ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 24 ottobre 2015

L'exultet dei modernisti

La vendemmia del Sinodo non è generosa per Francesco. Ma la parola "Concilio" non è più tabù


“I veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono”.
Come il vino delle nozze di Cana, Francesco offre il meglio di sé allo scadere, nel momento dei saluti, prima di rimandare tutti a casa. Morbido e amabile, amaro e austero, penetrante e persistente. Leggermente frizzante, mai spumeggiante: non ne avrebbe motivo, visto che la vendemmia non risulta significativamente generosa. La “vigna del Signore” ha bisogno di ulteriore maturazione, e manutenzione, per ottenere i frutti auspicati dall’uomo venuto dai confini del mondo, regione in cui peraltro le stagioni appaiono rovesciate. Così ha preferito non forzare, anche perché i contadini nel frattempo minacciavano di ribellarsi.

“Obliquo”: l’attributo usato dal cardinale Schönborn per descrivere le scelte in tema di comunione ai divorziati, riassume in generale il profilo del sinodo. Se al sacramento si accederà caso per caso, in via trasversale, non lineare o di principio,l’omosessualità resta invece una “inclinazione disordinata”, come recita il catechismo. Altrimenti a inclinarsi e incrinarsi, drasticamente, sarebbe l’equilibrio stesso del rapporto tra il Papa e i vescovi.
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Schönborn era giunto in sala stampa in avanscoperta e all’ora di pranzo, anticipando ai giornalisti che la cena era di magro. A duecento anni esatti dal congresso di Vienna, il porporato austriaco, grande mediatore delle assise, ha rinverdito le glorie di Metternich, esaltando il ritrovato accordo tra i principi, ancorché a discapito delle attese dei popoli.
Sovente nei discorsi di questi giorni, com’è sua consuetudine, Francesco ha sollevato il braccio e sospeso il verbo, agitando una bacchetta immaginaria, per ricordare cheadesso comincia il sinodo vero, quello che va in tournée per il pianeta: andate e predicate in tutto il mondo. Ma l’orchestra esce stordita, stremata. Disorientata più che disunita, ed è tutto dire. Desiderosa di sciogliere i ranghi e prendersi una pausa di silenzio, pazienza se l’opera resta incompiuta.
Duecentosettanta presuli lasciano l’aula bunker consapevoli di avere portato un abito troppo stretto e un peso troppo grande, per tre interminabili settimane. Sul vascello del sinodo si è concentrata e abbattuta la tempesta perfetta, e mediatica, di anomalie multiple che i vescovi hanno finto a lungo di non vedere, fino all’arrivo di Francesco. E che non sono riusciti ad affrontare, privi di una intesa sul metodo, figuriamoci sul merito.
A riguardo il segretario generale dell’assemblea, Lorenzo Baldisseri, diplomatico di carriera e diplomato al conservatorio, che dilettò in concerto Ratzinger nella quiete di Castelgandolfo, pareva questa volta il pianista sull’oceano, che sin dal primo giorno si vede contestare lo spartito del regolamento, concepito sulle note del “se la cantano e se la suonano”, a detta dei “tredici” cardinali.
Le soluzioni che adesso si prospettano, caso per caso e continente per continente, rimesse al Papa e al compromesso con le istanze locali e conferenze episcopali, nonché al foro interno e al discernimento dei parroci, somigliano tanto al rattoppo di cui parla il Vangelo: prima o poi strapperà il vestito. Una miriade di crepe nevralgiche, strategiche, nel muro di un edificio che non regge più eppure si ostina a restare in piedi. E strada facendo verrà giù: rovinosamente, paventano in molti. Gioiosamente, chiosano altri.
Non si versa vino nuovo in otri antichi: l’adagio si fa presagio. La parola proibita, “concilio”, che avevamo evocato nel commento di domenica scorsa, è stata sdoganata dal dibattito, passando dalle cronache degli osservatori ai verbali dei relatori, attraverso la porta secondaria ma pur ufficiale dei Circuli Minores. Pronunciata sottovoce dai padri, potrebbe acquistare rapidamente decibel e diventare a breve voce di popolo.
