“Quel massacro fu il primo genocidio del Novecento” ha detto Jorge Mario Bergoglio alla messa per il centenario dell’uccisione di centinaia di migliaia di persone tra il 1915 e il 1916. Un messaggio che non è piaciuto ad Ankara. Prima l’ambasciatore del Vaticano è stato convocato dal ministero degli Esteri turco: al nunzio apostolico Antonio Lucibello è stato espresso il “disappunto” per le dichiarazioni del pontefice e Ankara si è detta “dispiaciuta e delusa”. Poche ore dopo la Turchia ha richiamato il proprio ambasciatore presso la Santa Sede. In una nota il ministero degli Esteri scrive che il popolo turco non riconosce la dichiarazione del Pontefice, “che è discutibile sotto tutti i punti di vista, che è basata sul pregiudizio, che distorce la storia e che riconduce il dolore sofferto in Anatolia nelle particolari circostanze della Prima Guerra Mondiale ai membri di una sola religione”. Per il momento dalla Santa Sede non sono arrivate repliche.
Tuttavia fonti vaticane contattate da ilfattoquotidiano.it riferiscono dello “stupore” negli ambienti della Segreteria di Stato (cioè il “governo” del Vaticano) per la dura reazione di Erdogan. Si sottolinea, tra l’altro, che la posizione del Vaticano sul genocidio armeno non è cambiata ed è la stessa che 14 anni fa fu sottoscritta da papa Giovanni Paolo II. Inoltre le stesse fonti sottolineano anche che quando Bergoglio è andato in Turchia a novembre ha omaggiato sia la memoria di Atatürk, visitandone il mausoleo, sia Erdogan entrando nel suo lussuoso Palazzo Bianco, prima personalità internazionale a farlo.
La Turchia continua a negare che quello del 1915-16 sia stato un genocidio e combatte una guerra diplomatica permanente per cercare di impedire che venga riconosciuto all’estero da un numero crescente di Stati. Ankara, in particolare, ha sempre respinto l’espressione di genocidio, che presuppone premeditazione e volontà sistematica di eliminazione di un popolo, secondo la definizione di genocidio che venne coniata nel 1943 dall’avvocato polacco Raphael Lemkin. Gli armeni fanno risalire l’inizio del genocidio alla notte tra il 23 e 24 aprile del 1915, quando il governo ottomano ordinò l’arresto e l’esecuzione di 50 tra intellettuali e leader della comunità armena, con il pretesto che fossero “una quinta colonna” dei russi.
Dopo quel primo episodio, centinaia di migliaia di armeni vennero deportati e uccisi tra il 1915 ed il 1916. Secondo l’Armenia, le vittime di quei massacri furono almeno 1,5 milioni, secondo la Turchia circa 300mila, mentre l’Associazione internazionale degli studiosi di genocidi ritiene che gli armeni uccisi furono “oltre un milione“. Sono una ventina i Paesi nel mondo che hanno ufficialmente riconosciuto come genocidio il massacro degli armeni: tra questi l’Italia, la Francia, la Russia, l’Argentina e poi anche il Parlamento europeo. Non gli Stati Uniti, dove ancora nei giorni scorsi 49 deputati americani hanno scritto al presidente americano Barack Obama chiedendo che riconosca il massacro degli armeni come genocidio.
In Turchia, l’utilizzo del termine genocidio è punito con il carcere in base all’articolo 301 del codice penale, che prevede il reato di “vilipendio dell’identità turca”: per questo sono stati perseguiti lo scrittore Nobel per la letteratura Orhan Pamuk e il giornalista di origine armena Hrant Dink, che venne ucciso da un ultranazionalista nel gennaio del 2007. Lo scorso anno, l’allora premier oggi presidente Recep Tayyip Erdogan, in un gesto senza precedenti, offrì le sue “condoglianze ai nipoti degli armeni uccisi nel 1915″, auspicando che “gli armeni che hanno perso la vita nelle circostanze dell’inizio del XX secolo riposino in pace”.
(ha collaborato Francesco Antonio Grana)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/12/genocidio-armeni-turchia-contro-papa-distorce-storia-richiama-ambasciatore/1582483/
L'”appello alla jihad” del presidente turco Recep Erdogan
Sembrano una dichiarazione di guerra. Una chiamata alle armi. Sicuramente «un appello alla jihad», come ha scritto senza peli sulla lingua un quotidiano al di sopra di ogni sospetto, il giornale di Sinistra BirGun di
Istanbul: le parole del Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ormai
preoccupano. E molto. Ha scelto di alzare il tiro, spudoratamente, senza
temere di spingerlo sino ai massimi livelli di allerta. Quasi una sfida
aperta rivolta all’Occidente.
