ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 21 maggio 2015

Pensare bene, razzolare male poi concimare ^

IL PAPA: CI FA BENE PENSARE AL MOMENTO DEL NOSTRO CONGEDO DA QUESTO MONDO. E IMPARARE A DIRE ADDIO

Gesù si congeda per andare dal Padre e mandarci lo Spirito, San Paolo si congeda prima di andare a Gerusalemme e piange con gli anziani venuti da Efeso a salutarlo. Papa Francesco ha preso spunto dalle letture del giorno per svolgere la sua omelia su cosa significhi “dire addio” per un cristiano.
Pensiamo a quanti sono costretti a fuggire dalle persecuzioni
“Gesù si congeda, Paolo si congeda – ha detto – e questo ci aiuterà a riflettere sui nostri congedi”.
Nella nostra vita, ha osservato, “ci sono tanti congedi”, piccoli e grandi e c’è “anche tanta sofferenza, tante lacrime in alcuni di loro”:

“Pensiamo oggi a quei poveri Rohingya del Myanmar. Al momento di lasciare la loro terra per fuggire dalle persecuzioni non sapevano cosa sarebbe accaduto loro. E da mesi sono in barca, lì… Arrivano in una città, dove danno loro acqua, cibo, e dicono: ‘andatevene via’. E’ un congedo. Tra l’altro, oggi accade questo congedo esistenziale grande. Pensate al congedo dei cristiani e degli yazidi, che pensano di non tornare più nella loro terra, perché cacciati via dalle loro case. Oggi”.
Ci sono piccoli e grandi congedi nella vita, ha ribadito il Papa, come il “congedo della mamma, che saluta, dà l’ultimo abbraccio al figlio che va in guerra; e tutti i giorni si alza col timore” che venga qualcuno a dirle: ‘ringraziamo tanto la generosità di suo figlio che ha dato la vita per la patria’”. E c’è anche "l’ultimo congedo – ha detto – che tutti noi dobbiamo fare, quando il Signore ci chiama all’altra riva. Io penso a questo”.
Affidiamoci al Padre al momento dell’addio
Questi grandi congedi della vita, “anche l’ultimo – ha ribadito – non sono i congedi di ‘a presto’, ‘a dopo’, ‘arrivederci’, che sono congedi che uno sa che torna, o subito o dopo una settimana: sono congedi che non si sa quando e come tornerò”. E annota che il tema del congedo è presente anche nell’arte, nelle canzoni:
“Me ne viene una in mente, quella degli alpini, quando quel capitano si congeda dai suoi soldati: il testamento del capitano. Penso io al grande congedo, al mio grande congedo, non quando devo dire ‘a dopo’, ‘a più tardi’, ‘arrivederci’, ma ‘addio’? Questi due testi dicono la parola ‘addio’. Paolo affida a Dio i suoi e Gesù affida al Padre i suoi discepoli, che rimangono nel mondo. ‘Non sono del mondo, ma custodisci loro’. Affidare al Padre, affidare a Dio: questa è l’origine della parola ‘addio’. Noi diciamo ‘addio’ soltanto nei grandi congedi, siano quelli della vita, sia l’ultimo”.
Ci farà bene pensare al nostro congedo da questo mondo“Credo – ha affermato – che con queste due icone - quella di Paolo, che piange, in ginocchio sulla spiaggia, tutti lì, e Gesù, triste, perché andava alla Passione, con i suoi discepoli, piangendo nel suo cuore - possiamo pensare al nostro. Ci farà bene. Chi sarà la persona che chiuderà i miei occhi?”:
“Cosa lascio? Sia Paolo che Gesù, tutti e due, in questi brani fanno una sorta di esame di coscienza: ‘Io ho fatto questo, questo, questo…’ Io cosa ho fatto? Ma mi fa bene immaginarmi in quel momento. Quando sarà, non si sa, ma ci sarà il momento nel quale ‘a dopo’, ‘a presto’, ‘a domani’, ‘arrivederci’ diventerà ‘addio’. Io sono preparato per affidare a Dio tutti i miei? Per affidare me stesso a Dio? Per dire quella parola che è la parola dell’affidamento del figlio al Padre?”.
Il Papa ha dunque concluso l’omelia consigliando a tutti di meditare proprio le Letture di oggi sul congedo di Gesù e quello di Paolo e “pensare che un giorno” anche noi dovremo dire quella parola, “addio”: “A Dio affido la mia anima; a Dio affido la mia storia; a Dio affido i miei; a Dio affido tutto”. “Che Gesù morto e risorto - è stata la sua invocazione finale - ci invii lo Spirito Santo, perché noi impariamo quella parola, impariamo a dirla, ma esistenzialmente, con tutta la forza: l’ultima parola, addio”.
di Alessandro Gisotti

