Padova. Ricomincia l’attacco contro la scuola parentale e contro Don Giovanni Ferrara. È di nuovo fuoco “amico” (si fa per dire) di Paolo Deotto
Vacanze brevi nella Diocesi di Padova. I solerti custodi del politicamente corretto sono tornati alla carica, attaccando il progetto di scuola parentale avviato nella parrocchia di S. Ignazio di Loyola. Il fuoco cosiddetto amico ha di nuovo preso sotto tiro il parroco Don Giovanni Ferrara (cliccando quipotete rileggere l’articolo con cui il 1° agosto facevamo il punto sulla vicenda).
Il nuovo attacco si svolge su due fronti, peraltro in armoniosa collaborazione: un articolo del Corriere del Veneto (che qua sotto riportiamo per intero) e una circolare dell’Ufficio Diocesano di pastorale dell’educazione e della scuola, firmata dal direttore, Don Lorenzo Celi, lo stesso che, con molto garbo, critica il suo confratello parroco Don Ferrara sulle pagine del Corriere del Veneto. Per leggere il testo della circolare diocesana, cliccate qui .
Nihil sub sole novum. Le parole di Don Lorenzo Celi, riportate dal Corriere del Veneto, e il testo della circolare, non possono che confermarci quanto scrivevamo il 27 luglio: “Quando un parroco rischia grosso? Quando ha la pretesa di essere un prete cattolico”.
Per quanto riguarda l’articolo del Corriere del Veneto possiamo anche notare che si torna a giocare sull’equivoco della scuola parentale che occuperebbe i locali della scuola materna, che comunque chiude i battenti per problemi economici pluriennali. È il caso di ricordare che una scuola non “scaccia” l’altra (ci sarebbe spazio per entrambe). Semplicemente la scuola parentale nasce da un’iniziativa di genitori – e non è la prima in Italia – giustamente pensosi del futuro e dell’educazione dei loro figli e che di fronte allo sfascio morale e intellettuale della scuola, pubblica o paritaria che sia, decidono di correre ai ripari, con mezzi peraltro consentiti dalla legge.
Ma non è certo un equivoco, magari involontario, contenuto in una pagina di giornale, a scandalizzarci.
Ciò che davvero suscita scandalo è la posizione “ufficiale” della diocesi: una totale resa al potere laicista, una dichiarazione assoluta di fedeltà allo “stato”, al meraviglioso progetto della “buona scuola”. Il tutto viene condito dalle solite e stucchevoli frasi sul dialogo, sulla “complessità”, sulle “sfide” che le nuove culture (?) pongono, e così via.
Naturalmente torneremo su questi argomenti; per ora è urgente far conoscere questi sconcertanti documenti, in cui un prete, che parla evidentemente a nome della diocesi, che dirige un ufficio di grande importanza, dichiara la resa totale e incondizionata al mondo, del quale assume peraltro gli stessi linguaggi, parlando di “genere” e di “omofobia”.
In questi documenti è scritta la rinuncia totale della chiesa, almeno di quella ufficiale, al suo specifico dovere educativo. I nuovi idoli a cui inchinarsi sono il confronto, il dialogo. E del resto è anche logico: se non c’è più la Fede cattolica, perché mai ci si dovrebbe preoccupare dell’educazione cattolica della gioventù?
La diocesi di Padova aderisce al progetto “buona scuola”. Auguri.
Ma i nostri veri auguri e le nostre preghiere vanno per la riuscita del progetto di quelle famiglie cattoliche e di quei sacerdoti che non si sono ancora chinati a riverire il mondo e che ancora desiderano educare i loro figli anzitutto nella Fede cattolica.
Don Giovanni Ferrara, e i sacerdoti cattolici come lui, e le famiglie cattoliche, avranno sempre il nostro appoggio. La guerra è iniziata: c’è in ballo la salvezza dei nostri figli e della nostra Fede. Sono beni troppo grandi per potersi preoccupare del consenso del “mondo”, e non ce ne preoccuperemo.
