La ricetta della Slovacchia: "Accettiamo solo migranti cristiani"
Il premier: "Siamo uno Stato cristiano, non potremmo sopportare l'arrivo di centinaia di migliaia di musulmani che snaturerebbero la nostra cultura e i nostri valori". In passato la Slovacchia era stata criticata da Bruxelles perché non aveva fatto abbastanza per l'accoglienza
Il premier: "Siamo uno Stato cristiano, non potremmo sopportare l'arrivo di centinaia di migliaia di musulmani che snaturerebbero la nostra cultura e i nostri valori". In passato la Slovacchia era stata criticata da Bruxelles perché non aveva fatto abbastanza per l'accoglienza
Migranti? Sì grazie, ma solo cristiani. È questa la singolare soluzione prospettata dalla Slovacchia per fare fronte all'emergenza immigrazione che, lentamente, sta raggiungendo anche l'Europa centrale.
Il governo del piccolo Stato mitteleuropeo, guidato dal socialista Robert Fico, ha infatti comunicato all'Unione Europea la propria disponibilità ad accogliere alcuni richiedenti asilo siriani, sia pure in numero limitato: appena duecento migranti. Ma c'è una condizione: a Bratislava avrebbero accettato solo a patto che tutti i nuovi arrivati fossero rigorosamente cristiani. Parlando con The Wall Street Journal, un portavoce del ministero degli Interni slovacco ha spiegato: "In Slovacchia non abbiamo moschee e pertanto vogliamo poter scegliere solo migranti cristiani."
La Slovacchia sino ad ora non è stata investita in modo massiccio dall'emergenza immigrazione, sia per la posizione geografica non immediatamente confinante con Paesi esterni alla Ue, se si esclude la breve frontiera con l'Ucraina, sia per la presenza di altre nazioni economicamente più attrattive. Eppure nelle vicine Austria e Ungheria la situazione è assai diversa, con migliaia di migranti - provenienti soprattutto da Medio Oriente ed Asia Centrale - che da mesi tentano con ogni mezzo di penetrare nel territorio dell'Unione. In Austria in particolare, solo quest'anno sono previsti 80mila arrivi.
Questa situazione ha spinto Bruxelles a sollecitare a più riprese l'intervento slovacco per ripartire più equamente il carico dell'accoglienza. Le risposte, però, sono sempre state evasive. Almeno sino ad ora.
Adesso che il dado sembra tratto, il premier Fico getta la maschera: "La Slovacchia è un Paese cristiano, non possiamo tollerare l'invasione di 300.000-400.000 musulmani che vorrebbero riempirci di moschee e cambiare la natura, la cultura e i valori nazionali." Fonti della Commissione Ue hanno replicato alle esternazioni del premier slovacco criticandone lo spirito: "Agiamo nello spirito dei Trattati Ue che impediscono qualsiasi forma di discriminazione".
Come riporta il Washington Post, l'anno scorso la Slovacchia ha concesso l'asilo politico a quattordici richiedenti; nel Paese, la popolazione islamica rappresenta appena lo 0,2% del totale.
Maometto 1° nome in UK
L’Ufficio Nazionale di Statistica ha reso noto – con qualche strana reticenza – che il nome più gettonato in Inghilterra e Galles per neonati maschi è Maometto, nelle sue varie forme.
L’Ufficio Nazionale di Statistica ha reso noto – con qualche strana reticenza – che il nome più gettonato in Inghilterra e Galles per neonati maschi è Maometto, nelle sue varie forme. Ci sono stati l’anno scorso 3588 Muhammad, 2536 Mohammed 1116 Mohammad, per un totale di 7240 nomi del tipo. Subito dopo ci sono 6649 Oliver, 5804 Jack e 5379 Harrry.
Dieci anni fa l’Ufficio annunciava che Muhammad era entrato fra i primi dieci nomi scelti per neonati.
Nel suo comunicato attuale, però, si diceva che i nomi preferiti erano Oliver, Jack e Harry; il che, evidentemente non appare vero, perché Muhammad, Mohammed e Mohammad sono versioni appena lievemente diverse dello stesso nome. Una precauzione, sostengono alcuni, per evitare reazioni tipo Mamma Li Turchi nell’opinione pubblica
http://www.lastampa.it/2015/08/19/blogs/san-pietro-e-dintorni/maometto-nome-in-uk-aTve6hxaIhZGjfjCijjLfK/pagina.html
Parole chiare sull’immigrazione da Viktor Orban, Primo Ministro dell’Ungheria
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Il nostro amico e corrispondente ungherese, Andras Kovacs, ci ha inviato alcuni interventi di grande interesse tenuti dal Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, alla XXVI Università libera estiva e colonia degli studenti di Bálványos (25 luglio 2015 – Tusnádfürdő – Băile Tuşnad). Pubblichiamo oggi l’intervento sul tema cruciale dell’immigrazione, e nei giorni prossimi completeremo la pubblicazione con gli interventi sull’Unione Europea e sulla sovranità delle Nazioni.
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Gentili Signore e Signori,
quando ho detto che l’immigrazione illegale è come una goccia nel mare, quindi è incluso tutto il mondo, allora con ciò affermo anche che ne possiamo capire il da fare principale per gli anni seguenti. Dobbiamo ora parlare di quattro questioni che nel periodo di tempo da venire diventeranno molto importanti in tutta l’Europa quindi anche per noi ungheresi e ci darà da fare parecchio.
La prima questione è il problema dell’identità nazionale. Trent’anni fa numerosi europei vedevano la soluzione dei problemi sociali europei nel cosiddetto multiculturalismo. In questo ambito non devo parlare della differenza tra il multietnico ed il multiculturale. Oggi invece sempre di più cittadini considerano il multiculturalismo non come una soluzione ma come la causa dei problemi. Numerosi paesi europei hanno deciso negli ultimi trent’anni di accogliere una massa di persone di grande dimensione con basi di civiltà diverse. Sono convinto che non è nostro affare qualificare questo tentativo, anzi secondo il mio parere non ci è neanche permesso di dire un parere sui risultati del tentativo. Noi possiamo solo dire, ma quello con decisione, che noi questo tentativo – vedendo i suoi risultati – non vorremmo provarlo su noi stessi e ne abbiamo diritto.
La seconda questione di cui dobbiamo parlare chiaramente e direttamente è il fatto che c’è un legame diretto e chiaro tra gli immigrati illegali che arrivano in Europa e l’espansione del terrorismo. E’ interessante notare che questo fatto è evidente per i paesi anglosassoni, mentre gli altri lo negano. Recentemente un alto funzionario della pubblica sicurezza degli Stati Uniti ha dichiarato in Ungheria che è evidente la correlazione tra i due fattori. Perché è evidente che dall’enorme massa di gente non riusciamo a filtrare i terroristi ostili. Gentili Signore e Signori, dobbiamo essere d’accordo con il primo ministro britannico Cameron, che dice che non riusciremo a risolvere questa crisi finché non fermiamo queste persone subito all’inizio, nel momento quando lasciano i loro paesi.
Il terzo problema che dovremo affrontare dopo il multiculturalismo ed il terrorismo ha una natura economica. Le esperienze occidentali dimostrano che gli immigrati illegali contribuiscono all’aumento della disoccupazione. Questo fatto è evidente da quando dal 2008 l’Unione Europea è alle prese con la crisi economica e per la maggior parte degli europei – perché non tutti sono la Germania – la fonte della tensione maggiore è la disoccupazione elevata. L’arrivo di nuove masse di persone nei paesi con elevata disoccupazione causa un’ancora più alta disoccupazione. E’ semplice.
Diciamo ancora una parola di ciò che in Europa per la correttezza politica bisogna tacere. Secondo le statistiche delle polizie occidentali nei luoghi dove vivono immigrati illegali in elevato numero, aumenta in modo drastico anche il tasso di criminalità e in proporzione diminuisce la sicurezza dei cittadini. Elenco alcuni esempi su cui ragionare. Secondo le statistiche dell’ONU – non del governo ungherese, ma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – considerando il numero degli stupri, la Svezia è al secondo posto a livello mondiale dopo il Lesotho in Sud Africa. Secondo il rapporto del 2013 del parlamento britannico nei carceri britannici il numero dei detenuti musulmani negli ultimi 15 anni è aumentato del 300 percento, si è triplicato. In Italia il quarto dei delitti è stato commesso da immigrati. E potremmo andare avanti.
Riassumendo possiamo dire che l’immigrazione illegale minaccia sia l’Ungheria che l’Europa. E’ una minaccia per i nostri valori comuni, per la nostra cultura in comune, anzi anche per la nostra variegatura, minaccia la sicurezza del cittadino europeo e mette in bilico le nostre capacità per stabilizzare i nostri risultati economici. L’Ungheria finché era possibile ha cercato di agire considerando completamente gli interressi di ogni suo vicino. Oggi tuttavia il nostro paese è in una morsa. Perché non solo dal sud continuano ad arrivare le ondate di immigrati ma nei paesi ad ovest invece si è formata l’intenzione che gli immigrati illegali da noi partiti devono tornare in Ungheria. Siamo sotto pressione quindi da due lati: dal sud e dall’ovest e la verità è che non ce la facciamo.
