La figura e la storia dell’Arcangelo Michele, Patrono della Sinagoga prima di Cristo e della Chiesa dopo la sua venuta, testimoniano un fondamentale insegnamento per ogni cristiano: per fare veramente la volontà e la gloria di Dio non è sufficiente limitarsi a compiere il bene, ma bisogna anche combattere il male. E nessuno potrà mai aiutarci in questo più di San Michele.
Il 29 settembre la Chiesa Cattolica celebra la festa dell’Arcangelo Michele, colui che per primo si oppose agli angeli ribelli, rispondendo all’orgoglioso “Non serviam!” di Lucifero con l’umile e trionfante “Quis ut Deus” (Chi è come Dio?) e scatenando la grande battaglia celeste fra il bene e il male, che terminò con il suo trionfo e la precipitazione agli inferi di Lucifero e degli altri angeli ribelli.
Per premiarlo della sua fedeltà, Dio lo nominò Principe di tutte le schiere angeliche, secondo solo a Dio e a sua Madre, Regina degli Angeli, Patrono della Sinagoga prima di Cristo e della Chiesa dopo la sua venuta.
San Michele è una figura di eccezionale importanza nella storia della nostra religione, la cui dimensione investe, oltre all’ambito specificamente biblico, tanto gli aspetti storico-devozionali tanto quelli liturgico–artistici.
Il più sublime insegnamento di tale celestiale creatura rimane il suo amore verso Dio, un amore tanto eccelso da tradursi senza indugio in un odio implicabile verso il male e il peccato, in particolare verso la menzogna e l’ingiustizia.
Per questo san Michele è sempre raffigurato con la spada e la bilancia: la spada divide la Verità dalla menzogna, la bilancia distingue ciò che è giusto ed equo da ciò che non lo è.
San Michele nelle Sacre Scritture
Il nome Michele deriva dall’ebraico Mi Kha El, che vuol dire “Chi come Dio? ”, la risposta che egli diede al folle urlo luciferino “Non serviam ”, scatenando così la guerra tra il bene e il male, filo conduttore della storia.
Il nome appare cinque volte nella Bibbia: tre nell’Antico Testamento (in Daniele: 10,13; 10,20-21; 12,1), nella cui ultima citazione vi è la famosa profezia: «Or in quel tempo sorgerà Michele il grande Principe, che vigila sui figli del tuo popolo»; due nel Nuovo, nella Lettera di Giuda (Cap. 9), in cui si parla del suo combattimento con satana per il corpo di Mosè, e infine nell’Apocalisse (12,7-8), dove viene descritto il suo combattimento in Cielo contro gli angeli ribelli.
Scrive il benedettino Giovanni Monelli in un suo ottimo studio (Gli Angeli, Foggia, ed. Michael, 1994, p. 170): «In questi testi Michele è indice dell’onore e della gloria di Dio contro gli angeli ribelli; ugualmente è il protettore della Chiesa, dell’“Israele di Dio” , come lo era stato dell’Israele dell’antica Alleanza. Perciò egli ci appare come il forte custode di Israele, militare e guerriero, dalla spada invincibile. Perciò la sua figura si proietta in un alone di luce, capace di entusiasmare i suoi devoti. La sua missione continua nella Chiesa di Cristo e nella lotta per il trionfo del bene sul male, di Cristo su satana».
Le Sacre Scritture e la liturgia cattolica attribuiscono inoltre al Santo Arcangelo i titoli di “psicagogo” (colui che presenta le anime a Dio) e “psicopompo” (l’angelo che per eccellenza, al momento di presentare l’anima di ogni uomo a Dio, ne pesa i meriti e le colpe, al fine della emissione divina dell’eterno giudizio).
Le apparizioni di san Michele
San Michele è sicuramente la creatura del Paradiso che più frequentemente ha fatto visita agli uomini sulla terra durante i secoli della storia; ed è facilmente comprensibile, vista la sua specifica natura di combattere contro le forze dell’inferno in difesa della fede e dei figli della Luce.
Gli interventi dell’Arcangelo nella storia umana sono talmente numerosi da renderne possibile solo una breve elencazione, per poi approfondire esclusivamente quelle che certamente furono le più importanti e sacre di tutte le apparizioni, quelle avvenute al Monte Gargano.
Gli interventi di San Michele in difesa della Cristianità
A partire dal combattimento contro Lucifero, San Michele è spesso intervenuto personalmente in aiuto di Sovrani, uomini o eserciti che combattevano contro i nemici di Dio e della Chiesa. Alcuni di questi interventi sono celeberrimi, come l’apparizione a santa Giovanna d’Arco, altri meno: vediamo i più importanti tramandatici da antiche tradizioni.
Si dice apparve tre volte all’Imperatore Costantino: la prima fu in occasione della famosa visione della Croce prima della battaglia definitiva con Massenzio (dopo il suo trionfo per riconoscenza Costantino concesse libertà di culto al Cristianesimo); le altre due volte sempre per aiutarlo nelle battaglie contro i suoi nemici. Fatto sta che Costantino fece edificare un gran numero di chiese al suo celeste protettore.
Varie furono poi le sue apparizioni in Spagna e Navarra durante i primi secolo dell’invasione musulmana, ancor prima che gli spagnoli si consacrarono a San Giacomo, come testimoniano varie chiese a lui dedicate. Specie nel Regno di Valenza la sua protezione fu grande; si narra che un giorno alcuni fanciulli cristiani presero un effige dell’Arcangelo e la portarono in una moschea: gli infedeli lì presenti anziché reagire male si convertirono al Cristianesimo sul momento.
Apparve poi al Re Alfonso prima della battaglia per liberare Saragozza dopo quattro secoli di tirannia saracena, promettendogli la vittoria. Il Re gli fece dedicare una grande chiesa, San Michele dei Navarrini.
Speciale è la protezione che l’Arcangelo aveva per la Monarchia francese.
Clodoveo, primo Re dei Franchi a convertirsi al Cristianesimo, lo vide combattere al suo fianco, e per riconoscenza gli consacrò la Francia insieme a San Remigio vescovo di Reims: tutti i Re di Francia, quando salivano al Trono, ripetevano l’atto di consacrazione in suo onore (il primo a rompere la sacra tradizione fu Luigi XV). In particolare fu proprio Carlo Magno il Sovrano che più fu devoto all’Arcangelo (e infatti, si videro gli straordinari risultati…).
Celeberrima è poi l’apparizione alla Pulzella d’Orlèans, che condurrà alla salvezza del Regno di Francia. La Francia nel 1415 era sull’orlo dell’abisso, la maggior parte del suo territori o era sotto occupazione inglese, e il Re Carlo V era un inetto. San Michele le apparve la prima volta all’età di tredici anni, profetizzandole il suo futuro ruolo nella salvezza del suo Regno. Tutti conosciamo la storia meravigliosa e miracolosa di Santa Giovanna d’Arco, come ella, sotto la guida dell’Arcangelo, all’età di 18 anni e senza cultura alcuna, guidò gli eserciti demoralizzati e soccombenti, di vittoria in vittoria, la più importante delle quali fu quella di Orlèans, avvenuta proprio l’8 maggio, giorno dell’apparizione di San Michele al Gargano.
San Michele aiutò apertamente anche il Re del Portogallo Don Alfonso Enriquez, che lo aveva invocato nella battaglia decisiva contro i mori, tanto che nessun portoghese morì e nessun saraceno restò in Portogallo. Dopo questo miracoloso intervento il suddetto Re e il Re di Francia Luigi XI istituirono due Ordini Militari dedicati a San Michele.
Altri prodigiosi interventi che si ricordano furono quello nei confronti del Duca di Cracovia nella sua guerra contro i lituani (San Michele fu poi proclamato protettore del Regno di Polonia), e quello in difesa del Re ungherese Belisario contro Maometto II.
Da ricordare infine la visione del vescovo di Pechino mons. Favier ebbe della Vergine e di San Michele il 15 agosto 1900, durante l’assedio che gli europei dovettero sostenere contro gli assalti furiosi dei boxer cinesi.
Le apparizioni al Monte Gargano
Si tratta certamente delle più importanti apparizioni dell’Arcangelo finora mai avvenute, ricostruite sulla traccia del Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano, datato tra l’VIII e l’XI secolo. La prima apparizione avvenne nel 490 d.C. al vescovo di Siponto, S. Lorenzo Maiorano.
Un ricco signore aveva perso un toro, che aveva poi avvistato sulla cima del Monte delle future apparizioni; non potendo arrivarvi a piedi, pensò di lanciargli contro una freccia, ma questa si rivoltò su se stessa e gli ferì il piede. Impaurito, il signore corse a raccontare l’inspiegabile evento al vescovo di Siponto, che ordinò tre giorni di pubbliche preghiere e penitenze: il terzo giorno, l’8 maggio, San Michele apparve al vescovo, e gli disse: “Io sono l’Arcangelo Michele, e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta; io stesso ne sono il vigile custode (…) Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini (…) Quel che sarà qui chiesto con la preghiera sarà esaudito. Và, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano ”.
Il vescovo non lo fece per paura dei pagani, essendo quello da tempo immemorabile un luogo per loro sacro.