Anche perché le dichiarazioni di Erdogan sono chiare. Non si prestano ad equivoci. Come rivela il discorso da lui tenuto durante la cerimonia per la consegna delle medaglie d’onore ai veterani dell’esercito ed alle famiglie dei soldati caduti in battaglia, cerimonia svoltasi lo scorso 16 marzo presso palazzo presidenziale.I media, evidentemente distratti, non si sono accorti della sua retorica radicale, nazionalista, anti-occidentale e filo-islamica. Che è evidente: «Queste terre rimangono la nostra casa, perché ciascuno dei 78 milioni di cittadini di questo Paese, uomini e donne, anche bambini ed anziani, vedono il martirio come un onore, quando necessario. Altrimenti noi non saremmo stati autorizzati a restar qui un solo giorno – ha detto – Non pensate che la lotta, iniziata 1.400 anni fa tra la verità [l’islam] e l’errore [le altre religioni] sia terminata. Non pensate che quanti han preso di mira queste terre mille anni fa, abbiano rinunciato alle proprie ambizioni. Non pensate che quanti si appostarono ai Dardanelli e poi attraversarono l’Anatolia nel secolo scorso, quanti vennero con gli eserciti più potenti [gli Occidentali], con le armi e le tecnologie dell’epoca, si siano pentiti. No, non è mai stato così. Questa lotta di lunga data è tuttora in corso e proseguirà – ha aggiunto – Dobbiamo continuare a resistere con questa chiara presa di coscienza, sempre pronti per una delle due belle [prospettive] ed assumere le misure conseguenti». Quali prospettive? Quella di diventare «martiri» in senso islamico oppure «ghazi», titolo onorifico proprio dei veterani sopravvissuti alla guerra sferrata in nome di Allah. In entrambi i casi, chi sia morto o ferito difendendo la patria turca.
Sono parole durissime e pericolose, esplosivo puro. Secondo il quotidiano al Monitor (nella foto, la pagina pubblicata sul suo sito), tutto questo non potrebbe spiegarsi semplicemente con l’inasprirsi del dibattito politico in vista delle elezioni generali, previste per il prossimo 7 giugno. Affermazioni tanto crude – tenendo conto anche di cosa nei mesi scorsi la Turchia abbia rappresentato in termini d’inasprimento islamico con la riforma scolastica, nonché di sostegno, volutamente malcelato, a terrorismo e jihad – puntano indubitabilmente ad un sicuro impatto mediatico immediato, quasi a voler lanciare un avvertimento in due direzioni: al mondo musulmano da una parte ed all’Occidente dall’altra, affinché gli uni e gli altri capiscano. Ecco perché è necessario guardare con diffidenza ed inquietudine alle recenti intese strette da Erdogan con l’Iran, appena sdoganato da Obama (per leggere l’articolo relativo, cliccare qui ->). Intese, che non convincono. E sembrano non preludere a nulla di buono…
http://www.nocristianofobia.org/lappello-alla-jihad-del-presidente-turco-recep-erdogan/
Anche perché le dichiarazioni di Erdogan sono chiare. Non si prestano ad equivoci. Come rivela il discorso da lui tenuto durante la cerimonia per la consegna delle medaglie d’onore ai veterani dell’esercito ed alle famiglie dei soldati caduti in battaglia, cerimonia svoltasi lo scorso 16 marzo presso palazzo presidenziale.I media, evidentemente distratti, non si sono accorti della sua retorica radicale, nazionalista, anti-occidentale e filo-islamica. Che è evidente: «Queste terre rimangono la nostra casa, perché ciascuno dei 78 milioni di cittadini di questo Paese, uomini e donne, anche bambini ed anziani, vedono il martirio come un onore, quando necessario. Altrimenti noi non saremmo stati autorizzati a restar qui un solo giorno – ha detto – Non pensate che la lotta, iniziata 1.400 anni fa tra la verità [l’islam] e l’errore [le altre religioni] sia terminata. Non pensate che quanti han preso di mira queste terre mille anni fa, abbiano rinunciato alle proprie ambizioni. Non pensate che quanti si appostarono ai Dardanelli e poi attraversarono l’Anatolia nel secolo scorso, quanti vennero con gli eserciti più potenti [gli Occidentali], con le armi e le tecnologie dell’epoca, si siano pentiti. No, non è mai stato così. Questa lotta di lunga data è tuttora in corso e proseguirà – ha aggiunto – Dobbiamo continuare a resistere con questa chiara presa di coscienza, sempre pronti per una delle due belle [prospettive] ed assumere le misure conseguenti». Quali prospettive? Quella di diventare «martiri» in senso islamico oppure «ghazi», titolo onorifico proprio dei veterani sopravvissuti alla guerra sferrata in nome di Allah. In entrambi i casi, chi sia morto o ferito difendendo la patria turca.
