ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 12 ottobre 2015

Lo dice non solo la Chiesa (o diceva..?)

monsignor chamsara

Stesso amore, stesso diritto: una bestemmia giuridica

Quando si dice che allo stesso amore si debbono accompagnare gli stessi diritti si sta dicendo una verità soltanto nella misura in cui si ammette che i diritti dell'amore non esistono. Il matrimonio civile non è un istituto modellato sull'amore dei coniugi, ma su alcune funzioni che coinvolgono valutazioni assiologiche profonde: assicurare stabilità e coesione al vincolo familiare, garantire una genealogia sicura alle generazioni che verranno, salvaguardare i diritti del bambino contro ogni forma di sperimentalismo sociale, promuovere la responsabilità genitoriale e l'educazione dei figli.
“Stesso amore, stesso diritto”. Questo lo slogan scelto dalle associazioni LGBT per sollecitare l’adozione di una riforma che introduca nel nostro ordinamento il matrimonio omosessuale. Uno slogan che si staglia sui manifesti delle nostre città proprio in coincidenza (sospetta) con il Sinodo sulla Famiglia a Roma. Coincidenza peraltro sfruttata anche da parte di Monsignor Charamsa, il quale, accompagnato per l’occasione dal fidanzato, ha accusato la Chiesa di varie malefatte fra le quali la più grave sembra quella di imporre il celibato ai sacerdoti: ossia di essere, oltre che omofoba, anche cattolica.
Dicevamo però dello slogan. Di memorizzazione sicura e svelta, esso è un vero e proprio grido di battaglia, che dall’alto della sua caramellosa inattaccabilità si è fatto onnipresente nel dibattito pubblico. Non c’è editorialista che non provi a cavalcarlo, non c’è concittadino che, adorante, non si prostri al suo cospetto. Ma è davvero uno slogan così inattaccabile?
Se si affronta la questione con più serietà e meno sentimentalismi, si noterà che chi avversa il matrimonio egualitario non nega affatto che una coppia omosessuale possa amarsi al pari di una eterosessuale. Quello che contesta è che dal loro amore possano nascere dei diritti. E ciò perché, a ben vedere, neppure l’amore eterosessuale è capace d’un simile prodigio.
Amore e diritto sono due rette parallele destinate a non incontrarsi mai. Il diritto non si fonda, e non si è mai fondato, sulle belle emozioni: il diritto si fonda sulle certezze. Tali certezze vanno individuate con accuratezza e raziocinio, se non si vuole creare un tessuto normativo totalmente incoerente e frammentario. Pertanto, quando lo Stato riconosce a un soggetto un diritto, e cioè una pretesa orientata alla conversazione o all’acquisizione di un determinato bene della vita, è necessario che questi sia titolare di un qualche interesse meritevole di tutela, così da giustificare la protezione accordata. È tale, per esempio, l’interesse alla consegna di un libro una volta che se ne è pagato il prezzo. Non è tale, invece, l’interesse di chi voglia leggere il libro senza pagarlo. Non contano i motivi per cui si acquista. Conta che si sia acquistato.
Tutte le regole giuridiche poste a disciplina del vivere sociale hanno questa costante caratteristica di trascurare del tutto i nostri sentimenti. Se i processi dei presunti assassini o dei presunti evasori fiscali fossero ora scanditi dalle regole cristallizzate dai nostri sentimenti, probabilmente avremmo più condannati a morte che buche per le strade e più evasori a piede libero che tasse da pagare. Se si punissero gli ubriachi alla guida sulla base della loro interna bontà d’animo, si fingerebbero tutti molto magnanimi, e a nessuno di loro potremmo togliere la patente. E se infine bastasse un amore intenso e sincero per unirsi in matrimonio con qualcuno, potremmo sposare potenzialmente chiunque, da nostra madre a nostro fratello, dal nostro cane al nostro peluche, perché l’amore è una bussola impazzita che muta in direzione come il volo di una mosca.
Gli uomini sono creature volubili e malvagie: non è un caso che abbiamo estromesso le emozioni dai loro codici, attingendo a fondamenta più solide.
Questa conclusione è ancora più chiara in relazione al matrimonio.
Socialmente, un matrimonio senza amore non è un matrimonio, e un amore senza matrimonio è un fidanzamento. Legalmente, un matrimonio senza amore resta un matrimonio, mentre un amore senza matrimonio non esiste. Detto in altri termini: dal punto di vista sociale, l’amore ha una sua importanza, perché è il collante delle relazioni fra gli uomini e l’energia che li rende così euforici e vitali. Ma per la legge, che ha una struttura formale, pratica, insensibile e astratta, e che si prefigge finalità diverse da quelle proprie del singolo individuo, l’amore è una realtà irrilevante, che potrebbe anche non esistere. Di due sposi che si detestano e che non condividono un progetto di vita insieme possiamo dire che non sono più innamorati, ma non possiamo dire che non sono più marito e moglie. Per rompere un matrimonio è necessario un divorzio. E se è vero che quasi tutti i divorzi pongono rimedio al prosciugarsi dell’amore, è anche vero che nulla vieta a qualcuno di divorziare nonostante sia ancora innamorato. Anche l’altruismo è irrilevante per il diritto. Anche l’altruismo è discriminato, perché è un sentimento.