Due anni dopo, Siponto era assediata dai barbari ancora pagani di Odoacre; di fronte alla sicura sconfitta, il vescovo ordinò nuovamente tre giorni di penitenza e preghiere pubbliche, finché non apparve nuovamente l’Arcangelo, promettendo la vittoria se i sipontini avessero subito contrattaccato. La popolazione entusiasmata subito ubbidì, e fu un trionfo: era il 29 settembre.
L’8 maggio successivo il vescovo con tutta la popolazione si recò sul monte, dove udirono meravigliosi canti angelici provenienti dalla grotta che si prestavano a consacrare. Spaventati e disorientati, decisero di chiedere al Papa, S. Gelasio, cosa fare. Il santo Papa rispose che a sua opinione il giorno più adatto per la consacrazione era il 29 settembre, ma stabilì che si celebrasse un tributo alla Ss. Trinità affinché San Michele ispirasse i loro cuori.
Il vescovo Lorenzo invitò per il 21 settembre altri sei vescovi della zona (oggi tutti santi) per celebrare il tributo: l’Arcangelo apparve a Lorenzo e gli disse: “Deponi il pensiero di consacrare la mia grotta, io l’ho eletta come mia reggia, e con gli angeli miei già l’ho consacrata. Tu ne vedrai i segni impressi, e la mia effige, l’altare il pallio e la croce. Voi soltanto entrate nella grotta, e sotto la mia assistenza innalzate preghiere. Celebrate domani il Santo Sacrificio per comunicare il popolo, e vedrete come io sacrifico quel tempio”.
Tutto ciò accadde puntualmente il giorno 29 settembre 493, insieme ad altri prodigiosi miracoli di ogni tipo. Da quel giorno la grotta di Monte S. Angelo sul Gargano è l’unico luogo di culto al mondo non consacrato da mano umana, e da quel giorno non si contano non si contano i miracoli di ogni tipo e le strepitose guarigioni che sono avvenute per intercessione di San Michele.
In particolare dalla grotta scaturisce un’acqua miracolosa che gocciola lentamente dal masso circostante, i cui benefici effetti sono da secoli e secoli sotto gli occhi di tutti.
L’ultima apparizione avvenne il 25 settembre 1656 all’arcivescovo Pucciarelli durante una gravissima epidemia di peste. San Michele disse: “Sono l’Arcangelo Michele. Chiunque adopererà i sassi di questa grotta sarà liberato dalla peste. Benedici i sassi, scolpendo su di essi il segno della Croce e il mio nome”.
Così fu. Da allora da ogni luogo del mondo si richiedono frammenti dei sassi della grotta santa. Ancora oggi il Santuario, anche per la sua splendida e suggestiva posizione, è uno dei luoghi di culto più celebri al mondo.
Altre apparizioni
Non è naturalmente possibile riportare in questo articolo tutte le numerosissime apparizioni, pubbliche e private, dell’Arcangelo avvenute in questi secoli. Ci limitiamo a ricordare solo alcune più significative e conosciute che la tradizione ci ha tramandato.
A Giovanni Evangelista apparve Dio in persona a chiedergli di consacrare una chiesa per San Michele, quella di Conas in Frigia, nella quale avvennero strepitosi miracoli e conversioni.
San Michele apparve all’Imperatore Marciano per guarirlo dalla lebbra; nel 709 a S. Uberto in Francia, dalla cui apparizione nacque il culto e la meravigliosa cattedrale di Mont Saint-Michel, strettamente legato a quello garganico; quindi apparve in Irlanda, in Messico ad un indio, in varie località del Regno di Napoli (a Procida salvò gli abitanti dal pirata Barbarossa), e in tanti altri posti.
Apparve anche a molti Santi, fra i quali a S. Agnello a Napoli per incitarlo ad andare anch’egli sul luogo di una battaglia con i mori (che poi appunto fu vinta), a Santa Brigida di Svezia ed alla figlia Santa Caterina. In particolare da ricordare sono le due apparizioni a San Francesco d’Assisi, la prima sul Monte Verna, nella quale confermò al Santo la veridicità della tradizione che voleva che la fenditura del Monte si fosse prodotta nel momento della morte del Salvatore, e la seconda in occasione delle stimmate, come conferma S. Bonaventura.
Quindi la famosissima apparizione a Roma nel 590 d.C. sulla Mole Adriana, oggi Castel S. Angelo, sul quale ancora troneggia l’imponente statua a lui dedicata che lo raffigura nell’atto di riporre la sua spada, a simbolo della fine della grande peste che aveva colpito Roma. Il tutto avveniva mentre Papa san Gregorio Magno portava in processione l’effige della Vergine per chiedere appunto la grazia della fine della pestilenza: San Michele e gli angeli intonavano il celebre inno Regina Cœli, ancora oggi cantato in tante chiese nel mondo nel periodo pasquale.
Queste solo per citare le più eclatanti apparizioni con le quali il Santo Arcangelo ha sempre voluto testimoniare la sua vicinanza a chi lotta e soffre per amore di Dio. (M.V.)
Il culto micaelico
Il santo Arcangelo è da sempre fonte di pietà per i fedeli: innumerevoli sono i luoghi di culto a lui dedicati, molteplici e bellissime le preghiere e le invocazioni per ottenere grazie e protezione.
Ciò anche perché da sempre i cristiani hanno intuito l’importanza dell’Arcangelo nel progetto divino: la difesa del bene e la guerra al male. E ne hanno fatto il proprio protettore e ispiratore in quella lotta quotidiana che è la nostra vita, come san Paolo insegna inequivocabilmente con le note parole che suonano come il programma della nostra esistenza:“vita militia est”.
Di luoghi di culto consacrati all’Arcangelo ve ne sono innumerevoli in Italia, e comunque tantissimi sparsi nel resto del mondo.
A lui sono consacrati numerosi Inni e preghiere, tra cui: più consacrazioni individuali, il Mese a San Michele, più novene, le Nove Grazie, la Corona angelica (Approvata e diffusa da Pio IX), vari inni ed in particolare quelli per la sua festa del 29 settembre, una giaculatoria, più Litanie ed altre invocazioni. San Michele era anche più volte citato nel testo dell’Antico Rito Romano (due volte solo nelConfiteor).
Ma la preghiera senz’altro più importante è l’Esorcismo di San Michele che il Papa Leone XIII compose alla fine del secolo scorso con la dichiarata intenzione di contrastare la sempre più evidente espansione del male nel mondo, tanto evidente da far apparire chiare l’opera diretta del malefico angelo dell’inferno.
Leone XIII non solo compose questo esorcismo, ma ordinò espressamente a tutti i sacerdoti del mondo di recitarlo il più spesso possibile, anche ogni giorno, dando il permesso perfino ai semplici laici di recitarlo, anzi, chiedendolo espressamente, proprio come estremo antidoto contro la sempre più devastante opera del demonio.
Ora, se Leone XIII prese questi provvedimenti alla fine del XIX secolo, visto tutto quel che è accaduto poi nel XX e la situazione attuale in cui versiamo di gran lunga più grave e disperata di quella dei suoi tempi, e vista anche la sempre più minacciosa diffusione del satanismo praticato, a essere sinceri non si riesce proprio a capire per quale motivazione tale pia pratica sia caduta in disuso e non venga propagata ed esercitata.
L’Omaggio di Papi, Re e Imperatori al Santuario di San Michele
Durante tutti i secoli il santuario fu meta di pellegrinaggio non solo per la gente comune, ma anche di Papi, Santi e di Re. Fra i Papi che hanno visitato il luogo ricordiamo san Gelasio, Agapito I, il beato Leone IX, il beato Urbano II, Callisto II, che proclamò l’Arcangelo “Principe e tutelare del mondo intero”, Alessandro III, Gregorio X, Celestino V, Innocenzo II, Celestino III, Urbano IV, Benedetto VIII, Alessandro II. Prima di essere eletto vi si recò anche san Gregorio Magno, mentre Bonifacio IX concesse alla grotta l’Indulgenza plenaria, e Giulio III nel 1550 le concesse il privilegio del Giubileo anche senza venire a Roma. Vi si recò Papa Leone XIII, l’autore dell’Esorcismo di San Michele Arcangelo. Si ricorda infine il pellegrinaggio compiuto da Giovanni Paolo II nel 1987.
Ancor più lunga è la lista dei santi, tanto che è impossibile riportarli tutti (sono decine e decine). Ricordiamo solo, fra gli altri, Brunone fondatore dei certosini, Anselmo di Canterbury, Bernardo di Chiaravalle, Francesco d’Assisi che si stimò indegno di entrarvi, Tommaso d’Aquino, Brigida di Svezia e la figlia Caterina (che ebbe visioni angeliche), Vincenzo Ferreri, Benardino da Siena, Giovanni da Capistrano, Francesco di Paola, fondatore dei Minimi, Camillo de’ Lellis, Giuseppe da Copertino, Alfonso Maria de’ Liguori.
Lunghissima è anche la lista dei Sovrani cristiani e delle grandi figure di aristocratici. Gli imperatori bizantini Tiberio Trace ed Eraclio, i re longobardi Grimoaldo, Cuniberto, gli imperatori del Sacro Romano Impero Ludovico II, Ottone III, sant’Enrico II, Enrico III e Lotario di Supplimburgo, Federico II di Svevia, i re normanni Roberto il Guiscardo e Guglielmo il Buono, la contessa Matilde di Canossa, quindi gli svevi Corrado e Manfredi, gli angioini Carlo I e Giovanna I, Baldovino di Fiandra, Re Luigi d’Ungheria, Elisabetta d’Ungheria, Urosio di Serbia, Sigismondo I di Polonia, gli aragonesi Alfonso I e Ferdinando I, i Borbone delle Due Sicilie Ferdinando I e Ferdinando II.
