ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 2 luglio 2015

Una mattina, si sveglieranno..? (oh belli ciao!)

“Contro i fanatici jihadisti, fare la guerra è legittimo. Dobbiamo difenderci”

Un anno di califfato nel libro del Patriarca di Baghdad

"La debolezza delle reazioni della comunità musulmana ufficiale è molto scioccante”
Roma. “La comunità internazionale deve intervenire per proteggere le minoranze, per liberare i loro villaggi e permettere agli sfollati di tornare a casa. I raid aerei condotti dalla comunità internazionale hanno forse frenato l’avanzata dei jihadisti in alcuni luoghi e permettono sicuramente di proteggere una zona come il Kurdistan iracheno. Ma ciò non basta”. Lo mette per iscritto, nel libro “Più forti del terrore. I cristiani del medio oriente e la violenza dell’Isis” (Editrice Missionaria Italiana, 144 pp., 13 euro), il patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphael I Sako.
“Lo Stato islamico si è adattato, si insinua e propaga nelle città, non si sposta più con una grande colonna di veicoli come aveva l’abitudine di fare”. Cosa fare, mar Sako lo dice subito dopo: “Se si vuole veramente sradicare questa organizzazione di fanatici, è necessario avere una forza via terra. In queste circostanze, fare la guerra è legittimo, lo stesso Papa Francesco l’ha ricordato. E’ legittima difesa!”. Ancora una volta, l’appello a muoversi in modo concreto e non teorico giunge dai presuli locali, che da un anno toccano con mano le conseguenze dell’avanzata dei miliziani jihadisti. E’ di ieri la conferma dell’uccisione in Siria di almeno venti drusi a opera dei ribelli del Fronte al-Nusra, legati ad al Qaida. Se Walid Jumblatt, tra le più note personalità di quella comunità, ha invitato alla calma e a non gettare benzina sul fuoco, definendo l’agguato come “un fatto isolato”, l’ex ministro libanese Wiam Wahhab ha esortato i drusi a formare una forza armata di autodifesa, dal momento che “non accetteremo di svendere il sangue dei drusi”. Sangue che è stato sparso anche in Nigeria: giovedì, un gruppo di miliziani di Boko Haram ha assaltato tre villaggi nello stato del Borno, assassinando almeno quarantatré civili.

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L’obiettivo del Califfato, a giudizio di Sako, è chiaro: “Vuole svuotare non solamente l’Iraq ma anche tutto il medio oriente dalla componente cristiana, che è molto importante. Il nostro problema – dice – è che qui siamo assimilati all’occidente. Molti musulmani pensano che è da qui che provengono tutti i loro mali”. Gli affiliati al Daesh, in particolare, “ritengono che i cristiani, con la loro libertà, con i loro costumi, siano fastidiosi. Si guardino le ragazze cristiane vestite in jeans e senza velo. Una giovane musulmana, secondo loro, non può vestirsi così. In questo presunto Califfato, una cristiana, libera, abbigliata diversamente, obbliga le altre giovani donne a porsi delle domande. I cristiani, con la loro diversità, seminano il dubbio”.

Un’avanzata a ogni modo ispirata da un’ideologia ben precisa: “E’ il risultato di un lavaggio del cervello. I suoi membri sono molto chiusi e si definiscono contro tutto il resto. Sono contro la cultura. Sono contro il pluralismo. Distruggono tutto, fanno tabula rasa. A Mosul, per esempio, hanno fatto saltare in aria le tombe dei profeti. Vogliono fare il loro Stato islamico a partire dal niente. La sharia che sostengono è per loro una legge divina. E’ nel nome di Dio che agiscono. E’ Dio che ordina loro di fare tutto ciò. E’ Dio la posta in gioco. Questo è terribile”. Il patriarca di Babilonia, da sempre fautore di un genuino dialogo interreligioso – “questa è la vocazione dei cristiani in Iraq, servire da ponte per la riconciliazione fra le comunità” – si rammarica per le “condanne un po’ timide” delle atrocità commesse dall’Is giunte dalle autorità religiose musulmane: incontrando l’ayatollah Sistani, la maggiore autorità sciita in Iraq, “gli ho chiesto di parlarne pubblicamente, di pubblicare una fatwa. Mi ha risposto: ‘Non mi ascolteranno, come i cristiani non ascoltano il Papa’. E’ molto gentile, ma si è messo un po’ fuorigioco”. Il fatto è che, aggiunge Sako, “tutti i musulmani dicono che l’Isis non rappresenta l’islam, che il Fronte al-Nusra non rappresenta l’islam, che al Qaida non rappresenta l’islam. Ed è vero, chiaramente. Ma queste ideologie perpetrano i loro crimini nel nome dell’islam e della sua purezza. E’ per questo che la debolezza delle reazioni della comunità musulmana ufficiale è molto scioccante”.
di Matteo Matzuzzi | 13 Giugno 2015 