Sono parole durissime e pericolose, esplosivo puro. Secondo il quotidiano al Monitor (nella foto, la pagina pubblicata sul suo sito), tutto questo non potrebbe spiegarsi semplicemente con l’inasprirsi del dibattito politico in vista delle elezioni generali, previste per il prossimo 7 giugno. Affermazioni tanto crude – tenendo conto anche di cosa nei mesi scorsi la Turchia abbia rappresentato in termini d’inasprimento islamico con la riforma scolastica, nonché di sostegno, volutamente malcelato, a terrorismo e jihad – puntano indubitabilmente ad un sicuro impatto mediatico immediato, quasi a voler lanciare un avvertimento in due direzioni: al mondo musulmano da una parte ed all’Occidente dall’altra, affinché gli uni e gli altri capiscano. Ecco perché è necessario guardare con diffidenza ed inquietudine alle recenti intese strette da Erdogan con l’Iran, appena sdoganato da Obama (per leggere l’articolo relativo, cliccare qui ->). Intese, che non convincono. E sembrano non preludere a nulla di buono…
http://www.nocristianofobia.org/lappello-alla-jihad-del-presidente-turco-recep-erdogan/
Papa Francesco e il genocidio degli armeni
Con il riconoscimento del genocidio armeno, papa Francesco è riuscito in un colpo solo a ergersi a difensore della cristianità perseguitata nel mondo, a diventare interlocutore privilegiato delle chiese orientali, a compiere qualche significativo passo in avanti verso la costruzione di un ecumenismo del martirio che va sicuramente più spedito di quello teologico. E se tutto questo costa una crisi diplomatica con il governo turco, pazienza. D’altro canto il papa a Istanbul c’è già stato nel novembre scorso, in occasione della festività di sant’Andrea, l’apostolo evangelizzatore dell’oriente.
Le affermazioni del papa sul primo genocidio del ventesimo secolo vanno dunque osservate in una chiave di lettura ampia e ben collegata agli eventi contemporanei. L’omelia pronunciata dal papa domenica scorsa nella basilica di San Pietro, di fronte a tutti i rappresentanti delle diverse confessioni cristiane dell’Armenia, tra i quali spiccava Karekin II, catholicosdi tutti gli armeni, e al presidente della repubblica Serž Sargsyan, prendeva infatti il via non dal passato ma dal presente. “In diverse occasioni”, ha detto Francesco “ho definito questo tempo un tempo di guerra, una terza guerra mondiale ‘a pezzi’, in cui assistiamo quotidianamente a crimini efferati, a massacri sanguinosi e alla follia della distruzione”. “Purtroppo”, ha aggiunto “ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra”.
Il genocidio armeno, diventa, in questa lettura, il primo capitolo di una persecuzione contro i cristiani che ancora miete le sue vittime nel mondo. Francesco, poi, ha collegato al massacro degli armeni, altri grandi stermini del novecento: nazismo e stalinismo, Ruanda e Burundi, Bosnia, Cambogia. In tal modo da una parte ha fatto un discorso generale sulla condizione umana – “pare che l’umanità non riesca a cessare di versare sangue innocente” – dall’altra ha provato a collocare la tragedia armena in un contesto più ampio, limitando un’eventuale interpretazione eccessivamente antiturca delle sue parole.
Sul tema, Francesco si è richiamato espressamente a Giovanni Paolo II e a quanto il ha detto il suo predecessore, in tal modo collocandosi in un percorso già tracciato dal papa polacco. Nel corso dell’omelia poi, a maggior conferma di una interpretazione aperta al presente della sua iniziativa, ha voluto di nuovo richiamarsi all’attualità: “Pare che la famiglia umana”, ha detto “rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori. Non abbiamo ancora imparato che ‘la guerra è una follia, una inutile strage’”.