Gentile università estiva, gentile vescovo, la questione delle migrazioni è contemporaneamente la questione del buon senso e della morale, del cuore e del cervello e in quanto così è complicato e suscita sentimenti profondi. Le questioni del genere possono essere trattate in una società solo se la comunità crea dei punti in comune. Questo era lo scopo della consultazione nazionale sulla migrazione, del cui esito ufficiale vorrei parlare adesso. Durante la consultazione nazionale entro il 21 luglio sono stati mandati indietro in totale un milione e duecentocinquantaquattro questionari. Noi abbiamo inviato ottomilioni di questionari e più di un milione di questionari sono stati mandati indietro.
Gentili Signore e Signori,
dai questionari possiamo determinare i seguenti risultati. Più di due terzi del popolo ungherese dal punto di vista della propria vita ritiene importante la questione dell’espansione del terrorismo. Due terzi degli ungheresi è convinto che gli immigrati illegali minacciano il lavoro e i mezzi di sussistenza degli ungheresi. Quattro su cinque ungheresi ritengono che la politica di Bruxelles nella questione di immigrazione e di terrorismo è fallito e di conseguenza servono un nuovo approccio e nuove regole più severe. Sempre quattro su cinque ungheresi incoraggiano il governo di creare delle regole più severe nei confronti della politica permissiva di Bruxelles per frenare l’immigrazione illegale. Regole che rendono possibile che quelli che passano i confini ungheresi in modo illegale possano essere presi in custodia e deportati nei loro paesi il più presto possibile. Inoltre secondo l’80% di quelli che hanno risposto, gli immigrati illegali, finché sono in Ungheria dovrebbero coprire loro stessi le spese della propria assistenza. Parole dure, posizione fissa, ma questa è la posizione ungherese. E infine la cosa più importante che sovrascrive tutto il resto che secondo la stragrande maggioranza degli ungheresi, il 95% di quelli che hanno risposto, invece di sostenere la migrazione è necessario appoggiare piuttosto le famiglie ungheresi ed i bambini non ancora nati. Si vede chiaramente che gli ungheresi non hanno perso ancora il buon senso. Gli esiti della consultazione dimostrano quindi che gli ungheresi non vogliono immigrati illegali e non condividono la frenesia intellettuale della sinistra europea. L’Ungheria ha preso la sua decisione ed i cittadini ungheresi hanno deciso così. Questo significa che noi vogliamo rimanere un paese sicuro e stabile, una nazione uniforme e bilanciata nel mondo insicuro che ci circonda. Perché probabilmente ho ragione a dire che oggi nel mondo può accadere di tutto, ma non mi sbaglio a pensare che noi tutti vogliamo che l’Ungheria invece sia un paese dove non può accadere del tutto.
Grazie per l’attenzione.
Viktor Orbán – Primo Ministro dell’Ungheria
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contatti: Andras Kovacs – bundi01@vipmail.hu
Il nostro amico e corrispondente ungherese, Andras Kovacs, ci ha inviato alcuni interventi di grande interesse tenuti dal Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, alla XXVI Università libera estiva e colonia degli studenti di Bálványos (25 luglio 2015 – Tusnádfürdő – Băile Tuşnad). Pubblichiamo oggi l’intervento sul tema cruciale dell’immigrazione, e nei giorni prossimi completeremo la pubblicazione con gli interventi sull’Unione Europea e sulla sovranità delle Nazioni.
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Gentili Signore e Signori,
quando ho detto che l’immigrazione illegale è come una goccia nel mare, quindi è incluso tutto il mondo, allora con ciò affermo anche che ne possiamo capire il da fare principale per gli anni seguenti. Dobbiamo ora parlare di quattro questioni che nel periodo di tempo da venire diventeranno molto importanti in tutta l’Europa quindi anche per noi ungheresi e ci darà da fare parecchio.
La prima questione è il problema dell’identità nazionale. Trent’anni fa numerosi europei vedevano la soluzione dei problemi sociali europei nel cosiddetto multiculturalismo. In questo ambito non devo parlare della differenza tra il multietnico ed il multiculturale. Oggi invece sempre di più cittadini considerano il multiculturalismo non come una soluzione ma come la causa dei problemi. Numerosi paesi europei hanno deciso negli ultimi trent’anni di accogliere una massa di persone di grande dimensione con basi di civiltà diverse. Sono convinto che non è nostro affare qualificare questo tentativo, anzi secondo il mio parere non ci è neanche permesso di dire un parere sui risultati del tentativo. Noi possiamo solo dire, ma quello con decisione, che noi questo tentativo – vedendo i suoi risultati – non vorremmo provarlo su noi stessi e ne abbiamo diritto.
La seconda questione di cui dobbiamo parlare chiaramente e direttamente è il fatto che c’è un legame diretto e chiaro tra gli immigrati illegali che arrivano in Europa e l’espansione del terrorismo. E’ interessante notare che questo fatto è evidente per i paesi anglosassoni, mentre gli altri lo negano. Recentemente un alto funzionario della pubblica sicurezza degli Stati Uniti ha dichiarato in Ungheria che è evidente la correlazione tra i due fattori. Perché è evidente che dall’enorme massa di gente non riusciamo a filtrare i terroristi ostili. Gentili Signore e Signori, dobbiamo essere d’accordo con il primo ministro britannico Cameron, che dice che non riusciremo a risolvere questa crisi finché non fermiamo queste persone subito all’inizio, nel momento quando lasciano i loro paesi.
Il terzo problema che dovremo affrontare dopo il multiculturalismo ed il terrorismo ha una natura economica. Le esperienze occidentali dimostrano che gli immigrati illegali contribuiscono all’aumento della disoccupazione. Questo fatto è evidente da quando dal 2008 l’Unione Europea è alle prese con la crisi economica e per la maggior parte degli europei – perché non tutti sono la Germania – la fonte della tensione maggiore è la disoccupazione elevata. L’arrivo di nuove masse di persone nei paesi con elevata disoccupazione causa un’ancora più alta disoccupazione. E’ semplice.
Diciamo ancora una parola di ciò che in Europa per la correttezza politica bisogna tacere. Secondo le statistiche delle polizie occidentali nei luoghi dove vivono immigrati illegali in elevato numero, aumenta in modo drastico anche il tasso di criminalità e in proporzione diminuisce la sicurezza dei cittadini. Elenco alcuni esempi su cui ragionare. Secondo le statistiche dell’ONU – non del governo ungherese, ma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – considerando il numero degli stupri, la Svezia è al secondo posto a livello mondiale dopo il Lesotho in Sud Africa. Secondo il rapporto del 2013 del parlamento britannico nei carceri britannici il numero dei detenuti musulmani negli ultimi 15 anni è aumentato del 300 percento, si è triplicato. In Italia il quarto dei delitti è stato commesso da immigrati. E potremmo andare avanti.
Riassumendo possiamo dire che l’immigrazione illegale minaccia sia l’Ungheria che l’Europa. E’ una minaccia per i nostri valori comuni, per la nostra cultura in comune, anzi anche per la nostra variegatura, minaccia la sicurezza del cittadino europeo e mette in bilico le nostre capacità per stabilizzare i nostri risultati economici. L’Ungheria finché era possibile ha cercato di agire considerando completamente gli interressi di ogni suo vicino. Oggi tuttavia il nostro paese è in una morsa. Perché non solo dal sud continuano ad arrivare le ondate di immigrati ma nei paesi ad ovest invece si è formata l’intenzione che gli immigrati illegali da noi partiti devono tornare in Ungheria. Siamo sotto pressione quindi da due lati: dal sud e dall’ovest e la verità è che non ce la facciamo.
Gentile università estiva, gentile vescovo, la questione delle migrazioni è contemporaneamente la questione del buon senso e della morale, del cuore e del cervello e in quanto così è complicato e suscita sentimenti profondi. Le questioni del genere possono essere trattate in una società solo se la comunità crea dei punti in comune. Questo era lo scopo della consultazione nazionale sulla migrazione, del cui esito ufficiale vorrei parlare adesso. Durante la consultazione nazionale entro il 21 luglio sono stati mandati indietro in totale un milione e duecentocinquantaquattro questionari. Noi abbiamo inviato ottomilioni di questionari e più di un milione di questionari sono stati mandati indietro.