L'Esercito americano paga i "ribelli" siriani fino a 400 dollari al mese. Il Pentagono

L'Esercito americano paga i ribelli siriani fino a 400 dollari al mese. Il Pentagono

..'ribelli' che 'misteriosamente' scompaiono dopo aver ricevuto una formazione militare dall'Esercito degli Stati Uniti


Quando i ricercatori come me riferisco che gli Stati Uniti finanziano Al Qaeda, Nusra, ISIS e le altre organizzazioni terroristiche collegate in Siria, non scherzano, scrive Brandon Tourbeville su ActivistPost.com. Eppure, nonostante il governo degli Stati Uniti abbia ammesso di aver finanziato i terroristi - direttamente e indirettamente, attraverso l'Arabia Saudita, la suggestione è stata accolta con incredulità, è stata ridicolizzata o del tutto ignorata.
Ora, però, il governo degli Stati Uniti ha ammesso che finanzia i terroristi sul terreno in Siria, ancora una volta, questa volta rivelando un importo individuale in dollari per "l'assistenza fornita".
Secondo il Pentagono, i "ribelli" siriani che Washington "addestra" e "controlla" stanno ricevendo una "compensazione"  che va dai 250 ai 400 dollari al mese per agire come forze delegate americane in Medio OrienteReuters riporta che i livelli di pagamento sono stati confermati dal Pentagono e anche che il Segretario alla Difesa Ashton Carter e Comandante della Marina Elissa Smith hanno ammesso separatamente il fatto che questi "nuovi" terroristi stanno ricevendo uno stipendio.
Reuters riferisce anche dei presunti ostacoli che il Pentagono afferma di trovarsi ad affrontare per quanto riguarda la capacità di formare i volontari delle squadre della morte a causa della mancanza di capacità di "controllarli" in modo appropriato e del bizzarro incidente che porta i combattenti ad abbandonare la missione dopo aver ricevuto una formazione dall'Esercito degli Stati Uniti. La ragione fornita dal Pentagono è che i combattenti non vogliono firmare un contratto nel quale accettano di non combattere Assad. Ma, nello stesso rapporto, il Pentagono afferma che non esiste tale contratto - si chiede loro solo di "rispettare i diritti umani" e "lo stato di diritto", e quindi il motivo della scomparsa di questi combattenti manca di legittimità. Si può solo speculare sul dove siano finiti questi "tirocinanti" scomparsi.
Naturalmente, "diritti umani" e "stato del diritto" non sono mai stati una reale preoccupazione quando gli Stati Uniti hanno finanziato, armato, addestrato e diretto gli jihadisti sul terreno fin dall'inizio della crisi siriana. Perchè i ribelli "moderati" non sono in realtà mai esistiti in Siria. Dopo tutto, è bene ricordare che proprio la Defense Intelligence Agency degli Usa è stata recentemente costretta a rilasciare e declassificare documenti che rivelano che non sologli Usa sapevano che la "ribellione" era composta da forze di al-Qaeda e Nusra ma che queste organizzazioni e gruppi simili tentavano di creare un "principato salafita" nella parte orientale della Siria e occidentale dell'Iraq. La documentazione della DIA mostra anche che gli Stati Uniti stavano sostenendo tutti questi sforzi. In realtà, naturalmente, gli Stati Uniti stavano dirigendo questi sforzi.
Non commettete errori, gli Stati Uniti non stanno finanziando "ribelli controllati moderati" per combattere ISIS o al-Qaeda. Gli Stati Uniti stanno finanziando i terroristi jihadisti e mercenari per lavorare al fianco dell'ISIS e al-Qaeda (se non sono già membri di queste organizzazioni) per rovesciare il governo laico di Bashar al-Assad. Praticamente ogni persona moderata in Siria da tempo sostiene il governo siriano. In effetti, non c'è mai stato un ribelle moderato in Siria per cominciare e la realtà sul terreno non è cambiata da allora.
Se le rivelazioni che gli Stati Uniti stanno finanziando un esercito mercenario per rovesciare Assad non è una novità, l'unica rivelazione contenuta in queste relazioni recenti è l'ammontare della quantita di denaro che questi terroristi stanno accettando per i loro servizi in nome di un ordine mondiale anglo-americano.