Da ricordare particolarmente è la visita di sant’Enrico II Imperatore, che chiese espressamente di rimanere una notte nella grotta, primo laico nella storia a cui fu concesso tale privilegio; nessuno infatti aveva il coraggio di farlo, tanto era il “timor reverentialis” che il luogo incuteva, in quanto si pensava che di notte vi regnasse l’Arcangelo stesso in persona.
Tanti infatti sono gli eventi soprannaturali che si verificavano dopo il tramonto nella grotta, come più testimonianze confermano, compresa quella del celebre storico protestante anticattolico Gregorovius. La santa audacia dell’Imperatore fu onorata con visioni angeliche, in cui vide i nove Cori, San Michele, udì i loro canti, vide angeli celebrare la Messa, finché Dio stesso gli fece baciare la Bibbia, mentre san Michele, toccandogli l’anca, lo rese zoppo come segno del privilegio avuto. Da ricordare anche è il pellegrinaggio penitenziale che Re Ferdinando d’Aragona, il marito di Isabella la Cattolica, fece scalzo al Santuario partendo da Napoli! Altri tempi…
Una sola visita fu sgradita al santuario, e non poteva essere che quella dei giacobini francesi, che nel 1799 in nome dell’uguaglianza e della fraternità spogliarono e devastarono il Santuario: e questi sono i tempi moderni…
http://www.civiltacristiana.com/san-michele-arcangelo-principe-degli-angeli-e-della-chiesa/
Si può sentire l’intervista scaricando il Podcast della trasmissione “Un giorno da pecora” del oggi 28 settembre 2015 e dal minuto 3,59 al minuto 5,50 troverete tutto su scuola e unioni civili.
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Abbiamo pubblicato ieri, in calce all’articolo “Pavia. Le pretese dittatoriali di Arcigay e M5S”, l’articolo con cui La Provincia Pavese riferiva delle contestazioni mosse a Patrizia Fermani dal M5S e dall’Arcigay, che pretendono di decidere, con insindacabile giudizio, chi abbia il diritto di parlare.
Oggi La Provincia Pavese pubblica un’intervista a Patrizia Fermani. Le risposte sono chiare e nette e questo di sicuro non potrà che aumentare lo stato di democratica ansia dei custodi full-time dei “diritti”…
Vogliamo sottolineare ai nostri lettori solo una cosa: spesso i titoli sono fatti un po’ frettolosamente, senza leggere bene il contenuto dell’articolo da titolare. L’intervista a Patrizia Fermani è intitolata “Non sono omofoba semmai vittima di modelli imposti”. Leggendo il testo vediamo però che l’intervistata è molto chiara laddove dice: “Omofoba è una parola che non mi dice nulla, è un termine che si sono inventati”. Condividiamo in pieno questa risposta, perché già accettare queste parole imposte dalla neo-lingua vuol dire accettare una falsa e mistificatrice affermazione di “valori” e di “diritti”.
Il convegno si terrà giovedì 1° ottobre, alle ore 21, a Pavia, nella Sala San Martino di Tours, in corso Garibaldi. Vedremo e vi riferiremo.
PD
Ecco l’intervista a Patrizia Fermani, pubblicata oggi su La Provincia Pavese:
Festa dei Santi Michele, Gabriele e Raffaele: le apparizioni dell’Arcangelo Michele sul monte Gargano.
Così narra un’operetta agiografica, datata tra il V e l’VIII secolo, il Liber de apparitione Sancti Michaelis in Monte Gargano (Apparitio): «Vi era in questa città un uomo molto ricco di nome Gargano che, a seguito delle sue vicende, diede il nome al monte. Mentre i suoi armenti pascolavano qua e là per i fianchi di scosceso monte, avvenne che un toro, che disprezzava la vicinanza degli altri animali ed era solito andarsene da solo, al ritorno dal gregge, non era tornato nella stalla. Il padrone, riunito un gran numero di servi, cercandolo in tutti i luoghi meno accessibili, lo trova, infine, sulla sommità del monte, dinanzi ad una grotta. Mosso dall’ira perché il toro pascolava da solo, prese l’arco, cercò di colpirlo con una freccia avvelenata. Questa ritorta dal soffio del vento, colpì lo stesso che l’aveva lanciata».
Turbato dall’evento, egli si recò dal vescovo che, dopo aver ascoltato il racconto della straordinaria avventura, ordinò tre giorni di preghiere e digiuno. Allo scadere del terzo giorno, al vescovo Maiorano apparve l’Arcangelo Michele che così gli parlò: «Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini. Un miracolo ha colpito l’uomo con la sua stessa freccia, affinché fosse chiaro che tutto ciò avviene per mia volontà Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va’, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano».
Ma, poiché quella montagna misteriosa e quasi inaccessibile era stata luogo di culti pagani, il vescovo esitò prima di decidersi ad obbedire alle parole dell’Arcangelo.
La Battaglia e la seconda apparizione
La seconda apparizione di San Michele, detta “della Vittoria”, viene tradizionalmente datata nell’anno 492. Gli studiosi, tuttavia, riferiscono l’episodio alla battaglia tra Bizantini e Longobardi del 662 – 663: i greci attaccarono il Santuario garganico, in difesa del quale accorse Grimoaldo I, duca di Benevento.
« [...] Ed ecco che la stessa notte, che precedeva il giorno della battaglia, apparve in visione al vescovo (Lorenzo Maiorano) san Michele, dice che le preghiere sono state esaudite, promette di essere presente e ammonisce di dare battaglia ai nemici all’ora quarta del giorno». (Apparitio)
La battaglia, accompagnata da terremoti, folgori e saette, si concluse con il successo di Grimoaldo. La vittoria riportata fu descritta come voluta proprio da San Michele: essa sarebbe avvenuta l’8 maggio, divenuto in seguito il dies festusdell’Angelo sul Gargano. Inoltre, sancì ufficialmente il legame tra il culto dell’Angelo e il popolo longobardo.
La Dedicazione e la terza apparizione
La terza apparizione viene denominata anche “episodio della Dedicazione”. «Intanto i Sipontini rimanevano in dubbio su cosa fare del luogo e se si dovesse entrare nella chiesa e consacrarla». (Apparitio)
Tuttavia, nell’anno 493, dopo la vittoria, il vescovo Maiorano decise di obbedire al Celeste Protettore e di consacrare al culto la Spelonca in segno di riconoscenza, confortato anche dal parere positivo espresso da papa Gelasio I.
«Ma la notte, l’angelo del Signore, Michele, apparve al vescovo di Siponto in visione e disse: “Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io che l’ho fondata, io stesso l’ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo, posto sotto la mia protezione”». (Apparitio)
Allora il vescovo Lorenzo, insieme ad altri sette vescovi pugliesi, in processione con il popolo ed il clero Sipontino, si avviò verso il luogo sacro. Durante il cammino si verificò un prodigio: alcune aquile, con le loro ali spiegate, ripararono i vescovi dai raggi del sole. Giunti alla Grotta, vi trovarono eretto un rozzo altare, coperto di un pallio vermiglio e sormontato da una Croce. Inoltre, come racconta la leggenda, nella roccia trovarono impressa l’orma del piede di San Michele.
Il santo Vescovo Maiorano vi offrì con immensa gioia il primo Divin Sacramento. Era il 29 settembre. La Grotta stessa, come unico luogo non consacrato da mani d’uomo, ha ricevuto nei secoli il titolo di “Celeste Basilica”.
La quarta apparizione
Era l’anno 1656 ed in tutta l’Italia meridionale infi eriva una terribile pestilenza. L’Arcivescovo Alfonso Puccinelli, non trovando alcun ostacolo umano da contrapporre all’avanzata dell’epidemia, si rivolse all’Arcangelo Michele con preghiere e digiuni. Il Pastore pensò addirittura di forzare la volontà divina lasciando nelle mani della statua di San Michele una supplica scritta a nome di tutta la Città. Ed ecco, sul far dell’alba del 22 Settembre, mentre pregava in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant’Angelo, sentì come un terremoto e poi San Michele gli apparve in uno splendore abbagliante e gli ordinò di benedire i sassi della sua grotta scolpendo su di essi il segno della croce e le lettere M.A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste. Il vescovo fece come gli era stato detto. Ben presto non solo la Città fu liberata dalla peste, secondo la promessa dell’Arcangelo, ma tutti coloro che tali pietre richiedevano, dovunque si trovassero.
A perpetuo ricordo del prodigio e per eterna gratitudine, l’Arcivescovo fece innalzare un monumento a S. Michele nella piazza della Città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone di quella stanza nella quale si vuole che avvenne l’apparizione, con la seguente iscrizione in latino: Al Principe degli Angeli Vincitore della Peste Patrono e Custode monumento di eterna gratitudine Alfonso Puccinelli 1656.
Fonte: sito del Santuario di S. Michele Arcangelo
Turbato dall’evento, egli si recò dal vescovo che, dopo aver ascoltato il racconto della straordinaria avventura, ordinò tre giorni di preghiere e digiuno. Allo scadere del terzo giorno, al vescovo Maiorano apparve l’Arcangelo Michele che così gli parlò: «Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini. Un miracolo ha colpito l’uomo con la sua stessa freccia, affinché fosse chiaro che tutto ciò avviene per mia volontà Io sono l’Arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. La caverna è a me sacra. E poiché ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo ed i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene patrono e custode. Là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini. Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Va’, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano».