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Questo è l’articolo del Corriere del Veneto. Per la circolare della diocesi di Padova, cliccate qui
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Mercoledì 19 Agosto, 2015 CORRIERE DEL VENETO – VERONA
Scuole anti-gender, primo stop. La Chiesa non concede i locali
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VENEZIA Non piace alla Chiesa l’iniziativa di «Alleanza parentale», l’associazione di genitori che per proteggere i figli dalle teorie gender a settembre vuole avviare a Padova, Schio e San Giovanni Lupatoto (Verona) le prime elementari parentali del Veneto. Le gestiranno le famiglie riunite in una cooperativa, reintroducendo il metodo di insegnamento di quarant’anni fa: maestra unica, poche materie (italiano, matematica, scienze, catechismo e un po’ di inglese e tedesco) e niente «gender». Un ritorno al passato che si scontra con il rifiuto della Diocesi di Padova di concedere per il progetto i locali della materna cattolica che chiuderà per sempre il 30 agosto nella parrocchia di Sant’Ignazio. «Dall’Ufficio diocesano non è partita nessuna autorizzazione all’apertura dell’elementare parentale — conferma don Lorenzo Celi, direttore della Pastorale per la scuola —. Anzi, è stata inviata una comunicazione scritta al parroco di Sant’Ignazio, don Giovanni Ferrara (invece favorevole, ndr) che dice espressamente: ti invitiamo a prendere le distanze da tale proposta e a non appoggiarla, perché non è compito della comunità parrocchiale aprire una scuola. E questa non si può nemmeno fregiare del titolo di istituto cattolico. Da parte della Diocesi è stato espresso parere negativo, quindi l’elementare non può essere avviata nei locali parrocchiali». Per due motivi. Primo: la Chiesa padovana si attiene alla legge sulla buona scuola, «che per espressa presa di posizione del ministro all’Istruzione Stefania Giannini non prevede l’introduzione di nessuna pratica educativa riconducibile alla teoria gender». Secondo: «La questione del gender non può essere ridotta all’ideologia gender — dice don Lorenzo — per affrontare correttamente queste tematiche, superando posizioni preconcette e ideologiche, è indispensabile un’educazione delle coscienze e un’apertura alla comprensione della realtà attraverso una corretta informazione e formazione culturale. Così da poterci confrontare con chi propugna modelli interpretativi dell’umano diversi da quelli che il Vangelo propone. Ci fidiamo del modello di scuola italiana — chiude il direttore — introdurne altri che producano più confusione che altro non è opportuno. E poi le famiglie possono esprimere le loro opinioni sulle scelte educative negli organi collegiali preposti, come il Consiglio d’Istituto».
E non si tratta di una posizione isolata: è la stessa della Diocesi di Vicenza. «La scuola è un luogo di formazione fatta insieme — spiega il professor Fernando Cerchiato, direttore dell’Ufficio scuola — la famiglia deve avere un ruolo determinante ma l’impegno educativo va condiviso con il corpo docente. Se le scuole parentali nascono perché si ritiene che le statali non diano garanzie, si riconosce il fallimento della responsabilità educativa dello Stato e si lancia un messaggio preoccupante di sfiducia nel sistema. E infatti io sono preoccupato, non possiamo salvare i nostri figli in questo modo, anche perché li proteggiamo alla primaria e poi? Non è alzando barriere che li tuteliamo, ma aiutandoli a crescere in un pluralismo a volte difficile e abituandoli a scegliere tra bene e male. Temo che simili iniziative possano alimentare sospetto sulla scuola — avverte Cerchiato — che ha invece bisogno di essere sostenuta. E comunque non mi pare che la teoria gender sia pane quotidiano, dove viene presentata va cercato un confronto». Il vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, ha creato un gruppo di lavoro che aiuti le parrocchie e il vicariato ad arrivare a una valutazione meno emotiva e una corretta informazione, «utile a preparare le persone ad approfondire l’argomento, non ad alzare muri».
Perplessità anche sul fronte laico. Dice Daniela Beltrame, direttrice dell’Ufficio scolastico regionale: «La libertà d’istruzione è prevista dalla legge, che contempla pure quella parentale. Però alla fine di ogni anno gli alunni che le frequentano devono sostenere un esame di idoneità con insegnanti statali, che attesti il raggiungimento di specifici traguardi di apprendimento imposti per garantire l’adempimento dell’obbligo scolastico. Le famiglie hanno il diritto di educare i figli come credono, anche con un precettore come accadeva nel Medioevo, ma noi siamo tenuti a vigilare. L’educazione parentale è sempre esistita e permane tuttora, benché in forma marginale: mi pare più richiesta l’istruzione statale di qualità, che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante e ciò dovrebbe attirare fiducia». E la teoria gender? «Ai docenti va riconosciuta la libertà di insegnamento, ma nel rispetto dei valori tradizionali — spiega Beltrame — se vogliono proporre qualcosa di nuovo devono assicurarsi che i genitori siano d’accordo, che non ne urti cultura e sensibilità. Ci dev’essere un patto di corresponsabilità educativa, non c’è bisogno di ricorrere a pratiche costose e che mettono a repentaglio i livelli di istruzione. I bambini hanno bisogno di ampi confronti e di socializzare, è negativo limitarli in comunità ristrette. Non capisco perché trovare modalità improprie per difendere valori che possono essere tutelati anche nella scuola statale».
(Michela Nicolussi Moro)
– di Paolo Deotto
http://www.riscossacristiana.it/padova-ricomincia-lattacco-contro-la-scuola-parentale-e-contro-don-giovanni-ferrara-e-di-nuovo-fuoco-amico-si-fa-per-dire-di-paolo-deotto/
Ecco come la Diocesi di Padova difende il governo su gender e Buona Scuola
http://www.formiche.net/2015/08/21/ecco-la-diocesi-padova-difende-il-governo-gender-buona-scuola/
http://www.nocristianofobia.org/luaar-dice-no-alla-statua-della-madonna-marca-il-territorio/
Ecco come la Diocesi di Padova difende il governo su gender e Buona Scuola
La linea da ribadire: la riforma non apre all'insegnamento del gender sui banchi. Il direttore dell'Ufficio pastorale sull'educazione punta il dito contro i "nocivi allarmismi". Intanto il Papa sceglie un parroco bergogliano per questa Curia...