ALLAH, CHE SBALLO! – SEIFFEDINE REZGUI, IL KILLER DI SOUSSE, ERA SOTTO EFFETTO DI “CAPTAGON”, LA DROGA SINTETICA USATA DALL’ISIS PER COMPIERE LE PEGGIORI STRAGI – IN STATO DI BEATA EUFORIA SORRIDEVA ALLE SUE VITTIME, SCATTAVA FOTO E SI È FATTO TRANQUILLAMENTE AMMAZZARE

Gli investigatori tunisini sostengono che il ventitreenne studente di ingegneria fosse sotto effetto della “pozione magica”, a sostegno della tesi che fosse in contatto con il braccio armato libico dell’Isis…

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Elisabetta Rosaspina per il “Corriere della Sera

Né rabbia né paura: negli occhi di Seiffedine Rezgui, il massacratore di Sousse, in Tunisia, si leggeva una strana allegria, secondo i pochi testimoni che l’hanno visto bene in faccia, e hanno poi potuto anche raccontarlo. «Spostatevi, non sono qui per voi» diceva ai suoi connazionali, mentre mirava meticolosamente ai bagnanti stranieri sulla spiaggia di El Kantaoui. Senza fretta. 

Sorrideva, prima di sparare, alle sue prede terrorizzate. Ha ignorato le preghiere di una coppia anziana che, raggiunta nella piscina coperta del resort Riu Imperial Marhabat, lo supplicava di risparmiarla. 
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Era lucido? Forse no. Gli esami tossicologici condotti sui reperti prelevati dal suo cadavere forniranno presto una risposta definitiva ai sospetti della polizia e dei periti: prima di partire per la sua mattanza, venerdì scorso, Seiffedine si è imbottito di Captagon, la «pozione magica» dei combattenti islamisti, la droga che li aiuta a compiere le peggiori atrocità in uno stato di beata euforia. Come fosse un videogioco. 
seifeddine rezguiSEIFEDDINE REZGUI

La stampa tunisina ne sembra abbastanza convinta: non si capirebbe altrimenti quel suo modo di fare, le risate, e perfino le foto che, secondo qualche testimone, il 23enne studente d’ingegneria ha trovato il tempo e la voglia di scattare con un cellulare ai cadaveri di cui stava disseminando il lungomare e i vialetti dell’albergo. Trentotto morti, ormai tutti identificati: trenta britannici, tre irlandesi, due tedeschi, un belga, un portoghese e un russo. E trentasei feriti, in prevalenza europei. 
seifeddine rezgui spiaggiaSEIFEDDINE REZGUI SPIAGGIA

Quando ha deciso di averne abbastanza, o ha quasi esaurito le munizioni, è tornato di corsa sulla strada, dove si è incamminato tranquillamente, verso la scarica di proiettili della polizia che gli arrivava di fronte. «Era come un automa - insiste chi l’ha visto in azione e filmato -. Sordo a qualunque invocazione, lo sguardo perso nel vuoto, il sorriso fisso sulle labbra». Non ha reagito, scrive Le Temps , nemmeno quando un muratore, dal tetto di una delle case vicine alla spiaggia, gli ha tirato piastrelle e mattoni. 
STRAGE DI SOUSSE - SEIFEDDINE REZGUISTRAGE DI SOUSSE - SEIFEDDINE REZGUI

«Captagon», è la spiegazione fornita dagli investigatori, a sostegno della tesi che a manovrare il killer sia stato il braccio libico dell’Isis: quella «pozione magica» annulla la sensazione di stanchezza, fame, paura, dolore, sui campi di battaglia. E qualsiasi residuo di umanità nei tagliagole del califfo.
 

