ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 10 giugno 2015

Teologia prefanzaghiana

Nella linea della chiesa il Papa diffidente sui «veggenti privati»

«L’ultima parola di Dio», ha detto Francesco, «si chiama Gesù e niente più». Parole che richiamano una lunga tradizione, da Benedetto XIV, nel Settecento, al teologo cardinale Ratzinger che parlò di «un aiuto» non necessariamente da usare

Sapevamo che papa Francesco era allergico alle «rivelazioni private»: lo raccontano le biografie e lo documentano i testi di quand’era arcivescovo di Buenos Aires. Già una volta si era espresso con sarcasmo - in un’omelia a Santa Marta - sui continui messaggi che la Madonna manda ai suoi devoti «tutti i giorni» qua e là per il mondo. Ma nel richiamo di ieri, venuto anch’esso durante la celebrazione del mattino, c’è un elemento in più, contenuto nella sentenza - come dicevano i teologi medievali - che «l’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente più». 
È esattamente, parola per parola, la stessa frase usata dal cardinale Ratzinger nel «Commento teologico» con cui nel giugno del 2000 accompagnò la pubblicazione della «terza parte» del Messaggio di Fatima: «In Cristo, Dio ha detto tutto e pertanto la rivelazione si è conclusa con la realizzazione del mistero di Cristo, che ha trovato espressione nel Nuovo Testamento». E le rivelazioni private, tipo Lourdes, Fatima e altre dieci, per contare solo quelle mariane che sono state riconosciute dalla Chiesa? Dodici in tutto, su 295 per le quali era stato chiesto il parere di Roma. Le rivelazioni private sono - dice sempre Ratzinger - «un aiuto che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso». 
Del resto già Benedetto XIV, nel Settecento, aveva affermato categoricamente che «un assentimento di fede cattolica non è dovuto a rivelazioni [private] approvate in tal modo; non è neppure possibile. Queste rivelazioni domandano piuttosto un assentimento di fede umana conforme alle regole della prudenza».
Come a dire: se ci vuoi credere, puoi crederci, ma non sei tenuto e comunque in quelle rivelazioni private non trovi nulla di essenziale che non sia già nell’«unica rivelazione pubblica», cioè destinata a tutti. La Civiltà Cattolica già nel 1953, in un articolo su Fatima a firma del teologo fiammingo Edouard Dhanis, riassumeva in questi tre elementi il significato dell’approvazione ecclesiastica di una rivelazione privata: «Il messaggio relativo non contiene nulla che contrasta la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico; i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione». Autorizzati, appunto: non tenuti. 
I Papi hanno sempre seguito questa regola aurea, sostanzialmente razionale e diffidente nei confronti delle torme di veggenti da cui sono stati sollecitati nei secoli e più che mai negli ultimi due. Ma se tutti i Papi erano guardinghi, Benedetto e Francesco appaiono addirittura refrattari: Ratzinger per razionalità teologica tedesca, Bergoglio per buonsenso pastorale latino. Un’idea della loro impermeabilità soggettiva alla passione visionaria di cui traboccano movimenti e parrocchie l’abbiamo avuta con il fatto che il primo chiamò a presiedere la Commissione su Medjugorje il cardinale Camillo Ruini, che il secondo ha confermato nell’incarico. Di Ruini tanto e tutto si può dire ma non che vada pazzo per «locuzioni» e «visioni». 
Le conclusioni della Commissione stanno per essere pubblicate ed è verosimile che il Papa si limiti a recepirle nella loro asciuttezza. Di sicuro non sarà lui a contraddire la prevedibile severità di quel verdetto: si dice che vi sia apprezzamento per i buoni frutti che «spesso» vengono dalla frequentazione di quel villaggio dell’Erzegovina, ma il giudizio sulla natura delle apparizioni resterà «sospensivo»: non diranno che non sono attendibili, ma non diranno neanche che lo sono. «Provo un’immediata diffidenza davanti ai casi di guarigione e persino quando si tratta di rivelazioni o visioni; sono tutte cose che mi mettono sulla difensiva» ebbe a dire il cardinale Bergoglio nel volume di dialoghi con il rabbino argentino Abraham Skorka, tradotto da Mondadori nel 2013 con il titolo Il cielo e la terra . 

Ogni sacerdote ha tra i suoi parrocchiani una dozzina di portatori di «messaggi»; i vescovi sono poi assediati da centinaia di «veggenti». Ne fece buona esperienza anche Bergoglio da vescovo argentino, quale fu per 21 anni. «Spesso, a Buenos Aires, devo screditarne molti - affermò in quel volume - perché i casi di falsi profeti sono molto più comuni e frequenti di quanto si possa immaginare».
Un caso recente di presunte rivelazioni private che mirano a condizionare i Papi si è visto il 9 maggio scorso, quando due persone in rappresentanza di una veggente di nome Conchiglia hanno incontrato Benedetto XVI nei Giardini Vaticani e gli hanno consegnato un volume che contiene accuse nei confronti di papa Francesco. Avendo costoro vantato l’appoggio del Papa emerito, don Georg, che era presente all’incontro, ha detto a Vatican insider che «se Benedetto XVI avesse saputo di che cosa si trattava non avrebbe accettato l’incontro: ci sono tanti che si dicono veggenti, in giro». Le stesse parole di Bergoglio cardinale.
www.luigiaccattoli.it 

http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_giugno_10/nella-linea-chiesa-papa-diffidente-veggenti-privati-6578a1d4-0f3d-11e5-aa3a-b3683df52e95.shtml#