Tuttavia Bergoglio non ha fatto alcun riferimento agli autori del genocidio, cioè quei “giovani turchi” considerati i laicizzatori e fondatori della Turchia moderna. Bisogna anche dire che il nazionalismo turco sotto questo profilo non fa distinzioni e, quale che sia il governo in carica, di ispirazione islamica o meno, contesta sempre con puntiglio chi parla di genocidio. È stato così anche stavolta, il nunzio della Santa Sede ad Ankara, monsignor Antonio Lucibello, è stato convocato dalle autorità turche e a lui sono state rappresentante le critiche del governo Erdoğan al papa. Successivamente l’ambasciatore turco presso il Vaticano è stato richiamato in patria in segno di ulteriore protesta.
En passant è opportuno ricordare che lo stato delle relazioni tra Santa Sede e Ankara è tutt’altro che brillante; i passi avanti si vedono col contagocce e molti dossier relativi alle proprietà della chiesa in Turchia e alla libertà religiosa, sono fermi da tempo. In ogni caso un dato è certo: per Bergoglio la Turchia e ora l’Armenia, sono diventate una via che conduce Roma verso l’oriente. Con il patriarca ortodosso di Istanbul, Bartolomeo I, il pontefice è in ottimi rapporti: insieme sono andati a Gerusalemme, poi Bartolomeo è venuto a Roma per l’incontro tra Francesco, Abu Mazen e Shimon Peres. E alle viste c’è il grande sinodo panortodosso del 2015 convocato da Bartolomeo per discutere di tutto, anche del primato petrino, cioè del rapporto delle chiese ortodosse con il vescovo di Roma; ma in generale l’assise dovrebbe avere il senso di una sorta di concilio Vaticano II d’oriente. Il patriarcato ortodosso di Mosca, l’altro grande polo cristiano d’oriente, ha dovuto accettare suo malgrado l’offensiva ecumenico-ecclesiale dell’asse Bartolomeo-Francesco. Ora, sollevando con clamore la questione armena e mettendola in relazione con gli attacchi ai cristiani dei nostri giorni, Francesco assume pure il tema delle persecuzioni dandogli una prospettiva di lungo periodo.
È un’operazione non priva di rischi dal punto di vista storiografico e dei diversi contesti contemporanei (in Kenya si può parlare di terrorismo, non tanto di persecuzioni, per esempio) ma papa Francesco in tal modo prende soprattutto un’iniziativa politica. Bergoglio punta infatti a diventare leader di riferimento della cristianità offesa e perseguitata e la voce autorevole di Roma diventa riferimento anche per il mondo delle chiese orientali. In un simile contesto il dialogo ecumenico con Mosca prosegue, ma i rapporti di forza sono a favore della Santa Sede.
Vescovo Istanbul: "Sorpresa e imbarazzo per le parole del Papa"
Papa Francesco e il Patriarca armeno Karekin II (AFP)
Articolo pubblicato il: 13/04/2015
"Sorpresa da parte di tutti, irritazione dei musulmani e qualche imbarazzo fra i cristiani": così monsignor Louis Pelatre, francese, vicario apostolico dell'arcidiocesi di Istanbul, che incorpora anche Ankara, descrive all'AdnKronos la reazione in Turchia alle parole pronunciate da Papa Francesco domenica nella basilica di San Pietro in Vaticano a proposito di quello che ha definito come il"genocidio degli armeni" da parte dei turchi nel 1915, il "primo genocidio del XX secolo".
Monsignor Pelatre afferma che, "qui in Turchia, quelle parole hanno fatto grande sensazione, sono state definite come inaccettabili dalle autorità turche e accolte con sorpresa da parte di tutti, con irritazione dai musulmani e anche con un po' di imbarazzo dalla comunità cristiana", che in Turchia fra tutte le confessioni arriva a contare circa centomila fedeli, la maggior parte dei quali concentrati a Istanbul e poi a Smirne, mentre ad Ankara i cattolici sono più che altro stranieri.
"Noi siamo abituati a non pronunciare qui la parola 'genocidio' riferita agli armeni - spiega il vicario apostolico di Istanbul - per alcuni questa è la verità storica, per altri no, è una lunga diatriba storica ed è anche una questione di 'vocabolario': basti pensare che nel 1915 non esisteva proprio la parola 'genocidio' e gli stessi armeni definivano quel massacro come 'catastrofe umana'. E' un questione storica e politica al tempo stesso".