In Medio Oriente, solo Hezbollah difende i cristiani

Assad Nasrallah on Qalamoun
Traduco qui un reportage di Richard Labévière, redattore capo di prochetmoyen-orient.ch, che è andato sul terreno. Ossia sulla linea del fronte dove cinquemila combattenti Hezbollah difendono quotidianamente, a prezzo di sangue, la frontiera libanese di Ersal, lungo la Bekaa orientale, sia da La Nusra (Al Qaeda in Siria) sia dalla Stato Islamico del Califfo amico di McCain: due   gruppi criminali sostenuti dalle armi e addestramento americano e francese, e dai soldi di Ryad. Se Hezbollah cedesse, per i cristiani in Libano sarebbe finita,e avrebbero le nostre lacrime di coccodrillo.
Richard Labévière:
“Mentre fino ad ora i combattimenti che Hezbollah ha condotto sulla frontiera siro-libanese si concentravano contro il fronte Al Nusra nella regione di Qalamun, ultimamente è Daesh che ha fatto crescere la tensione nella regione, sferrando numerosi assalti contro le posizioni avanzate di Hezbollah.   Per la prima volta, le due formazioni si sono affrontate sui massicci (jurds) di Qaa e Ras Baalbeck, due zone cristiane dalla Bekaa settentrionale, a Nord di Ersal.
I combattenti Hezbollah hanno contrastato l’assalto jihadista lanciato dalla regione del Kahf, ad est dello jurd di Ras Baalbeck, prendendo di mira le posizioni di Qornet el Samarmar e Qornet al-Mazbaha. I combattimenti sono stati di estrema violenza, estendendosi fino alla regione di Naamate nel jurd di Qaa. Hezbollah hanno proseguito l’offensiva facendo numerose vittime fra i ranghi di Daesh, distruggendo cinque veicoli blindati dei terroristia Zouetiné e Jeb al-Jarad ed una rampa lanciarazzi a Qornet aal-Kaf.
“Uno degli ‘emiri’ di Daesh e parecchi suoi capi sono stati uccisi nel respingere una puntata offensiva a Ras Baalbeck: 14 corpi in mano a Hezbollah. Simultaneamente, Hezbollah ha neutralizzato una concentrazione di Daesh nello jurd di Ersal. Uno dei capi dello Stato Islamico nel Qalamun, il saudita Walid Abdel Mohsen al-Omari, è stato parimenti ucciso nel corso d i questo attacco, confermando il coinvolgimento dell’Arabia Saudita nelleopearzioni libano-siriane. Un altro contrattacco di Hezbollah, che ha avuto successo, è stato condotto a Chabet el-Mahbas, nello jurd di Ersal; anche qui con numerose vittime tra le fila terroriste, in quanto è stata minata la linea di cresta di Ras Baalbeck.
Hezbollah piange la morte di sei dei suoi combattenti. Ma, come ha detto Ali Mokdad, il deputato di Baalbeck-Hermel, “gli abitanti della regione di Qaa e Ras Baalbeck sono ormai rassicurati sulle capacità difensive della Resistenza. Dopo questi contrattacchi, sono certi che Hezbollah è perfettamente in grado di respingere l’infiltrazione dei terroristi sul territorio libanese. La maggior parte degli abitanti di Ersal sa che queste vittorie sono vittorie della popolazione libanese nell suo insieme, non solo della regione della Bekaa”.
“In coordinamento con Hezbollah, l’Armata Libanese ha rafforzato il suo spiegamento attorno a Ersal. Elicotteri sono stati impegnati contro i jihadisti nello jurd di Ras Baalbeck e molte unità delle forze speciali libanesi hanno preso pisizione nel Qaa. Padre Elian Nasrallah ha confermato i risultati di questo coordinamento, sottolineando che i combattenti sciiti evitano di investire le colalità per non prestare il fianco alle critiche ricorrenti della destra libanese (il campo detto del14 Marzo) che accusano l’organizzazione di condurre una ‘guerra comunitaria’. In questo contesto, Samir Geagea, che presiede le Forze Libanesi (FL) alleate di Israele e dell’Arabia Saudita ha osato esprimere “il suo sostegno totale all’armata libanese” aggiungendo: “Se ciascuno desse  libero corso ai suoi propri piani il paese affonderebbe nel caos…Siamo uno stato o no?”. Recidivo, ha affermato a più riprese che Daesh e Nosra non rappresentano una minaccia reale per la sovranità del Libano!

 Il “cristiano”   Geagea

(Nota: Samir Geagea l’ho conosciuto,  è un “cristiano” maronita, un vero gangster, coltivatore di papavero,  assassino e mandante di assassini anche di bambini. La sua Falange è quella che per mandato di Sharon ha compito la strage di Sabra e Chatila, ed è la più brutale e spietata ddelle formazioni armate del Libano. Ovviamente,  non stupisce sapere che nell’attuale guerra è schierato contro Hezbollah, contro l’Iran e per gli americani e gli israeliani. Fa’ parte della formazione 14 Marzo con il leader dei sunnita Said Hariri e coi soldi sauditi)
Ridò la parola a Labévière:
“Conoscendo la condizione di strutturale di insufficiente equipaggiamento dell’Armata Libanese, di cui Washington e Tel Aviv non vogliono sufficientemente dotata   di mezzi operativi autonomi, tutti gli esperti militari seri riconoscono che è Hezbollah a reggere il maggior peso della difesa del territorio libanese contro i terroristi jihadisti.
“Va qui notata la strana incoerenza delle scelte strategiche americane e francesi. Da una parte un drone Usa ha ammazzato Nasser el-Wahichi – il capo di Al-Qaïda in Yémen – dall’altra i servizi americani continuano il loro appoggio logistico alle unità di Al Qaeda (al Nusra) impegnate contro al Siria e il Libano…i sognori Hollande e Fabius non sono da meno: continuano ad armare e fornire intelligence ai terroristid i Nusra che minacciano Damasco e Homs. Mengtre gli americanio gestiscono la cosa caso per caso, in funzione del loro negoziato sull’avvenire nucleare dell’uran, Parigi è più chiara: stare al sedere del nuovo re saudita Salman e per assicurarsi i grossi contratti commerciali in corso (35 miliardi di euro) anche  anche con gli altri petrilieri del Golfo, Qatar e Emirati, che hanno onorato la fattura della vendita dei cacciaRafale...all’Egitto)”.
(Nota: e noi italiani, per obbedire alla NATO e Washington,  di miliardi di contratti ne abbiamo perso. A decine).
Labévière:
“Questa brillante diplomazia economica detta ufficialmente “sunnita”, tanto vantata da Laurent Fabius, potrebbe alla lunga, costare molto cara alla France éternelle. Non solo le monarchie petroliere wahabite continuano a finanziare i ruppi terroristi che uccidono soldati francesi nel Sahel (sai che gliene importa, ndr.), non solo Riyad, Doha ed altri Emirati continuano a finanziarie i salafiti attivissimi nelle banlieues francesi, ma la campagna militare sferrata dai sauditi nello Yemen potrebbe rivelarsi catastrofica per la stabilità interna di quella stessa monarchia petroliera”.
(..) “Continuando a negare il ruolo difensivo insostituibile di Hezbollah per l’integrità de Libano, continuano a volerd istruggere Bashar Assad invece che Nusra e Daesh, Parigi ha decio si coinvolgersi come parte nei conflitti orientali. Così rompendo i quarant’anni di diplomazia gaullista equilibrata, mediatrice e di buoni offici,   si sono assunti una pesante responsabilità”.
Richard Labévière

