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venerdì 14 agosto 2015

Malleus maleficarum

IL "MALLEUS MALEFICARUM"

    Il «Malleus maleficarum» è l’espressione di una cultura antifemminista? Sprenger e Kramer erano due frati domenicani tedeschi che nel 1486 pubblicarono il più famoso trattato ad uso pratico per gli inquisitori
di Francesco Lamendola


Il «Malleus maleficarum» è l’espressione di una cultura antifemminista?

di

Francesco Lamendola


Jakob Sprenger ed Heinrich Institor Kramer erano due frati domenicani tedeschi che, nel 1486, pubblicarono quello che è passato alla storia come il più famoso trattato ad uso pratico per gli inquisitori impegnati nei processi per la repressione della stregoneria e del satanismo: il «Malleus maleficarum» (ovvero: il «Martello delle streghe»).
Due anni prima, il 5 dicembre 1484, il papa Innocenzo VIII aveva emanato la Bolla «Summis desiderantes affectibus» («Desiderando con supremo ardore»), con la quale esprimeva la sua ferma volontà di sradicare l’eresia e la stregoneria dalla Valle del Reno e affidava ai due frati inquisitori ampi poteri per agire sia in quella regione, sia nel resto della Germania. In pratica, il pontefice confermava i risultati di una indagine precedentemente affidata a Sprenger e Kramer, secondi i quali l’eresia e la stregoneria si erano ampiamente diffuse nei vescovati di Salisburgo, Treviri, Colonia, Magonza e Brema; incaricava i due frati di procedere nella repressione con la massima energia; minacciava la scomunica nei confronti di chiunque (evidentemente, i conti e i vescovi-conti interessati) avesse osato ostacolarli nella loro azione.
Non sta a noi giudicare - e comunque, non è questa la sede adatta - se l’indagine di Sprenger e Kramer, la bolla pontificia e la successiva azione repressiva, fossero impostate correttamente, tanto dal lato giuridico e legale, quanto da quello teologico e religioso; meno ancora, se i timori della Chiesa cattolica circa la pericolosità di un specie di movimento stregonesco organizzato, avessero un qualche fondamento reale, o non fossero semplicemente percepiti come reali, pur senza esserlo (un po’, se ci è lecita questa analogia, come il fenomeno della “Grande Paura”, in Francia, l’anno 1789: una generale agitazione delle campagne francesi che nasceva da notizie confuse e contraddittorie, ma che contribuì a generare una serie di sollevazioni rurali confluite, poi, nel più vasto e generale moto della Rivoluzione). Quel che volgiamo fare, in questa sede, è una riflessione molto più modesta, e di portata assai più limitata: cioè vedere se il «Malleus maleficarum» sia l’espressione di una cultura fortemente caratterizzata in senso antifemminista, come generalmente vien detto dalla cultura politicamente corretta, sia in ambito strettamente storico, sia in quello sociologico e antropologico; e se, più in generale, dietro i processi contro le streghe, nell’Europa del XV, XVI e XVII secolo gli atteggiamenti e gli umori antifemministi abbiano avuto un ruolo determinante, come di solito si dice, e se la cultura “ufficiale” di quei tre secoli, a cominciare da quella religiosa, abbia contribuito a tutto ciò.
Institor e Sprenger, gli autori del celeberrimo «Malleus maleficarum», I, 6, spiegano perché si trovino in maggior numero donne superstiziose che uomini, e, pertanto, più streghe che stregoni (da: Franco Gaeta e Pasquale Villani, «Documenti e testimonianze. I grandi problemi della storia medioevale e moderna nei testi originali e nelle interpretazioni critiche», Milano, Principato, 1988, vol. 1, pp. 534-538):