Quando si dice che allo stesso amore si debbono accompagnare gli stessi diritti si sta dicendo una verità soltanto nella misura in cui si ammette che i diritti dell’amore non esistono.
Il matrimonio civile non è un istituto modellato sull’amore dei coniugi, ma su alcune funzioni che coinvolgono valutazioni assiologiche profonde: assicurare stabilità e coesione al vincolo familiare, garantire una genealogia sicura alle generazioni che verranno, salvaguardare i diritti del bambino contro ogni forma di sperimentalismo sociale, promuovere la responsabilità genitoriale e l’educazione dei figli. In altre parole, il matrimonio civile è la corazza giuridica che consente alla famiglia di erigere un muro fra lei e lo Stato, e allo Stato di tutelare l’individuo nella sua duplice identità naturale di genitore e figlio; tutelandolo, quindi, nella famiglia e non dalla famiglia, nella convinzione che tale cornice sia indispensabile per il corretto sviluppo della persona umana, e non solo per una questione di affetti, ma anche per il patrimonio sterminato di conoscenze che in essa inevitabilmente si tramanda.
Se, quindi, l’equazione “stesso amore, stesso diritto” è una bestemmia giuridica, anche l’equazione “stessa convivenza, stesso matrimonio” è una falsità. La convivenza eterosessuale non è uguale a quella omosessuale per un fatto fondamentale: l’una genera, l’altra no. L’una è famiglia, l’altra no. L’una è un coniglio, l’altra un pollo. Come scrive bene Juan Manuel de Prada, giornalista e scrittore spagnolo, “quando diciamo famiglia tradizionale stiamo in realtà formulando un pleonasmo, tanto grottesco e ilare come se dicessimo che dopo mangiato ci piace fare una passeggiata pedestre. Poiché tradizionale viene dal latino traditio, che significa consegna, trasmissione.
Non esiste famiglia senza trasmissione di vita, senza consegna da una generazione a un’altra; e questa traditio si realizza mediante l’unione feconda di un uomo e una donna che proiettano la loro fede nel futuro di una vita che li prolunga. Possiamo giocare a torcere il linguaggio quanto vogliamo, possiamo frastornare le parole e sottoporle a centrifughe e travestimenti pittoreschi; però, anche a impegnarci un sacco di tempo, un pollo continuerà a essere un pollo, pure se avvolto in una pelle di coniglio”.
Solo a questa famiglia, l’unica esistente, si è rivolta l’attenzione del diritto nei secoli passati. E solo questa meriterebbe, in ragione della sua funzione, un trattamento distinto e privilegiato.
I preti gay sono un problema Lo dice la Chiesa
di Roberto Marchesini12-10-2015
Monsignor Charamsa e il suo
Ho ricevuto diverse mail di commento al mio articolo “Quelli che: "l'omosessualità di un prete non è un problema” (clicca qui), qualcuno educata, qualcuna un po' meno. Suppergiù, le osservazioni di queste mail sono le seguenti: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no; quindi l'omosessualità di un prete non è un problema. È verissimo: il Magistero distingue tra atti omosessuali e tendenza omosessuale; i primi sono in peccato, la seconda no. Ma non finisce qui.
Nel 1986 la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dall'allora cardinale Ratzinger, ha pubblicato una Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (clicca qui). Una lettera che il santo padre Giovanni Paolo II ha voluto onorare della sua firma, cosa insolita se non eccezionale. In questa lettera leggiamo: «[...] furono proposte delle interpretazioni eccessivamente benevole della condizione omosessuale stessa, tanto che qualcuno si spinse fino a definirla indifferente o addirittura buona. Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l'inclinazione stessa dev'essere considerata come oggettivamente disordinata»(§ 3).
Questo giudizio sull'orientamento omosessuale è confluita anche nel catechismo della Chiesa Cattolica (clicca qui), che al § 2358 definisce l'omosessualità come una inclinazione «oggettivamente disordinata». Riassumiamo quindi fino a qui: bisogna distinguere tra atti omosessuali e omosessualità; i primi sono peccato, la seconda no; pur non essendo un peccato, l'omosessualità non è né indifferente né buona, bensì oggettivamente disordinata. Veniamo dunque all'ultima affermazione: l'omosessualità di un prete non è un problema. Nel 2005 la Congregazione per l'Istruzione Cattolica ha promulgato una Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (clicca qui) nella quale, al § 2, leggiamo: «Alla luce di tale insegnamento, questo Dicastero, d'intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».
La stessa cosa è ribadita della stessa Congregazione in un documento del 2008 intitolato Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio (clicca qui). In questo documento leggiamo: «Il cammino formativo dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidità di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc.)» (§ 10). Dunque, almeno per la dottrina cattolica, l'omosessualità di un prete è un problema.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-i-preti-gay-sonoun-problemalo-dice-la-chiesa-14081.htm