Qui aggiungo una mia annotazione: i cristiani libanesi dei villaggi e Hezbollah stanno combattendo a fianco a fianco, per la stessa causa. E questa è una vera guerra durissima, dove le capacità dei combattenti dei due schieramenti si affinano e si fanno più dure. Anche l’armata siriana si batte senza risparmio contro le bestie mandate da Usraele e Saudia… Mentre noi ci facciamo ogni giorno più imbelli, piagnucolosi e tremebondi, falsi e bugiardi, là si combatte e si fa’ la storia. Si formano i caretteri e le discipline del futuro. Un futuro che subiremo, noi, tremando di fronte ai vincitori, quali che siano.
Io spero, prego che sia Hezbollah. Che sia l’esercito siriano. Che Dio li aiuti. E che i suoi morti, i suoi martiri, siano accolti nel paradiso del vero Combattimento.
  
PS: – Illustro questo pezzo con foto dal sito Palaestina Felix. Sono i commandos della Forza Tigre siriana che si battono per riconquistare Palmira, sono i volontari iracheni che hanno Syrian Inf Rush
appena eliminato 27 terroristi jihadisti a Fallujah…dove e chi, non importa; voi, noi, non ci siamo in questa guerra –se non come dei Giuda che aiutano di sottobanco i nemici di questi combattenti. Guardate le loro facce. Guardate come imbracciano le armi. Più la guerra dura, più si induriscono e si fanno bravi.   Magari un giorno verranno qui. Ma non come “immigrati” da sfamare.  E noi imbelli, cosa faremo?
 iraki volunteers on pickup

Davanti al genocidio di cristiani, più del dialogo potranno le bombe

La svolta vaticana sulla guerra giusta: “Se non c’è accordo politico, l’uso della forza sarà necessario”
di Matteo Matzuzzi | 16 Marzo 2015 

Mons. Silvano Tomasi (foto LaPresse)
Roma. L’osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, mons. Silvano Tomasi, ha messo sul tavolo l’opzione della guerra giusta per estirpare dal vicino oriente e dalle metastasi nordafricane il Califfato retto da Abu Bakr al Baghdadi. “Dobbiamo fermare questo tipo di genocidio, altrimenti un domani ci chiederemo a gran voce perché non ci siamo mossi, perché abbiamo permesso che accadesse una simile terribile tragedia”. Il dialogo, ça va sans dire, rimane l’opzione privilegiata. Ma quando l’interlocutore risponde con crocifissioni, decapitazioni, mutilazioni e roghi umani, bisogna valutare le altre soluzioni. “Quel che serve è una coalizione coordinata e ben organizzata che faccia il possibile per raggiungere un accordo politico senza violenza. Ma se questo non è possibile, l’uso della forza sarà necessario”, ha detto il prelato al portale americano Crux, che non a caso parla di “un insolitamente schietto avallo a un’azione militare”. Il tutto, ha aggiunto Tomasi, dovrà avvenire “sotto l’egida delle Nazioni Unite” e dovrà “includere gli stati musulmani del medio oriente”, perché è bene evitare “un approccio occidentale”. Le parole del presule fanno seguito alla dichiarazione congiunta presentata al Consiglio dei diritti umani di Ginevra da Santa Sede, Russia, Libano e sottoscritta da quasi settanta paesi, in cui si afferma la necessità di “sostenere la radicata presenza storica dei cristiani e di tutte le comunità etniche e religiose del medio oriente di fronte alla minaccia terroristica”. Mai, prima d’ora, uno specifico documento per la difesa dei cristiani era stato portato all’attenzione dell’organismo onusiano.