Sempre più cremazioni, ma ora la Chiesa pare correre ai ripari

camposantoE’ stata diffusa a fine marzo e subito ha fatto rumore la nota, con cui il consiglio permanente della Cei ha preannunciato come imminente la messa a punto da parte della Commissione Episcopale per la Liturgia di una lettera pastorale avente per oggetto la cremazione, fenomeno purtroppo in crescita grazie anche al «grande sforzo pubblicitario delle agenzie funebri che gestiscono queste pratiche», come ha precisato la stessa Conferenza episcopale. In effetti, il problema esiste ed i fedeli sembrano troppo sbadati o superficiali in merito.
Ma in crescita è anche e soprattutto la dispersione delle ceneri in natura: a Cremona il Comune la consente con tanto di delibera ed, a richiesta, consente anche il loro «affidamento ai familiari per la conservazione». Non a caso. Qui la Socrem è attivissima: conta quasi 1.200 iscritti ed ha un bilancio che sfiora i 325 mila euro. All’ultima assemblea, svoltasi nelle scorse settimane, ha auspicato la costituzione in tempi rapidi del «giardino dei ricordi», proprio per spargervi le ceneri. Non solo. Spera di divenire presto associazione di promozione sociale, punta alla seconda linea per la cremazione, all’istituzione di un «cerimoniere», nonché ad ottenere la gestione dell’antico forno, di grande valenza storica, per allestirvi una sorta di museo del cimitero.
Lo stesso a Bologna, dove dal 2006 nella Certosa è stato allestito su di un’area di 400 metri quadri il «Giardino delle Rimembranze»: eccessiva la richiesta fatta alla Curia di benedirlo, scatenando la prevedibile reazione, negativa e stizzita, della Chiesa locale. Perché, in effetti, tutto questo risulta in contrasto col Rito delle esequie, che nega la prassi «di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimitero», in quanto ciò «solleva non poche perplessità sulla piena coerenza con la fede cristiana», soprattutto quando sottintenda concezioni panteistiche o naturalistiche. Per non parlare della conservazione in casa dell’urna cineraria, sorta di indebita “privatizzazione” della memoria del proprio caro estinto.
Eppure il ricorso alla cremazione prevale ormai in Lombardia sul numero delle inumazioni. I 12 impianti con 22 linee operanti a livello regionale hanno assicurato finora oltre 37 mila cremazioni. Capofila è Milano a quota 14 mila, segue Mantova (7 mila), Pavia (2.600), poi giù giù sino a Cremona, “fanalino di coda” con 500. A Torino gli iscritti risultano più di 41 mila. A Bologna, oltre il 25% dei residenti opterebbe per il forno crematorio.
Si potrebbe osservare come anche la Chiesa, oggi, ammetta tale pratica. Non è proprio così. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2301, il Codice di Diritto Canonico al can. 1176 ed il Rito delle esequie introdotto tre anni fa, la Chiesa, in realtà, può accettarla solo quando questa «non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana», specificando come in ogni caso «la preferenza» vada alla «sepoltura», sull’esempio di Cristo, essendo la «più idonea ad esprimere la fede nella Resurrezione della carne, ad alimentare la pietà dei fedeli, a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici».
Certamente questa resta una posizione più “morbida” rispetto a quella contemplata nel precedente Codice di Diritto Canonico, quello del 1917, dove al can. 1203 si condannava formalmente la cremazione, mentre col can. 1240 si comminava la privazione dei Sacramenti e delle esequie ecclesiastiche a quanti la scegliessero. Un provvedimento, che aveva una propria ragionevolezza: la cremazione è da sempre sinonimo di massoneria.