Ma, poiché quella montagna misteriosa e quasi inaccessibile era stata luogo di culti pagani, il vescovo esitò prima di decidersi ad obbedire alle parole dell’Arcangelo.
La Battaglia e la seconda apparizione
La seconda apparizione di San Michele, detta “della Vittoria”, viene tradizionalmente datata nell’anno 492. Gli studiosi, tuttavia, riferiscono l’episodio alla battaglia tra Bizantini e Longobardi del 662 – 663: i greci attaccarono il Santuario garganico, in difesa del quale accorse Grimoaldo I, duca di Benevento.
« [...] Ed ecco che la stessa notte, che precedeva il giorno della battaglia, apparve in visione al vescovo (Lorenzo Maiorano) san Michele, dice che le preghiere sono state esaudite, promette di essere presente e ammonisce di dare battaglia ai nemici all’ora quarta del giorno». (Apparitio)
La battaglia, accompagnata da terremoti, folgori e saette, si concluse con il successo di Grimoaldo. La vittoria riportata fu descritta come voluta proprio da San Michele: essa sarebbe avvenuta l’8 maggio, divenuto in seguito il dies festusdell’Angelo sul Gargano. Inoltre, sancì ufficialmente il legame tra il culto dell’Angelo e il popolo longobardo.
La Dedicazione e la terza apparizione
La terza apparizione viene denominata anche “episodio della Dedicazione”. «Intanto i Sipontini rimanevano in dubbio su cosa fare del luogo e se si dovesse entrare nella chiesa e consacrarla». (Apparitio)
Tuttavia, nell’anno 493, dopo la vittoria, il vescovo Maiorano decise di obbedire al Celeste Protettore e di consacrare al culto la Spelonca in segno di riconoscenza, confortato anche dal parere positivo espresso da papa Gelasio I.
«Ma la notte, l’angelo del Signore, Michele, apparve al vescovo di Siponto in visione e disse: “Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io che l’ho fondata, io stesso l’ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo, posto sotto la mia protezione”». (Apparitio)
Allora il vescovo Lorenzo, insieme ad altri sette vescovi pugliesi, in processione con il popolo ed il clero Sipontino, si avviò verso il luogo sacro. Durante il cammino si verificò un prodigio: alcune aquile, con le loro ali spiegate, ripararono i vescovi dai raggi del sole. Giunti alla Grotta, vi trovarono eretto un rozzo altare, coperto di un pallio vermiglio e sormontato da una Croce. Inoltre, come racconta la leggenda, nella roccia trovarono impressa l’orma del piede di San Michele.
Il santo Vescovo Maiorano vi offrì con immensa gioia il primo Divin Sacramento. Era il 29 settembre. La Grotta stessa, come unico luogo non consacrato da mani d’uomo, ha ricevuto nei secoli il titolo di “Celeste Basilica”.
La quarta apparizione
Era l’anno 1656 ed in tutta l’Italia meridionale infi eriva una terribile pestilenza. L’Arcivescovo Alfonso Puccinelli, non trovando alcun ostacolo umano da contrapporre all’avanzata dell’epidemia, si rivolse all’Arcangelo Michele con preghiere e digiuni. Il Pastore pensò addirittura di forzare la volontà divina lasciando nelle mani della statua di San Michele una supplica scritta a nome di tutta la Città. Ed ecco, sul far dell’alba del 22 Settembre, mentre pregava in una stanza del palazzo vescovile di Monte Sant’Angelo, sentì come un terremoto e poi San Michele gli apparve in uno splendore abbagliante e gli ordinò di benedire i sassi della sua grotta scolpendo su di essi il segno della croce e le lettere M.A. (Michele Arcangelo). Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste. Il vescovo fece come gli era stato detto. Ben presto non solo la Città fu liberata dalla peste, secondo la promessa dell’Arcangelo, ma tutti coloro che tali pietre richiedevano, dovunque si trovassero.
A perpetuo ricordo del prodigio e per eterna gratitudine, l’Arcivescovo fece innalzare un monumento a S. Michele nella piazza della Città, dove ancora oggi si trova, di fronte al balcone di quella stanza nella quale si vuole che avvenne l’apparizione, con la seguente iscrizione in latino: Al Principe degli Angeli Vincitore della Peste Patrono e Custode monumento di eterna gratitudine Alfonso Puccinelli 1656.
Fonte: sito del Santuario di S. Michele Arcangelo
Gender, Buona Scuola: c’è già.
Lo afferma la senatrice Valeria Fedeli, prima firmatrice di un disegno di legge che stanzia fondi rilevanti per introdurre l’educazione Gender nelle scuole. La senatrice è stata intervistata da Geppi Cucciari durante la trasmissione “Un Giorno da Pecora”.
Gender, Buona Scuola: c’è già.
Lo afferma la senatrice Valeria Fedeli, prima firmatrice di un disegno di legge che stanzia fondi rilevanti per introdurre l’educazione Gender nelle scuole. La senatrice è stata intervistata da Geppi Cucciari durante la trasmissione “Un Giorno da Pecora” (che va in onda su radio2 dal lunedì al Venerdì, dalle 13:45 alle 15:00).
DOMANDA – Valeria ma è vero che vorresti introdurre l’Educazione di Genere nelle Scuole e nelle Università?
RISPOSTA – Certamente. C’è già nella BUONA SCUOLA.
Si può sentire l’intervista scaricando il Podcast della trasmissione “Un giorno da pecora” del oggi 28 settembre 2015 e dal minuto 3,59 al minuto 5,50 troverete tutto su scuola e unioni civili.
Oppure si può guardare su Youtube.
La tesi del governo, e del Ministro della Pubblica Istruzione, Giannini, è di negare questo fatto. Il Ministro Giannini ha anche minacciato azioni legali contro chi osi affermare esttamente quella che la senatrice Fedeli ha detto.
29/09/2015
http://www.lastampa.it/2015/09/29/blogs/san-pietro-e-dintorni/gender-buona-scuola-c-gi-FjvDOV0fI8B6jHdpWpDRiN/pagina.html
Gender e legge sulla “buona scuola”. Come ingannare un popolo con tecniche da stato totalitario – di Patrizia Fermani
Ripercorriamo passo passo la storia non proprio edificante di come il gender sia entrato ufficialmente nella scuola, col sigillo dello Stato totalitario rivestito di diritti di vari colori, con tendenza predominante verso l’arcobaleno. Un ben articolato imbroglio coronato da un atto di amministrazione generale, sottratto a ogni controllo parlamentare e popolare.
di Patrizia Fermani
.
Con la “buona scuola”Il governo Renzi ha trovato il modo di realizzare il micidiale programma “educativo”ispirato all’idea del gender, di cui ora tanto si discute, senza dare troppo nell’occhio. È stato messo a punto un meccanismo legislativo anomalo, capace di stendere sui propri contenuti reali quella cortina fumogena che è servita a suo tempo ad ottenere la fiducia del parlamento, e a rassicurare e ammansire per interposta diplomazia vaticana persino la massa che era scesa fiduciosa a Roma con baldanzosa sicurezza, ignara di avere fatto un viaggio inutile perché i giochi erano già fatti e ad essa era stato affidato solo il compito di indossare la maschera beffarda della democrazia.
Ma molte famiglie che hanno già visto il sopruso consumato ai danni dei più piccoli, nella indifferenza delle autorità scolastiche di ogni ordine e grado, non si sono rassegnate. Ecco allora, di fronte alla irriducibile resistenza di queste, la affannosa campagna propagandistica governativa messa in campo per sedare ogni ansia. Battono città e campagne onorevoli e uomini di pensiero, rappresentanti del clero e del terzo stato impersonato da una falange di psicopedagoghe che vantano competenze scientifiche ad ampio spettro. Tutti impegnati a garantire i vantaggi formativi della nuova scuola, priva di inquinamenti ideologici.
Eppure in questa sequenza desolante e apparentemente marginale della vita collettiva si riassumono gli aspetti di una inaudita deriva culturale, etica, politica, legislativa e financo religiosa in cui un’intera società sta affondando senza eccessivo clamore. E per averne un quadro adeguato occorre ricapitolare a grandi linee le varie fasi che l’hanno preceduta.
Tutto nasce come sappiamo quando un oscuro medico di Baltimora, cultore anche di psicologia, ha l’opportunità di sperimentare concretamente su un bambino la propria idea che sia possibile costruire l’identità dell’individuo, cioè il suo “genere”, indipendentemente dal corredo sessuale con cui si presenta alla nascita. Egli è il padre riconosciuto di questa teoria demenziale che non avrebbe fatto fortuna se il seme relativista e libertario non avesse già attecchito da tempo. Ma soprattutto se essa non fosse tornata utilissima ai sempre più potenti movimenti omosessualisti e al femminismo radicale esploso nelle follie sessantottine. Infatti, se ciascuno è libero di inventare il proprio genere, l’omosessualità diventa una forma normale della sessualità, mentre la donna può liberarsi a buon diritto dai ruoli legati alla maternità e alla famiglia.