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Lo scorso 11 marzo, poi, tenendo una lectio magistralis all’Università Gregoriana, il cardinale Parolin aveva chiarito che “nel disarmare l’aggressore per proteggere persone e comunità non si tratta di escludere l’extrema ratio della legittima difesa, ma di considerarla tale e soprattutto attuarla solo se è chiaro il risultato che si vuole raggiungere e si hanno effettive probabilità di riuscita”. Dopotutto, ricordava mons. Tomasi, l’azione militare internazionale in difesa delle minoranze “è una dottrina che è stata sviluppata sia in seno all’Onu sia nella dottrina sociale della chiesa cattolica”. E’ il ritorno in auge del principio della “responsabilità di proteggere”, il principio sviluppato da Benedetto XVI davanti all’Assemblea generale del Palazzo di vetro, nell’aprile del 2008: se uno stato non è in grado di proteggere i propri cittadini da forme di terrorismo, la comunità internazionale ha il dovere di intervenire. “Capisco che questa sia una dottrina controversa, tanto che alcuni paesi vi si sono opposti fermamente, ma è un principio fondamentale”, diceva a questo giornale il 6 marzo scorso padre Richard Ryscavage, gesuita, sociologo e docente di Studi internazionali alla Fairfield University, nel Connecticut: “Si sta tentando di spazzare via i cristiani dalla loro terra”, e “non dobbiamo dimenticare che il male su questa Terra esiste e può infettare le persone”. “Quando ciò accade, il dialogo e la pace sono impossibili, senza una qualche forma di intervento militare,” aveva aggiunto. Ipotesi che comunque neanche il Papa – che domenica ha parlato a braccio di “persecuzione dei cristiani che il mondo tenta di nascondere” – aveva escluso, sebbene avesse precisato nel corso di una conferenza stampa aerea che “fermare l’aggressore ingiusto non vuol dire bombardare o fare la guerra”. Già la scorsa estate, il rappresentante diplomatico della Santa Sede a Ginevra aveva parlato di “azione militare forse necessaria”, osservando che nella piana di Ninive “le persone vengono decapitate a causa della loro fede, le donne sono violentate senza pietà e vendute come schiave al mercato, i bambini sono costretti a combattere, i prigionieri massacrati in barba a ogni legge”.

Quella brigata cristiana dell'esercito di Hezbollah

Cristiani e musulmani di confessione sciita e sunnita sono da mesi uniti contro i gruppi takfiri (apostati dell’Islam) dell’Isis e di Al Nusra


Cristiani e musulmani di confessione sciita e sunnita sono da mesi uniti contro i gruppi takfiri (apostati dell’Islam) dell’Isis e di Al Nusra.







Da mesi nella regione montuosa di Qalamun, situata tra il Libano e la Siria, si consuma una guerra strategica di vitale importanza per i due schieramenti. L’area rappresenta, infatti, un’indispensabile fonte di approvvigionamento dei ribelli poiché, varcato il confine libanese, sorge la città di Arsal che oltre a offrire rifugio ai miliziani jihadisti, consente il traffico di armi, uomini, e alimenti. Un paio di settimane fa il conflitto si è fermato nel piccolo villaggio siriano di Maalula, situato a 56 chilometri a nord-est di Damasco, dove l’alfabeto aramaico si intreccia con le preghiere cristiane di rito melchita. La cittadina è stata liberata un paio di settimane fa dalle milizie della brigata “Abu al Fazl Al Abbas” appartenenti ad Hezbollah, braccio militare del partito libanese sciita guidato da Hassan Nasrallah.

Ci sono in particolare delle immagini che raccontano lo spirito del popolo e l’etica della guerra contro la violenza dei gruppi legati al fondamentalismo dello Stato Islamico. Appena dopo la liberazione della città, tra le rovine dei santuari e dei monasteri, un soldato sciita di Hezbollah (che in arabo significa “Il partito di Dio”) entra nella chiesa principale, e, inizia a suonare le campane in segno di vittoria. I cristiani di Maalula possono tornare a pregare. Intanto, i residenti e la popolazione civile delle città limitrofe, si sono precipitate nelle strade tra le bandiere siriane issate dai vincitori ad ogni incrocio. Da lontano un pick-up nero si avvicina rumoroso seguito da altre automobili. Sono i soldati che trasportano la statua della Vergine Maria che prima dell’arrivo dei jihadisti era in cima alla montagna, a più di 1500 metri, affacciata sul villaggio. Dopo aver suonato le campane, i miliziani sciiti di Hezbollah, restituiscono il simbolo della cristianità agli abitanti di Maalula. È l’incontro di civiltà nella Siria laica e multi-confessionale assediata dai takfiri.