Gentili Signore e Signori,
dai questionari possiamo determinare i seguenti risultati. Più di due terzi del popolo ungherese dal punto di vista della propria vita ritiene importante la questione dell’espansione del terrorismo. Due terzi degli ungheresi è convinto che gli immigrati illegali minacciano il lavoro e i mezzi di sussistenza degli ungheresi. Quattro su cinque ungheresi ritengono che la politica di Bruxelles nella questione di immigrazione e di terrorismo è fallito e di conseguenza servono un nuovo approccio e nuove regole più severe. Sempre quattro su cinque ungheresi incoraggiano il governo di creare delle regole più severe nei confronti della politica permissiva di Bruxelles per frenare l’immigrazione illegale. Regole che rendono possibile che quelli che passano i confini ungheresi in modo illegale possano essere presi in custodia e deportati nei loro paesi il più presto possibile. Inoltre secondo l’80% di quelli che hanno risposto, gli immigrati illegali, finché sono in Ungheria dovrebbero coprire loro stessi le spese della propria assistenza. Parole dure, posizione fissa, ma questa è la posizione ungherese. E infine la cosa più importante che sovrascrive tutto il resto che secondo la stragrande maggioranza degli ungheresi, il 95% di quelli che hanno risposto, invece di sostenere la migrazione è necessario appoggiare piuttosto le famiglie ungheresi ed i bambini non ancora nati. Si vede chiaramente che gli ungheresi non hanno perso ancora il buon senso. Gli esiti della consultazione dimostrano quindi che gli ungheresi non vogliono immigrati illegali e non condividono la frenesia intellettuale della sinistra europea. L’Ungheria ha preso la sua decisione ed i cittadini ungheresi hanno deciso così. Questo significa che noi vogliamo rimanere un paese sicuro e stabile, una nazione uniforme e bilanciata nel mondo insicuro che ci circonda. Perché probabilmente ho ragione a dire che oggi nel mondo può accadere di tutto, ma non mi sbaglio a pensare che noi tutti vogliamo che l’Ungheria invece sia un paese dove non può accadere del tutto.
Grazie per l’attenzione.
Viktor Orbán – Primo Ministro dell’Ungheria
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contatti: Andras Kovacs – bundi01@vipmail.hu
L’Europa: un’ossessione ideologica che combatte le identità nazionali – di Viktor Orban, Primo Ministro dell’Ungheria
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Pubblichiamo oggi la seconda parte degli interventi tenuti dal Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, alla XXVI Università libera estiva e colonia degli studenti di Bálványos (25 luglio 2015 – Tusnádfürdő – Băile Tuşnad). In questi interventi vengono affrontati altri argomenti di grande interesse: la lotta dei potentati europei contro le identità nazionali, la degenerazione dell’Europa, trasformatasi da organo pragmatico in ideologia chiusa, il cavallo di Troia dell’immigrazione. In apertura leggiamo un’interessante riflessione sul concetto di “futuro”.
Ringraziamo il nostro amico e corrispondente ungherese, Andras Kovacs, che ci ha inviato i testi di queste conferenze. Per leggere gli altri interventi di Viktor Orban, riportati nell’articolo Parole chiare sull’immigrazione da Viktor Orban, Primo Ministro dell’Ungheria, cliccate qui
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Egregi Signore e Signori,
un anno fa ho detto che stavamo vivendo dei tempi in cui qualunque cosa poteva succedere e questo è valido anche oggi. Chi avrebbe pensato che l’Europa fosse incapace di proteggere i propri confini anche nei confronti di rifugiati disarmati. Chi avrebbe pensato che in Francia la situazione arriva al punto che il capo della comunità islamica locale fa una richiesta aperta allo stato francese perché le chiese cristiane spopolate vengano consegnate a loro perché ben volentieri ne fanno delle chiese islamiche. Chi avrebbe mai pensato che gli Stati Uniti intercettassero i leader politici tedeschi. Un fatto così viene a galla e non c’è nessuna conseguenza. E chi avrebbe pensato che noi europei avremmo fatto finta come se nulla fosse successo e amichevolmente avremmo proceduto con le trattative sul commercio libero con quella parte che probabilmente conosceva le nostre posizioni negoziali già prima di noi stessi. E chi avrebbe pensato un anno fa che gli americani avrebbero dispiegato armi nell’Europa Centrale e che al parlamento ungherese avrebbe causato problemi se seguire o no. E chi avrebbe pensato oltre a noi che per la fine del 2014 l’Ungheria sarebbe diventata il secondo paese con la crescita più rapida in tutta l’Unione Europea.
Egregi Signore e Signori,
l’insicurezza del futuro può convincere uno a pensare sulla natura del futuro politico, cioè sulla natura della possibilità di conoscere il futuro. Tendiamo a immaginare il futuro, cioè la possibilità di conoscere il futuro come fanno i capitani che navigano verso lo sconosciuto: stiamo sulla prua della nave con il binocolo in mano e scrutiamo le rive sconosciute e avrà la precedenza, avrà la conoscenza del futuro per la prima volta chi ha la vista più acuta o chi ha il binocolo migliore. Come se il futuro fosse là davanti a noi come un continente ancora non scoperto, come se esistesse e fosse là ad aspettarci. Invece, cari amici miei, il futuro ha una natura ben diversa. La sua caratteristica più importante è proprio quella che non è ancora pronto, anzi non esiste per niente, succederà solo dopo questo momento, quindi di conseguenza non ha nessun senso aguzzare la vista in avanti. Vale la pena di immaginare il futuro come fanno i vogatori quando procedono sulla regata durante le gare: seduti con le spalle verso la direzione della marcia. Vediamo solo ciò che abbiamo lasciato e quello che capita nel nostro campo visivo. Dobbiamo dirigere la prua della barca verso il futuro secondo a ciò che si apre al nostro orizzonte e dobbiamo capire il futuro in base a ciò che conosciamo già. Di conseguenza il pensiero sul futuro non è una gara per guardare lontano ma piuttosto è la gara della comprensione del passato. Vince chi riesce a capire più profondamente il passato e da ciò più velocemente e più coraggiosamente ne trae un insegnamento. Questo è il punto di partenza di ogni leadership politico e di progettazione.
Gentili amici miei,
questa è una buona notizia perché per la comprensione prima di tutto abbiamo bisogno di ragione, cioè di cervello e al mondo il cervello umano è il meglio distribuito perché tutti sono convinti che ne hanno un po’ di più degli altri. Se pensiamo all’Unione Europea e in essa al nostro futuro, allora prima dobbiamo essere chiari con il passato dell’Unione Europea. Nonostante tutte le nostre critiche forti dobbiamo dichiarare che l’Unione Europea così come sta, è un successo grandioso: pace, sviluppo e benessere. E’ vero che la pace che dura da dopo la seconda guerra mondiale fino al 1990 non è dovuta a noi, ma agli americani e ai russi che al posto nostro hanno deciso gli affari dell’Europa, ma senza dubbio dopo il 1990 il successo è già un nostro successo europeo e nonostante adesso abbiamo dei problemi, questo fatto non viene sovrascritto da ciò che è successo dal 2008.
Egregi Signore e Signori,
a volte capitano dei fenomeni attraverso i quali diventa chiaro, in cui si condensa il carattere di una certa era. Un fenomeno del genere della nostra vita è la nuova migrazione dei popoli. Se ci affacciamo a questa finestra, vedremo tutto il mondo. Oggi in questo si condensa il mondo e attraverso questo possiamo capire dove è il nostro posto e cosa ci aspetta.
Gentili Signore e Signori,
parliamo chiaramente: la crescita della migrazione dei popoli della nuova era è una conseguenza dei processi politici. I paesi dell’Africa Settentrionale precedentemente fungevano da bastione di protezione per l’Europa e attenuavano le popolazioni che arrivavano dall’Africa Centrale. La minaccia seria non arriva dalle zone di guerra, ma dalle profondità dell’Africa. Con il crollo dei paesi dell’Africa Settentrionale è crollata vistosamente anche la striscia di protezione e ormai l’Africa Settentrionale non è in grado di proteggere l’Europa contro le enormi masse di persone. Di conseguenza in un breve periodo di tempo si è formato un enorme problema. Io sono d’accordo con l’ex presidente Sarkozy che recentemente parlando nella televisione francese ha detto che l’ondata di migrazione attuale è solo l’inizio. In Africa attualmente vivono un miliardo e centomilioni di persone, tra cui più della metà è sotto i 25 anni. Secondo Sarkozy entro breve tempo più di cento milioni di persone non avranno un posto dove abitare, non avranno acqua e cibo a sufficienza e queste persone, seguendo quelle attuali, inizieranno a migrare. Quindi gentili Signore e Signori, onorevole Vescovo, per noi oggi in palio c’è l’Europa, il modo di vivere del cittadino europeo, i valori europei e la conservazione oppure la sparizione anzi più esattamente il cambiamento irriconoscibile delle nazioni europee. La questione ormai non è solo quella riguardante noi ungheresi e in che Europa vorremmo vivere, ma anche se esisterà ciò che noi oggi chiamiamo Europa. La nostra risposta è chiara: vorremmo che l’Europa restasse degli europei. Noi vorremmo questo. E’ solo “vorremmo” perché per questo serve anche la volontà degli altri, ma c’è qualcosa che non vorremmo, ma vogliamo. Lo vogliamo perché dipende esclusivamente da noi: vogliamo conservare l’Ungheria come paese degli ungheresi. E’ importante ribadirlo, anche se da noi pare piuttosto un luogo comune, ma nonostante ciò bisogna ribadirlo perché esistono delle persone che pensano diversamente. Anche se sembra incredibile, con le nostre capacità mentali e spirituali è quasi incomprensibile, ma ci sono persone che pensano diversamente.