Bergoglio, Kasper, Charamsa. Cosa succede in Vaticano sul Sinodo?

12 - 10 - 2015Gianfranco Morra
Bergoglio, Kasper, Charamsa. Cosa succede in Vaticano sul Sinodo?

L'analisi di Gianfranco Morra
Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Gianfranco Morra apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Il Sinodo si è aperto col botto. Non è stato il gesto di una persona da poco, monsignor Krysztof Charamsa è un affermato teologo, insegnava alla università Gregoriana dei Gesuiti e alla Regina Apostolorum dei Legionari di Cristo. Era un ufficiale della Congregazione per la dottrina della Fede, un tempo Santo Uffizio. Con una lunga intervista ha rivelato di essere omosessuale e di convivere con un fratello: «Ecco l’uomo che amo», così ha sottoscritto un loro selfie pubblicato dai media. Egli sostiene i movimenti di liberazione di lesbiche, gay, bisessuali, trans: ma perché escluderli dalla Chiesa? Per questo sabato scorso ha partecipato, insieme col vescovo di Saltillo (Messico), Raúl Vera López, ad una conferenza internazionale dei Lgbt cattolici in preparazione del Sinodo.
La sua convinzione è che il cristianesimo è amore, in tutte le sue forme e posizioni, anche quello dei gay, che non chiama «omosessuale», ma «omogenitale» e familiare, lo considera del tutto lecito come quello eterosessuale. Non v’è dubbio che il monsignore polacco espelle dalla dogmatica cristiana sia il celibato che la castità sacerdotale. Per lui è la Chiesa in ritardo, si può essere gay e, insieme, cristiano, sacerdote, anche papa. E sta preparando un libro, nel quale mostrerà che l’omosessualità è assai diffusa tra il clero.
Di fatto è sempre accaduto: di gay, nella chiesa, non ce ne sono stati pochi, anche al culmine della gerarchia. Ma sempre nel rispetto della regola: «Si fa, ma non si dice», il silenzio era d’obbligo, in quanto la dottrina, ancora nel Catechismo del 1992, considera l’omosessualità un «atto intrinsecamente disordinato»; e nel 2005 papa Ratzinger ha escluso i gay dal sacerdozio.
Anche papa Francesco nulla ha detto contro questa tradizione. Quando si riferisce alla dottrina, riafferma il carattere eterosessuale del matrimonio. Ma nella prassi invita ad amare i gay: «Chi sono io per giudicarli?», ha detto fra le nuvole.
E proprio durante il recente viaggio in America ha mostrato che la benevolenza cristiana è per tutti: ha confortato una funzionaria del Kentucky, incarcerata perché aveva rifiutato di consentire le nozze tra due gay: «Ma nella sua decisione io non entro», ha aggiunto; ed ha abbracciato con viva cordialità un vecchio amico gay argentino e il suo convivente indonesiano. La Chiesa è cattolica, cioè universale: accoglie tutti, non condanna, ma ama.
Proprio mentre si apre il Sinodo sulla famiglia il monsignore polacco riteneva di fare un assist al pontefice, ma ha finito per provocare una autorete. Spinto da un amore così intenso per il giovane Eduard, si è comportato come un elefante in una cristalleria. Ha dimenticato che la Chiesa cambia, ma i suoi tempi sono lenti. E di certo l’autorità di papa Francesco non può accettare anticipazioni spropositate e inopportune rispetto ai suoi progetti. Egli non è intervenuto sull’outing di Krysztof, ma padre Federico Lombardi, capo l’ufficio stampa del Vaticano, ha fatto sapere che verrà allontanato dall’insegnamento: «È un comportamento molto grave e non responsabile». Perché mai? Lombardi non nomina l’omosessualità, la ragione che adduce è un’altra: «Poiché mira a sottoporre il Sinodo a una indebita pressione mediatica».
È noto che fra i temi trattati al Sinodo c’è anche quello del posto e del ruolo degli omosessuali all’interno della Chiesa. Ma il Sinodo è consultivo, non può decidere niente, forse è già deciso tutto. Solo il Vescovo di Roma può chiudere le dispute (Roma locuta est, causa finita). Nella Chiesa, istituzione divina, non può esserci democrazia. Ciò che più conta, per ora, nella strategia pastorale di Bergoglio, desiderosa di colmare il fossato tra laicità postcristiana e religione, è di rimuovere vecchi superati divieti e discutere il problema.
Quanto alle coppie divorziate ed ai gay, basterà attendere il momento opportuno. Intanto occorre preparare la mentalità giusta e stimolare un consenso. Il card. Kasper, il più autorevole dei «teologi in ginocchio», che si propongono «una rivoluzione della misericordia e della tenerezza», ha sintetizzato con lucidità le due proposte principali: 1. ammettere all’eucarestia i divorziati e le famiglie comunque ferite; 2. accogliere gli omosessuali nella Chiesa, perché, è la sua convinzione, «gay si nasce», non è dunque una colpa, ma uno status. Le ha ripetute in un opuscolo, da ieri nelle librerie, Il Vangelo delle famiglie (Queriniana, pag. 80, euro 9). Assai innovatore anche nel titolo, che non parla della «famiglia», ma pluralisticamente delle «famiglie». Non c’è solo il tipo tradizionale, ve ne sono tanti altri e la Chiesa deve abbracciarli tutti.
http://www.formiche.net/2015/10/12/bergoglio-kasper-charamsa-cosa-succede-vaticano-sul-sinodo/

