ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 8 ottobre 2015

L’orrore dello sfacelo

La proliferazione dei diritti (inesigibili)


Le confessioni pubbliche (ma oggi si dice outing) del prete teologo polacco, ottimo veicolo pubblicitario per un suo libro in uscita, hanno riproposto un paio di tormentoni, quello sulla sessuofobia della Chiesa cattolica e quello dei diritti degli omosessuali.
Lasciata la Chiesa alle sue beghe, proviamo a dire qualcosa di non totalmente scontato sul vero tema all’ordine del giorno, quello della legalizzazione delle unioni omosessuali.
Quella fra coppie omosessuali non è l’unica forma di convivenza extramatrimoniale. Ci sono amici non gay che convivono, magari per aiutarsi nelle difficoltà della vita e per unire i loro scarsi redditi in un ménage di tipo familiare. Ci sono fratelli e sorelle che convivono. Ci sono anziani che stanno insieme per farsi compagnia e per sbarcare il lunario con le loro magre pensioni che vivendo in due nello stesso appartamento diventano sufficienti a cavarsela decorosamente.
Perché non legalizzare anche queste convivenze? Forse perché un’amicizia non è amore? Ma allora bisognerebbe dimostrare che un legame di amicizia o di fratellanza è meno profondo e meno vincolante di amori che molto spesso si rivelano effimeri.
Siamo arrivati a un primo punto fermo: se le unioni omosessuali vengono equiparate al matrimonio, tutte le forme di convivenza hanno lo stesso diritto, quindi il matrimonio quale lo abbiamo sempre inteso perde la sua specificità. Il matrimonio come riconoscimento giuridico da parte della comunità verso una coppia di persone dei due sessi, nella prospettiva della nascita di figli a completare la famiglia (il fatto che possano sposarsi anche persone non in grado di avere figli non inficia la regola generale), perde il suo contenuto, si diluisce nella “notte dove tutte le vacche sono nere”.

In tutto questo dibattito ormai stantìo, estenuante nel suo girare a vuoto, fra Sentinelle in Piedi e contromanifestazioni rutilanti di arcobaleni ed happening gay, si impone una considerazione: è desolante dover constatare che verità di un’evidenza tale da non meritare discussioni, suscitano dibattiti interminabili e coagulano partiti opposti.
Mettere in discussione che il matrimonio sia soltanto l’unione fra due persone di sesso diverso, nella prospettiva della generazione di nuova vita, sembra il massimo dell’evoluzione civile e democratica, mentre al contrario è la prova più evidente del livello di degenerazione e di confusione mentale cui è pervenuto ciò che si chiama Occidente.

Le pretese degli omosessuali si collocano nel tema più vasto della proliferazione dei diritti, altro segno caratteristico della nostra decadenza estrema.
Il diritto alla felicità che, non garantito dalla pratica dello sballo né dal possesso di beni di consumo, cerca un surrogato nella chimica dello psicofarmaco. Il diritto alla salute, con tanto di denuncia al medico che non è riuscito a curare il cancro o a prevenire l’infarto. Il diritto a diventare madre a sessant’anni, con l’utero in affitto. Il diritto a scopare anche a novant’anni, grazie alle pillole blu e ora pure rosa. Il diritto alla giovinezza e alla bellezza perenni, per la gioia dei chirurghi estetici e fra l’orrore di chi contempla tanto scempio con occhi ancora vedenti fra tanti ciechi.

Abbiamo voltato le spalle all’unica filosofia di vita degna dell’uomo: il riconoscimento della tragicità della condizione umana, fatta di consapevolezza di dover morire, di conflittualità fra i naturali istinti egoistici e gli obblighi della convivenza sociale, di tensione fra i rimorsi di un passato che non si estingue, i progetti di un presente che sfugge, le ansie di un futuro che incombe; l’accettazione della nostra realtà e delle responsabilità che ci competono, nell’impegno a prestarsi cura vicendevole nelle avversità della vita e a creare una società che deprima le tendenze negative insite nella nostra natura ed esalti i comportamenti comunitari. Altissima morale laica, che ha trovato espressione poetica nella “Ginestra” di Leopardi.

Così l’immersione nello squallore del dibattito odierno ci ha portati lontano, sotto cieli più respirabili. Ma non c’è scampo. È inutile difendere valori, appellarsi alla nobiltà di una visione stoica della vita, difendere una tradizione. Non c’è più nulla da difendere, soltanto un mucchio di macerie. Anche il matrimonio tradizionale non è più difendibile, per la semplice ragione che la famiglia si è già dissolta sotto i colpi della mercificazione, dell’individualismo, della cultura dei diritti e mai dei doveri, di un sistema produttivo che esige mobilità e precarietà. Non ci sono più trincee difendibili. Vada tutto in malora. Solo sperimentando l’orrore dello sfacelo fino in fondo, verrà una generazione che tornerà faticosamente a ricostruire.
 Luciano Fuschini




http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2015/10/8/la-proliferazione-dei-diritti-inesigibili.html