«[…] Perché tra il sesso così fragile delle donne si trovano streghe in maggior numero che tra gli uomini… non vale neppure la pena portare degli argomenti contrari dal momento che l’esperienza stessa, oltre che la testimonianza di parole e di persone degne di fede, rende credibili tali cose. Diciamo, senza disprezzare un sesso per il quale Dio per la nostra confusione ha sempre compito grandi opere di potenza, che a questo proposito ragioni diverse sono portate da persone diverse. […] Alcuni dotti danno questa spiegazione: dicono che in natura ci sono tre realtà: la lingua, l’ecclesiastico e la donna, le quali non sanno conservare il giusto mezzo nel bene e nel male, e, quando oltrepassano i limiti della propria condizione, raggiungono punte estreme. Nella bontà, quando sono dirette da uno spirito buono, sono sublimi; nella malizia, poi, quando le guida uno spirito malvagio, divengono pessime. Della malizia delle donne si tratta nell’”Ecclesiastico” (25, 22-23): “Non c’è peggior veleno del serpente, non c’è odio peggiore di quello di una donna. Preferirei dimorare con un leone o un drago piuttosto che con una donna malvagia”. E, tra le molte altre cose che seguono e che precedono queste a proposito della malvagità della donna, conclude (25, 26): “Ogni malizia è poca cosa se paragonata a quella della donna”. Per cui Crisostomo, commentando Matteo, 19, 10: “Che altro è la donna se non un nemico dell’amicizia, una punizione inevitabile, un male necessario, una tentazione naturale, una calamità desiderabile, un pericolo domestico, un danno dilettevole, un malanno di natura dipinto di buoni colori? Perciò, se ripudiarla è peccato quando si dovrebbe tenersela accanto, allora il nostro tormento è inevitabile: o la ripudiamo commettendo adulterio, o abbiamo lotte quotidiane”. Anche Tullio (Cicerone) infatti, ci dice nella sua “Retorica” (IV, 16, 23): “Gli uomini, molte cupidigie spingono ad un qualche maleficio; le donne, un’unica cupidigia porta a tutti i malefici; il fondamento di tutti i vizi delle donne è nell’avidità”. E Seneca nelle sue tragedie: “Una donna o ama o odia, non ha una via di mezzo. Il pianto della donna è menzogna. Negli occhi della donna vi sono due tipi di lacrime:, le une provocate dal vero dolore, le altre indotte dalla scaltrezza. Una donna che pensa sola, pensa a cose cattive”. Altri attribuiscono ad altri motivi ancora il fatto che della superstizione sia preda un numero molto maggiore di donne che di uomini. Il primo è che sono molto più credule, e poiché il Demonio cerca soprattutto di corrompere la fede, egli le attacca per prime. Da cui l’”Ecclesiastico”, 19, 4: “Chi si mostra credulo, mostra il suo debole carattere”. La seconda ragione è che le donne sono più impressionabili per natura e più pronte ad accettare gli influssi degli spiriti separati. Per cui accade che, quando esse fanno buon uso di questa loro attitudine, sono buonissime; in caso contrario, sono pessime. Infine, la terza causa è che esse hanno una lingua immonda e tutto ciò che apprendono nelle arti magiche, lo possono a stento tenere nascosto alle loro amiche e compagne; e dal momento poi che sono deboli per natura, cercano un mezzo di vendetta più facile e segreto per mezzo di malefici.[…]
Ma poiché ai nostri giorni la perfidia si riscontra più spesso nelle donne che negli uomini, come l’esperienza ci insegna, noi, cercando di stabilirne meglio la causa, possiamo affermare, completando quello che è stato detto: poiché esse mancano di forze sia nell’anima che nel corpo, non c’è da meravigliarsi se cercano di stregare chi odiano. In quanto all’intelligenza e alla comprensione delle cose spirituali, esse sembrano appartenere ad una natura diversa da quella degli uomini: è un dato comprovato dall’autorità e dalla ragione, e che trova molti esempi nella Scrittura. Terenzio dice: “Le donne sono da paragonarsi a dei bambini per l’inconsistenza del pensiero” (“Ecira”, III, 1). E Lattanzio nelle sue “Istituzioni” (III, 25): “Eccetto Temesti, forse che una sola donna ha appreso la filosofia?” E il libro dei “Proverbi” (11, 22), a mo’ di descrizione della donna, dice: “Una donna bella e fatua è come un anello d’oro alle narici di un porco”. In realtà la ragione naturale consiste nel fatto che è più carnale dell’uomo: lo si vede dalle sue molte perversioni. D’altra parte c’è come un difetto di origine nella creazione della prima donna, poiché è stata fatta con una costola curva, una di quelle del busto, ritorta e come opposta all’uomo. E da questo difetto deriva che, essendo un animale imperfetto, essa inganna. […] In quanto ad un altro potere dell’anima, cioè la volontà naturale, quando una donna odia colui che prima aveva amato, allora brucia di colera e di impazienza; come le onde del mare sono in tumulto e in continuo movimento, così ella è completamente in preda al furore. Molti autori fanno cenno a questa caratteristica.  […]
Nello stesso modo in cui, a causa del loro primo difetto, quello dell’intelligenza, sono portate a rinnegare la fede con più facilità, così, a causa del secondo, cioè il disordine degli affetti e delle passioni, le donne cercano, escogitano e infliggono i più diversi tipi di vendette, sia per mezzo di malefici, sia con ogni altro mezzo. Per cui non è affatto stupefacente che esistano tante streghe fra le donne. […]  Concludendo: tutte queste cose hanno origine nella cupidigia carnale, che nelle donne è insaziabile. Come dice il libro dei “Proverbi”, 30, 16: “Vi sono tre cose insaziabili ecc. e una quarta che non dice mai basta: la bocca dell’utero, il grembo sterile, la terra mai sazia e il fuoco che mai dice basta”. Per cui esse, per soddisfare le loro passioni, si agitano insieme ai demoni. Si potrebbe aggiungere molto di più, ma alla persona intelligente sarà abbastanza chiaro che non c’è nulla di stupefacente nel fatto che tra le streghe vi siano più donne che uomini. Per cui è conseguenza inevitabile chiamare questa un’eresia non di stregoni ma di streghe, perché il nome deriva dalla parte che vi prevale. E sia benedetto l’Altissimo che fino ad oggi risparmia il sesso maschile da un simile flagello; Lui, che in questo sesso ha voluto nascere e soffrire, gli ha voluto concedere questo privilegio.»

