ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 9 maggio 2015

Due meglio di uno?

A chi abbraccia il biritualismo


La questione della messa è questione di fede. La difesa del rito tradizionale della messa è difesa della fede cattolica, quella di sempre che non può cambiare. Non si tratta di un problema di gusto personale, di scegliere la messa che mi piace. […]È in gioco la fede, e la fede viene prima di tutto, perché è ciò che ci è chiesto per salvarci. Per questo da mesi continuiamo a riferire ciò che successe nell'Inghilterra del XVI secolo, quando, innanzitutto per una riforma liturgica sbagliata, si perse la fede cattolica. Ci sembra che l'analisi di quei fatti sia un grande aiuto per capire la posta in gioco oggi, nella difesa del rito tradizionale della messa.
Ci spiace che molti ancora non abbiano compreso che è innanzitutto per custodire il Cristianesimo di sempre che ci siamo “accaniti” nel celebrare la messa in rito antico. Siamo sicuri che il Motu proprio del luglio 2007 sia stato voluto dal Papa per sanare le storture pericolosissime che ha preso la liturgia vissuta nelle nostre chiese che ha generato storture nella fede. Avremmo desiderato che si aprisse un dibattito più profondo proprio su questo punto, che almeno i sacerdoti si ponessero qualche interrogativo in più su tutta questa faccenda... in moltissimi casi non è stato così, purtroppo. Ci si è fermati su banalità, sulla libertà o meno dei fedeli di scegliere, su semplici ragioni giuridiche (è lecito o no imporre la messa antica), ma si è evitata la questione centrale: è in gioco la difesa della fede cattolica, minacciata da una “banalizzazione” che può portare fino all'eresia. Ma confidiamo nella Grazia di Dio e non disperiamo, mai. Siamo sicuri che molti, sacerdoti e fedeli, sono preoccupati della situazione del Cattolicesimo nelle nostre terre e che prima o poi vinceranno il timore di esporsi. Molti diranno: non c'è superbia in tutto questo? Chi credete di essere per dire che è in pericolo la fede?

