ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 3 giugno 2015

La contraddizione dei Santi

“Ogni generazione è convertita dal santo che più la contraddice”


Cominciamo dal segretario di Stato Card. Parolin e dalle parole da lui dette a commento del referendum in Irlanda sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, nel pomeriggio di martedì 26 maggio a margine di un incontro promosso dalla Fondazione Centesimus Annus:
Questi risultati mi hanno reso molto triste. Certo, come ha detto l’arcivescovo di Dublino, la Chiesa deve tenere conto di questa realtà, ma deve tenerne conto nel senso che, a mio parere, deve rafforzare proprio tutto il suo impegno e fare uno sforzo per evangelizzare anche la nostra cultura. Ed io credo che non sia soltanto una sconfitta dei principi cristiani, ma un po’ una sconfitta dell’umanità”.
Queste parole o sono state oggetto di feroce critica, oppure sono state, non dico censurate, ma depotenziate dagli stessi media cattolici ufficiali: l’“Osservatore Romano” le ha annegate in un articolo a pagina 7 richiamato in prima, dal titolo vaghissimo: “Per un rinnovato impegno della Chiesa. Intervento del segretario di Stato”. Mentre “Avvenire”, si è sentito in dovere di addomesticarle, tornandovi sopra in seconda battuta. Giovedì 28 maggio, sotto il titolo: “Nozze gay e famiglia naturale. La Chiesa ha una voce sola”, ha così chiosato la definizione di Parolin delle nozze gay come “sconfitta dell’umanità”, a cui pure aveva dato grande evidenza il giorno prima: “Espressione efficace, anche se a qualcuno è parsa molto forte, che va letta come presa di distanza da tutte quelle scelte politiche che rischiano di indebolire la famiglia”.
La chiosa di Avvenire è assai riduttiva, perché non spiega il motivo per cui la sconfitta del referendum irlandese è la sconfitta dell’umanità.
Per capirlo dobbiamo farci aiutare dai santi ed io non ho dubbi che G.K. Chesterton lo sia ed in effetti è in corso la causa per la sua beatificazione. Quando si spense il 14 giugno 1936, i giornali inglesi che ne dettero l'annuncio non vollero pubblicare per esteso il telegramma di condoglianze del Santo Padre Pio XI, perché in esso si attribuiva a Chesterton un titolo, quello di Difensore della Fede, che in Inghilterra spetta unicamente al re.
Il grande scrittore di Beaconsfield convertitosi al Cattolicesimo ufficialmente nel 1922, aveva scritto: “Talvolta è facile donare il proprio sangue alla Patria; ora è necessario donarLe la Verità”. Chesterton racchiude misteriosamente, come pochi altri scrittori, quella connaturalità al vero, al bello e al buono che spesso commuove, fa pensare e sorridere insieme. “Ogni generazione cerca il proprio santo per istinto; e questi non è quello che la gente vuole, ma piuttosto quello di cui la gente ha bisogno”. Qui è enunciato il paradosso della storia, il paradosso dei santi: “Ogni generazione è convertita dal santo che più la contraddice”.
Per questo, mai come ora, abbiamo bisogno di Gilbert Keith Chesterton, tomista per indole.
Contro la follia aberrante del Gender, che è ancora la nostra moderna pazzia, si erge a baluardo la filosofia tomistica, che è la più vicina all’uomo della strada che cerca in modo semplice e vero come stanno le cose. “La filosofia di S. Tommaso è fondata sulla universale comune convinzione che le uova sono uova. L’hegeliano (G.W.F. Hegel 1770-1831) potrà dire che l’uovo è in realtà una gallina, poiché è parte dell’incessante processo del divenire; il berkeleiano (G. Berkeley 1685-1753) potrà sostenere che un uovo in camicia esiste solo come esiste un sogno; poiché tanto vale chiamare il sogno la causa delle uova quanto le uova la causa del sogno; il pragmatista potrà credere che otterremo il massimo delle uova strapazzate dimenticando il fatto che sono state uova e ricordando soltanto lo strapazzamento. Ma nessun discepolo di S. Tommaso avrà bisogno di rimescolare il suo cervello allo scopo di ben rimescolare le uova; di andarsi a mettere in una particolare angolatura per guardare le uova; di guardare le uova di traverso, o di strizzare l’occhio così da vedere una nuova semplificazione delle uova. Il tomista sta alla luce del sole della confraternita umana, nella comune consapevolezza che le uova non sono galline né sogni né meri assunti pratici; ma cose attestate dall’autorità dei sensi, che viene da Dio”. Il senso comune del cristiano “…non è altro che la santa familiarità della parola fatta carne”. S. Tommaso e S. Francesco “…dettero