ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 17 ottobre 2015

Come back soon!

Guarda come gioca Dolan



Il cardinale Timothy Dolan
New York. A New York il Cardinale Timothy Dolan intrattiene calorosamente Francesco nel suo modo informale e televisivo, correndo perfino il rischio di rubare, anche soltanto per un attimo, la scena al Pontefice che gioca fuori casa. Il suo “thanks for stopping by, come back soon!” con tanto di gesto dell’okay, ricambiato dai pollici alzati di un sorridente Francesco, è diventato un meme, faccenda normale per un cardinale ad altissima capacità di penetrazione mediatica. A Roma, invece, precipita nel ruolo di cospiratore, obliquo ed eterodiretto firmatario di lettere preoccupate per le procedure del Sinodo, fatto che diventa di sostanza più che di forma se le suddette tendono a favorire certi esiti piuttosto che altri.
Dentro l’aula del Sinodo dice senz’ombra di ambiguità che quando si parla di matrimonio e famiglia, “il nostro dovere è seguire Gesù nel richiamare e ripristinare ciò che il Padre intendeva ‘al principio’”, mentre il “realismo pastorale e la compassione” vengono dopo, molto dopo. Quando Dolan si è trovato in mezzo alla “tempesta in un bicchier d’acqua”, come l’ha definita lui, della famosa lettera ha affrontato la controversia con il suo stile solito, che prescrive di andare sempre avanti, mai indietro, di parlare apertamente senza perdersi nelle smentite sui dettagli, che danno segnali di arroccamento difensivo e incapacità di dialogo.

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Quello che si è presentato a Roma per il Sinodo non è il doppelgänger del dialogante e spigliato pastore newyorchese, non è l’anima rigida, curiale, in un corpo abituato ai riflettori, agli appuntamenti di gala, ai dialoghi pubblici con personalità lontane dalla sensibilità della chiesa. Se c’è una cosa che il viaggio di Francesco in America ha mostrato, con potenza di gesti e di parole, è l’irriducibilità del cristianesimo a una questione fra conservatori e progressisti, fra repubblicani e democratici, e nella sua parabola pastorale Dolan già da tempo incarna il tentativo di superare uno schema politico diffuso in occidente, ma che in America ha assunto una particolare rigidità. Non che abbia offerto misericordia a buon mercato quando si è trattato di dare battaglia: sulle restrizioni dettate dall’Obamacare ai cristiani nello spazio pubblico è arrivato fino a suggerire la via della disobbedienza civile, ha dato a Barack Obama lezioni di diritto costituzionale definendo “anti americana” la sua posizione restrittiva sulla libertà religiosa, da capo della conferenza episcopale ha contrattaccato senza equivoci il “secolarismo riduttivo” di cui parlava Benedetto XVI. Ha scritto di recente che i cattolici sono la “nuova minoranza”. Allo stesso tempo non ha mai chiuso, e anzi ha allargato gli spazi di dialogo ed evangelizzazione, come dimostra, da ultimo, l’investimento notevole per la resurrezione del moribondo Archbishop Fulton J. Sheen Center for Art and Culture, spazio di incontro nel cuore di Manhattan per “esprimere la bellezza e la profondità del cattolicesimo”. Il pastore con il bernoccolo per la comunicazione e un vasto apparato digitale gioca nello stesso campo di Francesco. Esibisce uno stile marcatamente nordamericano, inevitabilmente diverso da quello latinoamericano e periferico di Francesco, ma nella volontà caritatevole di aprirsi e dialogare, senza arroccamenti e barriere difensive, si riconosce un canone condiviso. Alla vigilia del Sinodo condivideva con altri cardinali e vescovi alcuni dubbi sulle procedure, e le ha espresse: niente di più dolaniano; il Papa ha irritualmente preso la parola in assemblea per rispondere: niente di più bergogliano. Nelle interviste e nell’intervento in aula ha chiarito in modo esplicito non soltanto che i cambiamenti dottrinari non sono sul tavolo, ma non dovrebbero esserlo nemmeno quelli pastorali che rischiano, per affermazione di una prassi, di svuotare nel tempo la dottrina. Il suo endorsement appassionato alla “saggezza che toglie il respiro” della chiesa africana, che non è “più fatta di matricole”, è un’affermazione chiara per chi vuole intendere, ma non fa di lui la macchietta di un conservatore. Non esiste un conciliante Dolan newyorchese e un ferreo Dolan romano, esiste un solo cardinale, abituato a parlare con parresia al mondo e alla chiesa.