La sinistra europea non considera il problema dell’immigrazione come fonte di pericolo ma addirittura come possibilità. La sinistra guardava sempre con sospetto le nazioni e le identità nazionali. Per loro –ascoltate bene le loro parole – l’intensificazione dell’immigrazione potrebbe attenuare, anzi far cessare definitivamente i quadri nazionali e con questo si realizzerebbe anche uno scopo finora a lungo termine della sinistra. Non è a caso che – anche se per la prima volta può sembrare una cosa assurda, ma se ci avviciniamo all’Ungheria, lo possiamo vedere – nel 2004 la sinistra ungherese incitava e aizzava contro gli ungheresi che vivono oltre ai confini, e oggi abbraccerebbe con affetto gli immigrati illegali. Queste persone, questi politici semplicemente non vogliono bene agli ungheresi e non gli vogliono bene perché sono ungheresi. Come tanti centri del potere politico e finanziario di Bruxelles sono interessati a cancellare i quadri nazionali, a rendere debole la sovranità degli stati nazionali e di far cessare le identità nazionali. Cercate a immaginare come sarebbe l’Ungheria se nel 2014 la sinistra avesse potuto fare il governo. E’ un pensiero spaventoso, ma cerchiamo di immaginarlo per un momento: un paio di anni e non riconosceremmo la nostra patria, non riconosceremmo l’Ungheria, saremmo come un enorme campo di profughi, una specie di Marseille dell’Europa Centrale.
Gentili Signore e Signori,
possiamo vedere che non si tratta di un gioco, come anche le elezioni parlamentari non lo sono.
Gentili Signore e Signori,
dobbiamo menzionare anche che l’intensificazione dell’immigrazione è correlata con il fatto che il fondamentalismo dei diritti umani all’Ovest da un supporto morale a ogni persona, indipendentemente dal motivo per cui vuole lasciare la propria patria. Perché naturalmente esistono dei veri profughi, ma ce ne sono molto di più quelli che vorrebbero godersi i vantaggi del modo di vivere europeo. Dato che in modo regolare così tante persone non riuscirebbero mai ad entrare nel territorio dell’Unione, ci saranno sempre di più che accettano e accetteranno i rischi correlati all’immigrazione illegale. Siccome l’Unione Europea ha solo principi ma non ha una sovranità vera e propria, come per esempio non ha delle guardie di confine, non sa come reagire nella nuova situazione. Bruxelles non è in grado di proteggere i cittadini europei nei confronti degli immigrati illegali e come dichiara l’ex ministro delle finanze tedesco: “Il problema dell’Europa è che tira dei calci in salita ad un barattolo e si meraviglia quando esso torna indietro.” L’Unione Europea è nata come un’alleanza economica, dopo è diventata anche un’alleanza politica, oggi dovrebbe agire come potere sovrano ma per questo bisognerebbe restringere la sovranità nazionale. Come dice anche la barzelletta: la prima volta la direzione era giusta, ma lo facevano male, poi era sbagliata la direzione, ma lo facevano bene.
Gentili Signore e Signori,
l’Unione Europea secondo la sua vocazione offriva delle soluzioni vere per problemi veri per un lungo periodo di tempo: pace al posto della guerra, mercato unico invece della frammentazione, per i più poveri la possibilità di serrare le file anziché rimanere indietro. L’Unione Europea era pragmatica e relativamente flessibile ed è a questo che dobbiamo le sue soluzioni organizzative uniche, ma è ovvio che per oggi qualcosa si é rovinato. L’Europa al posto delle soluzioni vere è diventata un’ideologia, oggi non considera il problema ma il fatto che se la soluzione data rende debole o forte la propria ideologia chiusa. L’Europa è diventata un’ossessione ideologica, se qualcosa è ragionevole ed ha successo, ma rafforza la sovranità degli stati nazionali, allora è da respingere, anzi è nemico, più ha successo più è pericoloso. Questa è l’essenza della storia ungherese.
Ciò che noi ungheresi facciamo, senza dubbio ha successo, ma dato che non si adatta alle ideologie di Bruxelles, quindi non rende debole, ma addirittura rafforza la sovranità nazionale e statale ungherese, dal loro punto di vista è intollerabile. Per questo l’Unione Europea non prospera, non ce la fa neanche con la crisi greca. Si tratta di un problema pratico, bisognerebbe trovare una soluzione pratica.
Noi ungheresi siamo interessati ad un’Unione forte e pensiamo che le soluzioni con successo rendano l’Europa forte. La principale corrente politica e di potere intellettuale europea è convinta che l’Europa diventerà forte se in qualche modo si creeranno gli Stati Uniti d’Europa. Osservando su questo orizzonte il nostro continente, oggi noi ungheresi siamo i gaullisti del continente. Gli Stati Uniti d’America nella loro natura e struttura non hanno corpi nazionali separati, quindi noi non dobbiamo imitarli. Mentre l’Europa ha come natura il fatto di essere costituita da nazioni, quindi è una pazzia aspirare alla creazione degli Stati Uniti d’Europa sopra le nazioni. L’America non è grande perché non è composta da nazioni ma perché è capace di tirare fuori delle soluzioni di successo. Quindi se l’Unione vuole avere successo, allora anche essa deve trovare le proprie soluzioni funzionanti. Se ne sarà capace, non lo sappiamo ancora, ma sappiamo che l’Europa dal 2008, dall’inizio della crisi mondiale ha ancora questo debito. Dal 2008 i cittadini hanno l’impressione che l’Unione Europea ripeta le sue azioni di volte in volta e nello stesso tempo aspetti risultati diversi.
Forse in tanti vi ricordate ancora che dopo la crisi del 2008, il primo paese che aveva bisogno di un pacchetto di salvataggio internazionale non era la Grecia, bensì l’Ungheria. Dopo il 2010 siamo comunque riusciti a diventare uno dei paesi membri di pochi abitanti il cui debito, espresso in percentuale del prodotto interno lordo, non è aumentato, bensì è diminuito. Se vogliamo valutare ed apprezzare gli sforzi degli ungheresi in merito, allora diamo un’occhiata alla Grecia. Noi siamo orgogliosi che abbiamo ripagato i nostri debiti in tempo al FMI e anche del sostegno finanziario ottenuto dall’Unione resta ormai solo una piccola parte da ripagare e che ripagheremo all’inizio del 2016 entro la data di scadenza. Non dimenticate che l’Ungheria non ha mai chiesto nessuno sconto o proroga per i suoi debiti. Per alcuni questo vuol dire debolezza, ma per altri è una virtù. Io appartengo a questo secondo gruppo. E tutto ciò è avvenuto mentre il tasso di crescita del prodotto interno lordo tra gli Stati membri dell’UE era eccellente. Nella storia economica ungherese, cari amici, è raro, negli ultimi decenni invece è unico, che contemporaneamente migliorano gli indicatori di equilibrio dell’economia esterna e interna e nel frattempo cresce l’economia. Intanto siamo riusciti a correggere anche due errori precedenti: abbiamo eliminato i prestiti in valuta estera per la popolazione, riuscendo così a prevenire un crollo economico, e nel frattempo siamo riusciti a rimettere in proprietà pubblica gli oggetti di valore strategico precedentemente privatizzati, il che è una questione fondamentale per la sovranità nazionale ungherese.
Grazie per l’attenzione.
Viktor Orbán – Primo Ministro dell’Ungheria
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contatti: Andras Kovacs – bundi01@vipmail.hu
Pubblichiamo oggi la seconda parte degli interventi tenuti dal Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, alla XXVI Università libera estiva e colonia degli studenti di Bálványos (25 luglio 2015 – Tusnádfürdő – Băile Tuşnad). In questi interventi vengono affrontati altri argomenti di grande interesse: la lotta dei potentati europei contro le identità nazionali, la degenerazione dell’Europa, trasformatasi da organo pragmatico in ideologia chiusa, il cavallo di Troia dell’immigrazione. In apertura leggiamo un’interessante riflessione sul concetto di “futuro”.