vigore alla sconcertante dottrina dell’Incarnazione… solo essendo così ortodossi poterono essere così razionali e naturali”. Come per Aristotele, anche per S. Tommaso l’uomo è unità sostanziale di anima e corpo. Chesterton sviluppa in modo semplice e profondo questa verità: “…un uomo non è uomo senza il suo corpo, così come non è un uomo senza la sua anima. Un cadavere (carne data ai vermi) non è un uomo; ma nemmeno un fantasma lo è”. In che cosa consisteva il realismo di S. Tommaso? “S. Tommaso voleva il corpo, e tutti i suoi sensi, perché credeva, a ragione o a torto, che fosse una cosa cristiana. Rispetto alla mente platonica, sarà forse una cosa più umile o modesta: ecco perché era cristiana”.
Dopo questa doverosa piccola anticipazione del pensiero chestertoniano, entriamo nel vivo della questione. Il suo libro “Eugenetica e altri malanni” fu pubblicato nel 1922, ma scritto prima della Grande Guerra. In esso, Chesterton, unico in tutto il mondo, sviluppa una serrata critica all’eugenetica sviluppatasi nel modo anglosassone con Galton, cugino di Darwin, Saalesby ed altri “pensatori” eugenisti.
Tale visione eugenetica portò all’emanazioni di leggi sulla sterilizzazione forzata delle persone considerate inferiori, come malati di mente, alcolisti, ecc. Queste leggi furono emanate, prima del 1920, nei seguenti stati USA: Indiana 1907, Washington 1909, California 1909, Connecticut 1909, Nevada 1911, Iowa 1911, New Jersey 1911, New York 1912, North Dakota 1913, Michigan 1913, Kansas 1913, Wisconsin 1913, Nebraska 1915, Oregon 1917, South Dakota 1917. Tutti Stati, considerati all’epoca, fari della civiltà umana! Hitler, assolutamente entusiasta, applicò l’eugenetica nel programma Action T4 con rigore teutonico…
Ma cosa c’entra l’eugenetica con il Gender? Apparentemente nulla, ma, in pratica, le idee che sono alla base di entrambe sono le medesime.
Per approfondimenti, vi rimando all’imperdibile libro “IL GENDER. Una questione politica e culturale”, di Marguerite A. Peeters. L’IPPF (Federazione Internazionale per la Pianificazione Familiare) nasce nel 1952 dalla federazione di otto associazioni nazionali di pianificazione familiare, quasi tutte di origine eugenista, e presieduta da Margaret Sanger, aderente alla Società Eugenetica Americana e pioniera del movimento per il controllo delle nascite. Marguerite Peeters così descrive Margaret Sanger: “figura di spicco del femminismo occidentale, che voleva, secondo la sua espressione, «liberare la donna dalla schiavitù della riproduzione». Considerata una delle persone più influenti del XX secolo” e la cita tra i precursori del Gender nell’allegato 1 del suo libro.
È talmente vero che si può quasi tranquillamente leggersi tutto il libro di Chesterton, interscambiando il vocabolo “eugenetica” con le parole “ideologia del Gender”. Si potrebbe pubblicarlo con il titolo “Ideologia del Gender e altri malanni”.
Uno dei capitoli più impressionanti reca il titolo “Il pazzo e la legge” ed è la più alta confutazione che si possa fare ai vari ddl genderisti, al trio Fedeli, Cirinnà e Scalfarotto.
Ve ne offro un’ampia e ricca sintesi. Buona lettura.“Il mondo moderno è pazzo non tanto perché ammette l’anormalità, ma perché non sa ritrovare la normalità (Perfetta definizione del mondo che riconosce il Gender! Ndr). Un esempio è reperibile in questo fatto generale: la definizione di quasi ogni crimine è diventata sempre più indefinita, e si stende come una nuvola via via più piatta e tenue su paesaggi sempre più ampi (Ditemi se non è questa la perfetta descrizione del DDL Scalfarotto! Ndr). […] Le cause per diffamazione sono diventate uno degli sport dei ricchi meno atletici: una variante del baccarat, un gioco d’azzardo. Un’attrice del varietà ha ottenuto un indennizzo perché una sua canzone era stata definita «volgare»; come se io potessi far multare o incarcerare il mio vicino perché ha chiamato la mia calligrafia «rococò». Ma il punto essenziale da ribadire è questo: che non si tratta necessariamente, e nemmeno specialmente, di anarchia in seno alla plebaglia. Si tratta di anarchia negli organi di governo. Sono i magistrati – voce della classe dirigente – che non sanno distinguere tra crudeltà e negligenza. Sono i giudici che non sanno vedere la differenza tra opinione e denigrazione. E sono gli esperti altolocati e ben pagati che hanno introdotto la prima legge eugenica, il disegno sui deboli di mente, dimostrando di non saper vedere la differenza tra un pazzo e chi pazzo non è.