Queste affermazioni, ed altre dello stesso tenore, che abbiamo tralasciato, farebbero pensare che, sì, Sprenger e Kramer partivano da premesse ideologiche fortemente improntate ad una visione maschilista e antifemminista, e, pertanto, essi, e tutti gli inquisitori, che, in seguito, si rifecero al «Malleus maleficarum», erano condizionati da un pesante preconcetto misogino. E tuttavia, guardiamoci dalle facili e troppo affrettate conclusioni, e domandiamoci: è proprio così?
La prima osservazione che ci sentiamo di poter fare, è addirittura banale nella sua evidenza: le idee espresse da Sprenger e Kramer non sono antifemministe (con buona pace di autori come Franco Gaeta e Pasquale Villani, i quali come tali le presentano), per il semplice fatto che il femminismo non esisteva, dato che mancavano almeno tre secoli ai suoi primissimi inizi. Pertanto, presentare come antifemminista quelle idee, significa commettere un anacronismo deliberato: pretendere di giudicare un paradigma culturale, a partire da un altro paradigma culturale affermatosi tre o quattro secoli dopo.
Qui non si tratta, evidentemente, di stabilire quanto di vero o di falso ci sia nella letteratura cosiddetta misogina, sia dell’epoca greca e latina, sia del canone biblico e nella patristica. In fondo, dire “misoginia” vuol dire tutto e niente: anche questa è una parola di matrice ideologica, almeno nel modo in cui viene adoperata nell’ambito culturale odierno, vale a dire secondo gli standard del politicamente corretto. Si sottintende, cioè, che la donna possiede lo stesso livello di intelligenza, di fermezza di carattere, di equilibrio interiore, di disinteresse e capacità di amicizia, che possiede l’uomo; e se ne deduce che chiunque ponga in dubbio anche una sola di queste asserzioni, o è in mala fede, o è vittima di un lavaggio del cervello. Anche qui, si pretende di imporre un anacronismo: perché l’uomo antico, l’uomo medievale e l’uomo rinascimentale avevano una cosa in comune fra loro: la ferma convinzione che, alle affermazioni di cui sopra, si potesse e si dovesse rispondere con altrettanti dinieghi: no, la donna non possiede altrettanta intelligenza, né la stessa fermezza di carattere dell’uomo, e così via. E la stessa cosa pensava la donna di se stessa; questo possiamo affermarlo non a casaccio, ma ascoltando le precise parole di quelle donne che, specialmente nel Medioevo, possedevano i requisiti per esprimere una opinione libera e ponderata: le religiose, le mistiche, le spirituali. Esse non negavano queste debolezze e questi difetti della natura femminile; d’altra parte, facevano leva su altre doti, che nessun uomo osava mettere in dubbio: prima fra tutte, quella dolcezza e sublimità che spinsero Maria a rispondere “fiat” alla chiamata divina, e che tante di esse si sforzavano di imitare.
L’idea che la donna sia pari all’uomo, in tutto e per tutto, è un’idea moderna: e può essere considerata giusta o sbagliata, secondo i punti di vista; di certo, non è vera per il fatto di essere “moderna”, perché anche la modernità corrisponde a una determinata fase storica, che i posteri chiameranno “antica”. Quanto alla stregoneria, era convinzione generale, sia delle persone colte che delle incolte, che esistesse, e che vi fossero numerose persone che la praticavano, con intenzione malvagia e con effetti esiziali per i singoli e per le comunità. Era anche convinzione comune che le streghe fossero più numerose degli stregoni; e ciò per la ragione che le donne sono, appunto – e qui il cerchio si chiude – più credule, più fragili e più facilmente dominate da passioni violente e disordinate. Queste idee, uomini come Sprenger e Kramer non se le sono inventate: le trovavano espresse nella Bibbia, nei Padri, ma anche in Cicerone, Terenzio, Seneca. Possono piacere o non piacere: tuttavia erano quelle, e non altre. Di certo, non erano quelle che certi studiosi odierni,  progressisti e femministi, forzando il senso del divenire storico, avrebbero preferito che vi fossero...

Francesco Lamendola

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