Monsignor Louis Pelatre osserva che "l'utilizzo della parola 'genocidio' da parte di Papa Francesco ha provocato una forte reazione, delle autorità e anche dei media, perché finora nessun Papa l'aveva pronunciata, è la prima volta in un intervento pubblico che si parla di genocidio turco degli armeni. Anche se poi tutti sanno la verità, al di là delle parole che si usano per descriverla".
Ora, "per qualche giorno, la situazione per i cristiani in Turchia sarà un po' più complicata - ammette il vicario apostolico di Istanbul - i media continuano a parlarne con molta enfasi, purtroppo per noi. Gli stessi armeni che vivono qui in Turchia non credo siano molto contenti che si riapra la loro vicenda. Vedremo come si riuscirà a chiarirla, speriamo che questo nuovo clima passi al più presto", è l'auspicio finale di monsignor Pelatre.
http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/04/13/vescovo-istanbul-sorpresa-imbarazzo-per-parole-del-papa_ayK1Uf527NmSVu2KGeACQK.html
Il papa si sofferma sul massacro degli armeni, di cui proprio quest’anno ricorre il centenario, e lo definisce pari pari «il primo genocidio del XX secolo». In effetti non sta facendo altro che ribadire quello che Giovanni Paolo II affermò il 27 settembre 2001, in una dichiarazione congiunta assieme a Karekin II, tuttora arcivescovo a capo della Chiesa armena, ma la reazione turca è infuriata come se si trattasse di una novità assoluta. Le autorità di Ankara hanno prontamente convocato ilnunzio apostolico, Antonio Lucibello, e hanno elevato una protesta formale, definendo«inaccettabili» le parole del pontefice. E sottolineando che ora ci saranno delle conseguenze sui rapporti col Vaticano: a conferma, è stato subito richiamato in patria l’ambasciatore presso la Santa Sede.
http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2015/04/13/vescovo-istanbul-sorpresa-imbarazzo-per-parole-del-papa_ayK1Uf527NmSVu2KGeACQK.html
Attento, Francesco: Erdogan si infuria
Il papa si sofferma sul massacro degli armeni, di cui proprio quest’anno ricorre il centenario, e lo definisce pari pari «il primo genocidio del XX secolo». In effetti non sta facendo altro che ribadire quello che Giovanni Paolo II affermò il 27 settembre 2001, in una dichiarazione congiunta assieme a Karekin II, tuttora arcivescovo a capo della Chiesa armena, ma la reazione turca è infuriata come se si trattasse di una novità assoluta. Le autorità di Ankara hanno prontamente convocato ilnunzio apostolico, Antonio Lucibello, e hanno elevato una protesta formale, definendo«inaccettabili» le parole del pontefice. E sottolineando che ora ci saranno delle conseguenze sui rapporti col Vaticano: a conferma, è stato subito richiamato in patria l’ambasciatore presso la Santa Sede.
Nel frattempo il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha non solo ripetuto la consueta versione turca secondo cui parlare di genocidio armeno è «senza fondamento» e«lontano dalla realtà storica», ma si è spinto a dire che «i leader religiosi non devono alimentare le tensioni e l'odio con affermazioni infondate». D’altronde, in aggiunta alle abituali motivazioni di autodifesa indiscriminata, è chiaro che deve fare i conti con l’elettorato interno. Il dato di fatto è che il prossimo 7 giugno si voterà per le Politiche e i sondaggi non sono affatto favorevoli all’AKP, il partito sia dello stesso Cavusoglu che del premier Erdogan.
Rimaniamo sulla questione odierna, però. E invece di riepilogare più o meno brevemente ciò che abbiamo già scritto in numerose altre occasioni, grazie ai ripetuti interventi di Ferdinando Menconi, rinviamo appunto ad alcuni di quegli articoli. A cominciare dal primo, che venne pubblicato già sul numero 3 del mensile, prendendo spunto dal film “La masseria delle allodole” dei fratelli Taviani.
Dicembre 2008 - Masseria della Shoah
08 marzo 2010 - Genocidio armeno: la parola impronunciabile
26 ottobre 2011 - Genocidio armeno: Turchia condannata
04 aprile 2012 - Erdogan è “stanco” del libero dibattito sul genocidio degli armeni
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