Ci voleva un intervento della Diocesi di Padova per (tentare
di) fugare ogni dubbio su un tema che da mesi agita il mondo cattolico: la
teoria gender e la sua divulgazione nelle scuole italiane. Mentre al Meeting di
Rimini l’argomento non viene nemmeno sfiorato, tra le associazioni e i
movimenti più intransigenti sui principi non negoziabili la battaglia contro il
ddl Cirinnà sulle unioni civili fa il paio con quella contro la legge (fresca
di approvazione) sulla Buona Scuola, che aprirebbe le porte all’insegnamento
del gender. Almeno così ritengono diversi esponenti delle associazioni pro-life
e pro-family, che si sono scagliati contro i parlamentari cattolici favorevoli
alla legge. E questo nonostante tutte le
rassicurazioni del caso.
SI MUOVE LA DIOCESI DEL NEO VESCOVO BERGOGLIANO
Tocca quindi alla Diocesi di Padova fare un po’ di
chiarezza. A guidarla è stato scelto da poche settimane monsignor
Claudio Cipolla (nella foto), indicato da Papa
Francesco anche per il suo stile sobrio, l’attenzione ai poveri e una
certa allergia alla frequentazione dei sacri palazzi ai quali preferisce le
piazze. Insomma, un
prelato molto simile a Bergoglio.
Martedì scorso è stato l’Ufficio diocesano pastorale dell’educazione e della scuola a diramareuna dettagliata nota firmata dal direttore don Lorenzo Celi con la quale di fatto si difende l’operato del governo Renzi sulla Buona Scuola contro la tesi secondo cui il provvedimento consentirebbe l’insegnamento della teoria gender. Spiegando che si tratta di una questione “alquanto complessa”, don Celi precisa che “non è corretto esprimersi su di essa senza prima averla conosciuta nella sua totalità”. Da qui l’invito a informarsi tramite diverse letture segnalate.
Martedì scorso è stato l’Ufficio diocesano pastorale dell’educazione e della scuola a diramareuna dettagliata nota firmata dal direttore don Lorenzo Celi con la quale di fatto si difende l’operato del governo Renzi sulla Buona Scuola contro la tesi secondo cui il provvedimento consentirebbe l’insegnamento della teoria gender. Spiegando che si tratta di una questione “alquanto complessa”, don Celi precisa che “non è corretto esprimersi su di essa senza prima averla conosciuta nella sua totalità”. Da qui l’invito a informarsi tramite diverse letture segnalate.
IL GENDER E LA BUONA SCUOLA
“Il secondo punto che merita chiarezza è l’affermazione che
la legge sulla ‘buona scuola’ introdurrebbe surrettiziamente nel sistema
scolastico italiano i principi fondativi della ‘teoria del gender’, rendendo
obbligatorie, peraltro anche nelle scuole paritarie, l’adozione di testi e la
diffusione di metodi educativi ad essa ispirati”. Documenti alla mano, il
direttore dell’Ufficio diocesano smonta tale convinzione sostenendo che “si
richiama, impropriamente, il comma 16 dell’art. I della legge 107/2015”. Don
Celi cita l’intero passaggio del provvedimento sul contrasto alla violenza di
genere e a tutte le discriminazioni, evidenziando come la legge 119/2013 cui la
Buona Scuola rimanda non faccia alcun cenno alla teoria gender. Non bastasse,
il delegato vescovile ricorda anche l’intervento del ministro Stefania
Giannini avvenuto il 29 luglio scorso alla Camera in cui “ha ribadito
chiaramente” che “la cultura del gender non coincide con la cultura inclusiva e
solidale che viene espressa nelle linee del governo”.
GOVERNO NELLA CORRETTA DIREZIONE
“Da parte nostra – continua don Celi – riteniamo che questi
riferimento normativi e le delucidazioni apportate dalle competenti autorità
ministeriali meritino la massima attenzione di tutti e vadano nella corretta
direzione di favorire un sempre più consapevole e responsabile coinvolgimento
delle famiglie nella scelta dell’indirizzo educativo per i loro figli”. Con
questo intervento, la Diocesi auspica di aver contribuito a “dipanare almeno
alcune delle incertezze che sono andate affastellandosi in quest’ultimo periodo
intorno a questa delicata questione”. Segue la richiesta a “quanti nella
Diocesi di Padova hanno in animo di organizzare dibattiti o incontri su tale
questione” di “confrontarsi con l’Ordinario diocesano” così da poter “fornire
un’adeguata informazione/formazione, senza creare inutili, se non nocivi,
allarmismi”.
Infine una sottolineatura: la raccolta firme attualmente in circolazione contro la legge che introdurrebbe “l’insegnamento della teoria del gender nel sistema scolastico” riguarda l’abrogazione in toto della legge sulla Buona Scuola che, sottolinea don Celi, “come ribadito nel punto precedente, non ha alcuna connessione con la ‘teoria gender’”.
Infine una sottolineatura: la raccolta firme attualmente in circolazione contro la legge che introdurrebbe “l’insegnamento della teoria del gender nel sistema scolastico” riguarda l’abrogazione in toto della legge sulla Buona Scuola che, sottolinea don Celi, “come ribadito nel punto precedente, non ha alcuna connessione con la ‘teoria gender’”.