Inoltre questa strana idea ora può servire egregiamente anche il grandioso progetto geo politico di controllo della compagine umana, che i poteri sovranazionali intendono attuare per arrivare, attraverso la demolizione della famiglia, quale recinto di autonomia e libertà morale, alla costruzione di un immenso allevamento di umanidi, riproducibili all’occorrenza in laboratorio, dopo accurata selezione.
L’idea di Money è tanto appetibile che comincia ad essere inserita sotto traccia nelle conferenze internazionali organizzate dall’Onu su temi che si prestano ad ospitarla sotto mentite spoglie. Il termine “gender”compare già negli atti della conferenza di Nairobi del 1985 sulle donne, in quella del Cairo sulla popolazione, e finalmente torna martellante negli atti preparatori e nei documenti ufficiali della conferenza di Pechino ancora sulla donna.
Fin qui si lavora sul piano culturale, si forgia il linguaggio e con esso i conseguenti modi di pensare, vengono arruolati i mezzi di comunicazione. Ma una volta dissodato il terreno si deve entrare nelle stanze della politica e quindi nelle leggi. Se l’educazione di stato è il primo obiettivo di ogni regime totalitario, il progetto di controllo globale della popolazione, che mira alla demolizione della famiglia attraverso l’indifferentismo sessuale, punta ora all’educazione delle nuove generazioni che a questo fine dovranno essere sottratte alla famiglia.
L’unione Europea, il potere totalitario senza volto e senza responsabilità che rappresenta solo se stesso, impone già la cultura dell’aborto libero, della eutanasia, della fabbricazione degli umani in laboratorio, la decostruzione dei modelli famigliari. Ma ora elabora anch’essa il proprio progetto educativo ispirato all’indifferentismo sessuale che deve essere imposto in qualche modo agli stati membri. Non è un caso che nella miriade di dispendiose commissioni che si occupano dei temi più disparati in nome dell’UE, non ve ne sia nessuna dedicata alla famiglia. Tutte le formule del repertorio genderista cominciano ad entrare negli atti della comunità europea. Così nel progetto di Costituzione europea del 2004 l’orientamento sessuale, che è la “direzione affettiva e sessuale verso altre persone”che non sopporta limiti di sorta, e apre la strada anche alla pedofilia, figura accanto agli altri motivi della non discriminazione imposta dal principio di uguaglianza. Sappiamo che la Costituzione bocciata nel 2005 da alcuni stati membri viene riproposta pressoché inalterata col Trattato di Lisbona felicemente sottoscritto anche dall’Italia, ed entrato in vigore nel 2008. E anche qui, all’articolo 10 del titolo II, ritorna il riferimento alla lotta contro le discriminazioni fondate “sull’orientamento sessuale”.
Peraltro nello stesso Trattato, con il quale abbiamo rinunciato di fatto alla sovranità nazionale, agli artt. 3 e 4 del Titolo I, vengono tuttavia elencate le materie di competenza esclusiva degli stati membri, fra cui figura l’istruzione. E questo dovrebbe bastare per impedire condizionamenti di sorta da parte dell’UE in tema di istruzione e di sistemi educativi. Ma all’articolo 6, è anche previsto che l’UE possa “svolgere azioni intese a sostenere, coordinare, o completare l’azione degli stati membri”. Di qui si apre la porta ad un vero e proprio martellamento da parte dell’Unione Europea che attraverso i propri organismi proteiformi, cerca di imporre impunemente il nuovo modello “educativo” di cui il “genere” è diventato il perno concettuale.
Esso è anche il leit motiv di un linguaggio ambiguo quanto perentorio. Oltre all’orientamento sessuale, si insiste ossessivamente sulla “identità di genere”, la “discriminazione di genere”, e la “violenza di genere”: tutto un linguaggio fatto di locuzioni rituali ripetute fino allo sfinimento nei documenti ufficiali.
Si susseguono le famose “raccomandazioni” di varia provenienza (Parlamento, Consiglio dei ministri, Commissione ecc.) che pur non giuridicamente vincolanti, producono un fortissima suggestione alimentata dalle eterne quinte colonne del progressismo d’accatto promotore dei modelli di “civiltà”altrui, che le enfatizzano attraverso gli zelanti mezzi di comunicazione. Si crea così nella opinione pubblica, abituata a sentire sul collo su altre materie lo scarpone del dettato europeo, il senso che esso abbia una forza ineluttabile.
La pressione da parte dell’UE è dunque sempre più forte e sempre più alimentata dal postcomunismo che per giustificare la propria sopravvivenza alle disfatte della storia, si è gettato a capofitto nella decostruzione etica della società, e nella messinscena dei “diritti” a contenuto di fantasia.
La carta fondamentale di questa prospettiva “culturale” e politica, viene emanata il 31 marzo 2010 dal Comitato dei Ministri composto dai ministri degli esteri degli stati membri, che emette una Raccomandazione con cui si invitano i rispettivi governi a prendere tutte le misure dirette a “combattere la discriminazione fondata “sull’orientamento sessuale” o l’identità di genere”, con particolare riguardo alla Istruzione (art. 31 del relativo Allegato), e a far sì che gli allievi non soffrano discriminazioni fondate “sull’orientamento sessuale” o “sull’identità di genere”. Il perno su cui deve ruotare la nuova “educazione”, dunque proprio l’ideologia del “genere”, con la relativa imposizione della cultura omosessualista e neo femminista. Le formule usate sono quelle fatidiche di un linguaggio ormai inequivocabile.
Ma su questo mare ideologico desolante spicca minaccioso l’incredibile invito a legittimare di fatto la pedofilia. Tale è l’inaudito contenuto dell’articolo 18 che basta da solo a dimostrare la vicinanza tra omosessualismo e pedofilia nell’orizzonte culturale dell’UE e quali siano i relativi perversi orientamenti propagandistici.
Nello stesso anno viene firmata da dieci stati fra cui l’Italia la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Gli stati firmatari si impegnano a combattere ogni forma di violenza, le discriminazioni, le disparità di trattamento. Non mancano riferimenti all’analfabetismo, alla impossibilità di accedere ai gradi di istruzione, alle mutilazioni dei genitali, che riguardano le donne. L’idea di fondo è che tutto questo deriva essenzialmente dalla condizione di inferiorità socio culturale, cioè che è una conseguenza del genere in cui è stata ingabbiata la donna, di una subordinazione anche psicologica e culturale che deve essere rimossa in quanto causa primaria della violenza nei suoi confronti. Il quadro di riferimento è senz’altro relativo a società lontane ormai anni luce da quelle occidentali, ma non importa. L’importante è fare entrare, dietro il paravento di culture che vanno riscattate dalla barbarie, l’idea che ci sia bisogno di un riscatto culturale universale modellato sull’idea del “genere”. Occorre far passare l’idea che la donna deve disfarsi di un armamentario di valori negativi che la mettono in qualunque latitudine in una condizione di inaccettabile inferiorità, da cui scaturisce la violenza.
Infatti si chiarisce già nel preambolo come “l’uguaglianza di genere de jure e de facto, sia un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne” e si riconosce “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere”. La relativa ideologia del gender, giocata sul versante femminista, c’è tutta. Non mancano all’articolo 14 indicazioni educative circa i ruoli di genere “non stereotipati”. Tutto quello che serve all’occidente per staccare la donna dalla maternità e dalla famiglia. Ma il genere è anche quello sessuale scelto liberamente, quindi le indicazioni “educative” possono servire agevolmente anche per il promovimento dell’agenda omosessista. Il congegno è tanto sofisticato quanto funzionale.
Infatti è vero che a prima vista l’impegno assunto dal nostro stato potrebbe apparire ozioso poiché le nostre leggi, al riparo dell’articolo 3 della Costituzione, garantiscono già tutto quanto la Convenzione intende garantire, e la realtà sociale riguardante le donne è agli antipodi rispetto a quella sulla quale sembra modellata la Convenzione. Ma in realtà, questa viene sottoscritta per diventare la fonte privilegiata capace di nascondere dietro al surreale piagnisteo neofemminista l’ideologia genderista. E d’ora in poi, quando converrà camuffare l’imposizione del modello omosessualista in campo educativo, si metterà l’accento, come vedremo, proprio sulla necessità di combattere attraverso l’educazione la violenza di genere, quella che si scatena contro le donne, in ragione di una atavica condizione di assoggettamento fisico e psicologico.
La nuova società omofemminista, che decostruisce la famiglia, presuppone la distruzione di valori consolidati. Una espressione minacciosa come “abbattimento degli stereotipi di genere”, “convinzioni” e “tradizioni”, che denuncia da sola un feroce programma totalitario, viene mutuata tale e quale da ogni successivo programma e discorso politico che miri alla rieducazione del popolo. Questa formula diventa il cuore dell’ineffabile DDL messo in piedi dalla senatrice Fedeli e accolto totalmente, per bocca della stessa autrice, come vedremo, dalla “innocua” legge renziana sulla scuola.
Ma prima il progetto educativo “genderista” è stato introdotto dal governo Monti in articulo mortis attraverso un ”Protocollo di intesa” del gennaio 2013, tra il Ministro della pubblica istruzione, Profumo, e la delegata alle Pari Opportunità, Elsa Fornero, che sforna la “Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, appaltata alle 29 associazioni LGBTQ, fra le quali figura anche il circolo ”Mario Mieli”, accreditate presso il proprio dicastero.
