Dal mancato raduno del 13 giugno all’annunciata manifestazione del 20 giugno, la preoccupazione più chiara degli organizzatori è quella di non “essere contro”. Il che può portare, come minimo, a un po’ di confusione… chi può, se può, è invitato a parlare chiaro
di Patrizia Fermani e Elisabetta Frezza
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Il 13 giugno si sarebbe dovuto svolgere l’evento ideato da Mario Adinolfi a coronamento di una campagna di raccolta firme volta a contrastare la pratica dell’utero in affitto, nonché la sua normalizzazione in ossequio alle direttive di Strasburgo. Fino a un mese fa circa l’appuntamento era fissato, per quella data, al PalaLottomatica, ove si attendevano migliaia e migliaia di persone. D’improvviso il raduno è stato cancellato dagli stessi organizzatori – dichiaratisi paghi della “prima grande vittoria” conseguita con il rinvio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà a giugno inoltrato (!?!) – perché «la coincidenza con la data del gay pride ha preoccupato chi, come noi, non vuole in alcun modo costruire un clima di ostile contrapposizione ideologica». (clicca sull’immagine a fianco per ingrandirla e leggere il comunicato di Adinolfi & altri)
Come si vede, la principale preoccupazione dei “pro family” è quella di non scontrarsi in nessun modo con coloro che mirano alla “legalizzazione di una pratica barbara”, a ledere il diritto di famiglia e i diritti dei bambini. E di conseguenza hanno ceduto cavallerescamente il passo, a Roma, agli orgogliosi portatori di gaiezza. Ubi maior, minor cessat.
Eppure, questi ultimi hanno bollato come omofobi e fascisti gli autori di alcuni manifesti apparsi a Roma contro le adozioni gay e hanno definito il loro “Family Gay” una degna risposta ai “Family Day” omofobi. Quello che si dice, un amore non corrisposto, coll’aggiunta del godimento da sindrome di Stoccolma.
Ecco che il 13 giugno arcobaleno – che è stato accreditato dall’intero arco costituzionale e ha lasciato imperturbabile il vicariato di Roma – vede in testa al corteo Ignazio Marino con fascia tricolore, il sindaco di «Roma, la nostra capitale, la città dell’accoglienza, la città che crede nell’amore», marciare felice dietro lo striscione rosa con lo slogan della giornata di festa: «Liberiamoci». E in effetti, per prima cosa, molti dei partecipanti – come abbiamo potuto constatare – si sono liberati dai vestiti e dal decoro.
Madrina della manifestazione Federica Sciarelli, la giornalista conduttrice di “Chi l’ha visto?” che, parlando di cose evidentemente più grandi di lei, al pari di Dario Franceschini, declama norme di cui è incapace di comprendere il significato: «Mi porterò la Costituzione, così potrò leggere l’articolo 29, che riconosce i diritti della famiglia ma non specifica che la famiglia deve essere formata da un uomo e una donna. A quanto pare i costituenti, con la loro carta dei diritti e dei doveri, devono aver guardato più lontano di noi».
Tra i carri più importanti, insieme a quello di Mucassassina e del Gay Village, è esibito come un fiore all’occhiello della manifestazione quello del circolo Mario Mieli, i cui intenti programmatici sono accessibili a chiunque sul web, eccettuata – a quanto pare – la procura della Repubblica. Infatti, tra tanta ricchezza speculativa che il fondatore ha profuso tra i suoi discepoli ricordiamo solo queste poche edificanti parole: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica».
I bambini, secondo il pensiero di Mieli, possono “liberarsi” dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro “perversità poliforme” grazie ad adulti consapevoli; un nutrito campionario dei quali evidentemente si è raccolto a Roma per l’occasione di cui si tratta.
Ora, come sappiamo, i promotori di quell’altra manifestazione, indetta per il prossimo 20 giugno e in cui sono confluite anche le truppe di Adinolfi rimaste orfane del PalaLottomatica, sostengono secondo copione che essa non è né contro il disegno di legge Cirinnà, né contro gli omosessuali, né “contro qualcuno”. Come è stato dichiarato a chiare lettere in un’occasione ufficiale quale la conferenza stampa di presentazione dal portavoce Gandolfini.
A questo punto dobbiamo dedurre che tutti costoro, del neo-comitato “Difendiamo i nostri figli”, non sono neanche contro il Gay Pride e tutto il suo corredo programmatico, al quale hanno ceduto di buon grado il passo e la scena.
Abbiamo capito bene? Ma in fondo: chi siamo noi per chiedercelo?
Alla fine rimane comunque un problema, il famoso nodo da sciogliere: il raduno di piazza San Giovanni – ultima versione – mira a combattere la diffusione del gender nelle scuole, mentre l’assessora alle Pari Opportunità del comune di Roma, signora Alessandra Cattoi, annuncia dal palco del Gay Pride: “da settembre vogliamo formare i dipendenti comunali sul linguaggio di genere, con un piano di formazione a tappeto”. Le due prospettive appaiono inconciliabili, il conflitto sembrerebbe inevitabile. Per fortuna però gli organizzatori del 20 – come sappiamo – non vogliono essere contro nessuno. Tutto è bene ciò che finisce bene…
A questo punto, però, ci rivolgiamo agli organizzatori per chiedere loro sotto quale bandiera hanno intenzione di convogliare il popolo del 20 giugno: dopo tanto fumo, avete il dovere morale e civile di chiarire definitivamente qual è l’obiettivo primo e unico di questa mobilitazione.
