Sorrentino in Tv. Ogni riferimento a Bergoglio è puramente casuale?
Il premio Oscar Paolo Sorrentino si sta per cimentare con una nuova impresa cinematografica ambientata, niente meno che nei “sacri palazzi”.
Sì, avete capito bene, dopo Nanni Moretti con il successo di “Habemus Papam”, anche Sorrentino entra in Vaticano. Non un vero e proprio film, ma una serie televisiva prodotta da Sky in otto episodi dal titolo “The Young Pope”. La trama è più che mai intrigante, visto che tratta il difficile inizio di pontificato di un fantomatico papa Pio XIII (nome che pare avesse voluto scegliere Albino Luciani, il papa dei 33 giorni, poi sconsigliato a farlo per il timore di essere tacciato di anticonciliarismo) interpretato da Jude Law, due volte nominato agli Oscar.
La serie come detto è una joint production di Sky, HBO e Canal+. Tutti e otto gli episodi verranno diretti da Paolo Sorrentino e scritti dal regista stesso in collaborazione con Tony Grisoni, Umberto Contarello e Stefano Rulli. Pio XIII, al secolo Lenny Belardo viene presentato come un papa di tendenze eccessivamente conservatrici, quasi oscurantiste, ma dotato di una straordinaria sensibilità verso i poveri. Il suo pontificato inizia fra mille travagli, perché Pio XIII deve subito fare i conti con l’ostilità della Curia che non condivide la sua politica eccessivamente sbilanciata in favore dei più deboli e in più deve stare attento ai tanti che per interesse ruotano intorno al Vaticano. Lui stesso sarà più volte combattuto dal contrasto fra l’essere il vicario di Cristo sulla terra e nel contempo un uomo prigioniero e schiavo delle proprie debolezze.
Nonostante travagli e incertezze, Belardo cercherà comunque di tutelare il più possibile la santità della Chiesa e rispettare la volontà di Dio che lo ha scelto come papa. Il primo ciak di The Young Pope sarà battuto nell'estate 2015 e le riprese proseguiranno fino all'inizio del 2016. La produzione avrà luogo principalmente in Italia ma farà anche tappa all'estero con riprese in USA, Africa e Porto Rico. Paolo Sorrentino ha spiegato così l’idea di questa serie televisiva e lo spirito che sta ad animarla. "I segni evidenti dell'esistenza di Dio. I segni evidenti dell'assenza di Dio. Come si cerca la fede e come si perde la fede. La grandezza della santità, così grande da ritenerla insopportabile.
Quando si combattono le tentazioni e quando non si può fare altro che cedervi. Il duello interiore tra le alte responsabilità del capo della chiesa cattolica – prosegue Sorrentino - e le miserie del semplice uomo che il destino (o lo spirito santo) ha voluto come Pontefice. Infine, come si gestisce e si manipola quotidianamente il potere in uno stato che ha come dogma e come imperativo morale la rinuncia al potere e l'amore disinteressato verso il prossimo. Di tutto questo parla The Young Pope" ha concluso il regista riassumendo la missione della sua ultima fatica in fase di gestazione. Al fianco del protagonista Jude Law ci sarà Diane Keaton che interpreterà Suor Mary, una suora americana che vive in Vaticano.
Ci saranno inoltre; Silvio Orlando nel ruolo del Segretario di Stato, Scott Shepherdè nei panni del Cardinal Dussolier, un prelato sudamericano, Cecile De France nel ruolo di Sofia, responsabile marketing del Vaticano mentre Javier Camara interpreterà il Cardinal Gutierrez, Cerimoniere del Vaticano. Ludivine Sagnier è Esther, moglie di una guardia svizzera mentre l’attore italiano Tony Bertorelli darà il volto al Cardinal Caltanissetta. A James Cromwell il ruolo del Cardinal Michael Spencer, mentore di Lenny. Altri interpreti della serie sono Guy Boyd, Andre Gregory, Sebastian Roché, Marcello Romolo, Ignazio Oliva, Vladimir Bibic e Nadie Kammalaweera. Insomma un cast di livello per una serie certamente ambiziosa. Qualcuno naturalmente ha già intravisto dietro il fantomatico Pio XIII i lineamenti di Francesco e il suo continuo combattere fra innovazione e tradizione, potere e umiltà, con l’obiettivo di spogliare la Chiesa della sua materialità in favore di una maggiore spiritualità. Anche alcuni nomi fanno riflettere. Gustavo Gutierrez ad esempio è il principale esponente della Teologia della Liberazione ma non è cardinale. Come mai Sorrentino ha scelto proprio un cardinale con questo nome e per giunta affidandogli il ruolo di cerimoniere del Vaticano? Pura casualità? Oppure c’entra la riabilitazione di Gutierrez da parte dell’attuale Papa dopo la “scomunica” di Giovanni Paolo II?