La Strategia, priva ovviamente di qualunque forza normativa, costituisce però di certo un cuneo poderoso per la penetrazione dell’ideologia omosessista nella scuola. È una sorta di manuale, di indottrinamento, che accoglie virtualmente la famigerata Raccomandazione dei ministri del 2010, predispone anche il supporto per così dire concettuale, il quadro sociologico e traccia le linee di un paradossale sistema educativo tutto incentrato sui “valori”dell’omosessismo.
Con l’Intesa il Miur si impegnava a “favorire la diffusione nel mondo della scuola dei progetti educativi elaborati in collaborazione con il dipartimento delle pari opportunità”. Dunque alle scuole è arrivato, già dai primi mesi del 2013, il completo libretto di istruzioni per l’educazione all’omosessismo e in via complementare al femminismo genderista.
Ma nell’estate il parlamento crede di dovere onorare praticamente l’impegno preso con la Convenzione di Istanbul, e sforna il decreto, diventato lo strumento preferito per eludere il normale esercizio della potestà legislativa, poi convertito nella legge 119, che crea i nuovi assurdi reati qualificati dal sesso della vittima. Abbiamo il “femminicidio”, monstrum giuridico che ha sacrificato alla ideologia politica i principi più elementari del sistema penale. Ma non basta. Per realizzare una prevenzione efficace si prevede, al famoso articolo 5, che verrà stilato un “Piano si azione straordinaria contro la violenza sessuale e di genere”, di cui si indicano i contenuti di massima. Ma la norma rimane ferma su un binario morto perché del piano previsto e di una sua articolazione dettagliata non si ha più notizia fino alla fine del 2014, quando ne viene pubblicata una versione sul sito del Dipartimento delle pari opportunità, aperta alle osservazioni dei lettori occasionali ritenuti capaci di soddisfare da soli ogni esigenza di controllo democratico.
Intanto la legge che si autodefinirà della buona scuola che è stata approvata alla Camera non contiene un proprio programma educativo ma si rimette a questo fine, al piano preannunciato dalla legge 119, anche se non ancora formulato. Insomma la buona scuola fa proprio, a scatola chiusa, il piano educativo che la legge sul femminicidio ha previsto per prevenire la violenza contro le donne, con un obiettivo specifico dunque che a ben vedere avrebbe a che fare più con la politica criminale visto che nasce sul terreno particolare della legge penale, che prevede un reato particolare. Ma tant’è. L’orizzonte educativo della scuola sembra doversi concentrare tutto sulla violenza vera o presunta ai danni di un tipo eletto di vittime.
Della anomalia giuridica della legge 119 pare che nessuno si sia curato dato che è stata votata a larghissima maggioranza, quindi anche da onorevoli provvisti di una qualche conoscenza dei principi del diritto penale che normalmente punisce i fatti lesivi nella loro oggettività giuridica e non in ragione della qualità del soggetto passivo. Tuttavia a questa anomalia iniziale, si aggiunge il paradosso di una legge come quella sulla scuola che avocando a sé anche fini educativi, li riassume in una sorta di agenda femminista rafforzata dal tema suggestivo della violenza sulle donne. Ma in realtà le cose sono di fatto ancora più paradossali ed inquietanti. Infatti, come abbiamo visto, già nella Convenzione di Istanbul che ha ispirato la legge sul femminicidio, fra tanto parlare della violenza sulle donne, e su tante forme di svantaggio sociale, si parla anche qua e là anche di violenza di “genere” e affini, e l’auspicata azione educativa abbraccia per implicito anche le categorie solidali con quella delle donne e bisognose dello stesso intervento difensivo previsto per esse in fatto di “discriminazioni” dovute al ”genere” di appartenenza.
In altre parole gli estensori della legge sulla scuola quando hanno previsto l’adozione a scatola chiusa del piano educativo promesso dalla legge 119 erano perfettamente consapevoli di quello che esso avrebbe contenuto. Erano consapevoli cioè di poter fare entrare la educazione genderista nella scuola facendola penetrare di soppiatto e a tempo debito, da una porticina di servizio, da aprire magari nottetempo all’insaputa di tutti. La manovra ricorda in tutto il gioco dei prestigiatori di un tempo, capaci di nascondere il coniglio nel cilindro fino all’ultimo momento.
Ecco dunque che il programma ancora in pectore era già stato destinato prima della nascita a soddisfare e due prospettive diverse, quella della prevenzione del reato previsto dalla norma sul femminicidio e quella della educazione scolastica. Un po’come i fanciulli che venivano promessi in matrimonio già dalla culla. Particolare non da poco, che tuttavia scopre la presenza prepotente di un’unica ideologia da imporre ovunque nella sua grammatica consolidata.
Infatti il piano viene poi redatto all’interno del Dipartimento delle pari opportunità dove sappiamo che albergano le 29 associazioni LGBT. Ufficialmente non ha una paternità istituzionale e una sostanza giuridica definita. È un atto di amministrazione generale congegnato per sfuggire alla discussione parlamentare. Dopo la lunga gestazione sfuggita all’attenzione generale, Giovanna Martelli annuncia sempre via internet che esso ha visto la luce felicemente e che verrà presentato il 7 maggio alla presidenza del Consiglio, cioè una stanza più in là della propria. Un paio di giornali informati lo pubblicano e qualcuno si accorge che l’allegato B è incentrato sulla educazione al “genere”. Tutto si è svolto secondo copione. Però il 20 maggio c’è grande afflusso di popolo per impedire l’ingresso della ideologia genderista nella scuola. Il popolo viene rassicurato e rispedito a casa, come se nulla fosse. La legge passa felicemente al senato mentre del piano cui essa rinvia si sono già perse le tracce. Sarebbe curioso sapere quanti di quelli che l’hanno votata sanno di avere votato anche “il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, compreso l’allegato B) sull’educazione. L’estate torrida incombe su tutto. Il Piano riemerge nella calura per ricevere il crisma del decreto presidenziale il 7 luglio. Una settimana dopo la legge della buona scuola è entrata in vigore.
Questa è la storia non proprio edificante di come il gender sia entrato ufficialmente nella scuola, col sigillo dello Stato totalitario rivestito di diritti di vari colori, con tendenza predominante verso l’arcobaleno.
Il resto è storia recente. Le famiglie sono sempre più allarmate perché da tempo hanno cominciato a leggere i libretti perversi che occupano ormai le scaffalature scolastiche ma anche quelle delle librerie “cattoliche”. Cominciano a circolare progetti inquietanti, si teme che quanto di peggio è già stato fatto continui ad essere fatto senza trovare ostacoli, anzi anche col crisma della sedicente buona scuola.
Parte la campagna di controinformazione da parte del Ministero. La ministra Giannini, mentre vanta la santa alleanza con il vescovo di Padova che non c’è, nega la presenza nella legge della teoria del gender che c’è e minaccia azioni legali contro quelli che affermano l’esistenza stessa di una teoria che sempre secondo lei non c’è.
Di alcune sequenze della truffaldina campagna normalizzatrice in atto si è già parlato su queste pagine, per altre successive rimandiamo, a Dio piacendo, a prossimi articoli…
http://www.riscossacristiana.it/gender-e-legge-sulla-buona-scuola-come-ingannare-un-popolo-con-tecniche-da-stato-totalitario-di-patrizia-fermani/
di Patrizia Fermani
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Con la “buona scuola”Il governo Renzi ha trovato il modo di realizzare il micidiale programma “educativo”ispirato all’idea del gender, di cui ora tanto si discute, senza dare troppo nell’occhio. È stato messo a punto un meccanismo legislativo anomalo, capace di stendere sui propri contenuti reali quella cortina fumogena che è servita a suo tempo ad ottenere la fiducia del parlamento, e a rassicurare e ammansire per interposta diplomazia vaticana persino la massa che era scesa fiduciosa a Roma con baldanzosa sicurezza, ignara di avere fatto un viaggio inutile perché i giochi erano già fatti e ad essa era stato affidato solo il compito di indossare la maschera beffarda della democrazia.
Ma molte famiglie che hanno già visto il sopruso consumato ai danni dei più piccoli, nella indifferenza delle autorità scolastiche di ogni ordine e grado, non si sono rassegnate. Ecco allora, di fronte alla irriducibile resistenza di queste, la affannosa campagna propagandistica governativa messa in campo per sedare ogni ansia. Battono città e campagne onorevoli e uomini di pensiero, rappresentanti del clero e del terzo stato impersonato da una falange di psicopedagoghe che vantano competenze scientifiche ad ampio spettro. Tutti impegnati a garantire i vantaggi formativi della nuova scuola, priva di inquinamenti ideologici.
Eppure in questa sequenza desolante e apparentemente marginale della vita collettiva si riassumono gli aspetti di una inaudita deriva culturale, etica, politica, legislativa e financo religiosa in cui un’intera società sta affondando senza eccessivo clamore. E per averne un quadro adeguato occorre ricapitolare a grandi linee le varie fasi che l’hanno preceduta.