Se fino a ieri l’idea di un concilio terrorizzava la gerarchia e veniva esorcizzata in quanto destabilizzante, oggi appare al contrario un fattore di normalizzazione: l’unico bacino idoneo a contenere la marea montante che due sinodi a distanza di dodici mesi, alla stregua del MOSE, il sistema veneziano di dighe mobili, non hanno saputo incanalare.
Dalla tempesta perfetta che ha investito la Chiesa, come un brodo primordiale che sballotta la barca di Pietro, emerge un modello a “teologie variabili”: versione dottrinale del poliedro, geometria di riferimento di Francesco, che salva e conserva per ora una fisionomia unitaria, ma presto potrebbe attenuare la omogeneità dell’insieme, per eccesso di autonomia e differenziazione, mettendo a dura prova i restauratori della scuola vaticana del mosaico: “Abbiamo visto che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo, per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere considerato precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione”, ha osservato Bergoglio con parole che misurano e non nascondono l’entità e la difficoltà della sfida, per lui e coloro gli subentreranno che nel XXI secolo.
Ma limitandoci al presente, in tre settimane è successo di tutto: l’ermeneutica della cospirazione, stigmatizzata il sei ottobre in via preventiva dal Pontefice, ha ceduto il passo alla constatazione del complotto, certificato in sede consuntiva il giorno 21 dall’Osservatore Romano. I vescovi che erano partiti alla ricerca di Dio, si sono ritrovati col sospetto di essere manipolati da un Deus ex Machina, manovra culminata nello “scoop” sulla salute del Papa.
Nessun giallista l’avrebbe mai bevuta: troppo facile, funzionale a un disegno. Tumore benigno, quindi curabile, per non consegnare alla leggenda un nuovo mito argentino, una sorta di “Evita eterna”, lirica e struggente, in grado di attrarre adepti e protrarre rimpianti. Meglio una “macchiolina” prosaica, non maligna ma malefica, per avallare strumentalmente la diagnosi. Della serie: è tanto buono, però non ci sta con la testa.
Insieme ai misteri da svelare è stato anche il sinodo delle rivelazioni: dal coming out personale, antropologico di Monsignor Charamsa, fino a quello collegiale, politico delle opposizioni, culminato nello scontro tra i due pesi massimi e pezzi da novanta, nonché uno e novanta di altezza, Reinhard Marx e George Pell. L’arcivescovo di Monaco e il Ministro dell’Economia si sono beccati a distanza, mediante le dichiarazioni alla stampa, come i pugili cinematografici, rinviando il confronto al ring del C9, il consiglio della corona e camera di compensazione che assiste il Papa, di cui entrambi sono membri.
Accusati dal cardinale australiano di avere infilato la Chiesa nel vicolo cieco dell’ennesimo conflitto interno alla storia e cultura tedesca, tra teologi riformisti e conservatori, proprio i teutonici hanno proposto e imposto la formula dirimente, elaborata nel rispettivo circolo linguistico ed espressa nell’articolo 85 della relatio, superando di un voto l’asticella fatidica dei due terzi: Deutschland über alles dunque, anche nelle “economie” del sinodo.
La maggioranza di centro - sinistra del “caso per caso” e del “foro interno”, ha però il trattino fragile, sottile, di un’alleanza congiunturale, non strutturale, analogamente alla coalizione che tre anni fa elesse Francesco, geografica e non programmatica, coalizzando gli emisferi occidentale e meridionale, al fine di strappare il primato e il papato, all’Italia e all’Europa. Le correnti curiali, al termine della kermesse sinodale, ne escono di conseguenza rafforzate ma soprattutto organizzate, con tanto di portavoce riconosciuti.
Nonostante la forza e lungimiranza dell’ispirazione divina, la colomba dello Spirito Santo, invocata da Bergoglio, deve avere faticato non poco a restare in quota e mantenere una sintesi alta, resistendo a venti devastanti e spifferi depistanti, mentre si accinge a scendere tra i pellegrini e condurre milioni di persone verso il sagrato della misericordia.