Fu proprio un “libero muratore”, Salvatore Morelli, a presentare il 18 giugno 1867 alla Camera dei Deputati la proposta di legge, finalizzata a circoscrivere sempre più il culto cattolico nella Chiesa, sostituendo ai Campisanti i forni crematori. Tale proposta fu anche da lui pubblicata a spese proprie con una prefazione “impegnativa”, quella di Giuseppe Garibaldi, il quale lodò quanti avessero osato «con audacia senza pari sfidare i pregiudizi dei secoli».
Non solo. Nel programma della massoneria italiana del 1874 si legge: «La massoneria italiana, augurando che i cimiteri divengano esclusivamente civili, senza distinzioni di credenze e di riti [ciò ch’è avvenuto – NdR], si propone di promuovere presso i municipi l’uso della cremazione da sostituirsi all’interramento». Poco dopo, nel 1878, un altro “grembiulino”, Gaetano Pini, fondò la prima Socrem, Società per la Cremazione italiana. Molte altre sorsero in diverse città. Presto si sentì l’esigenza di riunirle in una Lega Italiana, a stretta regia massonica. Ancora: sfruttando il materiale predisposto da Pini, fu messa a punto la legge Crispi, con cui dal 1888 la pratica della cremazione venne ufficialmente introdotta nell’ordinamento italiano, infischiandosene del parere negativo della Chiesa. Presto si diffuse in molti Comuni.
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un retaggio del passato e che oggi tale doppio legame si sia sciolto. Sbagliato. Il sentimento anticristiano è rimasto in molti. Troppi. Non a caso è proprio l’UaarUnione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, a caldeggiare sul proprio sito l’iscrizione alle Socrem, all’I.Di.Cen.Istituto Dispersione ceneri e cremazione ed all’IcremIstituto della Cremazione e Dispersione Ceneri, in quest’ultimo caso specificamente in natura.
A Lodi il 27 gennaio del 2013 fu il Grand’Oriente d’Italia a promuovere una cerimonia pubblica, alla presenza delle autorità civili, con deposizione di corona al monumento di Paolo Gorini nel bicentenario della sua nascita. Gorini non fu solo lo scienziato che mise a punto un procedimento di conservazione organica mantenuto gelosamente segreto, ma fu anche l’inventore del forno, che consentì l’introduzione della moderna cremazione in Italia.
Quest’anno Bruno Segre, massone e presidente onorario della Federazione Italiana dellaSocietà per la Cremazione, ha inviato all’Ufficio di Gabinetto del Ministero per lo Sviluppo Economico la richiesta di emissione di un francobollo dedicato alla cremazione.
E’ urgente, quindi, puntualizzare la linea tenuta dalla Chiesa in merito, dato che, spesso per ignoranza, i fedeli si gettano nell’abbraccio letale di pratiche sconsigliabili. Bisognerebbe però riabituarli anche ad un giusto e pio culto dei defunti, culto che sembrano aver completamente scordato. Forse perché nessuno li abitua più. Invece, il punto di partenza è proprio questo.

DON SCIORTINO: "PERCHÈ LA CHIESA HA AMMESSO LA CREMAZIONE"

07/01/2015  Dal libro La morale, la fede e la ragione. Dialogo con don Antonio Sciortino sulla nuova Chiesa di papa Francesco di Giovanni Valentini - Imprimatur, 2013

Perché prima la Chiesa era contraria alla cremazione e poi ha cambiato orientamento?