21 - 08 - 2015Giovanni Bucchi
Il problema della esistenza del gender. Le illuminanti parole della diocesi di Padova – di Patrizia Fermani
Abbiamo sentito il responsabile dell’Istruzione per la diocesi di Padova prendere addirittura la difesa della “buona scuola”, dichiarando del tutto infondato tanto allarme da parte dei genitori che vogliono costituire la scuola parentale, per due motivi: in primo luogo perché la teoria del gender non c’è, quanto meno nella scuola di Renzi. In secondo luogo, perché se ci fosse non sarebbe poi così male, e questo in perfetta sintonia con il quotidiano dei Vescovi…
di Patrizia Fermani
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Una volta c’era il problema della prova della esistenza di Dio. Ma il forte impegno speculativo, profuso sul tema da Sant’Anselmo e da tanti altri, era stato brutalmente vanificato da Voltaire che tagliando la testa al toro aveva sentenziato : se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Poi la questione è stata riaperta incidentalmente da Bergoglio il quale ci ha assicurato in uno slancio di sincera autocritica non usuale di questi tempi in cui tutti, fino all’ultimo miscredente si professano cattolici, che Dio, se esiste, certamente non è cattolico. Messa comunque da parte una questione un po’ fuori misura per i tempi che corrono, ultimamente è venuto in auge, anche perché più alla portata di tutti, anche dei pensatori diocesani , quello della esistenza del gender.
Anche su tale questione si sono formate diverse scuole di pensiero, e tutte hanno preso a modo loro delle pieghe assai bizzarre: c’è chi, come le onorevoli Fedeli e Puppato (rimandiamo per questo ad un precedente articolo) hanno proclamato ufficialmente che, mentre esiste il genere, tanto da essere oggetto di violenza, non esiste la teoria del genere. Per altri, come la ministra Giannini, la teoria c’è ma non si vede nella buona scuola di Renzi, che si limita a sensibilizzare schiere di alunni contro la violenza di genere.
Infine, last but not least come dicono gli anglofili, è intervenuto il responsabile dell’Istruzione per la diocesi di Padova, con l’intento dichiarato di placare l’allarme di quanti hanno compreso bene con quale forza d’urto e in che misura tutto l’armamentario ideologico che ruota attorno al “genere” incomba sulle scuole di ogni ordine e grado, tanto da suggerire l’idea del ricorso alla scuola parentale.
E così abbiamo sentito il responsabile dell’Istruzione per la diocesi di Padova prendere addirittura la difesa della “buona scuola”, dichiarando del tutto infondato tanto allarme per due motivi: in primo luogo perché la teoria del gender non c’è, quanto meno nella scuola di Renzi. In secondo luogo, perché se ci fosse non sarebbe poi così male, e questo in perfetta sintonia con il quotidiano dei Vescovi.
Abbiamo anticipato questa conclusione, non per distruggere sadicamente la suspense sull’illuminato pensiero diocesano, ma perché, come nei racconti di Hitchcock, anche se si sa già come andrà a finire, quello che conta è come viene architettato il piano criminoso, che, mutatis mutandis, nel nostro caso è l’impalcatura in parte persino “teologica” della argomentazioni utilizzate.
L’intervento, pubblicato anche sul Corriere, si presenta di volta in volta didascalico, propositivo , teologico e alla fine, come si conviene ad un corretto discorso ecclesiastico, anche parenetico. Esso inizia con una ammonizione rivolta agli sprovveduti che pensano di trattare del gender come si trattasse di noccioline, quando di tratta di materia complessa sicché “per affrontare queste tematiche superando posizioni preconcette e barricate ideologiche, è indispensabile una educazione delle coscienze e un’apertura dell’intelligenza , attraverso una corretta informazione e formazione culturale in modo da potersi anche confrontare con chi propugna modelli interpretativi dell’uomo diversi da quelli che il vangelo propone”. Il discorso è democraticamente inappuntabile perché la legge del pluralismo vuole che dati più modelli interpretativi dell’uomo, uno valga l’altro, compreso quello evangelico che, bisogna riconoscerlo, ci avverte sommessamente il nostro, ha fatto il suo tempo. Per non parlare di San Paolo per il quale si sta studiando una mirata forma di negazionismo.
In ogni caso, e questo è il cuore del discorso, “la questione del gender non può essere ridotta all’ideologia gender e la prima porta con sé alcune istanze che meritano di essere seriamente considerate”. Secondo il nostro la cosa richiede adeguata preparazione teorica e approfondimento come ebbe a dire in un giro di conferenze tenute presso istituti religiosi sul valore dell’affettività, l’esperto diocesano di studi psicopedagogici. E siccome il fatto è serio, come diceva Figaro, e col gender non si scherza, bisogna non solo avere studiato ma soprattutto capito che il mondo va avanti, e che, mentre il Vangelo è rimasto indietro, la Chiesa ha sostituito per tempo all’essere il divenire. Così per non parlare a vanvera, secondo Don Celi, è indispensabile allargare la mente con letture edificanti come quella di Aristide Fumagalli, che con lungimiranza ha visto nei rapporti stabili omosessuali una risorsa morale preziosa per il bene comune, e nella procreazione un dato solo occasionale e trascurabile della sessualità. Questo teologo “di spessore” ha studiato a fondo anche l’eros di Cristo, ma qui è bene fermarci per rispetto verso i lettori.