Chissà? Certo è che a giudicare dalla trama i riferimenti con Bergoglio non mancano, a parte il richiamo a quel conservatorismo quasi oscurantista che certamente non appartiene all’attuale pontefice. Ma per il resto come non mettere in relazione i dubbi e le debolezze di Pio XIII con i continui appelli di Francesco a pregare per lui perché il Signore possa dargli la forza di affrontare nel migliore dei modi la missione che gli è stata affidata?
Note sull'attualità ecclesiastica
di don Mauro Tranquillo
Mentre i politici basano il loro successo sugli annunci – mai mantenuti - di riduzione delle tasse, Papa Bergoglio ha puntato tutta la sua popolarità sulla «riduzione dei peccati”. Riduzione che dovrebbe articolarsi nella depenalizzazione di una serie di «peccati pubblici» (che potrebbero vedersi ammessi alla comunione), oltre che nella nuova ottica della «misericordia», che - come faceva notare Mons. Fellay - si traduce in un semplice sguardo di comprensione sul peccato che non prevede più la conversione. Non riteniamo di prolungarci su questo argomento, ma fa pensare l’idea che, come per la riduzione delle tasse, la riduzione dei peccati non diventerà necessariamente una realtà.
Del resto allo stato attuale del dibattito, il bollino del Sinodo è perfino superfluo, perché il messaggio è già passato ampiamente. In primis perché, secondo la migliore teologia modernista, l’autorità non ha che da sancire un progresso dogmatico/morale avvenuto già da decenni nella coscienza del popolo di Dio (il quale, ci dimostra l’Irlanda, è già ben oltre il tema del Sinodo); in secundis perché nei fatti la comunione ai divorziati conviventi è prassi abituale nelle parrocchie di mezzo mondo, con il più o meno tacito consenso dei Vescovi stessi, o su iniziativa dei preti; in tertiis, perché ormai la Chiesa, come dice l’intenzione di preghiera della CEI per il mese di giugno, non deve fossilizzarsi su qualche principio morale e dottrinale ma andare al cuore del messaggio evangelico (che secondo la migliore tradizione hippy sembra riassumersi nel credere e fare ciò che si vuole: può sembrare una battuta, ma i discorsi di Papa Francesco e del clero spesso non vanno oltre questo livello, unico ritenuto comprensibile al tanto decantato uomo di oggi).
Su questa scia di pensiero si colloca la scandalosa attribuzione di credibilità di cui è stata titolare Emma Bonino, invitata personalmente dal Pontefice all’incontro sulla «pace» dell’11 maggio con i bambini, nell’aula Nervi. Danilo Quinto ha scritto giustamente pagine indignate contro questo invito, cui volentieri rimandiamo il lettore, ricordando anche il nostro ultimo articolo sul modo in cui Francesco continui ad incoraggiare i peccatori impenitenti e a schiacciare i buoni in ciò che fanno di buono. Tuttavia di questo incontro andrebbero sottolineati proprio i propositi tenuti dal Papa.