IL PAZZO E LA LEGGEIl male moderno, abbiamo detto, dipende in gran parte da questo: la gente non vede che l’eccezione che conferma la regola. […] Se si dice che un malato di mente è irresponsabile, si sottintende che un sano di mente è responsabile. È responsabile per il malato di mente. E il tentativo degli eugenisti e di altri fatalisti di trattare tutti gli uomini come irresponsabili è la più grossa e marchiana follia filosofica. L’eugenista deve trattare ognuno, se stesso incluso, come un’eccezione a una regola che non c’è (Con sommo paradosso, invece, i genderisti hanno elevato al rango di regola un vero è proprio ossimoro, hanno elevato a regola l’anarchia, che è l’assenza di regole. Sintetizzo questa posizione filosofica con un altro ossimoro: “lucida follia”! NDR)
Si sente spesso dire che i pazzi sono solo la minoranza, e i sani solo la maggioranza. Le sciocchezze di costoro sono di una mirabile precisione nel mancare il punto centrale. I pazzi non sono una minoranza, perché non sono una collettività; e questo è ciò che significa la loro pazzia. I sani non sono una maggioranza: sono il genere umano. E il genere umano (come dice il nome) è appunto un genere, non un grado. Il pazzo, in quanto differisce, differisce per genere da tutte le minoranze e maggioranze. Il pazzo che si crede un coltello non può entrare in società col pazzo che si crede una forchetta. Non c’è luogo d’incontro fuori della ragione; non c’è locanda sulle strade selvagge che sono di là dal mondo.

[…] Il pazzo non è l’uomo che sfida il mondo: è l’uomo che lo nega. Supponiamo di trovarci tutti intorno a un campo e di guardare un albero là nel mezzo. È verissimo che tutti lo vediamo (come dicono i decadenti) in un’infinita varietà di aspetti; non è questo il punto: il punto è che tutti diciamo che è un albero. Supponiamo, se volete, che tutti siamo poeti (cosa peraltro improbabile), e che ognuno di noi muti l’aspetto che vede in una vivida immagine, distinta dall’albero. Uno dirà, supponiamo, che l’albero somiglia a una nuvola verde, un altro che somiglia a una fontana verde, un terzo a un drago verde, e un quarto a un verde formaggio. Sta il fatto che tutti dicono che l’albero somiglia a queste cose. Ma è un albero. E qualunque opinione, per quanto stramba, il poeta esprima circa le funzioni o il futuro del l’albero, non c’è nel poeta ombra di pazzia. […] Nessuno di costoro è pazzo, perché tutti parlano della stessa cosa. Ma c’è un uomo che parla, orribilmente, di qualcos’altro. […] Questo è l’uomo che guarda l’albero e non dice che somiglia a una giraffa, ma dice che è un lampione (QUESTA E’ LA SINTESI PIU’ “SINTETICA” DEL GENDER! NDR).