Se Fumagalli non bastasse a chiarire le idee, l’autore propone altre illuminanti pubblicazioni sempre “di spessore”, poi presto ci saranno i convegni organizzati dalla diocesi e c’è il pensiero di Chiara Giaccardi. Senza dimenticare, suggeriamo noi, che una occasione di adeguata preparazione è già stata offerta a suo tempo a nome della facoltà teologica del Triveneto dalla previdente suor Chiara Vighesso, che ha invitato ad illustrare i contenuti positivi della teoria del gender una stella di prima grandezza televisiva e scalfariana come Recalcati.
Così, assodato che il gender non fa male ed è pure cristiano, il nostro entra nel cuore della vexata quaestio se il suo insegnamento sia previsto o meno nella buona scuola di Renzi, non senza lamentare tanta diffusa e irragionevole sfiducia nelle istituzioni laiche (con un omaggio signorile alla serietà della concorrenza), che non risparmia per ovvi motivi neppure quelle “cattoliche”. Sfiducia ovviamente infondata dal nuovo punto di vista diocesano, per il motivo aristotelico che se le scuole laiche sono ispirate alla difesa del genere e la difesa del genere è cosa buona, perché Chiara Giaccardi ne ha scoperto finalmente anche la cattolicità, a maggior ragione le scuole cattoliche sono sicuramente in grado di offrire quella completa formazione offerta dalla scuola pubblica meritevole per questo di ogni rispettoso ossequio. Tuttavia, poiché ora bisogna placare gli animi, e sfatare la leggenda del gender nei programmi scolastici, l’autore ha passato la parola direttamente alla Giannini, che ha negato energicamente la cosa. Anzi, la ministra dice che, ad arricchire la offerta formativa della scuola pubblica, è stato approvato il “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. Il piano è redatto minuziosamente dal Ministero delle pari opportunità, dove sono di casa i gai componenti delle associazioni arcobaleno. Esso, approvato a maggio, è entrato felicemente a far parte della “buona scuola” di Renzi, in perfetta sintonia con gli standard educativi dell’UE o con la dovuta obbedienza alle sue Raccomandazioni, come quella formulata dal Comitato dei Ministri del marzo 2010, di cui si consiglia la sconfortante ma istruttiva lettura. Ora, se non ci fossero il testo e gli allegati a parlare, basterebbe il titolo del Piano a mostrare come il discorso ministeriale si faccia surreale, senza che la stessa autrice si senta minimamente imbarazzata. Infatti dovrebbe risultare evidente che se c’è un “ Piano contro la violenza sessuale e di genere”, la prima è qualcosa di diverso dalla seconda, e siccome la prima riguarda motivi legati al sesso, la seconda deve riguardare qualcosa che esce dallo schema di quello che da sempre viene considerato il sesso dei comuni mortali. Eppure, dice ancora la ministra, non è prevista nessuna educazione al genere, anche se è prevista la prevenzione della violenza di genere . D’altra parte anche Don Celi, che pure è fermamente convinto della compatibilità cristiana del genere, conviene con la Giannini che esso non abita nella buona scuola. Forse la ministra non sa cosa sia il genere ex gender nel contesto normativo. Del resto nessuno ha mai preteso troppo dai nostri ministri, che hanno dato quello che hanno potuto. Da Pecoraro Scanio alla Carfagna, passando per Pollastrini e Kyenge. Invece cos’è il genere lo sa il reverendo addetto all’istruzione, che ha studiato a fondo Fumagalli e la sua bibliografia. Comunque, a giustificare l’apparente rompicapo del genere negato sta la necessità che si è presentata di parare l’allarme scattato pur con ritardo su tutta questa faccenda. Il genere anche in versione italiana, viene ora relegato strategicamente in sordina dietro al paravento vistoso e variopinto di tutte le nefandezze di cui sono vittime ancora oggi le donne. Nonostante i fiumi di parole, il mare dei diritti, le garanzie, tutele, la democrazia, la frenetica attività umanitaria degli organismi sovranazionali, nonostante tutto, la donna è ancora l’essere inferiore discriminato, sottovalutato, emarginato, bistrattato, disonorato che tutti sappiamo, una realtà lacerante di fronte alla quale è bene che tutti, dall’asilo, siano tenuti a commuoversi, e ad essere adeguatamente istruiti. Poi la commozione di estenderà a tutte le possibili varianti “sessuali”. Intanto il genere rimane in dissolvenza, mentre la famosa teoria che lo riguarda, come ci hanno spiegato Fedeli e Puppato, non esiste. Fermo restando che sulla scelta di genere come libertà di disancorare le proprie pulsioni erotiche dagli schemi sessuali previsti dalla natura, e sui vantaggi, non solo individuali, dell’operazione, possiamo sempre ricevere lumi da Fumagalli.
Alla fine la appassionata difesa diocesana della scuola di Stato, contro un allarme infondato, volta anche scoraggiare la scuola parentale, ci illumina impietosamente sulle ragioni del silenzio tenuto finora da uomini di chiesa di ogni ordine e grado sulla questione decisiva dell’educazione quando questa è caduta negli ingranaggi della macchina omosessista insediata saldamente nelle istituzioni repubblicane. Una questione che avrebbe dovuto vederli immediatamente e in prima fila accanto alle famiglie nello sforzo di sottrarre i piccoli ad una devastazione morale di dimensioni mai viste. Da un silenzio come questo era già emersa la falsa chiesa che quegli uomini rappresentano. Ora trovano nello Stato l’alleato migliore per poter portare ufficialmente anche nelle scuole paritarie la cultura omosessista.