È vero, la Chiesa ha cambiato disposizioni a riguardo della cremazione o incenerimento dei corpi. Tuttavia, non ha mai condannato la cremazione in sé, ma l'ideologia antireligiosa e anticristiana che la accompagnava.
Del resto, in casi di emergenza come le pestilenze o le guerre, la Chiesa ha sempre ammesso che venissero bruciati i corpi. Senza mai affermare che ciò sia incompatibile con l'immortalità dell'anima e la re¬surrezione dei corpi. L’incenerimento è un rito antichissimo, una consuetudine millenaria presente in Asia, soprattutto in India.
Nell’Occidente, invece, la sepoltura (o l’inumazione) è stata, da sempre, l’unica modalità. Almeno fino al diciannovesimo secolo, quando anche in Europa si regolamentò la cremazione, per ragioni soprattutto igienico sanitarie.

La Chiesa vi si oppose perché l’introduzione dell'incenerimento alimentò campagne di propaganda antireligiosa e anticristiana che irridevano l'usanza cristiana della sepoltura. C'era la volontà di affermare che con la morte tutto finisce, che non esiste l'immortalità e tanto meno la resurrezione dei corpi. Anche in epoca romana, i pagani usavano bruciare i corpi dei martiri e sbeffeggiavano i cristiani perché credevano nella resurrezione e nell'immortalità.
Al tempo dell’Illuminismo, la cremazione era un modo per manifestare il proprio ateismo e per ribadire la ribellione contro la Chiesa. La massoneria, in particolare, aveva fatto della cremazione la sua bandiera contro la Chiesa. Al punto che, nel 1886, il Sant'Uffizio fu quasi costretto a condannare la cremazione.
Ma non per ragioni dottrinali. Fino a quando, nel 1963, passato il pericolo dell’ambiguità e, soprattutto, il motivo dell’«odio contro la fede», lasciò ai cattolici la libertà di scegliere di poter essere cremati. Essa non è «cosa intrinsecamente cattiva o di per sé contraria alla religione cattolica». Soprattutto se è richiesta «per ragioni igieniche, economiche o di altro genere, di ordine pubblico o privato». Non contro le usanze e il credo cristiano.

L'incenerimento è, quindi, per la Chiesa una modalità di sepoltura rispettosa del cadavere allo stesso modo dell'inumazione. Del resto, il fuoco non tocca l'anima, distrugge solo più in fretta la parte corruttibile della persona. Fa in poche ore ciò che la natura impiega più tempo a compiere. Ma per la resurrezione dei corpi, non c'è alcuna differenza tra la polvere e la cenere. La resurrezione non sarà un nuovo inizio a partire dalla vecchia esistenza, ma si tratterà di una nuova realtà. In sintesi, dice il Codice di diritto canonico (can. 1176), «la Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti; tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cattolica».

Quanto alle ceneri, pur essendo la dispersione permessa dalle leggi civili, la Chiesa mette in guardia da questa usanza, sempre più diffusa. La dispersione al vento, nel mare o nei boschi è molto suggestiva e fascinosa. Ma c’è il rischio di voler emulare o rincorrere teorie di una religiosità new age, che crede a una fusione cosmica e impersonale, che nulla ha che spartire con il Dio cristiano. È sbagliato, tuttavia, enfatizzare la cremazione come una conquista di civiltà, rispetto all'inumazione, considerata un’usanza del passato. Ancora oggi, la sepoltura è una scelta maggioritaria. E ha una ricca tradizione e simbologia che non va ignorata o abbandonata. In una società che tende a esorcizzare e nascondere la morte, i cimiteri ci ricordano i nostri limiti e la nostra precarietà di persone umane. Le tombe che conservano i resti mortali (ma anche le urne con le ceneri), corredate di foto, nome, cognome e qualche scritta, sono uno strumento visibile per rafforzare il legame affettivo con coloro, parenti e amici, che ci hanno preceduto.

La Chiesa, infine, raccomanda la consuetudine di seppellire i defunti, rifacendosi all’esempio di Gesù che fu inumato. Affidare la salma alla terra ha un valore simbolico. La morte è considerata come un sonno, e la resurrezione come un risveglio. La polvere, poi, più che la cenere, ha un richiamo biblico: «Tornerai alla terra perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai» (Genesi 3,19).