A costoro rispondiamo che non siamo noi a dirlo, ma innumerevoli documenti ufficiali della Chiesa, non ultimi i continui interventi di papa Benedetto XVI, che non manca mai di mettere al centro la questione della fede. Inoltre il Signore chiede a ciascuno di noi di vigilare contro i falsi profeti, di custodire la fede: “Quando il Figlio dell'uomo verrà troverà la fede sulla terra?”. La situazione stessa mostra una forte crisi in questo senso.
Cosa c'è di pericoloso, di contrario a questa vigilanza sulla fede che il Signore chiede? la Politica del compromesso. Ci soffermeremo su questo pericolo: nella Fede non sono ammessi i compromessi.
Grazie al libro di ⇒Davies sulla Riforma liturgica anglicana, sappiamo che moltissimi in Inghilterra diedero la vita, morirono martiri per difendere la messa cattolica (cioè la fede). Abbiamo letto dal testo di Davies bellissime pagine che testimoniano questo. Ma occorre dire che non tutti ebbero questo coraggio. Molti, anche tra il clero, obbedirono alle leggi del re e si giustificarono ritenendo che la politica del compromesso potesse portare frutti migliori che la lotta e il martirio. Questi si dicevano: “E' meglio non fare guerra alla riforma liturgica voluta dal re e dal parlamento, in fondo non contiene esplicite eresie. Stando dentro nella legge, obbedendo al re, resteremo cattolici nel cuore e impediremo dall'interno l'avanzata del protestantesimo”.
Il capitolo XVI del libro di Davies inizia così:
"Abbiamo constatato, nei capitoli precedenti, che quasi tutto il clero cattolico decise di interpretare la santa cena di Cranmer in un senso compatibile con l’ortodossia, piuttosto che opporvisi apertamente (...) “No al compromesso!”. Ecco uno slogan che suona bene. Ma quanti cattolici possono dire oggi, senza mentire, che avrebbero a colpo sicuro agito diversamente? Si sa, i martiri sono l’eccezione, non la regola generale. E’ Dio che giudica e noi siamo assicurati della sua misericordia. Ma se non abbiamo il diritto di giudicare coloro che accettarono il compromesso, ci è permesso di giudicare il compromesso in se stesso e di valutarne le conseguenze".
C'è permesso di giudicare il compromesso... e di valutarne le conseguenze...
Come non concluderne che la facilità con la quale la rivoluzione fu compiuta era la conseguenza del sistema di compromesso che regnava prima e non di una convinzione che sarebbe stata largamente condivisa della necessità di un cambiamento”.
Con parole semplici: l'eresia protestante entrò in Inghilterra non perché il popolo ne fu convinto. “Nel 1559, l’assoluta maggioranza degli Inglesi e la quasi totalità dei Gallesi restavano sempre cattolici nel cuore”.
Nel 1561, Nicholas Sander, che era stato professore di teologia a Oxford, comunicava a Giovanni Morone, cardinale-protettore d’Inghilterra, la valutazione seguente sul sentimento religioso in Inghilterra e nel Paese del Galles all’avvento del trono di Elisabetta nel 1559: “Il popolo comprende dei fattori, dei pastori e degli artigiani. I fattori e i pastori sono cattolici; nessun artigiano è toccato dallo scisma, ad eccezione di coloro che esercitano un mestiere sedentario come i tessitori e i cordai e qualche sfaccendato. Le regioni più remote del regno sono anche le più opposte all’eresia; è il caso del Paese del Galles, ad esempio, come del Devon, del Westmorland, del Camberland e del Northumberland. Considerando che ci sono poche città in Inghilterra e che sono di dimensione mediocre e poiché l’eresia è sconosciuta nelle regioni rurali e non esiste praticamente nelle città lontane, le persone bene informate sono del parere che non c’è certamente un Inglese su cento che ne sia infettato; tanto e così bene che i luterani stessi parlano del lor “piccolo” gregge”.
L’1% di protestanti convinti all’arrivo di Elisabetta; la stima corrisponde esattamente a ciò che diceva Thomas Lever a Bullinger in data 10 luglio 1560 a proposito del clero: non c’era più dell’1% di preti capaci di predicare la nuova dottrina e accettanti di farlo. Ma benché il numero di Inglesi che provavano delle simpatie per il protestantesimo fu dei più limitati, la loro fedeltà alla fede cattolica era stata indebolita da un quarto di secolo di ripetuti cambiamenti.
Ripetuti cambiamenti nel rito della Messa, che il clero, un po' pauroso e abituato ad obbedire al Re e al parlamento, lasciò passare senza porre la dovuta vigilanza nella fede, indebolirono a tal punto la coscienza dei fedeli, da prepararli ad accettare la rivoluzione nella chiesa d'Inghilterra.
Certo, le misure decise per fermare gli oppositori alla protestantizzazione della Chiesa inglese erano dure: “Ogni chierico che rifiutasse di far uso del nuovo Prayer Book o che si servisse di ogni rito, cerimonia, ordinario, forma o maniera di celebrare la santa cena, che fosse in pubblico o in privato, o di Mattutini (preghiera del mattino), di Evensong (preghiera della sera), di rito per amministrazione di sacramenti o di ogni preghiera pubblica diversa da ciò che era previsto in quel libro o che parlava con disprezzo del libro stesso, sarebbe stato privato di un anno di rendite e imprigionato per sei mesi. Coloro che fossero recidivi avrebbero fatto un anno di prigione e avrebbero perso ipso facto tutti i loro benefici. Alla terza infrazione, la punizione era la prigione a vita. Altre pene erano previste per impedire ai laici di criticare i cambiamenti liturgici. Chiunque parlasse male di ciò che era contenuto nel libro, sia che fosse a viva voce o per iscritto, o agisse in maniera da portare un chierico a far uso di un’altra forma di servizio al posto di quella che conteneva il libro, o interrompesse o disturbasse lo svolgimento di un servizio, sarebbe stato passibile, la prima volta, di una pesante multa di quarantaquattro marchi; la seconda volta, della stessa ammenda moltiplicata per quattro; la terza volta della perdita di tutti i propri beni, compresi i beni mobili, e della prigione perpetua. Inoltre, l’assenza all’ufficio domenicale nella chiesa parrocchiale costituiva una colpa”.