Secondo l’agenzia libanese Al Manar sono molti i cristiani che avrebbero deciso di unirsi a un battaglione sostenuto, addestrato e finanziato dalle milizie sciite di Hezbollah, per combattere nella regione di Qalamun ed eventualmente a difesa di Damasco qualora i gruppi terroristici dovessero lanciare entro settembre l’operazione “Tempesta del Sud”. In realtà non stupisce la scelta dei cristiani d’Oriente. Nel Paese dei Cedri il “Partito di Dio” sciita, ha conquistato la fiducia della popolazione a partire dalla sua progressiva “libanesizzazione” a seguito dell’alleanza sacra e trans- confessionale tra il cristiano-maronita Michel Aoun e lo sciita Hassan Nasrallah – rispettivamente a capo della Corrente Patriottica Libera e di Hezbollah – che, dando grande prova di maturità politica hanno posto l’unità del Libano al di sopra delle fazioni, dell’individuo, delle comunità, delle religioni e delle ideologie legate al passato. Da gruppo resistente (“terrorista e violento” secondo gli Stati Uniti e l’Unione Europea che l’hanno iscritto nella lista dei gruppi terroristici del globo) Hezbollah si è aperto ai non-sciiti diventando con il passare del tempo il difensore di un intero Paese, il Libano, oltre che della regione mediorientale. A seguito dell’“accordo di Doha” con il generale Aoun, dal quale è nata la coalizione di governo chiamata “Raggruppamento dell’8 marzo”, il “Partito di Dio” ha conservato le sue armi – le milizie sono infatti riconosciute dal governo libanese al pari dell’esercito regolare - a patto di modernizzare la sua dottrina. Abbandonata definitivamente la volontà di attuare la rivoluzione islamica sul modello khomeinista, il leader Hassan Nasrallah ha aperto ormai da qualche anno le sue file anche ai volontari non-sciiti. La liberazione di Maalula, cristianissimo villaggio siriano, ne è la conferma.

Il Califfato è diventato magmatico. Ecco perché bisogna colpirlo presto
I tentativi di espansione in nord Africa andranno colpiti in maniera durissima, così da dissuadere la vera leadership del Califfato dalla ripetizione dell’espansione della Fratellanza Musulmana
di Gianni Castellaneta | 01 Luglio 2015 

Un campo di addestramento dello Stato islamico in Libia
Attenzione a non fare di tutti i terrorismi un fascio, verrebbe da dire. Di fronte allo spettacolo macabro di teste mozzate e bagnanti crivellati di colpi sul bagnasciuga, è evidente che non sia facile operare distinzioni all’interno dell’universo islamista. Eppure, nonostante il carosello di sigle e rivendicazioni che caratterizzano mondi volutamente opachi, di differenze tra il Califfato dell’Is e la stessa Al Qaida ne corrono eccome, e la concorrenza è particolarmente feroce. Il taccuino della feluca segnala che una conferma a questa ipotesi arriva spostando lo sguardo verso oriente e contemplando lo scontro di crescente intensità tra i talebani – a lungo porto sicuro per Bin Laden e la sua al Qaida – e lo Is, con i primi arroccati nel nord e i secondi che controllano ampie porzioni del sud.

ARTICOLI CORRELATI Cosa sta succedendo dentro ai Fratelli musulmani in Egitto Dal Welfare al Califfato. Così l’Isis usa lo stato sociale per il jihad “Fermare i terroristi impuniti” Sì, guerra di civiltàDiversa anche la conformazione delle due organizzazioni. Al Qaida, dopo le offensive a stelle e strisce avvenute all’indomani dell’11 settembre, ha dovuto accantonare pretese statuali e movimenta un vasto network globale di cellule dormienti, che tuttavia hanno natura “sovra-strutturale”. Il Califfato sembra rispondere a una logica diversa. Nato come start-up terroristica di ultima generazione, e dunque caratterizzato da una forte capacità di mediatizzazione delle proprie “imprese”, ha fin dall’inizio dato segno di volersi concentrare geograficamente nella regione mesopotamica e di volersi dare un assetto statale. Non è facile seguire un processo di questo tipo (da movimento a corpus di istituzioni), i cui precedenti storici in genere si dipanano su archi di tempo considerevolmente più lunghi. L’enorme compressione temporale è forse l’elemento che balza all’occhio: il Califfato è forse quello che il futurologo della Singularity University Salim Ismail chiama “exponential organization”, cioè caratterizzato da una crescita iperbolica e non solo lineare? Di certo c’è l’interesse di numerosi attori geopolitici a matrice sunnita – Sauditi e Turchia in particolare – a favorire un cuneo statale mesopotamico e sunnita come “stopper” all’espansione sciita in atto dopo le aperture del presidente americano Barack Obama verso Teheran. Questo spiega anche la relativa facilità del Califfato di esportare petrolio fin dalle primissime fasi della sua affermazione tra Siria e Iraq.

