Luzzatto e Prosperi non si arrendono: «la Sindone è un falso, capito? Un falso!»
Lo ripetiamo spesso: gli unici liberi pensatori
sono coloro che non sono affatto obbligati a credere ai miracoli,
perché la loro fede non si basa su alcun prodigio, su alcuna
apparizione, su alcuna guarigione miracolosa. Al contrario, chi non
crede in Dio è obbligato a negare a prescindere ogni
miracolo, non può concedere nulla ma ha bisogno di smentire sempre tutto
altrimenti sarebbe costretto a cambiamenti esistenziali troppo
sconvolgenti da accettare.
Per chi desidera un esempio concreto potrebbe leggere il divertente articolo contro la Sindone di Sergio Luzzatto,
laicissimo docente di Storia moderna a Torino. E’ talmente alto il
fastidio verso il sacro telo che non c’è spazio per alcuna prudenza: «è un falso», si legge già alla prima riga.
«Basta. La verità sulla Sindone esiste, non c’è più alcun dubbio né alcun mistero.
La Sindone è una fabbricazione medievale, è un finto sudario del I
secolo d.C. approntato da un qualche falsario in una data compresa fra
la metà del Duecento e la metà del Trecento». Più odio invece traspare nell’articolo anti-sindone di qualche giorno dopo dello storico (in pensione) Adriano Prosperi, secondo cui la Sindone è «un falso
che trionfa col regno dei Savoia, li accompagna sul trono d’Italia fino
al termine inglorioso del loro regno e si trasferisce poi nelle mani
della curia di Torino e del Vaticano per la felicità di un popolo di feticisti».
Su cosa basano i due storici anticlericali la loro fiera sicurezza? Entrambi si appoggiano all’ultimo libro di Andrea Nicolotti,
assegnista presso l’Università di Torino, anch’egli noto avversario
dell’autenticità della Sindone. Eppure le tesi storiche avanzate da
Nicolotti sono note da anni e decisamente scarse, alle
quali oltretutto è stato più volte risposto in altrettanti libri.
L’argomento principale di Nicolotti è l’opinione di un vescovo francese
del 1389, Pierre d’Arcis-sur-Aube, secondo cui a Troyes ci sarebbe «una stoffa raffigurata con artifizio, su cui in modo abile è stata raffigurata l’immagine duplice di un uomo», che viene spacciata come quella che avvolte il corpo di Gesù Cristo dopo la crocifissione. Secondo il vescovo francese «quello in realtà non poteva essere il sudario del Signore, dal momento che il Santo Vangelo non fa alcuna menzione
di un’impressione di tal fatta, mentre invece, se fosse vero, non è
verosimile che sia stato taciuto od omesso dai santi evangelisti, né che
sia stato nascosto od occultato fino a quel tempo». Tale vescovo
avrebbe anche riferito che in passato un artista avrebbe ammesso di
esserne stato l’autore, ovviamente rigorosamente anonimo e ovviamente
senza spiegare come avrebbe fatto.
Tutto qui, Nicolotti crede all’opinione di un vescovo scettico del 1300. Eppure, è fin troppo facile ricordare che nel 1300 nessuno poteva sapere
che l’immagine sindonica avrebbe manifestato tutta la sua incredibilità
soltanto diversi secoli dopo grazie all’avvento della scienza moderna:
l’immagine si comporta infatti come un negativo fotografico e contiene informazioni tridimensionali
del corpo, caratteristiche eccezionali ma invisibili a occhio nudo. Se
il vescovo francese avesse avuto modo di saperlo certamente non solo non
avrebbe capito nulla -dato che non esisteva ancora né
il concetto di negativo fotografico né la possibilità di creare immagini
su stoffe con caratteristiche tridimensionali- ma sarebbe stato
decisamente più cauto nelle sue affermazioni. Come ha spiegato mons. Giuseppe Ghiberti, presidente onorario della Commissione diocesana per la Sindone, proprio in risposta a Luzzatto, «una cosa però è ormai acquisita: l’immagine non è frutto di un intervento pittorico. Su questo punto la discussione dovrebbe dirsi chiusa
e la letteratura è ormai abbondante. Le conseguenze sono importanti e
orientative: non si potranno prendere in considerazione ipotesi che si
muovano nel contesto di una origine pittorica. È la ragione che sottrae i
presupposti alla diatriba sorta nel secolo XIV tra i canonici di Lirey,
che custodivano ed esponevano la Sindone, e il vescovo di quella
diocesi, Pierre d’Arcis. Il fatto che tale vescovo, per comprovare
l’origine dolosa dell’immagine sul telo, affermasse che un suo
predecessore ne avesse individuato l’autore, senza che peraltro venga
fornito alcun dato per identificarlo, fa solo pensare o
che si trattasse di un’altra realtà “sindonica” o che l’inganno stesse
dalla parte degli informatori del vescovo. Su questo punto è possibile
affermare che la ricerca scientifica ha detto una parola definitiva». E’ la scienza che ha l’ultima parola in questo caso, non la storia.
