguendo negli accordi che avevamo firmato e proseguendo con la messa in pratica di questi accordi, avrei compiuto l’operazione suicidio. Allora, non v’è scelta, sono obbligato, noi dobbiamo sopravvivere. Ed è per questo che oggi, consacrando questi vescovi, sono convinto di continuare, di far vivere la Tradizione, cioè la Chiesa cattolica.»

Concetto che rivela come Mons. Lefebvre avesse a cuore la sopravvivenza, il “bene particolare della sua opera personale”, perfettamente convinto che questo coincidesse “col bene comune della Chiesa”.

A volte, pur partendo da citazioni di Mons. Lefebvre, cápita che si esternino affermazioni che contrastano con la normale intelligenza, convinti che la contraddizione non venga colta da chi ascolta o da chi legge.
Non abbiamo ragione a parlare di “offesa all’intelligenza”?

Per concludere, ricordiamo un particolare interessante di questa consacrazione del 19 marzo 2015. Il consacrante, il consacrato e l’oppositore di entrambi, furono scelti da Mons. Lefebvre per la consacrazione del 1988, oggi essi si trovano su posizioni diverse: due dalla stessa parte, contrapposta a quella del terzo. Chi si trova in errore e chi no?

Noi pensiamo che la chiave per la risposta si trovi nel fatto scontato che da allora ad oggi la gerarchia cattolica ha sempre più fatto sprofondare i cattolici nell’apostasia, così che la decisione di Mons. Lefebvre di agire “per stato di necessità” oggi necéssita di essere confermata e rinforzata ed ampliatamentre esige che molto più di ieri ci si allontani da questa Roma che si conferma anticattolica, come diceva Mons. Lefebvre. Chi cerca scuse per glissare questi imperativi, non persegue il bene delle ánime, ma il suo bene particolare e personale, del che accusa gli altri perché è risaputo che ogni banditore  riesce a parlare solo del prodotto suo proprio.

Qualcuno potrebbe pensare, sbagliando, che noi si esageri a parlare di visione personale, ma non c’è altra possibilità quando si legge: «Poco dopo, in una intervista Mons. Faure ha precisato: “La consacrazione ha dovuto essere realizzata così perché non fosse impedita. La situazione di Mons. Williamson rimane delicata. …” Qui si tratta di un’allusione al fatto che Mons. Williamson possa essere disturbato nei suoi spostamenti in seguito alle sue dichiarazioni sulle camere a gas durante la Seconda Guerra Mondiale

C’era proprio bisogno di precisare una cosa del genere in una comunicazione ufficiale? Se non spinti da una sottile acredine che preferisce avallare il pensiero del mondo moderno pur di sminuire l’avversario?

Semmai, questa sarebbe stata l’occasione per precisare che si tratta della moderna applicazione ebraico-mondialista del secondo Comandamento, stoltamente fatta propria dal mondo odierno, che quando íntima “non pronunciare il nome di Dio invano”, in realtà sostiene: “non pronunciare il nome della Shoa invano”, datosi che modernamente la nuova religione mondiale ha sostituito la Shoa a Dio.

La mancanza di questa precisazione e in sua vece il richiamo alla riprovazione del mondo secondo il nuovo canone dettato dal mondialismo ebraicizzante, rivela un convincimento e una condivisione che ha poco o niente di cattolico.
E poi ci si lamenta che nella consacrazione del 18 marzo Mons. Williamson abbia detto nel sermone: «In altre parole, noi oggi ripariamo, in qualche modo, la luce d’emergenza accesa da Mons. Lefebvre. Vi era la Chiesa, un grande edificio con una luce elettrica normale e questa luce si è spenta perché delle tenebre sono penetrate nella Chiesa. Mons. Lefebvre creò, accese una luce d’emergenza e oggi la Fraternità San Pio X è sul punto di seguire il compromesso del Vaticano II. I suoi capi vogliono associarsi, vogliono diventare amici dei Romani; vogliono seguire i Romani

Altro che processo alle intenzioni, in questi comunicati è contenuta la prova che quanto sostenuto da Mons. Williamson e da Mons. Faure circa la Fraternità San Pio X corrisponde alla pura verità.


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