La differenza tra noi e il folle non riguarda come le cose appaiono o come dovrebbero apparire, ma ciò che esse evidentemente sono. Il pazzo non dice che lui dovrebbe essere re: questo potrebbe dirlo Perkin Warbeck; dice che lui è re. Il pazzo non dice di essere bravo come Shakespeare: questo potrebbe dirlo Bernard Shaw; dice di essere Shakespeare. Il pazzo non dice di essere divino nello stesso senso di Cristo: questo potrebbe dirlo Reginald John Campbell; il pazzo dice che lui è Cristo. In tutti i casi la differenza riguarda ciò che è, la realtà: non ciò che si dovrebbe fare in proposito.
Per questa ragione, e per questa soltanto, il pazzo è al di fuori della legge. Questa è la differenza abissale tra lui e il delinquente. Il delinquente ammette i fatti, e quindi ci consente di appellarci ai fatti. Noi possiamo disporgli intorno i fatti in modo da fargli comprendere che accettarli è nel suo stesso interesse. Possiamo dirgli: «Non rubare le mele di quel l’albero, o ti impiccheremo a quel l’albero». Ma se un uomo pensa davvero che un albero è un lampione e un altro albero una fontana di Trafalgar Square, con lui ci è semplicemente impossibile trattare. È ovviamente inutile dire: «Non rubare le mele di quel lampione, o ti impiccherò a quella fontana». Se un uomo nega i fatti, non c’è altra risposta che rinchiuderlo. Costui non parla la nostra lingua: non dico quel vario linguaggio verbale che spesso manca il bersaglio anche tra noi, ma quel l’enorme alfabeto di sole e luna, erba verde e cielo azzurro nel quale soltanto ci incontriamo e mediante il quale soltanto possiamo comunicare l’uno con l’altro.

Ma il criminale, tra la gente civile, è processato in base a una singola legge per un singolo crimine, per una ragione semplicissima: che il motivo del crimine, come il significato della legge, è concepibile dalla comune intelligenza. Un uomo è punito specificamente come autore di un furto con scasso, e non genericamente come persona cattiva, perché si può essere scassinatori e per molti altri aspetti non essere persone cattive. L’atto del furto con scasso è punibile perché è intelligibile. Ma quando gli atti non sono intelligibili, possiamo attribuirli soltanto a una generica perfidia, e guardarcene con un generico controllo. Se un uomo irrompe in una casa per rubare un pezzo di pane, possiamo fare appello alla sua ragione in vari modi. Possiamo impiccarlo quale scassinatore; oppure (come è balenato ad alcuni audaci pensatori) possiamo dargli un pezzo di pane. […] Ma se a mezzanotte troviamo un uomo, con la stessa maschera e mantello, che versa nella minestra un po’ di acqua di selz, cosa possiamo dire? L’accusa diventa necessariamente più generica. Possiamo solo osservare, con una moderazione che sfiora la debolezza: «Tu, sembra, sei il tipo di persona che fa cose di questo tipo». E poi possiamo rinchiuderlo. Il principio della «sentenza indeterminata» è la creazione della mente indeterminata. Vale per il pazzo, creatura incomprensibile. E non vale per nessun altro”.

Fine della lunga citazione, ed è ovvio che vi consiglio di leggere tutto “Eugenetica e altri malanni”.
Sono passati cento anni da questo scritto di GKC e nel frattempo l’anarchica follia ha preso il sopravvento: il principio alla base del Gender e dei vari DDL, come quello Scalfarotto, è proprio l’indeterminatezza, elevata a regola. È l’uomo ragionevole condannato perché non è un pazzo, condannato ad essere impiccato ad una fontana per aver rubato le mele di un lampione, che domani, forse, sarà una giraffa. È il genere umano che svanisce in una novella torre di babele: Il pazzo che si crede un coltello che entra in società col pazzo che si crede una forchetta. L’umanità impazzita che cerca un luogo d’incontro al di fuori della ragione, senza ovviamente trovarlo.
Come è stato possibile giungere a questa pazzia? Per spiegarlo bisogna tornare ai filosofi moderni e contemporanei, i filosofi precursori ed ideatori dell’eugenetica e del Gender.
Diceva Chesterton: “Nessun discepolo di S. Tommaso avrà bisogno di rimescolare il suo cervello allo scopo di ben rimescolare le uova”, ma coloro che hanno abbandonato il realismo tomista hanno proprio fatto così, hanno rimescolato il cervello per mescolare le uova. Con il funesto e banale risultato che non le uova si sono strapazzate, bensì il loro cervello. Come scrive la Peeters, “il punto di partenza del gender è una costruzione intellettuale non conforme a quanto ogni essere umano può riconoscere nella sua coscienza come reale e vero”, hanno elevato al rango di realtà la percezione del singolo e questa è esattamente la definizione di pazzia descritta da Chesterton.
Per questo il matrimonio gay, corollario dell’ideologia gender, è una vera e propria sconfitta dell’intera umanità. Di più, l’ideologia Gender è il tentativo di distruzione del genere umano…

Alfredo il Grande

Curatore:
 Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
domenica 31 maggio 2015

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