Nello slancio finale della perorazione di Don Celi, apprendiamo che “la Comunità ecclesiale vigila e si prodiga per promuovere sempre più la ‘novità’ della persona umana che Cristo ci ha rivelato”; segue un pezzo di ecclesialese da manuale, in cui ciascuno può leggere quello che vuole, fino alla citazione dell’incolpevole Pietro 1 – 3,16. L’importante è che qualunque cosa la si faccia “con dolcezza e con rispetto” e non mai contro qualcuno, e sempre per il bene di tutti. Proprio come insegna Fumagalli. In questo quadro, ammonisce perentorio Don Celi, che nessuno prenda iniziative parrocchiali volte ad alimentare allarme sulla questione del gender senza il vaglio delle autorità diocesane.
In conclusione questo disinibito intervento del rappresentante diocesano ha avuto il merito di rompere una cortina fumogena, ha mostrato le cose per quelle che sono, e dissipato qualche dubbio residuo, se qualcuno ancora ne avesse avuto, sul cammino intrapreso dalla chiesa “ locale”… e su quella universale?
di Patrizia Fermani
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Una volta c’era il problema della prova della esistenza di Dio. Ma il forte impegno speculativo, profuso sul tema da Sant’Anselmo e da tanti altri, era stato brutalmente vanificato da Voltaire che tagliando la testa al toro aveva sentenziato : se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Poi la questione è stata riaperta incidentalmente da Bergoglio il quale ci ha assicurato in uno slancio di sincera autocritica non usuale di questi tempi in cui tutti, fino all’ultimo miscredente si professano cattolici, che Dio, se esiste, certamente non è cattolico. Messa comunque da parte una questione un po’ fuori misura per i tempi che corrono, ultimamente è venuto in auge, anche perché più alla portata di tutti, anche dei pensatori diocesani , quello della esistenza del gender.
Anche su tale questione si sono formate diverse scuole di pensiero, e tutte hanno preso a modo loro delle pieghe assai bizzarre: c’è chi, come le onorevoli Fedeli e Puppato (rimandiamo per questo ad un precedente articolo) hanno proclamato ufficialmente che, mentre esiste il genere, tanto da essere oggetto di violenza, non esiste la teoria del genere. Per altri, come la ministra Giannini, la teoria c’è ma non si vede nella buona scuola di Renzi, che si limita a sensibilizzare schiere di alunni contro la violenza di genere.
Infine, last but not least come dicono gli anglofili, è intervenuto il responsabile dell’Istruzione per la diocesi di Padova, con l’intento dichiarato di placare l’allarme di quanti hanno compreso bene con quale forza d’urto e in che misura tutto l’armamentario ideologico che ruota attorno al “genere” incomba sulle scuole di ogni ordine e grado, tanto da suggerire l’idea del ricorso alla scuola parentale.
E così abbiamo sentito il responsabile dell’Istruzione per la diocesi di Padova prendere addirittura la difesa della “buona scuola”, dichiarando del tutto infondato tanto allarme per due motivi: in primo luogo perché la teoria del gender non c’è, quanto meno nella scuola di Renzi. In secondo luogo, perché se ci fosse non sarebbe poi così male, e questo in perfetta sintonia con il quotidiano dei Vescovi.
Abbiamo anticipato questa conclusione, non per distruggere sadicamente la suspense sull’illuminato pensiero diocesano, ma perché, come nei racconti di Hitchcock, anche se si sa già come andrà a finire, quello che conta è come viene architettato il piano criminoso, che, mutatis mutandis, nel nostro caso è l’impalcatura in parte persino “teologica” della argomentazioni utilizzate.
L’intervento, pubblicato anche sul Corriere, si presenta di volta in volta didascalico, propositivo , teologico e alla fine, come si conviene ad un corretto discorso ecclesiastico, anche parenetico. Esso inizia con una ammonizione rivolta agli sprovveduti che pensano di trattare del gender come si trattasse di noccioline, quando di tratta di materia complessa sicché “per affrontare queste tematiche superando posizioni preconcette e barricate ideologiche, è indispensabile una educazione delle coscienze e un’apertura dell’intelligenza , attraverso una corretta informazione e formazione culturale in modo da potersi anche confrontare con chi propugna modelli interpretativi dell’uomo diversi da quelli che il vangelo propone”. Il discorso è democraticamente inappuntabile perché la legge del pluralismo vuole che dati più modelli interpretativi dell’uomo, uno valga l’altro, compreso quello evangelico che, bisogna riconoscerlo, ci avverte sommessamente il nostro, ha fatto il suo tempo. Per non parlare di San Paolo per il quale si sta studiando una mirata forma di negazionismo.