di Mattia Ferraresi | 17 Ottobre 2015

Pastori americani in subbuglio

La questione “yankee” resta aperta. Il caso del vescovo di Newark, l'attacco di Chaput
di Matteo Matzuzzi | 17 Ottobre 2015

Francesco e mons. Charles J. Chaput lo scorso settembre a Philadelphia (LaPresse)
Roma. Il problema americano di Francesco, come era facilmente intuibile (era sufficiente leggere il discorso ai vescovi pronunciato nella cattedrale di Washington) non s’è risolto con il viaggio dello scorso settembre negli Stati Uniti. Mentre al Sinodo romano si duella in punta di fioretto a colpi di teologia sull’annosa questione della riammissione alla comunione dei divorziati risposati – per farsene un’idea basta considerare la mole di interventi sul tema di cui ha dato conto padre Federico Lombardi – oltreoceano c’è chi va avanti per conto suo. L’arcivescovo di Newark, mons. John J. Myers, ha infatti spedito a tutti i sacerdoti della propria diocesi nel New Jersey un documento di due pagine in cui ribadisce che è severamente vietato loro far accostare al sacramento dell’eucaristia quanti si trovano in unioni irregolari (la fattispecie classica è quella dei divorziati e risposati) e contrarie all’insegnamento cattolico. Non solo, perché la comunione non va data neppure a chi sostiene candidati abortisti o che difendono i diritti degli omosessuali, compresa la rivendicazione di poter convolare a nozze. Un’istruzione che ufficialmente è stata inoltrata in vista dell’imminente tornata elettorale, ma che è capitata nel cuore del confronto sinodale, alimentando il dibattito già aspro anche negli Stati Uniti. Mons. Myers si è anche raccomandato che le istituzioni cattoliche poste sotto la sua giurisdizione non ospitino “persone od organizzazioni contrarie agli insegnamenti della chiesa”. Il documento, intitolato “Princìpi d’aiuto nel preservare e proteggere la fede cattolica in mezzo a una cultura sempre più secolare”, datato 22 settembre, è stato spedito solo questa settimana, ha scritto il Religion News Service.

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L’inatteso intervento del card. Ouellet

Ma anche a Roma sono gli americani (assieme a polacchi e africani) a far sentire con maggiore forza la propria voce, senza cedere al forbito quanto spesso fumoso linguaggio diplomatico-ecclesiastico. E’ il caso, ad esempio, di quanto scritto sul Wall Street Journal dall’arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles J. Chaput, che ha fatto gli onori di casa per l’Incontro mondiale delle famiglie, lo scorso settembre. “Come supremo pastore della chiesa cattolica – ha sottolineato Chaput parlando di Francesco – egli può ascoltare il consiglio (dei padri, ndr), ignorarlo o fare qualcosa tra queste due strade. Ma sarebbe raro che un vescovo di Roma non tenesse in considerazione il consenso dei suoi fratelli”, visto che è così che “i sinodi hanno un valore collegiale”. Chaput è anche il relatore del circolo minore (Anglicus D, moderato dal cardinale canadese Thomas Collins) che più duramente si è espresso contro l’Instrumentum laboris, il testo che fa da guida ai lavori nell’Aula nuova, arrivando a mettere nero su bianco che “l’Instrumentum laboris non offre alcuna definizione di matrimonio” e che questa è “una grave mancanza che provoca ambiguità in tutto il testo”.


Che il cuore del dibattito sia rappresentato dalla questione dei divorziati risposati lo dimostra anche quanto detto dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, che in assemblea plenaria ha ribadito che “si dovrebbe prendere in seria considerazione la possibilità – relativamente al singolo caso e non in modo generalizzato – di consentire ai divorziati e risposati l’accesso al sacramento della penitenza e della santa comunione”. Il vescovo di Orano, Jean-Paul Vesco, ha invitato i padri a prendere atto che “non si riuscirà mai a evitare che alcuni matrimoni falliscano”. Così, ha aggiunto, “dobbiamo guardare in faccia questa realtà”. Dal fronte opposto è arrivata però la netta presa di posizione del prefetto della congregazione per i vescovi, il cardinale Marc Ouellet. Solitamente misurato nei toni e poco propenso a interventi pubblici, il porporato canadese ha detto a Radio Vaticana che “la posizione di Familiaris Consortio è la dottrina tradizionale della chiesa, confermata da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI”. “Se il vincolo coniugale e sacramentale indissolubile c’è – ha aggiunto – lì non possiamo, senza cambiare la dottrina, proporre un accesso ai sacramenti, perché questo è un punto dottrinale”.

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