E’ possibile immaginare il Califfato in futuro come organizzazione statuale? Oggi la risposta è no, ma la domanda va declinata al futuro e tenendo a mente la tempistica. Mentre al Qaida persegue una strategia distruttiva estemporanea e sotterranea, il Califfato in questa fase appare magmatico. Molto dipenderà da due fattori: a) dalla sua capacità di evolvere verso una forma-Stato organizzata in maniera tradizionale; b) dalla sua rinuncia a una pretesa universalistica, e dunque dalla concentrazione nella sola area mesopotamica. Tentativi di espansione in nord Africa andranno colpiti in maniera durissima, così da dissuadere la vera leadership del Califfato dalla ripetizione dell’espansione della Fratellanza Musulmana. Che, ricordiamolo, fu così repentina e pericolosa da consentire il ritorno dei militari in Egitto e da alienare il “tesoretto” di simpatie di cui ha goduto a lungo il Fratello Turco Tayyip Erdogan in occidente.

Il califfo si avvicina al più antico monastero iracheno dove si prega ancora in aramaico

di Matteo Matzuzzi | 03 Giugno 2015 

Roma. Nell’antico monastero di San Matteo, da milleseicento anni arroccato sulle alture che dominano Mosul, si continua a pregare nella lingua di Cristo, l’aramaico, mentre s’attende l’arrivo degli sgherri barbuti del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Le bandiere nere sono a quattro chilometri di distanza, le si scorge in lontananza. Nel complesso retto dalla chiesa siriaca e fondato nel 361 dall’eremita Matteo, scampato alle persecuzioni di Giuliano l’apostata, sono rimasti solo tre monaci e sei studenti. Erano un migliaio prima che l’Iraq piombasse nel caos. Gli ultimi se ne sono andati quando – era l’estate scorsa – sulle case dei cristiani, venti chilometri più a valle, venivano dipinte le “N” di nazara, nazareno, e ai proprietari legittimi era chiesto di convertirsi all’islam o di sloggiare senza portarsi nulla dietro, neanche i documenti.

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Nel monastero, che per mesi è servito come rifugio per cristiani e yazidi in fuga, hanno già messo in salvo i reperti più preziosi: i libri dell’antica biblioteca sono stati trasferiti a Erbil, così come le reliquie del santo eremita fondatore, portate in un luogo sicuro. Meglio evitare che la tomba faccia la stessa fine toccata a quella del profeta Giona, presa a colpi di piccozza insieme alle statue della Vergine, fatte a pezzi nelle chiese della piana. Solo a marzo, con tanto di corredo fotografico subito pubblicato online, gli attendenti del Califfano avevano proceduto a sventrare un altro antico monastero della regione, quello di Mar Behman a Qaraqosh: croci divelte e rimosse dalla facciata dell’edificio, campane gettate a terra, tombe profanate, celle dei monaci e cortili interni usati come stanze di tortura, prigioni e centri di assembramento e smistamento. Davanti al pericolo incombente, l’arcivescovo greco melkita di Aleppo, Jean-Clement Jeanbart, si è rivolto ancora una volta alla silente comunità internazionale: “Lo Stato islamico, che ha già assassinato migliaia di persone nella regione, sta terrorizzando i fedeli ad Aleppo. Dopo gli attacchi a Maloula, Mosul, Idlib e Palmira, costa aspetta l’occidente a intervenire? Che cosa stanno attendendo, i grandi paesi, per porre un freno a queste mostruosità?”.

“Fermare i terroristi impuniti”

La chiesa copta ortodossa egiziana si schiera con l'esercito impegnato "contro le forze del male"
di Matteo Matzuzzi | 02 Luglio 2015 

"Negli ultimi due anni, l'82 per cento delle vittime di terrorismo proviene da Iraq, Afghanistan, Pakistan, Nigeria e Siria"
All’Onu la diplomazia vaticana abbandona (finalmente) gli eufemismi sugli islamisti anti minoranze. "Se gli stati non affronteranno rapidamente le cause del terrorismo, questa situazione continuerà e peggiorerà" - di Matteo Matzuzzi

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