Egli ha dapprima risposto in modo informale alle domande dei bambini sulla pace, e poi tenuto un breve discorso. La prima parte, quella delle risposte, è a dir poco sbalorditiva. Non vi è alcun accenno a Gesù Cristo, e vi è un seguito di luoghi comuni sulla «pace». Dio compare brevemente (oltre che per ricordare che «perdona tutto») in risposta alla domanda di un bambino sul ruolo della religione nell’«aiutarci a vivere»: il Papa ha subito affermato che quello che ci aiuta è quanto tutte le religioni (secondo lui) hanno in comune, cioè il comandamento di amare il prossimo. A parte il fatto che non consta che tale comandamento sia comune a tutte le religioni, il comandamento di Gesù Cristo è di amarci come lui ci ha amato, in modo soprannaturale, quindi unico. Rimane incredibile che al «Papa della misericordia» sfugga quello che è il messaggio centrale della religione rivelata. Nelle altre risposte il Papa fa ripetere ai bambini che «dove non c’è giustizia, non c’è la pace»: frase di per sé vera, ma la giustizia che il Papa presenta è senza relazione verso l’alto, verso Dio, ed è costruzione umana che deve portare a una totale «uguaglianza» nel diritto comune ad «essere felici». Alla domanda sul perché della sofferenza dei bambini, il Papa afferma, citando Dostoevskij, di non avere risposte: probabilmente la Croce del Cristo non gli ha insegnato niente sulla sofferenza dell’innocente. Solo nel breve discorso scritto seguente, dopo aver insistito sul fatto che la pace è frutto dell’opera umana, senza frontiere di religioni o culture, accenna in conclusione al fatto che questa può essere chiesta a Dio nella preghiera e menziona inopinatamente il Nome di Gesù Cristo, morto e risorto per abbattere il muro di odio tra gli uomini e darci così la pace. Che l’ordine umano si debba costruire innanzitutto ristabilendo l’ordine perduto con Dio, anche a livello sociale, è argomento tabù. Il discorso è sostanzialmente orizzontale e la religione (pardon, le religioni) appare come un puro servizio civile. Addirittura la scuola appare come luogo educativo per eccellenza e garanzia di pace, senza alcun riferimento a quel luogo di propaganda infernale che è la scuola statale attuale.
Discorsi eiusdem farinae sono stati tenuti dal Pontefice durante il viaggio a Sarajevo, con sperticati e triti elogi della multireligiosità, che non vale più nemmeno la pena di riportare. Con poca fantasia, ognuno di noi li può ricomporre a piacere e scoprire di aver indovinato i termini precisi. Il tutto impugnando la ferula di Paolo VI rattoppata con il nastro adesivo. A un certo punto viene anche da ridere davanti a tanto pezzentismo ingenuo, non fosse che c’è ancora chi ha il coraggio di estasiarsi davanti a tanta insipienza.
Se la pace consiste nel riconoscere a ciascuno uguaglianza di diritti, come dice testualmente Francesco nel discorso succitato, si capirà che l’Irlanda cosiddetta cattolica abbia votato massicciamente a favore del «matrimonio» omosessuale. Non è forse questa l’ultima irrinunciabile frontiera dei diritti civili uguali per tutti? Si capisce alla fine anche il silenzio tombale del Vaticano sulla questione, per non parlare dell’atteggiamento rinunciatario dei Vescovi irlandesi, che non solo non hanno più alcuna credibilità, ma nemmeno hanno le convinzioni necessarie ad opporsi.
Solo post eventum il Segretario di Stato Parolin ha definito il referendum «sconfitta per l’umanità», per attirarsi però le dure critiche del Vescovo emerito di Killaloe, Mons. Willie Walsh (sicuramente uno dei responsabili della formazione di questa generazione di cattolici irlandesi): «Non accetto che il voto sia definito una sconfitta per l’umanità. Sono a disagio davanti a questa dichiarazione. Ci sono stati tanti disastri in giro per il mondo, ma di certo non posso sostenere con convinzione che il referendum sia uno di questi. Non posso accettare l’idea che oltre un milione di persone che si sono recate alle urne fossero traviate nel loro giudizio». Ad ogni modo, ha detto il presule, «dubito seriamente» che le affermazioni espresse da Parolin «siano condivise dal Papa». Si tratta di frasi, ha aggiunto mons. Walsh, «inappropriate, che non penso rappresentino il pensiero di Francesco, nonostante provengano da una delle personalità più rilevanti della Chiesa». Il vescovo ha sottolineato che «difficilmente si potrebbe dare un’occhiata alle celebrazioni (per gli esiti del referendum n.d.r.) e dire che non è cresciuta la felicità della gente nel paese». Il neretto è nostro. ?
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