Anche
l’obiezione che le Scritture non parlano dell’immagine sindonica è
stata spiegata dagli scienziati moderni: i ricercatori dell’ENEA
di Frascati hanno realizzato un’immagine similsindonica irraggiando un
telo di lino con luce UV e VUV, l’immagine apparsa è simile a quella
sacro lino anche se ancora non è possibile riprodurne tutte le
incredibili proprietà (non riescono i laboratori di fisica oggi,
figuriamoci gli artisti medievali). In ogni caso è stato rilevato che la
luce UV e VUV è in grado di generare una colorazione invisibile, che appare soltanto dopo invecchiamento del tessuto: «Il
processo di invecchiamento può provocare una colorazione dei fili nella
sola area irraggiata dalla luce laser anche quando non appare nessuna
colorazione subito dopo l’irraggiamento. In altre parole, è possibile
ottenere una colorazione latente, che si manifesta uno o più anni dopo
l’irraggiamento», ci ha spiegato il fisico Paolo Di Lazzaro.
Se dunque si assume che la Resurrezione di Cristo abbia prodotto
quell’esplosione di energia tale da irraggiare le fibre del tessuto,
l’immagine sarebbe apparsa soltanto tempo dopo grazie
al processo di invecchiamento del tessuto (andando direttamente a
sfidare la cultura scientista del XX e XXI secolo). Dunque per questo,
probabilmente (risposte certe non ce ne sono, a parte quelle degli
scientisti), chi entrò nel sepolcro vuoto non si accorse di nulla.
Il secondo argomento, prevedibile, è la radiodatazione al carbonio del 1988
che stabilì l’origine medievale della Sindone. Peccato che più nessuno
crede all’autenticità di questo test, e non soltanto perché il campione
prelevato fu quello sull’angolo maggiormente contaminato. A prendere le distanze dal responso sono stati Harry Gove, il coordinatore degli scienziati per la datazione della Sindone (che ha cambiato idea mostrando in uno studio scientifico seri dubbi), il chimico Raymond N. Rogers,
tra i maggiori esperti a livello internazionale in analisi termica, il
responsabile di uno dei laboratori in cui è stata realizzata la
datazione, Christopher Ramsey di Oxford, che ha affermato in un comunicato: «Ci sono un sacco di altre prove che suggeriscono a molti che la Sindone è più vecchia della data rilevata al radiocarbonio». Andrebbe citata anche la relazione della Società Italiana di Statistica,
con la quale sono stati rilevati errori di calcolo e la fraudolenta
modificazione di alcuni dati per arrivare al livello di attendibilità
dall’1 al 5%, ovvero la soglia minima per poter presentare l’esame
scientificamente. Un recente documentario, La notte della Sindone, ha anche rivelato uno strano giro di denaro e numerose anomalie dietro l’operazione del 1988.
Queste
sarebbero le due prove “definitive” che galvanizzano Prosperi ad
insultare tutti i pellegrini che si recano a Torino (Papa Francesco
compreso) e basterebbero per Luzzatto a smentire la «fucina di assurdità “autenticiste” non si sa se più esilaranti o più inquietanti». Su Avvenire giustamente hanno commentato: «Sergio
Luzzatto, “lanciato” come sempre superbamente cellofanato nelle sue
certezze di bronzo. Ma nelle 4 colonne seguenti, 200 righe e circa 8.000
battute, a giustificare la tesi del libro e la sua fede di recensore non trovi alcunché che giustifichi la tesi del falso. «Ma perché “falso”?» Perché è un falso!».
Come detto inizialmente comprendiamo
il bisogno di Prosperi e Luzzatto di affrettarsi in questi giudizi
perentori, non potrebbero fare altrimenti. Lo scettico di professione è
costretto dal dogma a negare ad oltranza, senza
accorgersi di avvallare tesi imbarazzanti: bisognerebbe infatti
ricordare ai tre storici che se davvero credono in quello che affermano
allora dovrebbero coerentemente iniziare ad insegnare nei loro corsi di
storia che i principi della fotografia non sono nati nel 1800
ma ben cinquecento anni prima, inventati dal falsario della Sindone. Un
artista anonimo, sparito nel nulla, talmente geniale che avrebbe
inventato la fotografia (conoscendo la differenza tra immagine positiva e negativa), appunto, il microscopio
(indispensabile per realizzare le micro-caratteristiche sindoniche), la
possibilità di creare immagini tridimensionali su un tessuto invisibili a occhio nudo
e irriproducibili con la moderna tecnologia e tante altre capacità e
conoscenze impossibili per l’epoca storica medioevale (ad esempio la
differenza tra sangue venoso e sangue arterioso ecc.). Tenendo tutto
nascosto, ovviamente, e utilizzando il suo incredibile genio per
produrre soltanto la Sindone (non esiste infatti alcun reperto neanche
lontanamente simile).
Queste è ciò in cui credono Luzzatto e Prosperi inspirati da Nicolotti. Chi è che poco sopra parlava di “assurdità esilaranti”?
Nicolotti è l'ultimo enfant prodige del Cicap. Serviva un ricambio generazionale dopo l'epopea di Garlaschelli che girava col suo bassorilievo surriscaldato e Odifreddi che faceva affidamento sul memorandum di Pierre d'Arcis.
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