In ogni caso, e questo è il cuore del discorso, “la questione del gender non può essere ridotta all’ideologia gender e la prima porta con sé alcune istanze che meritano di essere seriamente considerate”. Secondo il nostro la cosa richiede adeguata preparazione teorica e approfondimento come ebbe a dire in un giro di conferenze tenute presso istituti religiosi sul valore dell’affettività, l’esperto diocesano di studi psicopedagogici. E siccome il fatto è serio, come diceva Figaro, e col gender non si scherza, bisogna non solo avere studiato ma soprattutto capito che il mondo va avanti, e che, mentre il Vangelo è rimasto indietro, la Chiesa ha sostituito per tempo all’essere il divenire. Così per non parlare a vanvera, secondo Don Celi, è indispensabile allargare la mente con letture edificanti come quella di Aristide Fumagalli, che con lungimiranza ha visto nei rapporti stabili omosessuali una risorsa morale preziosa per il bene comune, e nella procreazione un dato solo occasionale e trascurabile della sessualità. Questo teologo “di spessore” ha studiato a fondo anche l’eros di Cristo, ma qui è bene fermarci per rispetto verso i lettori.
Se Fumagalli non bastasse a chiarire le idee, l’autore propone altre illuminanti pubblicazioni sempre “di spessore”, poi presto ci saranno i convegni organizzati dalla diocesi e c’è il pensiero di Chiara Giaccardi. Senza dimenticare, suggeriamo noi, che una occasione di adeguata preparazione è già stata offerta a suo tempo a nome della facoltà teologica del Triveneto dalla previdente suor Chiara Vighesso, che ha invitato ad illustrare i contenuti positivi della teoria del gender una stella di prima grandezza televisiva e scalfariana come Recalcati.
Così, assodato che il gender non fa male ed è pure cristiano, il nostro entra nel cuore della vexata quaestio se il suo insegnamento sia previsto o meno nella buona scuola di Renzi, non senza lamentare tanta diffusa e irragionevole sfiducia nelle istituzioni laiche (con un omaggio signorile alla serietà della concorrenza), che non risparmia per ovvi motivi neppure quelle “cattoliche”. Sfiducia ovviamente infondata dal nuovo punto di vista diocesano, per il motivo aristotelico che se le scuole laiche sono ispirate alla difesa del genere e la difesa del genere è cosa buona, perché Chiara Giaccardi ne ha scoperto finalmente anche la cattolicità, a maggior ragione le scuole cattoliche sono sicuramente in grado di offrire quella completa formazione offerta dalla scuola pubblica meritevole per questo di ogni rispettoso ossequio. Tuttavia, poiché ora bisogna placare gli animi, e sfatare la leggenda del gender nei programmi scolastici, l’autore ha passato la parola direttamente alla Giannini, che ha negato energicamente la cosa. Anzi, la ministra dice che, ad arricchire la offerta formativa della scuola pubblica, è stato approvato il “Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. Il piano è redatto minuziosamente dal Ministero delle pari opportunità, dove sono di casa i gai componenti delle associazioni arcobaleno. Esso, approvato a maggio, è entrato felicemente a far parte della “buona scuola” di Renzi, in perfetta sintonia con gli standard educativi dell’UE o con la dovuta obbedienza alle sue Raccomandazioni, come quella formulata dal Comitato dei Ministri del marzo 2010, di cui si consiglia la sconfortante ma istruttiva lettura. Ora, se non ci fossero il testo e gli allegati a parlare, basterebbe il titolo del Piano a mostrare come il discorso ministeriale si faccia surreale, senza che la stessa autrice si senta minimamente imbarazzata. Infatti dovrebbe risultare evidente che se c’è un “ Piano contro la violenza sessuale e di genere”, la prima è qualcosa di diverso dalla seconda, e siccome la prima riguarda motivi legati al sesso, la seconda deve riguardare qualcosa che esce dallo schema di quello che da sempre viene considerato il sesso dei comuni mortali. Eppure, dice ancora la ministra, non è prevista nessuna educazione al genere, anche se è prevista la prevenzione della violenza di genere . D’altra parte anche Don Celi, che pure è fermamente convinto della compatibilità cristiana del genere, conviene con la Giannini che esso non abita nella buona scuola. Forse la ministra non sa cosa sia il genere ex gender nel contesto normativo. Del resto nessuno ha mai preteso troppo dai nostri ministri, che hanno dato quello che hanno potuto. Da Pecoraro Scanio alla Carfagna, passando per Pollastrini e Kyenge. Invece cos’è il genere lo sa il reverendo addetto all’istruzione, che ha studiato a fondo Fumagalli e la sua bibliografia. Comunque, a giustificare l’apparente rompicapo del genere negato sta la necessità che si è presentata di parare l’allarme scattato pur con ritardo su tutta questa faccenda. Il genere anche in versione italiana, viene ora relegato strategicamente in sordina dietro al paravento vistoso e variopinto di tutte le nefandezze di cui sono vittime ancora oggi le donne. Nonostante i fiumi di parole, il mare dei diritti, le garanzie, tutele, la democrazia, la frenetica attività umanitaria degli organismi sovranazionali, nonostante tutto, la donna è ancora l’essere inferiore discriminato, sottovalutato, emarginato, bistrattato, disonorato che tutti sappiamo, una realtà lacerante di fronte alla quale è bene che tutti, dall’asilo, siano tenuti a commuoversi, e ad essere adeguatamente istruiti. Poi la commozione di estenderà a tutte le possibili varianti “sessuali”. Intanto il genere rimane in dissolvenza, mentre la famosa teoria che lo riguarda, come ci hanno spiegato Fedeli e Puppato, non esiste. Fermo restando che sulla scelta di genere come libertà di disancorare le proprie pulsioni erotiche dagli schemi sessuali previsti dalla natura, e sui vantaggi, non solo individuali, dell’operazione, possiamo sempre ricevere lumi da Fumagalli.