Tratto da: La morale, la fede e la ragione. Dialogo con don Antonio Sciortino sulla nuova Chiesa di papa Francesco di Giovanni Valentini - Imprimatur, 2013

Martín Caparrós ^

Funerale ecosostenibile


Alcuni dicono che fu la cottura del cibo, altri che fu l’idea di seppellire quello che aveva reso uomo l’uomo e donna la donna. Ma la parola seppellire è un altro goffo abuso linguistico. Invece di seppellire bisognerebbe dire mettere in una caverna, bruciare, affidare alle acque o appendere a un ramo, e dovremmo dire: a rendere definitivamente diverse quelle scimmie fu la loro decisione di occuparsi dei morti, l’idea che quel mucchio di materia che gli animali avrebbero mangiato o il tempo avrebbe putrefatto meritava un destino migliore perché c’erano parenti, divinità o spiriti che volevano così.
I riti funebri cambiano con il tempo e ognuno di loro dice qualcosa della cultura a cui appartiene: non c’è niente di più contemporaneo del passaggio dal cimitero urbano, dove lunghe file di nicchie si succedono seguendo un modello condominiale, al cimitero country club, dove i morti riposano in bucolici quartieri privati. Ma le praterie verdi sono, come quasi tutto ultimamente, un privilegio: un pianeta sovraffollato può sopportare simili civetterie solo se sono riservate a pochi. La verità è che siamo troppi e moriamo quasi tutti, quindi i morti hanno sempre più problemi per trovare il loro posto nel mondo.
Oggi la cremazione è la soluzione preferita: trasformare il nonno in una scatolina di ceneri che spicca commovente sullo scaffale in salotto, a sinistra del televisore. Ma bruciare signore e signori produce molto gas serra, e la coscienza ambientalista era inquieta. Ora sembra che abbia finalmente trovato una morte che la soddisfa.
La tendenza è nata negli Stati Uniti – non poteva essere altrimenti – e ne parla il New York Times. In quel paese e più precisamente a Seattle (of course), un’architetta di 37 anni, Katrina Spade, ha creato l’azienda Urban death project, che propone una nuova modalità di vita eterna: la trasformazione in concime.
Il meccanismo è semplice: il cadavere irrigidito è adagiato sulla legna e coperto da altra legna. L’azoto della carne e delle ossa si combina con il carbone della legna per portare la materia a centoquaranta gradi, “cuocerla” e produrre una terra eccellente.
L’idea ha precedenti di successo: ormai molte fattorie degli Stati Uniti producono compost con i cadaveri delle mucche, delle pecore e dei maiali. Pensare che i nostri resti possano finire come quelli di altri animali è un passaggio interessante: stiamo percorrendo a ritroso la strada che millenni fa ci spinse a inventare i riti funebri.
Ma Spade offre un palliativo: una torre funeraria dove i cari portano il defunto per adagiarlo su una piattaforma di legno. Sotto l’occhio vigile dei dipendenti, poche settimane di batteri ed enzimi trasformerebbero la mamma in ottanta litri di humus di prima scelta, che i parenti potrebbero usare, se vogliono, per concimare una pianta o qualche albero e assicurare la sua sopravvivenza verde. Il tutto a un prezzo molto più basso di qualsiasi altro rito: non più di 2.500 dollari, circa 2.350 euro.
L’idea è quasi rivoluzionaria: convincerci che i morti sono morti, che siamo materia naturale destinata a putrefarsi. Il problema è che quest’idea dev’essere venduta ai vivi. Non è bello pensarsi in una scatola piombata, su una pira spietata, in un buco profondo: non è facile immaginarsi fermentando in mezzo alla legna con il nobile proposito di rendere i carciofi più saporiti. Anche se per consolarci resta sempre il maestro Quevedo: “Saranno concime, ma avrà sentimento”.
(Traduzione di Francesca Rossetti)
http://www.internazionale.it/opinione/martin-caparros/2015/05/21/funerale-ecosostenibile

1 commento:

  1. Di quella pira l' orrendo foco, tutte le fibre m'arse, avvampò. Empi spegnetelo o ch'io fra fra poco, col vostro sangue la spegnerò . Meditate gente, meditate ! jane

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