Per intellettuali e media è morta, ma a essere in crisi è la famiglia “romantica”

Per quanto possa risultare irritante, la famiglia normo-costituita resiste e sopravvive a quanti ne avevano previsto la fine
di Fabio Ferrucci | 08 Ottobre 2015 
Come mai – osserva Giuliano Ferrara – studiosi e intellettuali non dicono la loro su quello che definisce la “questione delle questioni”, cioè la dissoluzione della famiglia? In prima battuta verrebbe da dire che la gran parte di loro si è già schierata. Nel panorama accademico internazionale il “de profundis” per la famiglia è stato intonato da tempo. Il nutrito elenco di insegnamenti in Sociologia dell’Università della California propone un corso sulla famiglia contro numerosi corsi sul gender. Nulla da eccepire se la libertà di ricerca fosse un principio sempre valido. Invece, le voci fuori dal coro tendono a essere “silenziate”. I loro articoli scientifici alle volte sono giudicati “discriminatori” dai referee perché, evidenze empiriche alla mano, dimostrano che la famiglia ha una sua forma relazionale propria che non può essere modificata a nostro piacimento e che non tutte le forme familiari generano le risorse solidaristiche di cui la società ha bisogno. Almeno ai padri sinodali sono stati accordati tre minuti; qui la partita è chiusa in partenza.

ARTICOLI CORRELATI Al Sinodo è l’ora delle lobby: ai briefing tedeschi rispondono gli africani Eterosessualità e natalità. La prova di cecità che l’occidente deve evitare Il dibattito americano sulla famiglia è un vivace affare socio-economico Il Papa: "Difendere la famiglia, lì si gioca il nostro futuro"Ma la disputa sul destino della famiglia si gioca solo in parte nelle aule universitarie. Ben più dirompente è il soft power mediatico. Da un lato i media si occupano della famiglia quando è patologica, avvalorando così l’idea del suo inevitabile declino. Dall’altro alcune seguitissime sit-com la assimilano e la confondono con nuove forme familiari contraddistinte da peculiari stili relazionali e modalità affettive. Sono queste le cattedre più influenti. Qualche anno fa, un importante quotidiano diede ampio risalto al pensiero di un luminare della medicina secondo il quale, fra due o tre generazioni, tutti diventeremo bisessuali. La dissoluzione della famiglia – a detta del luminare – sarebbe il prezzo, positivo, da pagare per l’evoluzione naturale della specie verso maggiori chance di autorealizzazione individuale. A cementare le nuove forme familiari sarebbe l’amore, inteso come una sorta di religione postreligiosa, che assurge a orizzonte di senso “in cui ciascuno deve inventare e trovare lui stesso l’architettura della propria vita”. Ma nel momento in cui il fondamento del matrimonio è riposto esclusivamente nel libero amore si pongono anche le premesse per la sua dissoluzione. “Dove l’amore costituisce la legge suprema, anzi l’unica legge, un’infrazione all’amore determina la cessazione del rapporto” (Blixen). In una società liquida le relazioni affettive diventano investimenti come tutti gli altri. “Ti verrebbe mai in mente – osserva Bauman – di pronunciare un giuramento di fedeltà alle azioni che hai appena acquistato dal tuo promotore finanziario? Di giurare che rimarrai loro semper fidelis, nella buona e nella cattiva sorte, nella ricchezza e nella povertà, ‘finché morte non vi separi’?”.

Negli anni Settanta del secolo scorso lo psichiatra Cooper sentenziava la “morte della famiglia”. E in quest’ottica oggi i trend statistici di fenomeni quali la riduzione dei matrimoni, l’aumento delle separazioni e dei divorzi sono assunti dalla maggior parte dei commentatori come gli indicatori della crisi in cui versa la famiglia in Italia. Eppure se si guardano bene i dati, la lettura è più complessa. Se li collochiamo nel più ampio scenario dell’Unione europea, scopriamo che in Italia ci si sposa di meno, ma i tassi di divorzialità e di separazione sono molto più bassi del dato medio. Mettiamo al mondo meno figli, ma la gran parte di essi nascono all’interno del matrimonio a differenza di quanto accade in Svezia, Francia, Danimarca. Sebbene la generazione di mezzo (18-49 anni) ritenga giusto chiedere il divorzio se il matrimonio è infelice, allo stesso tempo non lo considera affatto un’istituzione superata. Certo, gli indicatori mostrano una famiglia in affanno. Tuttavia, gli odierni epigoni di Cooper glissano sul fatto che le coppie con figli siano la forma familiare più diffusa, le cui funzioni di mediazione sociale diventano ancora più rilevanti. Le narrazioni mediatiche tendono a restituirci un’immagine amplificata e distorta della realtà. Utile a legittimare scelte politiche che alimentano una profezia che si autoavvera. Ma, per quanto possa risultare irritante, la famiglia normo-costituita resiste e sopravvive a quanti ne avevano previsto la fine. Perché? E se a mostrare la corda non fosse la famiglia in quanto tale, ma la sua concezione “romantica”?

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