Alla fine la appassionata difesa diocesana della scuola di Stato, contro un allarme infondato, volta anche scoraggiare la scuola parentale, ci illumina impietosamente sulle ragioni del silenzio tenuto finora da uomini di chiesa di ogni ordine e grado sulla questione decisiva dell’educazione quando questa è caduta negli ingranaggi della macchina omosessista insediata saldamente nelle istituzioni repubblicane. Una questione che avrebbe dovuto vederli immediatamente e in prima fila accanto alle famiglie nello sforzo di sottrarre i piccoli ad una devastazione morale di dimensioni mai viste. Da un silenzio come questo era già emersa la falsa chiesa che quegli uomini rappresentano. Ora trovano nello Stato l’alleato migliore per poter portare ufficialmente anche nelle scuole paritarie la cultura omosessista.
Nello slancio finale della perorazione di Don Celi, apprendiamo che “la Comunità ecclesiale vigila e si prodiga per promuovere sempre più la ‘novità’ della persona umana che Cristo ci ha rivelato”; segue un pezzo di ecclesialese da manuale, in cui ciascuno può leggere quello che vuole, fino alla citazione dell’incolpevole Pietro 1 – 3,16. L’importante è che qualunque cosa la si faccia “con dolcezza e con rispetto” e non mai contro qualcuno, e sempre per il bene di tutti. Proprio come insegna Fumagalli. In questo quadro, ammonisce perentorio Don Celi, che nessuno prenda iniziative parrocchiali volte ad alimentare allarme sulla questione del gender senza il vaglio delle autorità diocesane.
In conclusione questo disinibito intervento del rappresentante diocesano ha avuto il merito di rompere una cortina fumogena, ha mostrato le cose per quelle che sono, e dissipato qualche dubbio residuo, se qualcuno ancora ne avesse avuto, sul cammino intrapreso dalla chiesa “ locale”… e su quella universale?
L’Uaar dice no alla statua della Madonna: “Marca il territorio”…
Un livore strano da parte di chi si dichiari indifferente, in quanto non credente: eppure la virulenza, con cui l’Uaar di Verona si oppone al fatto che una statua della Vergine venga di nuovo sistemata al proprio posto, parla da sola.
Il manufatto in gesso è quello che ignoti avevano letteralmente sradicato dal suo basamento e mandato in frantumi in un giardino di piazza del Popolo, a Casaleone, nel Veronese, lo scorso 28 luglio: era stato donato al Comune da un gruppo di pellegrini ed inaugurato simbolicamente l’8 dicembre 2014. Era “resistito”, dunque, soltanto sette mesi.
Ora l’amministrazione locale è intenzionata a posizionarne una copia in loco, copia ottenuta da un frammento dell’originale (nella foto). Senonché si è dovuta scontrare coi mal di pancia del drappello di aderenti all’Uaar-Unione Atei Agnostici Razionalisti, che rivendicano per «le istituzioni ed i luoghi pubblici» l’assenza di «connotati religiosi, indipendentemente da quale sia il credo professato dalla maggioranza dei cittadini», come recita una lettera inviata al Sindaco, Andrea Gennari, ed al Vescovo, mons. Giuseppe Zenti, e ripresa dal quotidiano L’Arena. Insomma, quel che l’Uaar chiede è di infischiarsene della sensibilità manifestata dalla comunità, delle sue tradizioni, dei suoi ideali, dei suoi usi e dei suoi costumi. Se la giunta desse loro retta, dovrebbe promuovere il laicismo travestito da neutralità, calpestando i diritti della propria gente e colpendola nella propria identità più profonda. Una pretesa inaccettabile.
Decisamente sgradevole ed oltraggioso peraltro il tono utilizzato dall’Uaar nell’avanzare la sua proposta: a suo giudizio, dedicare una statua alla Madonna equivarrebbe a «marcare il territorio», come se i fedeli fossero cani. E’ evidente come, anche nel linguaggio, si sia andati ben oltre le righe. Infame anche l’accusa rivolta ai Cattolici di voler dare «dimostrazione di prepotenza ed arroganza nel voler imporre a tutti i loro simboli»: è un’affermazione improponibile, anche per la mistificazione ottenuta mischiando le carte e confondendo volutamente il termine «laicità» con quello di «laicismo».
Grazie a Dio il primo cittadino non la pensa allo stesso modo ed ha risposto per le rime, sempre tramite la stampa locale: «La comunità di Casaleone – ha dichiarato – ha una profonda tradizione cattolica e continuerà a portarla avanti nel rispetto di tutti, chiedendo a sua volta di essere rispettata». Per questo motivo, il prossimo mese la statua della Madonna tornerà al proprio posto, con tanto di inaugurazione, S. Rosario e S. Messa, alla presenza del Sindaco e del parroco. Con buona pace del manipolo di atei, agnostici e razionalisti. Sempre che gli ignoti sacrileghi non intendano ripetere certe “prodezze”…
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