Fu così che preti e fedeli si allinearono al nuovo corso, molti desiderando restare cattolici nel cuore.
Vi erano fedeli che si recavano alle nuove funzioni anglicane per salvare l'apparenza di obbedienza, e poi di nascosto cercavano la messa cattolica.
I cattolici che frequentarono i servizi anglicani furono assai numerosi per ricevere un nome particolare. Li si chiamò, molto giustamente i “papisti della Chiesa”: fedeli assidui alla Chiesa (anglicana) per sottomissione alla legge, ma papisti nel cuore. Non esigendo da loro che una uniformità esteriore, il governo di Elisabetta aiutò questi “papisti della Chiesa” a rassegnarsi al compromesso. Era una pratica corrente fra i “papisti della Chiesa” di leggere il proprio libro delle ore cattolico o di recitare il rosario assistendo a dei riti anglicani.
A questo compromesso, numerosi motivi temporali incitarono questi “papisti della Chiesa”. Ci fu, in primo luogo, la mancanza di guide sicure: oltre l’imprigionamento dei vescovi, la pressione delle autorità per portare il clero a prestare il giuramento di supremazia portò i migliori preti di parrocchia ad andarsene; così tanto che un grande numero di cattolici non avevano nessuno cui rivolgersi per trovare un soccorso spirituale o ricevere dei consigli per illuminare la loro coscienza. I primi ad accettare il compromesso furono i nobili e la gentry. Non c’è niente di sorprendente di questo: nell’ambito temporale, avevano molto da perdere se fossero stati dichiarati colpevoli del rifiuto di assistere ai servizi anglicani. Durante i primi anni di regno, il peso della persecuzione fu relativamente leggero; ma poteva diventare brutale, vuoi crudele; se una multa di uno shilling per non aver assistito al servizio anglicano era tutto ciò che l’Atto di uniformità imponeva ai laici, le autorità potevano fare ricorso alla legge ecclesiastica e l’ordine De excommunicato capiendo non assegnava alcun limite alla durata dell’imprigionamento dei rifiutanti. Bisogna misurare bene, anche, l’estrema importanza dell’obbedienza cieca alle autorità civili, abitudine fortemente radicata nell’Inghilterra del XVI secolo. In più, c’erano le incertezze, i dibattiti contraddittori ed una mancanza di percezione chiara dei problemi di fondo.
Il risultato fu inevitabile: i cattolici indecisi trovarono alla loro condotta delle scuse, se non delle giustificazioni, aprendo così la via dell’influenza crescente del cattivo esempio.
Il clero stesso entrò nella via del compromesso. Un prete istruito, il Dr. Alban Langdale, stimava che non ci fosse peccato a frequentare la chiesa anglicana per evitare la persecuzione, purché si dichiarasse che l’assistenza al servizio fosse unicamente un atto civico di obbedienza alla regina.
E' sorprendente dove può arrivare la capacità di compromesso del clero, quando non è unicamente mosso da una preoccupazione di fede!
E' impressionante legger questa considerazione nel testo di Davies: L’attitudine del cattolico medio nel corso del primo decennio del regno di Elisabetta è perfettamente riassunta da J. B. Black nella sua opera “The reign of Elizabeth”: “La grande maggioranza della nazione non testimoniò un’inclinazione marcata a rivoltarsi contro l’antica fede; ma è altrettanto vero affermare che essa non provò neppure un vivo desiderio di difenderla”. La maggior parte dei cattolici finirono per cedere alla pressione tenace e costante del governo; persero il contatto con la messa e assistettero alle nuove celebrazioni eretiche. Questa apostasia quasi universale, che costituisce veramente il periodo cerniera della storia religiosa dell’Inghilterra, non fu una resa improvvisa e spettacolare. Essa fu progressiva, ma ebbe un effetto cumulativo e duraturo.
Non difesero la messa, pur non essendo contro, e assistendo a celebrazioni eretiche, contribuirono all'apostasia universale! Quanto c'è da meditare. L'assenza di lotta per difendere la fede cattolica, fece perdere la fede: il compromesso, il sotterfugio, fu totalmente fallimentare.
Non è che nel 1574 che i primi preti missionari arrivarono nel regno; a quella data, l’assoluta maggioranza dei cattolici aveva già ceduto all’abitudine del compromesso; questa abitudine doveva essere irreversibile.”
Arrivarono i missionari, cioè i preti cattolici, per aiutare gli inglesi a restare fedeli all'unica vera fede. Arrivarono in Inghilterra sapendo che rischiavano la pena di morte. Molti missionari cattolici morirono, condannati dal potere civile, prima ancora di poter celebrare una sola messa cattolica in terra d'Inghilterra. Loro venivano offrendo il loro martirio perché il popolo conservasse la fede, e nel mentre molti inglesi avevano già ceduto per opportunismo alla nuova falsa religione.
Ma la storia la fanno i martiri, e non coloro che nascondono la fede sotto la convenienza.
Don Alberto Secci


(radicatinellafede.blogspot.it)

2 commenti:

  1. Don Alberto, Don Stefano e Don Marco sono dei Veri Sacerdoti rimasti in questo deserto di fede. Purtroppo il loro vescovo i primi due li ha fatti fuggire sui monti della val vigezzo e l'altro addirittura l'ha lasciato senza una parrocchia in un momento come quello attuale di mancanza di preti.Che il Signore Gesù e la Madonna e tutti i Santi ce li proteggano .

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    1. La cosa più importante è che non siano "fuggiti" dalla Chiesa Cattolica, quella della fede senza compromessi di martiri e fedeli di quasi 2000 anni, anche se accettare compromessi (il biritualismo ) avrebbe permesso loro (forse) un' esistenza meno precaria.
      Quanto a me ho sono determinata a seguire chi mi dimostra la sua fedelta all' insegnamento di Cristo pagando di persona: se paga lui, forse, con l'aiuto di Dio e della Madonna, posso riuscirci anch'io; la posta in gioco è troppo alta per rischiarla ... è la salvezza eterna!

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