Tutto nasce come sappiamo quando un oscuro medico di Baltimora, cultore anche di psicologia, ha l’opportunità di sperimentare concretamente su un bambino la propria idea che sia possibile costruire l’identità dell’individuo, cioè il suo “genere”, indipendentemente dal corredo sessuale con cui si presenta alla nascita. Egli è il padre riconosciuto di questa teoria demenziale che non avrebbe fatto fortuna se il seme relativista e libertario non avesse già attecchito da tempo. Ma soprattutto se essa non fosse tornata utilissima ai sempre più potenti movimenti omosessualisti e al femminismo radicale esploso nelle follie sessantottine. Infatti, se ciascuno è libero di inventare il proprio genere, l’omosessualità diventa una forma normale della sessualità, mentre la donna può liberarsi a buon diritto dai ruoli legati alla maternità e alla famiglia.
Inoltre questa strana idea ora può servire egregiamente anche il grandioso progetto geo politico di controllo della compagine umana, che i poteri sovranazionali intendono attuare per arrivare, attraverso la demolizione della famiglia, quale recinto di autonomia e libertà morale, alla costruzione di un immenso allevamento di umanidi, riproducibili all’occorrenza in laboratorio, dopo accurata selezione.
L’idea di Money è tanto appetibile che comincia ad essere inserita sotto traccia nelle conferenze internazionali organizzate dall’Onu su temi che si prestano ad ospitarla sotto mentite spoglie. Il termine “gender”compare già negli atti della conferenza di Nairobi del 1985 sulle donne, in quella del Cairo sulla popolazione, e finalmente torna martellante negli atti preparatori e nei documenti ufficiali della conferenza di Pechino ancora sulla donna.
Fin qui si lavora sul piano culturale, si forgia il linguaggio e con esso i conseguenti modi di pensare, vengono arruolati i mezzi di comunicazione. Ma una volta dissodato il terreno si deve entrare nelle stanze della politica e quindi nelle leggi. Se l’educazione di stato è il primo obiettivo di ogni regime totalitario, il progetto di controllo globale della popolazione, che mira alla demolizione della famiglia attraverso l’indifferentismo sessuale, punta ora all’educazione delle nuove generazioni che a questo fine dovranno essere sottratte alla famiglia.
L’unione Europea, il potere totalitario senza volto e senza responsabilità che rappresenta solo se stesso, impone già la cultura dell’aborto libero, della eutanasia, della fabbricazione degli umani in laboratorio, la decostruzione dei modelli famigliari. Ma ora elabora anch’essa il proprio progetto educativo ispirato all’indifferentismo sessuale che deve essere imposto in qualche modo agli stati membri. Non è un caso che nella miriade di dispendiose commissioni che si occupano dei temi più disparati in nome dell’UE, non ve ne sia nessuna dedicata alla famiglia. Tutte le formule del repertorio genderista cominciano ad entrare negli atti della comunità europea. Così nel progetto di Costituzione europea del 2004 l’orientamento sessuale, che è la “direzione affettiva e sessuale verso altre persone”che non sopporta limiti di sorta, e apre la strada anche alla pedofilia, figura accanto agli altri motivi della non discriminazione imposta dal principio di uguaglianza. Sappiamo che la Costituzione bocciata nel 2005 da alcuni stati membri viene riproposta pressoché inalterata col Trattato di Lisbona felicemente sottoscritto anche dall’Italia, ed entrato in vigore nel 2008. E anche qui, all’articolo 10 del titolo II, ritorna il riferimento alla lotta contro le discriminazioni fondate “sull’orientamento sessuale”.
Peraltro nello stesso Trattato, con il quale abbiamo rinunciato di fatto alla sovranità nazionale, agli artt. 3 e 4 del Titolo I, vengono tuttavia elencate le materie di competenza esclusiva degli stati membri, fra cui figura l’istruzione. E questo dovrebbe bastare per impedire condizionamenti di sorta da parte dell’UE in tema di istruzione e di sistemi educativi. Ma all’articolo 6, è anche previsto che l’UE possa “svolgere azioni intese a sostenere, coordinare, o completare l’azione degli stati membri”. Di qui si apre la porta ad un vero e proprio martellamento da parte dell’Unione Europea che attraverso i propri organismi proteiformi, cerca di imporre impunemente il nuovo modello “educativo” di cui il “genere” è diventato il perno concettuale.
Esso è anche il leit motiv di un linguaggio ambiguo quanto perentorio. Oltre all’orientamento sessuale, si insiste ossessivamente sulla “identità di genere”, la “discriminazione di genere”, e la “violenza di genere”: tutto un linguaggio fatto di locuzioni rituali ripetute fino allo sfinimento nei documenti ufficiali.
Si susseguono le famose “raccomandazioni” di varia provenienza (Parlamento, Consiglio dei ministri, Commissione ecc.) che pur non giuridicamente vincolanti, producono un fortissima suggestione alimentata dalle eterne quinte colonne del progressismo d’accatto promotore dei modelli di “civiltà”altrui, che le enfatizzano attraverso gli zelanti mezzi di comunicazione. Si crea così nella opinione pubblica, abituata a sentire sul collo su altre materie lo scarpone del dettato europeo, il senso che esso abbia una forza ineluttabile.
La pressione da parte dell’UE è dunque sempre più forte e sempre più alimentata dal postcomunismo che per giustificare la propria sopravvivenza alle disfatte della storia, si è gettato a capofitto nella decostruzione etica della società, e nella messinscena dei “diritti” a contenuto di fantasia.
La carta fondamentale di questa prospettiva “culturale” e politica, viene emanata il 31 marzo 2010 dal Comitato dei Ministri composto dai ministri degli esteri degli stati membri, che emette una Raccomandazione con cui si invitano i rispettivi governi a prendere tutte le misure dirette a “combattere la discriminazione fondata “sull’orientamento sessuale” o l’identità di genere”, con particolare riguardo alla Istruzione (art. 31 del relativo Allegato), e a far sì che gli allievi non soffrano discriminazioni fondate “sull’orientamento sessuale” o “sull’identità di genere”. Il perno su cui deve ruotare la nuova “educazione”, dunque proprio l’ideologia del “genere”, con la relativa imposizione della cultura omosessualista e neo femminista. Le formule usate sono quelle fatidiche di un linguaggio ormai inequivocabile.
Ma su questo mare ideologico desolante spicca minaccioso l’incredibile invito a legittimare di fatto la pedofilia. Tale è l’inaudito contenuto dell’articolo 18 che basta da solo a dimostrare la vicinanza tra omosessualismo e pedofilia nell’orizzonte culturale dell’UE e quali siano i relativi perversi orientamenti propagandistici.
Nello stesso anno viene firmata da dieci stati fra cui l’Italia la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Gli stati firmatari si impegnano a combattere ogni forma di violenza, le discriminazioni, le disparità di trattamento. Non mancano riferimenti all’analfabetismo, alla impossibilità di accedere ai gradi di istruzione, alle mutilazioni dei genitali, che riguardano le donne. L’idea di fondo è che tutto questo deriva essenzialmente dalla condizione di inferiorità socio culturale, cioè che è una conseguenza del genere in cui è stata ingabbiata la donna, di una subordinazione anche psicologica e culturale che deve essere rimossa in quanto causa primaria della violenza nei suoi confronti. Il quadro di riferimento è senz’altro relativo a società lontane ormai anni luce da quelle occidentali, ma non importa. L’importante è fare entrare, dietro il paravento di culture che vanno riscattate dalla barbarie, l’idea che ci sia bisogno di un riscatto culturale universale modellato sull’idea del “genere”. Occorre far passare l’idea che la donna deve disfarsi di un armamentario di valori negativi che la mettono in qualunque latitudine in una condizione di inaccettabile inferiorità, da cui scaturisce la violenza.
Infatti si chiarisce già nel preambolo come “l’uguaglianza di genere de jure e de facto, sia un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne” e si riconosce “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere”. La relativa ideologia del gender, giocata sul versante femminista, c’è tutta. Non mancano all’articolo 14 indicazioni educative circa i ruoli di genere “non stereotipati”. Tutto quello che serve all’occidente per staccare la donna dalla maternità e dalla famiglia. Ma il genere è anche quello sessuale scelto liberamente, quindi le indicazioni “educative” possono servire agevolmente anche per il promovimento dell’agenda omosessista. Il congegno è tanto sofisticato quanto funzionale.
Infatti è vero che a prima vista l’impegno assunto dal nostro stato potrebbe apparire ozioso poiché le nostre leggi, al riparo dell’articolo 3 della Costituzione, garantiscono già tutto quanto la Convenzione intende garantire, e la realtà sociale riguardante le donne è agli antipodi rispetto a quella sulla quale sembra modellata la Convenzione. Ma in realtà, questa viene sottoscritta per diventare la fonte privilegiata capace di nascondere dietro al surreale piagnisteo neofemminista l’ideologia genderista. E d’ora in poi, quando converrà camuffare l’imposizione del modello omosessualista in campo educativo, si metterà l’accento, come vedremo, proprio sulla necessità di combattere attraverso l’educazione la violenza di genere, quella che si scatena contro le donne, in ragione di una atavica condizione di assoggettamento fisico e psicologico.
La nuova società omofemminista, che decostruisce la famiglia, presuppone la distruzione di valori consolidati. Una espressione minacciosa come “abbattimento degli stereotipi di genere”, “convinzioni” e “tradizioni”, che denuncia da sola un feroce programma totalitario, viene mutuata tale e quale da ogni successivo programma e discorso politico che miri alla rieducazione del popolo. Questa formula diventa il cuore dell’ineffabile DDL messo in piedi dalla senatrice Fedeli e accolto totalmente, per bocca della stessa autrice, come vedremo, dalla “innocua” legge renziana sulla scuola.