http://www.riscossacristiana.it/quelli-che-non-sono-contro-di-patrizia-fermani-e-elisabetta-frezza/
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Il 13 giugno si sarebbe dovuto svolgere l’evento ideato da Mario Adinolfi a coronamento di una campagna di raccolta firme volta a contrastare la pratica dell’utero in affitto, nonché la sua normalizzazione in ossequio alle direttive di Strasburgo. Fino a un mese fa circa l’appuntamento era fissato, per quella data, al PalaLottomatica, ove si attendevano migliaia e migliaia di persone. D’improvviso il raduno è stato cancellato dagli stessi organizzatori – dichiaratisi paghi della “prima grande vittoria” conseguita con il rinvio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà a giugno inoltrato (!?!) – perché «la coincidenza con la data del gay pride ha preoccupato chi, come noi, non vuole in alcun modo costruire un clima di ostile contrapposizione ideologica». (clicca sull’immagine a fianco per ingrandirla e leggere il comunicato di Adinolfi & altri)
Come si vede, la principale preoccupazione dei “pro family” è quella di non scontrarsi in nessun modo con coloro che mirano alla “legalizzazione di una pratica barbara”, a ledere il diritto di famiglia e i diritti dei bambini. E di conseguenza hanno ceduto cavallerescamente il passo, a Roma, agli orgogliosi portatori di gaiezza. Ubi maior, minor cessat.
Eppure, questi ultimi hanno bollato come omofobi e fascisti gli autori di alcuni manifesti apparsi a Roma contro le adozioni gay e hanno definito il loro “Family Gay” una degna risposta ai “Family Day” omofobi. Quello che si dice, un amore non corrisposto, coll’aggiunta del godimento da sindrome di Stoccolma.
Ecco che il 13 giugno arcobaleno – che è stato accreditato dall’intero arco costituzionale e ha lasciato imperturbabile il vicariato di Roma – vede in testa al corteo Ignazio Marino con fascia tricolore, il sindaco di «Roma, la nostra capitale, la città dell’accoglienza, la città che crede nell’amore», marciare felice dietro lo striscione rosa con lo slogan della giornata di festa: «Liberiamoci». E in effetti, per prima cosa, molti dei partecipanti – come abbiamo potuto constatare – si sono liberati dai vestiti e dal decoro.
Madrina della manifestazione Federica Sciarelli, la giornalista conduttrice di “Chi l’ha visto?” che, parlando di cose evidentemente più grandi di lei, al pari di Dario Franceschini, declama norme di cui è incapace di comprendere il significato: «Mi porterò la Costituzione, così potrò leggere l’articolo 29, che riconosce i diritti della famiglia ma non specifica che la famiglia deve essere formata da un uomo e una donna. A quanto pare i costituenti, con la loro carta dei diritti e dei doveri, devono aver guardato più lontano di noi».
Tra i carri più importanti, insieme a quello di Mucassassina e del Gay Village, è esibito come un fiore all’occhiello della manifestazione quello del circolo Mario Mieli, i cui intenti programmatici sono accessibili a chiunque sul web, eccettuata – a quanto pare – la procura della Repubblica. Infatti, tra tanta ricchezza speculativa che il fondatore ha profuso tra i suoi discepoli ricordiamo solo queste poche edificanti parole: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica».
I bambini, secondo il pensiero di Mieli, possono “liberarsi” dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro “perversità poliforme” grazie ad adulti consapevoli; un nutrito campionario dei quali evidentemente si è raccolto a Roma per l’occasione di cui si tratta.
Ora, come sappiamo, i promotori di quell’altra manifestazione, indetta per il prossimo 20 giugno e in cui sono confluite anche le truppe di Adinolfi rimaste orfane del PalaLottomatica, sostengono secondo copione che essa non è né contro il disegno di legge Cirinnà, né contro gli omosessuali, né “contro qualcuno”. Come è stato dichiarato a chiare lettere in un’occasione ufficiale quale la conferenza stampa di presentazione dal portavoce Gandolfini.
A questo punto dobbiamo dedurre che tutti costoro, del neo-comitato “Difendiamo i nostri figli”, non sono neanche contro il Gay Pride e tutto il suo corredo programmatico, al quale hanno ceduto di buon grado il passo e la scena.
Abbiamo capito bene? Ma in fondo: chi siamo noi per chiedercelo?
Alla fine rimane comunque un problema, il famoso nodo da sciogliere: il raduno di piazza San Giovanni – ultima versione – mira a combattere la diffusione del gender nelle scuole, mentre l’assessora alle Pari Opportunità del comune di Roma, signora Alessandra Cattoi, annuncia dal palco del Gay Pride: “da settembre vogliamo formare i dipendenti comunali sul linguaggio di genere, con un piano di formazione a tappeto”. Le due prospettive appaiono inconciliabili, il conflitto sembrerebbe inevitabile. Per fortuna però gli organizzatori del 20 – come sappiamo – non vogliono essere contro nessuno. Tutto è bene ciò che finisce bene…
A questo punto, però, ci rivolgiamo agli organizzatori per chiedere loro sotto quale bandiera hanno intenzione di convogliare il popolo del 20 giugno: dopo tanto fumo, avete il dovere morale e civile di chiarire definitivamente qual è l’obiettivo primo e unico di questa mobilitazione.
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