Ringraziamo il nostro amico e corrispondente ungherese, Andras Kovacs, che ci ha inviato i testi di queste conferenze. Per leggere gli altri interventi di Viktor Orban, riportati nell’articolo Parole chiare sull’immigrazione da Viktor Orban, Primo Ministro dell’Ungheria, cliccate qui
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Egregi Signore e Signori,
un anno fa ho detto che stavamo vivendo dei tempi in cui qualunque cosa poteva succedere e questo è valido anche oggi. Chi avrebbe pensato che l’Europa fosse incapace di proteggere i propri confini anche nei confronti di rifugiati disarmati. Chi avrebbe pensato che in Francia la situazione arriva al punto che il capo della comunità islamica locale fa una richiesta aperta allo stato francese perché le chiese cristiane spopolate vengano consegnate a loro perché ben volentieri ne fanno delle chiese islamiche. Chi avrebbe mai pensato che gli Stati Uniti intercettassero i leader politici tedeschi. Un fatto così viene a galla e non c’è nessuna conseguenza. E chi avrebbe pensato che noi europei avremmo fatto finta come se nulla fosse successo e amichevolmente avremmo proceduto con le trattative sul commercio libero con quella parte che probabilmente conosceva le nostre posizioni negoziali già prima di noi stessi. E chi avrebbe pensato un anno fa che gli americani avrebbero dispiegato armi nell’Europa Centrale e che al parlamento ungherese avrebbe causato problemi se seguire o no. E chi avrebbe pensato oltre a noi che per la fine del 2014 l’Ungheria sarebbe diventata il secondo paese con la crescita più rapida in tutta l’Unione Europea.
Egregi Signore e Signori,
l’insicurezza del futuro può convincere uno a pensare sulla natura del futuro politico, cioè sulla natura della possibilità di conoscere il futuro. Tendiamo a immaginare il futuro, cioè la possibilità di conoscere il futuro come fanno i capitani che navigano verso lo sconosciuto: stiamo sulla prua della nave con il binocolo in mano e scrutiamo le rive sconosciute e avrà la precedenza, avrà la conoscenza del futuro per la prima volta chi ha la vista più acuta o chi ha il binocolo migliore. Come se il futuro fosse là davanti a noi come un continente ancora non scoperto, come se esistesse e fosse là ad aspettarci. Invece, cari amici miei, il futuro ha una natura ben diversa. La sua caratteristica più importante è proprio quella che non è ancora pronto, anzi non esiste per niente, succederà solo dopo questo momento, quindi di conseguenza non ha nessun senso aguzzare la vista in avanti. Vale la pena di immaginare il futuro come fanno i vogatori quando procedono sulla regata durante le gare: seduti con le spalle verso la direzione della marcia. Vediamo solo ciò che abbiamo lasciato e quello che capita nel nostro campo visivo. Dobbiamo dirigere la prua della barca verso il futuro secondo a ciò che si apre al nostro orizzonte e dobbiamo capire il futuro in base a ciò che conosciamo già. Di conseguenza il pensiero sul futuro non è una gara per guardare lontano ma piuttosto è la gara della comprensione del passato. Vince chi riesce a capire più profondamente il passato e da ciò più velocemente e più coraggiosamente ne trae un insegnamento. Questo è il punto di partenza di ogni leadership politico e di progettazione.
Gentili amici miei,
questa è una buona notizia perché per la comprensione prima di tutto abbiamo bisogno di ragione, cioè di cervello e al mondo il cervello umano è il meglio distribuito perché tutti sono convinti che ne hanno un po’ di più degli altri. Se pensiamo all’Unione Europea e in essa al nostro futuro, allora prima dobbiamo essere chiari con il passato dell’Unione Europea. Nonostante tutte le nostre critiche forti dobbiamo dichiarare che l’Unione Europea così come sta, è un successo grandioso: pace, sviluppo e benessere. E’ vero che la pace che dura da dopo la seconda guerra mondiale fino al 1990 non è dovuta a noi, ma agli americani e ai russi che al posto nostro hanno deciso gli affari dell’Europa, ma senza dubbio dopo il 1990 il successo è già un nostro successo europeo e nonostante adesso abbiamo dei problemi, questo fatto non viene sovrascritto da ciò che è successo dal 2008.
Egregi Signore e Signori,
a volte capitano dei fenomeni attraverso i quali diventa chiaro, in cui si condensa il carattere di una certa era. Un fenomeno del genere della nostra vita è la nuova migrazione dei popoli. Se ci affacciamo a questa finestra, vedremo tutto il mondo. Oggi in questo si condensa il mondo e attraverso questo possiamo capire dove è il nostro posto e cosa ci aspetta.
Gentili Signore e Signori,
parliamo chiaramente: la crescita della migrazione dei popoli della nuova era è una conseguenza dei processi politici. I paesi dell’Africa Settentrionale precedentemente fungevano da bastione di protezione per l’Europa e attenuavano le popolazioni che arrivavano dall’Africa Centrale. La minaccia seria non arriva dalle zone di guerra, ma dalle profondità dell’Africa. Con il crollo dei paesi dell’Africa Settentrionale è crollata vistosamente anche la striscia di protezione e ormai l’Africa Settentrionale non è in grado di proteggere l’Europa contro le enormi masse di persone. Di conseguenza in un breve periodo di tempo si è formato un enorme problema. Io sono d’accordo con l’ex presidente Sarkozy che recentemente parlando nella televisione francese ha detto che l’ondata di migrazione attuale è solo l’inizio. In Africa attualmente vivono un miliardo e centomilioni di persone, tra cui più della metà è sotto i 25 anni. Secondo Sarkozy entro breve tempo più di cento milioni di persone non avranno un posto dove abitare, non avranno acqua e cibo a sufficienza e queste persone, seguendo quelle attuali, inizieranno a migrare. Quindi gentili Signore e Signori, onorevole Vescovo, per noi oggi in palio c’è l’Europa, il modo di vivere del cittadino europeo, i valori europei e la conservazione oppure la sparizione anzi più esattamente il cambiamento irriconoscibile delle nazioni europee. La questione ormai non è solo quella riguardante noi ungheresi e in che Europa vorremmo vivere, ma anche se esisterà ciò che noi oggi chiamiamo Europa. La nostra risposta è chiara: vorremmo che l’Europa restasse degli europei. Noi vorremmo questo. E’ solo “vorremmo” perché per questo serve anche la volontà degli altri, ma c’è qualcosa che non vorremmo, ma vogliamo. Lo vogliamo perché dipende esclusivamente da noi: vogliamo conservare l’Ungheria come paese degli ungheresi. E’ importante ribadirlo, anche se da noi pare piuttosto un luogo comune, ma nonostante ciò bisogna ribadirlo perché esistono delle persone che pensano diversamente. Anche se sembra incredibile, con le nostre capacità mentali e spirituali è quasi incomprensibile, ma ci sono persone che pensano diversamente.
La sinistra europea non considera il problema dell’immigrazione come fonte di pericolo ma addirittura come possibilità. La sinistra guardava sempre con sospetto le nazioni e le identità nazionali. Per loro –ascoltate bene le loro parole – l’intensificazione dell’immigrazione potrebbe attenuare, anzi far cessare definitivamente i quadri nazionali e con questo si realizzerebbe anche uno scopo finora a lungo termine della sinistra. Non è a caso che – anche se per la prima volta può sembrare una cosa assurda, ma se ci avviciniamo all’Ungheria, lo possiamo vedere – nel 2004 la sinistra ungherese incitava e aizzava contro gli ungheresi che vivono oltre ai confini, e oggi abbraccerebbe con affetto gli immigrati illegali. Queste persone, questi politici semplicemente non vogliono bene agli ungheresi e non gli vogliono bene perché sono ungheresi. Come tanti centri del potere politico e finanziario di Bruxelles sono interessati a cancellare i quadri nazionali, a rendere debole la sovranità degli stati nazionali e di far cessare le identità nazionali. Cercate a immaginare come sarebbe l’Ungheria se nel 2014 la sinistra avesse potuto fare il governo. E’ un pensiero spaventoso, ma cerchiamo di immaginarlo per un momento: un paio di anni e non riconosceremmo la nostra patria, non riconosceremmo l’Ungheria, saremmo come un enorme campo di profughi, una specie di Marseille dell’Europa Centrale.
Gentili Signore e Signori,
possiamo vedere che non si tratta di un gioco, come anche le elezioni parlamentari non lo sono.