Quando il pedofilo non è un prete ma...


Pubblichiamo questo articolo di Giuliano Guzzo. Notare la correttezza dell'articolo, che cita solo le iniziali del condannato, per il quale raccomandiamo una preghiera.

Sfortunatamente ci si deve accontentare di poche, peraltro quanto mai scarne righe, diffuse da Ansa.it e riprese da qualche altro sito secondario, per conoscere i dettagli della vicenda di A.F., professore in un istituto di Moncalieri, nel Torinese, condannato a 11 anni, dopo essere stato arrestato, nel 2014, con l’accusa – non esattamente leggera – di avere offerto soldi ad alcuni suoi allievi in cambio di rapporti sessuali: nessun talk show dedicato, nessuna intervista alle vittime.
La notizia, strano ma vero, non pare riportata sul portale internet del quotidiano torinese per eccellenza, La Stampa; la redazione torinese di Repubblica invece offre qualche particolare in più, ma sull’home page nazionale nada. E dire che l’insegnante condannato era dapprima accusato di violenza sessuale, prostituzione minorile, concussione e altri reati: roba pesante. E dire – continuando – che, dopo l’intervista esplosiva ad un prete trentino, che ha fatto il giro del web, il tema della difesa dei diritti dei più piccoli era tornato – e giustamente – al centro dell’attenzione.
Come mai questo silenzio, questa fretta di riferire appena – laddove lo si è fatto – la notizia? Perché nessun inviato s’è fiondato sulle tracce dell’insegnante condannato? Offrire soldi in cambio di rapporti sessuali a dei ragazzini non è forse grave? E dire che la strada per Moncalieri i giornalisti la conoscono bene, come dimostra il caso – questo sì diffuso a livello nazionale – della professoressa Adele Caramico, insegnante di religione cattolica all’Itis “Pininfarina” (la stessa scuola, pare) accusata d’aver proferito frasi omofobe e poi, dopo indagini interne, del tutto scagionata.
Questa volta, invece, è diverso: silenzio tombale. E se non fosse stato per quelle dieci righine che dicevamo nessuno saprebbe nulla della vicenda accaduta, con vittime dei bambini. Come si spiega questa surreale voragine nelle cronache di oggi? Nella vana attesa di una risposta da qualche redazione, si aggiunge un particolare della persona processata: era – riferisce Ansa.it – «attivista dei diritti degli omosessuali». Il che, sia chiaro, può voler dire tutto e niente, rispetto alla speciale immunità mediatica di cui gode costui. Giudichi il lettore. 