http://www.huffingtonpost.it/2015/10/24/sinodo-relazione-finale-p_n_8379412.html?utm_hp_ref=italy

I divorziati risposati nella "Relatio finalis". Ma della comunione non c'è nemmeno l'ombra


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I sì sono stati tra 178 e 190, poco sopra il quorum dei due terzi dei voti – 177 – richiesti per l'approvazione. I no tra 64 e 80. È andata così, nel pomeriggio di sabato 24 ottobre, la votazione dei tre paragrafi sul punto più controverso, la comunione ai divorziati risposati. O meglio: il "discernimento e integrazione" nella Chiesa dei divorziati e risposati civilmente, senza che mai in essi compaia una sola volta la parola "comunione".
Il testo integrale della "Relatio", con al termine i voti pro e contro, paragrafo per paragrafo:
Ed ecco qui di seguito i tre paragrafi sui divorziati risposati, seguiti da alcune considerazioni.
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DISCERNIMENTO E INTEGRAZIONE
84. I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità.
85. San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: "Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido" (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno.
Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze "l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate" (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla "imputabilità soggettiva" (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi.
86. Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad
una risposta più perfetta ad essa.
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Della "comunione" non c'è dunque nemmeno la parola, in questi tre paragrafi, pur nella ricchezza di "discernimento e integrazione" proposta per i divorziati risposati.
Ma c'è anche un altro paradosso in questo voto, arrivato dopo due anni abbondanti di discussione infinita.
Il paradosso è che è andato a cadere su una soluzione già messa in campo dai due papi precedenti in forma addirittura più esplicita, facendo essi sì parola della "comunione"
Di Giovanni Paolo II la "Relatio finalis" del sinodo – come già prima il circolo minore di lingua tedesca – ha ripescato il suggerimento di "discernere le situazioni", una delle quaIi era così esemplificata nella "Familiaris consortio" del 1981: "Ci sono coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il loro precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido".
In ogni caso, nella "Familiaris consortio" Giovanni Paolo II escludeva qualsiasi accesso alla comunione rimanendo valido il primo matrimonio, tranne per chi nella seconda convivenza vivesse come fratello e sorella.
Quanto a Benedetto XVI, anche lui, già da prefetto della congregazione per la dottrina della fede, partiva da un caso analogo: quello di chi è in coscienza convinto che il suo matrimonio celebrato in chiesa è nullo ma trova preclusa la via di una sentenza canonica che lo definisca tale.
In casi come questo, scrisse Joseph Ratzinger nel 1998 in un articolo che fece ripubblicare da papa nel 2011, "non sembra in linea di principio esclusa l'applicazione della 'epikeia' in foro interno".
E così proseguiva:
"Molti teologi sono dell’opinione che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in 'foro interno' ai giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri invece ritengono che qui in 'foro interno' sono pensabili delle eccezioni, perché nell’ordinamento processuale non si tratta di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiale. Questa questione esige però ulteriori studi e chiarificazioni. Dovrebbero infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi di una 'eccezione', allo scopo di evitare arbitrii e di proteggere il carattere pubblico – sottratto al giudizio soggettivo – del matrimonio".
Nell'ottobre del 2013 il cardinale Gerhard Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede e ratzingeriano di ferro – curatore dell'opera omnia del papa emerito – è tornato sull'argomento in un articolo su "L'Osservatore Romano", optando per la più rigida tra le due strade:
"Se i divorziati risposati sono soggettivamente nella convinzione di coscienza che il precedente matrimonio non era valido, ciò deve essere oggettivamente dimostrato dalla competente autorità giudiziaria in materia matrimoniale. Il matrimonio non riguarda solo il rapporto tra due persone e Dio, ma è anche una realtà della Chiesa, un sacramento, sulla cui validità non solamente il singolo per se stesso, ma la Chiesa, in cui egli mediante la fede e il battesimo è incorporato, è tenuta a decidere".
Müller rimandava però, nella stessa pagina dell'"Osservatore", al testo sopra citato di Ratzinger, che manteneva aperta a "ulteriori studi e chiarificazioni" anche l'altra strada, quella di possibili eccezioni in "foro interno".
E due anni dopo, in questo sinodo, Müller ha optato a un certo punto anche lui per la via più possibilista messa in campo dal suo maestro Ratzinger, ipotizzando assieme a tutti gli altri componenti del circolo tedesco un "cammino di discernimento" dei singoli casi che potesse condurre "nel 'forum internum' a chiarire in che misura è possibile l'accesso ai sacramenti".
Qui sì il riferimento alla comunione – "l'accesso ai sacramenti" – era esplicito. Ma nella "Relatio finalis" del sinodo è sparito, dopo che era stato sottoposto a critiche serrate nell'aula sinodale. Critiche di cui ha fatto testo questa intervista dell'arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput, il più votato nell'elezione del 22 ottobre del nuovo consiglio ordinario del sinodo:
Con il che il sinodo è ritornato alla prima delle due vie ipotizzate dal Ratzinger del 1998, quella secondo cui non basta ritenere in coscienza nullo un matrimonio, per accedere alla comunione, ma occorre che tale nullità sia oggettivamente decretata dalla competente autorità giudiziaria.
Nullità che da qui in avanti sarà enormemente più facile veder decretata, se diventerà realtà la radicale riforma dei processi matrimoniali messa in opera da papa Francesco, tutto da solo, prima dell'apertura di questo stesso sinodo.
In ogni caso, la "Relatio" non ha alcun valore deliberante. È una seomplice proposta offerta dal sinodo al papa. Toccherà a lui darle seguito.
E intanto, ecco il discorso tenuto in aula sinodale da Frsncesco, dopo le votazioni del documento finale:

Settimo Cielodi Sandro Magister 24 ott

Pell, Napier, Sarah, Chaput… I dodici eletti al nuovo consiglio sinodale

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Quella sulla "Relatio finalis" non è l'unica votazione che ha impegnato i 270 padri sinodali, perché prima di questa, giovedì 22 ottobre, essi hanno anche votato per eleggere i dodici loro rappresentanti nel consiglio che affiancherà la segreteria del sinodo fino alla prossima assise ordinaria.
Il precedente consiglio sinodale ordinario era in vita dal 2012. E quindi questo è il primo che nasce durante il pontificato di Francesco.
Ai dodici eletti il papa ne aggiungerà altri tre di sua scelta. E solo allora i nomi dei quindici saranno resi noti ufficialmente, senza distinguere tra quelli eletti e quelli di nomina papale.
Ma intanto ecco i nomi dei dodici già votati, tre per continente, con l'Asia e l'Oceania unite:
AFRICA
- Cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il culto divino, guineano;
- Cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, Sudafrica;
- Mathieu Madega Lebouakehan, vescovo di Mouila, Gabon.
AMERICHE
- Charles J. Chaput, arcivescovo di Philadelphia, Stati Uniti;
- Cardinale Marc Ouellet, prefetto della congregazione per i vescovi, canadese;
- Cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, Honduras.
ASIA e OCEANIA
- Cardinale George Pell, prefetto della segreteria per l'economia, australiano;
- Cardinale Luis Antonio G. Tagle, arcivescovo di Manila, Filippine,
- Cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, India.
EUROPA
- Cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, Austria;
- Cardinale Vincent G. Nichols, arcivescovo di Westminster, Regno Unito;
- Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto, Italia.
Al termine di ogni sinodo ordinario, queste votazioni sono sempre state lette come un eccellente indicatore degli orientamenti della gerarchia mondiale.
Ogni padre sinodale può votare un solo nome per volta e la votazione avviene per continente.
Il primo scrutinio – nel quale non capita quasi mai che uno ottenga la metà più uno dei voti necessaria per l'elezione – consente di individuare i dieci nomi più votati, sui quali si procede con un secondo e definitivo scrutinio, da cui escono eletti i tre con il maggior numero di voti.
Nelle votazioni di questo 22 ottobre il più votato in assoluto è stato un non cardinale: l'arcivescovo di Philadelphia Chaput.
Ma anche i cardinali Sarah e Pell hanno raccolto massicci consensi. Assieme a Napier, anche lui eletto, erano fra i tredici firmatari della lettera consegnata a papa Francesco all'inizio del sinodo. Segno che il grosso dei padri sinodali non ha dato minimamente retta alla campagna di discredito orchestrata contro di loro – già prima che la lettera divenisse di dominio pubblico – dalcircuito giornalistico-ecclesiastico che ha radici a Casa Santa Marta. E senza contare che anche Chaput, Madega Lebouakehan e il cardinale Ouellet, pur senza aver firmato la lettera dei tredici, appartengono allo loro stessa linea.
Una curiosità. Forte è entrato nella terna degli eletti per l'Europa grazie alla dispersione dei voti tra gli altri italiani. Infatti, i voti sommati dei cardinali Carlo Caffarra e Angelo Scola erano parecchi di più di quelli di Forte.

Padre Andrea Dall'Asta: "Io confesso gli omosessuali e dico alla Chiesa: dobbiamo accoglierli" (FOTO, VIDEO)

Pubblicato: Aggiornato: 
CATHOLIC PRIEST

"Occorre che la Chiesa rifletta su cosa significhi accogliere nella propria comunità persone dello stesso sesso che si vogliono bene e che desiderino intraprendere un serio cammino cristiano. Se il Vangelo è rivolto a tutti, occorre dare risposte credibili".
Padre Andrea Dall'Asta, prete del centro gesuita San Fedele di Milano, spesso accoglie le confessioni di persone omosessuali. In una intervista al quotidiano La Repubblica,don Dall'Asta esorta la Chiesa a ripensare la relazione con i gay:
"Incontro spesso persone che si dichiarano omosessuali. Tuttavia, quando mi trovo di fronte a loro, non penso mai al fatto di essere con dei "diversi". Sto semplicemente parlando con persone che vivono le loro aspirazioni e frustrazioni, i loro fallimenti e desideri, i problemi della loro vita quotidiana. Mi pongo una domanda: "In che modo la vita di questa persona può trovare un proprio compimento? Come può essere riconciliata con se stessa, con gli altri, per aprirsi al mondo e a Dio?".
"Mi pare più che mai urgente una profonda riflessione teologica e antropologica. Che cosa vuole dire amarsi secondo la propria natura? La Chiesa è chiamata a nuove sfide. Alcuni ambienti ecclesiali sono chiamati ad affrontare questi temi con maggiore serenità e apertura, superando la paura e la tentazione di rinchiudersi in posizioni di condanna e che chiedono invece studio, confronto e dialogo. Si tratta di affrontare i problemi con grande libertà, senza assumere posizioni d'intolleranza".
http://www.huffingtonpost.it/2015/10/24/andrea-dallasta-omosessua_n_8376966.html?utm_hp_ref=italy 

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