Gentili Signore e Signori,
dobbiamo menzionare anche che l’intensificazione dell’immigrazione è correlata con il fatto che il fondamentalismo dei diritti umani all’Ovest da un supporto morale a ogni persona, indipendentemente dal motivo per cui vuole lasciare la propria patria. Perché naturalmente esistono dei veri profughi, ma ce ne sono molto di più quelli che vorrebbero godersi i vantaggi del modo di vivere europeo. Dato che in modo regolare così tante persone non riuscirebbero mai ad entrare nel territorio dell’Unione, ci saranno sempre di più che accettano e accetteranno i rischi correlati all’immigrazione illegale. Siccome l’Unione Europea ha solo principi ma non ha una sovranità vera e propria, come per esempio non ha delle guardie di confine, non sa come reagire nella nuova situazione. Bruxelles non è in grado di proteggere i cittadini europei nei confronti degli immigrati illegali e come dichiara l’ex ministro delle finanze tedesco: “Il problema dell’Europa è che tira dei calci in salita ad un barattolo e si meraviglia quando esso torna indietro.” L’Unione Europea è nata come un’alleanza economica, dopo è diventata anche un’alleanza politica, oggi dovrebbe agire come potere sovrano ma per questo bisognerebbe restringere la sovranità nazionale. Come dice anche la barzelletta: la prima volta la direzione era giusta, ma lo facevano male, poi era sbagliata la direzione, ma lo facevano bene.
Gentili Signore e Signori,
l’Unione Europea secondo la sua vocazione offriva delle soluzioni vere per problemi veri per un lungo periodo di tempo: pace al posto della guerra, mercato unico invece della frammentazione, per i più poveri la possibilità di serrare le file anziché rimanere indietro. L’Unione Europea era pragmatica e relativamente flessibile ed è a questo che dobbiamo le sue soluzioni organizzative uniche, ma è ovvio che per oggi qualcosa si é rovinato. L’Europa al posto delle soluzioni vere è diventata un’ideologia, oggi non considera il problema ma il fatto che se la soluzione data rende debole o forte la propria ideologia chiusa. L’Europa è diventata un’ossessione ideologica, se qualcosa è ragionevole ed ha successo, ma rafforza la sovranità degli stati nazionali, allora è da respingere, anzi è nemico, più ha successo più è pericoloso. Questa è l’essenza della storia ungherese.
Ciò che noi ungheresi facciamo, senza dubbio ha successo, ma dato che non si adatta alle ideologie di Bruxelles, quindi non rende debole, ma addirittura rafforza la sovranità nazionale e statale ungherese, dal loro punto di vista è intollerabile. Per questo l’Unione Europea non prospera, non ce la fa neanche con la crisi greca. Si tratta di un problema pratico, bisognerebbe trovare una soluzione pratica.
Noi ungheresi siamo interessati ad un’Unione forte e pensiamo che le soluzioni con successo rendano l’Europa forte. La principale corrente politica e di potere intellettuale europea è convinta che l’Europa diventerà forte se in qualche modo si creeranno gli Stati Uniti d’Europa. Osservando su questo orizzonte il nostro continente, oggi noi ungheresi siamo i gaullisti del continente. Gli Stati Uniti d’America nella loro natura e struttura non hanno corpi nazionali separati, quindi noi non dobbiamo imitarli. Mentre l’Europa ha come natura il fatto di essere costituita da nazioni, quindi è una pazzia aspirare alla creazione degli Stati Uniti d’Europa sopra le nazioni. L’America non è grande perché non è composta da nazioni ma perché è capace di tirare fuori delle soluzioni di successo. Quindi se l’Unione vuole avere successo, allora anche essa deve trovare le proprie soluzioni funzionanti. Se ne sarà capace, non lo sappiamo ancora, ma sappiamo che l’Europa dal 2008, dall’inizio della crisi mondiale ha ancora questo debito. Dal 2008 i cittadini hanno l’impressione che l’Unione Europea ripeta le sue azioni di volte in volta e nello stesso tempo aspetti risultati diversi.
Forse in tanti vi ricordate ancora che dopo la crisi del 2008, il primo paese che aveva bisogno di un pacchetto di salvataggio internazionale non era la Grecia, bensì l’Ungheria. Dopo il 2010 siamo comunque riusciti a diventare uno dei paesi membri di pochi abitanti il cui debito, espresso in percentuale del prodotto interno lordo, non è aumentato, bensì è diminuito. Se vogliamo valutare ed apprezzare gli sforzi degli ungheresi in merito, allora diamo un’occhiata alla Grecia. Noi siamo orgogliosi che abbiamo ripagato i nostri debiti in tempo al FMI e anche del sostegno finanziario ottenuto dall’Unione resta ormai solo una piccola parte da ripagare e che ripagheremo all’inizio del 2016 entro la data di scadenza. Non dimenticate che l’Ungheria non ha mai chiesto nessuno sconto o proroga per i suoi debiti. Per alcuni questo vuol dire debolezza, ma per altri è una virtù. Io appartengo a questo secondo gruppo. E tutto ciò è avvenuto mentre il tasso di crescita del prodotto interno lordo tra gli Stati membri dell’UE era eccellente. Nella storia economica ungherese, cari amici, è raro, negli ultimi decenni invece è unico, che contemporaneamente migliorano gli indicatori di equilibrio dell’economia esterna e interna e nel frattempo cresce l’economia. Intanto siamo riusciti a correggere anche due errori precedenti: abbiamo eliminato i prestiti in valuta estera per la popolazione, riuscendo così a prevenire un crollo economico, e nel frattempo siamo riusciti a rimettere in proprietà pubblica gli oggetti di valore strategico precedentemente privatizzati, il che è una questione fondamentale per la sovranità nazionale ungherese.
Grazie per l’attenzione.
Viktor Orbán – Primo Ministro dell’Ungheria
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contatti: Andras Kovacs – bundi01@vipmail.hu
http://www.riscossacristiana.it/leuropa-unossessione-ideologica-che-combatte-le-identita-nazionali-di-viktor-orban-primo-ministro-dellungheria/
DAL CULTO A DIO VIENE L'AUTENTICO AMORE PER I POVERI. L'ESEMPIO DI DON BOSCO E DI SUA MAMMA
Per festeggiare don Bosco, nel bicentenario della sua nascita (16 agosto), ho voluto raccogliere un piccolo cammeo in onore di sua madre, Margherita Occhiena. La santa donna, di cui sono avviati i processi per la beatificazione, attraversa una fase di discreto successo negli ultimi anni, complice il clima di rinnovato approfondimento del protagonismo laicale nella Chiesa, anche se di fatto rimane una figura poco conosciuta e poco coltivata. Purtroppo, quel poco basta a far fiorire qua e là interpretazioni riduzioniste, generalmente orientate in chiave pauperistica e secolarizzante. Assumendo a priori la buona fede di chi le pronuncia, e senza voler sollevare polemiche di sorta, vorrei dedicarmi alla ricostruzione di un caso – uno tra i non molti attinti da una biografia in fondo non ricchissima di cronache e di aneddoti – in cui al sottoscritto appare evidente la strumentalizzazione e di cui potrebbe risultare istruttiva la correzione.
Di Mamma Margherita tutti ricordano e ripetono con una certa enfasi l’episodio del colera del 1854: mentre don Bosco era per le strade assieme ai suoi giovanetti, intento ad assistere le centinaia di colerosi colpiti dall’epidemia, la buona madre procurava il necessario per le cure, non risparmiando neppure i paramenti dell’altare. Come si potrà intuire, il racconto si presta facilmente all’esaltazione della Chiesa-ospedale-da-campo in cui – almeno secondo una vulgata mediatica, non certo avallata dal Magistero, eppur molto diffusa anche in alcuni ambienti cattolici – gli inutili riti andrebbero messi da parte, per dedicarsi all’unico culto: quello del povero ammalato, magari migrante.
Ora, il fatto del colera è avvenuto, è significativo, è esemplare, ma va ricostruito in modo più autentico per non venir frainteso e piegato a ideologie di moda. Raccoglieremo dalle Memorie Biografiche, mastodontica biografia di don Bosco in diciannove volumi, pochi ed esaurienti dati utili alle nostre chiarificazioni. Ci limiteremo a scorrere tre passaggi emblematici.
L’intero volume primo presenta molti elementi della persona di Margherita (la cui morte è registrata nel volume quinto), ma è il secondo tomo ad interessarci, laddove la donna non più giovane si appresta a seguire il figlio sacerdote fino a Torino, per assisterlo col proprio lavoro e… col proprio denaro.
Quantunque entrambi avessero collocata la loro fiducia nei granai e nei tesori della divina Provvidenza, tuttavia non tralasciarono di fare quanto dipendeva da loro, a fine di non obbligarla sì tosto a dar mano ai miracoli. – Facciamo noi quello che possiamo, esclamava don Bosco, e il Padre delle misericordie aggiungerà ciò che manca. – Perciò egli, d’accordo colla madre, prese ed effettuò il partito di vendere alcuni appezzamenti di campo e di vigna che possedevano al paese natio. Né ciò ancor bastando, la madre si fece mandare il suo corredo di sposa, che aveva fino allora conservato gelosamente intatto: vesti, anello, orecchini, collane. Avutolo, parte ne vendette, parte ne impiegò a far sacri arredi per la cappella dell’Oratorio che era poverissima. Alcune sue vesti servirono a formare pianete; colla biancheria si fecero camici, cotte, purificatoi, tovaglie per l’altare. Ogni cosa passò per mano di Madama Margherita Gastaldi, che fin d’allora prendeva parte ai bisogni dell’Oratorio. Il prezzo della collana servì a comprare galloni e guarniture pei sacri paramenti.