giulianoguzzo.com
 http://www.campariedemaistre.com/2015/10/quando-il-pedofilo-non-e-un-prete-ma.html
Gay e Curia, lo scandalo dei Carmelitani Scalzi è solo l'ultimo

Gay e Curia, lo scandalo dei Carmelitani Scalzi è solo l'ultimo
Tutto sarebbe partito da un pestaggio avvenuto a Villa Borghese, su cui sta indagando la Polizia. 
Ad essere percosso con violenza il presunto amante di un alto rappresentante della Curia generalizia dell’Ordine dei Carmelitani scalzi. 

Una torbida vicenda che ora rischia di creare un nuovo scandalo all’interno della Chiesa. 
Ma andiamo per ordine. 
La Polizia starebbe indagando sulle frequentazioni hard di un importante sacerdote della Congregazione dei Carmelitani che pare abbia il vizietto di frequentare giovani “prostituti” di Villa Borghese, persone sbandate, senza tetto, ai quali sarebbero state promesse elargizioni in denaro dietro prestazioni sessuali. 

Il caso sarebbe stato già segnalato a Papa Francesco, al vicario di Roma Cardinale Agostino Vallini e al preposto dei Carmelitani Scalzi Saverio Cannistrà da un gruppo di fedeli, frequentatori della parrocchia di Santa Teresa d’Avila, centodieci in tutto, firmatari di un corposo dossier corredato di testimonianze e racconti dei "clienti" del prete inviato alle personalità suddette per chiedere che le gerarchie intervengano a mettere fine alla scandalosa condotta del religioso. 

Uno dei giovani amanti del prete che avrebbe confessato la sua relazione con il sacerdote è lo stesso che ha subito il pestaggio. I fedeli che hanno denunciato lo scandalo hanno addirittura letto un appello pubblico sul sagrato della parrocchia, dopo essersi visti negare il permesso di farlo al termine della Santa messa dal pulpito della Chiesa. Non tutti infatti nella Curia generalizia e nella parrocchia ritengono vere le voci delle relazioni gay di questo illustre religioso e ritengono che in realtà si tratti di un complotto ordito contro di lui per aver disposto il trasferimento di alcuni frati. Frati, sostengono gli accusatori, che sarebbero stati allontanati solo ed esclusivamente per aver denunciato le relazioni gay che avvenivano nelle stanze della Curia.

"Abbiamo scritto al Papa per presentargli la vicenda - dice Giuseppe del Ninno, portavoce dei parrocchiani che hanno fatto esplodere il caso - ma pensiamo che non sia stato neanche informato della nostra lettera". I fedeli denunciano "l'insensibilità delle gerarchie, le risposte burocratiche, la mancanza di coraggio nella verità. Ci sono dichiarazioni scritte delle vittime - racconta ancora Del Ninno - adulti vulnerabili, anche senza tetto che ruotano intorno alla parrocchia dei Carmelitani per avere un aiuto". 
Anche dei sacerdoti carmelitani avrebbero fatto presente il comportamento scorretto di questo confratello". I trasferimenti contestati chiamati "normali avvicendamenti" sarebbero tre in tutto. 

Insomma gli ingredienti per imbastire lo scandalo ci sarebbero tutti. Ma sarà tutto vero? Ci saranno stati davvero questi incontri hard all’interno della Curia con i presunti “prostituti” di Villa Borghese, oppure si tratta soltanto di pettegolezzi? I parrocchiani che hanno denunciato lo scandalo sono davvero animati da fervore moralizzatore, oppure come sostengono dalla Curia sono soltanto guidati da ostilità verso il superiore incriminato che ha disposto i trasferimenti? E  l’uomo pestato a Villa Borghese è davvero l’amante del sacerdote oppure è stato malmenato per ragioni che nulla hanno a che vedere con questa vicenda. 

A questo punto spetta alla Polizia fare chiarezza. Un fascicolo è stato formalmente aperto e ora si attendono sviluppi. Certo è che dal Vicariato la vicenda è seguita con grande preoccupazione visto che potrebbe aprire le porte a nuovi scandali di cui la Chiesa non ha certo bisogno. 
12 ottobre 2015, Americo Mascarucci

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