Ma prima il progetto educativo “genderista” è stato introdotto dal governo Monti in articulo mortis attraverso un ”Protocollo di intesa” del gennaio 2013, tra il Ministro della pubblica istruzione, Profumo, e la delegata alle Pari Opportunità, Elsa Fornero, che sforna la “Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, appaltata alle 29 associazioni LGBTQ, fra le quali figura anche il circolo ”Mario Mieli”, accreditate presso il proprio dicastero.
La Strategia, priva ovviamente di qualunque forza normativa, costituisce però di certo un cuneo poderoso per la penetrazione dell’ideologia omosessista nella scuola. È una sorta di manuale, di indottrinamento, che accoglie virtualmente la famigerata Raccomandazione dei ministri del 2010, predispone anche il supporto per così dire concettuale, il quadro sociologico e traccia le linee di un paradossale sistema educativo tutto incentrato sui “valori”dell’omosessismo.
Con l’Intesa il Miur si impegnava a “favorire la diffusione nel mondo della scuola dei progetti educativi elaborati in collaborazione con il dipartimento delle pari opportunità”. Dunque alle scuole è arrivato, già dai primi mesi del 2013, il completo libretto di istruzioni per l’educazione all’omosessismo e in via complementare al femminismo genderista.
Ma nell’estate il parlamento crede di dovere onorare praticamente l’impegno preso con la Convenzione di Istanbul, e sforna il decreto, diventato lo strumento preferito per eludere il normale esercizio della potestà legislativa, poi convertito nella legge 119, che crea i nuovi assurdi reati qualificati dal sesso della vittima. Abbiamo il “femminicidio”, monstrum giuridico che ha sacrificato alla ideologia politica i principi più elementari del sistema penale. Ma non basta. Per realizzare una prevenzione efficace si prevede, al famoso articolo 5, che verrà stilato un “Piano si azione straordinaria contro la violenza sessuale e di genere”, di cui si indicano i contenuti di massima. Ma la norma rimane ferma su un binario morto perché del piano previsto e di una sua articolazione dettagliata non si ha più notizia fino alla fine del 2014, quando ne viene pubblicata una versione sul sito del Dipartimento delle pari opportunità, aperta alle osservazioni dei lettori occasionali ritenuti capaci di soddisfare da soli ogni esigenza di controllo democratico.
Intanto la legge che si autodefinirà della buona scuola che è stata approvata alla Camera non contiene un proprio programma educativo ma si rimette a questo fine, al piano preannunciato dalla legge 119, anche se non ancora formulato. Insomma la buona scuola fa proprio, a scatola chiusa, il piano educativo che la legge sul femminicidio ha previsto per prevenire la violenza contro le donne, con un obiettivo specifico dunque che a ben vedere avrebbe a che fare più con la politica criminale visto che nasce sul terreno particolare della legge penale, che prevede un reato particolare. Ma tant’è. L’orizzonte educativo della scuola sembra doversi concentrare tutto sulla violenza vera o presunta ai danni di un tipo eletto di vittime.
Della anomalia giuridica della legge 119 pare che nessuno si sia curato dato che è stata votata a larghissima maggioranza, quindi anche da onorevoli provvisti di una qualche conoscenza dei principi del diritto penale che normalmente punisce i fatti lesivi nella loro oggettività giuridica e non in ragione della qualità del soggetto passivo. Tuttavia a questa anomalia iniziale, si aggiunge il paradosso di una legge come quella sulla scuola che avocando a sé anche fini educativi, li riassume in una sorta di agenda femminista rafforzata dal tema suggestivo della violenza sulle donne. Ma in realtà le cose sono di fatto ancora più paradossali ed inquietanti. Infatti, come abbiamo visto, già nella Convenzione di Istanbul che ha ispirato la legge sul femminicidio, fra tanto parlare della violenza sulle donne, e su tante forme di svantaggio sociale, si parla anche qua e là anche di violenza di “genere” e affini, e l’auspicata azione educativa abbraccia per implicito anche le categorie solidali con quella delle donne e bisognose dello stesso intervento difensivo previsto per esse in fatto di “discriminazioni” dovute al ”genere” di appartenenza.
In altre parole gli estensori della legge sulla scuola quando hanno previsto l’adozione a scatola chiusa del piano educativo promesso dalla legge 119 erano perfettamente consapevoli di quello che esso avrebbe contenuto. Erano consapevoli cioè di poter fare entrare la educazione genderista nella scuola facendola penetrare di soppiatto e a tempo debito, da una porticina di servizio, da aprire magari nottetempo all’insaputa di tutti. La manovra ricorda in tutto il gioco dei prestigiatori di un tempo, capaci di nascondere il coniglio nel cilindro fino all’ultimo momento.
Ecco dunque che il programma ancora in pectore era già stato destinato prima della nascita a soddisfare e due prospettive diverse, quella della prevenzione del reato previsto dalla norma sul femminicidio e quella della educazione scolastica. Un po’come i fanciulli che venivano promessi in matrimonio già dalla culla. Particolare non da poco, che tuttavia scopre la presenza prepotente di un’unica ideologia da imporre ovunque nella sua grammatica consolidata.
Infatti il piano viene poi redatto all’interno del Dipartimento delle pari opportunità dove sappiamo che albergano le 29 associazioni LGBT. Ufficialmente non ha una paternità istituzionale e una sostanza giuridica definita. È un atto di amministrazione generale congegnato per sfuggire alla discussione parlamentare. Dopo la lunga gestazione sfuggita all’attenzione generale, Giovanna Martelli annuncia sempre via internet che esso ha visto la luce felicemente e che verrà presentato il 7 maggio alla presidenza del Consiglio, cioè una stanza più in là della propria. Un paio di giornali informati lo pubblicano e qualcuno si accorge che l’allegato B è incentrato sulla educazione al “genere”. Tutto si è svolto secondo copione. Però il 20 maggio c’è grande afflusso di popolo per impedire l’ingresso della ideologia genderista nella scuola. Il popolo viene rassicurato e rispedito a casa, come se nulla fosse. La legge passa felicemente al senato mentre del piano cui essa rinvia si sono già perse le tracce. Sarebbe curioso sapere quanti di quelli che l’hanno votata sanno di avere votato anche “il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, compreso l’allegato B) sull’educazione. L’estate torrida incombe su tutto. Il Piano riemerge nella calura per ricevere il crisma del decreto presidenziale il 7 luglio. Una settimana dopo la legge della buona scuola è entrata in vigore.
Questa è la storia non proprio edificante di come il gender sia entrato ufficialmente nella scuola, col sigillo dello Stato totalitario rivestito di diritti di vari colori, con tendenza predominante verso l’arcobaleno.
Il resto è storia recente. Le famiglie sono sempre più allarmate perché da tempo hanno cominciato a leggere i libretti perversi che occupano ormai le scaffalature scolastiche ma anche quelle delle librerie “cattoliche”. Cominciano a circolare progetti inquietanti, si teme che quanto di peggio è già stato fatto continui ad essere fatto senza trovare ostacoli, anzi anche col crisma della sedicente buona scuola.
Parte la campagna di controinformazione da parte del Ministero. La ministra Giannini, mentre vanta la santa alleanza con il vescovo di Padova che non c’è, nega la presenza nella legge della teoria del gender che c’è e minaccia azioni legali contro quelli che affermano l’esistenza stessa di una teoria che sempre secondo lei non c’è.
Di alcune sequenze della truffaldina campagna normalizzatrice in atto si è già parlato su queste pagine, per altre successive rimandiamo, a Dio piacendo, a prossimi articoli…
http://www.riscossacristiana.it/gender-e-legge-sulla-buona-scuola-come-ingannare-un-popolo-con-tecniche-da-stato-totalitario-di-patrizia-fermani/
Convegno sul gender a Pavia. Intervista a Patrizia Fermani
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Abbiamo pubblicato ieri, in calce all’articolo “Pavia. Le pretese dittatoriali di Arcigay e M5S”, l’articolo con cui La Provincia Pavese riferiva delle contestazioni mosse a Patrizia Fermani dal M5S e dall’Arcigay, che pretendono di decidere, con insindacabile giudizio, chi abbia il diritto di parlare.
Oggi La Provincia Pavese pubblica un’intervista a Patrizia Fermani. Le risposte sono chiare e nette e questo di sicuro non potrà che aumentare lo stato di democratica ansia dei custodi full-time dei “diritti”…
Vogliamo sottolineare ai nostri lettori solo una cosa: spesso i titoli sono fatti un po’ frettolosamente, senza leggere bene il contenuto dell’articolo da titolare. L’intervista a Patrizia Fermani è intitolata “Non sono omofoba semmai vittima di modelli imposti”. Leggendo il testo vediamo però che l’intervistata è molto chiara laddove dice: “Omofoba è una parola che non mi dice nulla, è un termine che si sono inventati”. Condividiamo in pieno questa risposta, perché già accettare queste parole imposte dalla neo-lingua vuol dire accettare una falsa e mistificatrice affermazione di “valori” e di “diritti”.
Il convegno si terrà giovedì 1° ottobre, alle ore 21, a Pavia, nella Sala San Martino di Tours, in corso Garibaldi. Vedremo e vi riferiremo.
PD
Ecco l’intervista a Patrizia Fermani, pubblicata oggi su La Provincia Pavese:
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