Per quanto la buona donna fosse distaccata dalle cose del mondo, tuttavia lo spropriarsi di quei preziosi ricordi le costò non poca pena. Una volta che ne parlava la udimmo a dire: “ Quando mi vidi quegli oggetti per l’ultima volta tra mano, e stava per alienarli o disfarli, mi sentii pel rincrescimento alquanto turbata; ma non appena me ne sono accorta, dissi: Andate là; che sorte migliore non vi potrebbe toccare, quanto si è quella di sfamare e vestire poveri fanciulli, e fare onore in Chiesa allo Sposo celeste. – Dopo quest’atto mi sentii così contenta, che se avessi avuti cento altri corredi, me ne sarei privata senza alcun rammarico ”. Ella metteva in pratica quella sentenza così famigliare sulle labbra del suo degno figliuolo: – Quando si tratta di servire si buon padre, come Iddio, bisogna essere pronti a tutto sacrificare. (MB II, 55)
Ecco una testimonianza che è a dir poco sconosciuta per i non addetti ai lavori. Mamma Margherita, ben prima di prendere i lini dell’altare per farne garze utili ai moribondi, ha rinunciato alla propria dote di sposa, per confezionare paramenti ed arredi liturgici. Un atto eroico, di cui non si tace la fatica e lo sforzo.
Saltiamo due volumi oltre e scopriamo l’evoluzione della povertà evangelica di Margherita: non si parla più di sforzi per distaccarsi dai beni materiali, al contrario ora è don Bosco che fatica a convincere la buona madre ad avere maggior cura di sé e del proprio abbigliamento.
Ma come vuoi che faccia a comprarmi una veste mentre non abbiamo niente?
– È vero che non abbiamo niente; ma piuttosto che vedervi così lacera, lasceremo di comprare il vino, lasceremo la pietanza, e voi provvedetevi.
– Quando la cosa sia così, vada pure questa spesa.
– E quanto costerà un vestito?
– Venti lire
– Eccole!
Margherita, prese le venti lire, se ne andò pe’ suoi lavori. Passa una settimana, ne passano due, passa un mese e Margherita aveva sempre la stessa veste indosso. D. Bosco finalmente la interrogava: – Mamma! E il vestito nuovo?
– Già! Hai ragione! Ma come si fa a comprarlo se non ho un soldo?
– E le venti lire?
– Oh! a quest’ora sono spese! Con quelle ho comperato sale, zucchero, cipolle e cose simili. Poi ho visto un povero giovane che era senza scarpe, e gliene ho dovuto comprare un paio. Mi rimase qualche residuo, ed ho provvisto di calzoni il tale, e di cravatta il tal altro. (MB IV,15)
Infine, tra gli ultimi accadimenti riferitici, troviamo il su citato caso dei colerosi, però integrato da qualche dettaglio non indifferente:
Ma le domande di soccorsi continuavano: erano povere madri di famiglia che venivano a raccomandarsi per le loro figlie, o ragazze per le loro madri, o altre donne che si prestavano per l’ufficio di infermiere; e Margherita, donate le sue cuffie, il suo scialle, terminava con dar loro le sue vesti e le mezze sottane, in modo da non avere più altri panni fuori di quelli che indossava.
Un giorno le si presenta una persona chiedendo ancora qualche oggetto per coprire i sofferenti. Margherita è presa da vivo dolore per non aver più niente da donare. Poi, colpita da una subitanea idea, prende una tovaglia della mensa dell’altare, un amitto, un camice e va a chiedere licenza a D. Bosco di poter dare in elemosina quegli oggetti di chiesa. D. Bosco concede e Margherita porge tutto alla richiedente. Così i sacri lini rivestivano le membra di Gesù Cristo, ché tali sono i poverelli. D. Bosco aveva scritto di sua mano sovra un foglio: Si può egli fare cosa più degna dei vasi destinati a contenere il sangue del Redentore che col ricomprare per la seconda volta coloro che sono già stati comprati col prezzo di questo sangue medesimo Così S. Ambrogio, costretto dalla necessità a vendere i vasi sacri in riscatto degli schiavi. (MB V, 9)
Dai tre passi presentati emergono vari valori, essenziali al buon cristiano, eppure spesso trascurati e post-posti al valore tutto relativo del gusto contemporaneo, ispirato più al pauperismo e al retaggio ideologico comunista che non al Vangelo. Primo valore a presentarsi è quello dell’obbedienza, la laica Margherita non osa porre un gesto, che si avverte essere delicato e forse scandaloso, senza prima averne chiesto il permesso al sacerdote e guida dell’Oratorio, obbedienza che implica umiltà e istruita coscienza del proprio compito nella Chiesa; in secondo luogo si offre uno spunto teologico, i poveri vanno amati non perché poveri, ma perché immagine e in certo modo presenza del Signore Gesù; infine la ragione teologica si approfondisce, è il riscatto delle anime a mostrarsi quale spinta fondamentale delle scelte dei santi. Precisiamo: da un lato va ribadito che il riscatto del povero dalla povertà, del malato dalla malattia e dello schiavo dalla prigionia ha senso ed è azione santa se orientato a completarsi nello sforzo del riscatto dell’anima dalle insidie del Diavolo e del peccato; d’altro lato gli oggetti liturgici non vengono sacrificati a cuor leggero, né si dice che essi in fondo sono poco importanti e che dunque val la pena di metterli automaticamente in secondo piano rispetto a qualsivoglia emergenza mondana, si dice invece che essi hanno il compito di rendere possibile e vivo il memoriale della Redenzione, e dunque non ripugna che vengano sacrificati a una causa che si prefigge esplicitamente un intervento a fini redentivi per i fratelli più bisognosi. Propriamente l’uso medico dei lini di chiesa non è presentato come un’infrazione, bensì come un inveramento d’eccezione rispetto al loro impiego ordinario; nessuna contraddizione e nessun facile hegelismo di maniera, piuttosto un approfondimento di un bene riconosciuto, mai rinnegato, né sovrastimato, quanto applicato – questo sì – ad un caso molto speciale.
In tutto ciò trova conferma dunque il valore enorme dell’apparato liturgico, appunto non in quanto feticismo estetizzante fine a se stesso, bensì quale imprescindibile strumento che ci mantiene, corpo ed anima, singoli e comunità, in prossimità e in contemplazione del Mistero più alto, quello del Sacrificio di Cristo per la salvezza delle anime.
Dai racconti del biografo pare proprio che Mamma Margherita avesse chiaro tutto ciò. Esso è monito importante per ognuno: per chi coltiva liturgie e cerimonie senza che esse smuovano e conducano all’autentico zelo pastorale; per chi inneggia a scelte pauperistiche, dimenticando o negando il fine teologico che deve impregnarle in un contesto di vita cristiana; per chi strumentalizza i santi, cercando di giustificare le proprie negligenze rituali, spesso restando persino incapace di imitarne l’eroismo nella virtù della povertà.
Traiamo insieme la lezione – già scoperta nelle agiografie di altri grandi imitatori di Cristo, quali san Francesco e san Giovanni Maria Vianney – che la povertà del cattolico non è mai assimilabile ad uno slogan politico da gettare in faccia agli avversari, bensì è un traguardo difficile da raggiungere, dono di Grazia che il Signore stesso concede a coloro che si sforzano di assimilare tutta la propria vita alla Sua, facendo proprio il Suo desiderio salvifico universale.
Di Mamma Margherita tutti ricordano e ripetono con una certa enfasi l’episodio del colera del 1854: mentre don Bosco era per le strade assieme ai suoi giovanetti, intento ad assistere le centinaia di colerosi colpiti dall’epidemia, la buona madre procurava il necessario per le cure, non risparmiando neppure i paramenti dell’altare. Come si potrà intuire, il racconto si presta facilmente all’esaltazione della Chiesa-ospedale-da-campo in cui – almeno secondo una vulgata mediatica, non certo avallata dal Magistero, eppur molto diffusa anche in alcuni ambienti cattolici – gli inutili riti andrebbero messi da parte, per dedicarsi all’unico culto: quello del povero ammalato, magari migrante.
Ora, il fatto del colera è avvenuto, è significativo, è esemplare, ma va ricostruito in modo più autentico per non venir frainteso e piegato a ideologie di moda. Raccoglieremo dalle Memorie Biografiche, mastodontica biografia di don Bosco in diciannove volumi, pochi ed esaurienti dati utili alle nostre chiarificazioni. Ci limiteremo a scorrere tre passaggi emblematici.