MEDJUGORJE E IL PAPA: LE PAROLE, LE LETTERE E I VESCOVI


Folgori e acqua su Medjugorje? Era il 14 novembre 2013 quando per la prima volta da Papa, Jorge Mario Bergoglio si riferiva al fenomeno dei veggenti di Medjugorje, con parole che allora in pochi colsero nell’immediato e che ebbero un’eco limitata anche nei giorni successivi. Allora, commentando il passo evangelico di Lc 17,22-24, Papa Francesco spiegava come «la curiosità ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: “Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere della Madonna, messaggi dalla Madonna”», ricordando poi come «la Madonna è Madre! E ci ama a tutti noi. Ma non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni». Non mancò in quell’occasione un riferimento alle «novità» che «allontanano dal Vangelo, allontanano dallo Spirito Santo», perché «Gesù dice che il Regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione: viene nella saggezza». Ad un anno e mezzo di distanza, il Pontefice è tornato in questi giorni a fare riferimento in due occasioni al dibattuto caso di Medjugorje.
La prima volta in concomitanza con il viaggio apostolico a Sarajevo, il 7 giugno scorso. Rispondendo ad una domanda sull’argomento posta da un giornalista croato sul volo di rientro a Roma, papa Francesco ha ricordato come «sul problema di Medjugorje papa Benedetto XVI, a suo tempo, aveva fatto una commissione presieduta dal cardinale Camillo Ruini; c’erano anche altri Cardinali, teologi e specialisti lì. Hanno fatto lo studio e il cardinale Ruini è venuto da me e mi ha consegnato lo studio, dopo tanti anni – non so, 3-4 anni più o meno. Hanno fatto un bel lavoro, un bel lavoro. Il cardinale Müller [Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] mi ha detto che avrebbe fatto una feria quarta [un’apposita riunione] in questi tempi. Siamo lì lì per prendere delle decisioni. Poi si diranno. Per il momento si danno soltanto alcuni orientamenti ai vescovi, ma sulle linee che si prenderanno».
divisorio
Ulteriore risonanza a questo primo accostamento alla questione di Medjugorje è stato dato due giorni dopo, in occasione dell’omelia mattutina pronunciata dal Pontefice a Santa Marta. Muovendo dalla Seconda Lettera di Paolo ai Corinzi e trattando dell’identità cristiana e di coloro che hanno continuo bisogno «di novità dell’identità», papa Francesco ha messo in guardia dalle «spiritualità cristiane un po’ eteree», dagli «gnostici moderni» e da coloro «che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana» e vanno cercando «”Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio?” Per esempio, no? E vivono di questo. Questa non è identità cristiana». Parole che i più, probabilmente non a torto, hannoricollegato al fenomeno – miracoloso o miracolistico – in corso a Medjugorje. Un’identificazione confortata anche dall’uso da parte del Pontefice di un’immagine simile – quella delcapoufficio della Posta e della lettera – tanto nel novembre 2013 quanto ieri a Santa Marta.
La quasi totalità della stampa italiana ha riferito le parole del Pontefice circa la non-identità cristiana all’intero fenomeno di Medjugorje e, in alcuni casi, all’intero fenomeno dei veggenti e delle apparizioni mariane. In attesa del pronunciamento pontificio, però, a ben guardare le parole di papa Francesco si riferivano più verosimilmente a «quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana» e hanno «dimenticato che sono stati scelti, unti» e che già «hanno la garanzia dello Spirito». È quell’atteggiamento di «mondanità» umana che spinge verso una «religione un po’ soft, sull’aria e sulla strada degli gnostici» e di quanti sono propensi ad «annacquare la testimonianza», a scendere a compromessi, ad «allargare tanto la coscienza che lì c’entra tutto. “Sì, noi siamo cristiani, ma questo sì…”. Non solo moralmente, ma anche umanamente». È la tentazione di dimenticare che «la croce è uno scandalo», ieri come oggi, e che l’identità cristiana è «un’identità che non cerca di adattarsi alle cose» fino «a perdere il sapore del sale».
Nel volo da Sarajevo a Roma, il Pontefice ha anche fatto espresso riferimento ad «orientamenti» forniti ai vescovi. Anche in questo caso, il 2013 costituisce un precedente. Il 27 febbraio 2013 e il successivo 21 ottobre, infatti, in due lettere inviate alla Conferenza episcopale americana, il card. Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava come le “apparizioni” (le virgolette sono presenti anche nel testo originale della lettera) mariane a Medjugorje fossero ancora al vaglio della Chiesa. Ad aver motivato l’invio delle missive ai vescovi statunitensi era stata allora una serie di conferenze prevista in alcune parrocchie americane e tenuta da Ivan Dragicevic, in una delle lettere indicato come «one of the so-called visionaries of Medjogorje» («uno dei cosiddetti veggenti di Medjugorje»).
Anche in quell’occasione veniva ribadita dai vertici della Congregazione per la Dottrina della Fede la linea del 1991, secondo la quale «i chierici e i fedeli non possono partecipare ad incontri, conferenze, o celebrazioni pubbliche in cui la credibilità di queste “apparizioni” venga data per certa», tanto più che in vista delle conferenze americane presiedute da Dragicevic era stato anticipato che lo stesso avrebbe ricevuto delle “apparizioni” durante gli incontri in programma.


http://www.caffestoria.it/medjugorje-e-il-papa-le-parole-le-lettere-e-i-vescovi/

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