L’intero volume primo presenta molti elementi della persona di Margherita (la cui morte è registrata nel volume quinto), ma è il secondo tomo ad interessarci, laddove la donna non più giovane si appresta a seguire il figlio sacerdote fino a Torino, per assisterlo col proprio lavoro e… col proprio denaro.
Quantunque entrambi avessero collocata la loro fiducia nei granai e nei tesori della divina Provvidenza, tuttavia non tralasciarono di fare quanto dipendeva da loro, a fine di non obbligarla sì tosto a dar mano ai miracoli. – Facciamo noi quello che possiamo, esclamava don Bosco, e il Padre delle misericordie aggiungerà ciò che manca. – Perciò egli, d’accordo colla madre, prese ed effettuò il partito di vendere alcuni appezzamenti di campo e di vigna che possedevano al paese natio. Né ciò ancor bastando, la madre si fece mandare il suo corredo di sposa, che aveva fino allora conservato gelosamente intatto: vesti, anello, orecchini, collane. Avutolo, parte ne vendette, parte ne impiegò a far sacri arredi per la cappella dell’Oratorio che era poverissima. Alcune sue vesti servirono a formare pianete; colla biancheria si fecero camici, cotte, purificatoi, tovaglie per l’altare. Ogni cosa passò per mano di Madama Margherita Gastaldi, che fin d’allora prendeva parte ai bisogni dell’Oratorio. Il prezzo della collana servì a comprare galloni e guarniture pei sacri paramenti.
Per quanto la buona donna fosse distaccata dalle cose del mondo, tuttavia lo spropriarsi di quei preziosi ricordi le costò non poca pena. Una volta che ne parlava la udimmo a dire: “ Quando mi vidi quegli oggetti per l’ultima volta tra mano, e stava per alienarli o disfarli, mi sentii pel rincrescimento alquanto turbata; ma non appena me ne sono accorta, dissi: Andate là; che sorte migliore non vi potrebbe toccare, quanto si è quella di sfamare e vestire poveri fanciulli, e fare onore in Chiesa allo Sposo celeste. – Dopo quest’atto mi sentii così contenta, che se avessi avuti cento altri corredi, me ne sarei privata senza alcun rammarico ”. Ella metteva in pratica quella sentenza così famigliare sulle labbra del suo degno figliuolo: – Quando si tratta di servire si buon padre, come Iddio, bisogna essere pronti a tutto sacrificare. (MB II, 55)
Ecco una testimonianza che è a dir poco sconosciuta per i non addetti ai lavori. Mamma Margherita, ben prima di prendere i lini dell’altare per farne garze utili ai moribondi, ha rinunciato alla propria dote di sposa, per confezionare paramenti ed arredi liturgici. Un atto eroico, di cui non si tace la fatica e lo sforzo.
Saltiamo due volumi oltre e scopriamo l’evoluzione della povertà evangelica di Margherita: non si parla più di sforzi per distaccarsi dai beni materiali, al contrario ora è don Bosco che fatica a convincere la buona madre ad avere maggior cura di sé e del proprio abbigliamento.
Ma come vuoi che faccia a comprarmi una veste mentre non abbiamo niente?
– È vero che non abbiamo niente; ma piuttosto che vedervi così lacera, lasceremo di comprare il vino, lasceremo la pietanza, e voi provvedetevi.
– Quando la cosa sia così, vada pure questa spesa.
– E quanto costerà un vestito?
– Venti lire
– Eccole!
Margherita, prese le venti lire, se ne andò pe’ suoi lavori. Passa una settimana, ne passano due, passa un mese e Margherita aveva sempre la stessa veste indosso. D. Bosco finalmente la interrogava: – Mamma! E il vestito nuovo?
– Già! Hai ragione! Ma come si fa a comprarlo se non ho un soldo?
– E le venti lire?
– Oh! a quest’ora sono spese! Con quelle ho comperato sale, zucchero, cipolle e cose simili. Poi ho visto un povero giovane che era senza scarpe, e gliene ho dovuto comprare un paio. Mi rimase qualche residuo, ed ho provvisto di calzoni il tale, e di cravatta il tal altro. (MB IV,15)
Infine, tra gli ultimi accadimenti riferitici, troviamo il su citato caso dei colerosi, però integrato da qualche dettaglio non indifferente:
Ma le domande di soccorsi continuavano: erano povere madri di famiglia che venivano a raccomandarsi per le loro figlie, o ragazze per le loro madri, o altre donne che si prestavano per l’ufficio di infermiere; e Margherita, donate le sue cuffie, il suo scialle, terminava con dar loro le sue vesti e le mezze sottane, in modo da non avere più altri panni fuori di quelli che indossava.
Un giorno le si presenta una persona chiedendo ancora qualche oggetto per coprire i sofferenti. Margherita è presa da vivo dolore per non aver più niente da donare. Poi, colpita da una subitanea idea, prende una tovaglia della mensa dell’altare, un amitto, un camice e va a chiedere licenza a D. Bosco di poter dare in elemosina quegli oggetti di chiesa. D. Bosco concede e Margherita porge tutto alla richiedente. Così i sacri lini rivestivano le membra di Gesù Cristo, ché tali sono i poverelli. D. Bosco aveva scritto di sua mano sovra un foglio: Si può egli fare cosa più degna dei vasi destinati a contenere il sangue del Redentore che col ricomprare per la seconda volta coloro che sono già stati comprati col prezzo di questo sangue medesimo Così S. Ambrogio, costretto dalla necessità a vendere i vasi sacri in riscatto degli schiavi. (MB V, 9)
Dai tre passi presentati emergono vari valori, essenziali al buon cristiano, eppure spesso trascurati e post-posti al valore tutto relativo del gusto contemporaneo, ispirato più al pauperismo e al retaggio ideologico comunista che non al Vangelo. Primo valore a presentarsi è quello dell’obbedienza, la laica Margherita non osa porre un gesto, che si avverte essere delicato e forse scandaloso, senza prima averne chiesto il permesso al sacerdote e guida dell’Oratorio, obbedienza che implica umiltà e istruita coscienza del proprio compito nella Chiesa; in secondo luogo si offre uno spunto teologico, i poveri vanno amati non perché poveri, ma perché immagine e in certo modo presenza del Signore Gesù; infine la ragione teologica si approfondisce, è il riscatto delle anime a mostrarsi quale spinta fondamentale delle scelte dei santi. Precisiamo: da un lato va ribadito che il riscatto del povero dalla povertà, del malato dalla malattia e dello schiavo dalla prigionia ha senso ed è azione santa se orientato a completarsi nello sforzo del riscatto dell’anima dalle insidie del Diavolo e del peccato; d’altro lato gli oggetti liturgici non vengono sacrificati a cuor leggero, né si dice che essi in fondo sono poco importanti e che dunque val la pena di metterli automaticamente in secondo piano rispetto a qualsivoglia emergenza mondana, si dice invece che essi hanno il compito di rendere possibile e vivo il memoriale della Redenzione, e dunque non ripugna che vengano sacrificati a una causa che si prefigge esplicitamente un intervento a fini redentivi per i fratelli più bisognosi. Propriamente l’uso medico dei lini di chiesa non è presentato come un’infrazione, bensì come un inveramento d’eccezione rispetto al loro impiego ordinario; nessuna contraddizione e nessun facile hegelismo di maniera, piuttosto un approfondimento di un bene riconosciuto, mai rinnegato, né sovrastimato, quanto applicato – questo sì – ad un caso molto speciale.
In tutto ciò trova conferma dunque il valore enorme dell’apparato liturgico, appunto non in quanto feticismo estetizzante fine a se stesso, bensì quale imprescindibile strumento che ci mantiene, corpo ed anima, singoli e comunità, in prossimità e in contemplazione del Mistero più alto, quello del Sacrificio di Cristo per la salvezza delle anime.
Dai racconti del biografo pare proprio che Mamma Margherita avesse chiaro tutto ciò. Esso è monito importante per ognuno: per chi coltiva liturgie e cerimonie senza che esse smuovano e conducano all’autentico zelo pastorale; per chi inneggia a scelte pauperistiche, dimenticando o negando il fine teologico che deve impregnarle in un contesto di vita cristiana; per chi strumentalizza i santi, cercando di giustificare le proprie negligenze rituali, spesso restando persino incapace di imitarne l’eroismo nella virtù della povertà.
Traiamo insieme la lezione – già scoperta nelle agiografie di altri grandi imitatori di Cristo, quali san Francesco e san Giovanni Maria Vianney – che la povertà del cattolico non è mai assimilabile ad uno slogan politico da gettare in faccia agli avversari, bensì è un traguardo difficile da raggiungere, dono di Grazia che il Signore stesso concede a coloro che si sforzano di assimilare tutta la propria vita alla Sua, facendo proprio il Suo desiderio salvifico universale.
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