ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 18 novembre 2015

Stranissima sindrome?

L'IO DEI CATTOLICI PROGRESSISTI






Quei teologi progressisti che non cercano Dio ma sempre e solo l’orgoglio del proprio io. Gli ultimi decenni hanno visto il manifestarsi di una stranissima sindrome di una patologia molto particolare: il catto-progressismo di Francesco Lamendola   




Gli ultimi decenni hanno visto il manifestarsi di una stranissima sindrome, di una patologia molto particolare: il catto-progressismo, che ha infettato dapprima i teologi come Vito Mancuso, i cardinali come Carlo Maria Martini e i frati-poeti come David Maria Turoldo; poi, a cascata, è dilagata in mezzo al gregge dei fedeli, fino ai sacrestani, ai chierichetti e alle pie signorine del catechismo o ai giovanotti dell’Azione Cattolica.

La malattia, ripetiamo, è partita dall’alto, si fa per dire: cioè dai teologi; e ha acquistato forza da quando, con il Concilio Vaticano II, costoro sono riusciti ad acquistare un potere ed una autorità che mai, in passato, avevano goduto in misura analoga, tanto da porsi idealmente al di sopra degli stessi Padri conciliari, e ciò appunto nella loro (non dimostrata) qualità di “esperti”, di “specialisti”, in un contesto culturale che privilegia lo specialismo come un valore auto-evidente. Anche se, in questo caso, non si sta parlando di far funzionare una fabbrica, o di organizzare un laboratorio di ricerca scientifica,  e nemmeno di pianificare una indagine sociologica, ma di porsi al servizio della fede, di aprirsi al mistero dello Spirito e indicare la strada ai fedeli in cerca di Dio, come facevano San Bonaventura o San Tommaso d’Aquino: con somma umiltà e con incondizionato spirito di carità e di servizio.
La malattia è strana, perché si concretizza, di solito, mediante una immedesimazione con i valori delle ideologie profane, quelli di matrice illuminista, che hanno dato luogo alle due forme dell’edonismo e del neopaganesimo contemporanei, opposte e complementari: l’affarismo cinico e senz’anima di un capitalismo di rapina, e l’egualitarismo omologante e spersonalizzante del comunismo da caserma, specie nella versione marxista-leninista. Ormai sono ben pochi gli intellettuali laici che continuano a prostrarsi davanti ai due grandi idoli, quello capitalista e quello comunista: quasi tutti hanno finito per riconoscere i loro limiti, i loro difetti, le loro aberrazioni, e hanno preso le debite distanze da essi, quanto meno nella loro forma “pura” e brutale. Chi ancora osa tessere l’elogio delle «magnifiche sorti e progressive» sia del capitalismo speculativo, sia del comunismo reale, dopo le disastrose evidenze delle crisi economiche cui ci espone il primo, e delle crudeli dittature di cui è veicolo il secondo?
Ebbene: per quanto incredibile ciò possa sembrare, queste due ideologie sbagliate, nefaste, criminali, hanno trovato una inaspettata risorsa, un imprevedibile bacino di riserva, proprio là dove meno esse per prime se lo sarebbero aspettato: nell’ambito della cultura cattolica. Intendiamoci: una certa cultura cattolica “di sinistra” è sempre esistita e, senza dubbio, sempre esisterà, finché esisterà il Vangelo. Dai tempi dei Circumcellioni, a quelli di fra Dolcino, agli Anabattisti, su, su fino ai moderni Camilo Torres e Frate Mitra, anzi, fin dai tempi di Gesù stesso (alcuni dei cui discepoli erano “zeloti”, cioè provenienti dall’area del sovversivismo politico), e dall’episodio delle tentazioni nel deserto (in cui Satana gli offrì il dominio del mondo, in cambio della propria adorazione), la tentazione di mescolare il Vangelo, cioè la Buona Novella rivolta ai “poveri” (ai poveri di spirito: ossia ai miti ed ai semplici; non necessariamente ai poveri in senso economico!), con il grido di battaglia dei poveri contro i ricchi, travisandolo e trasformandolo nella ennesima ideologia politica, un tale pericolo è sempre stato in agguato
La novità è che, da qualche decennio, sono i teologi cattolici, i vescovi, i preti, i fedeli, ad avere scoperto l’acqua calda, offrendo lo spettacolo grottesco di voler indossare le vesti ormai logore e infamanti che gli stessi seguaci di codeste dottrine profane hanno dismesso e abbandonato; e le indossano con fierezza, con orgoglio, proclamando di avere scoperto il “vero” significato del Vangelo, e improvvisandosi nocchieri e timonieri della Chiesa, per riportarla sulla “giusta” rotta, dopo duemila anni – a sentir loro – di errori e di tragiche involuzioni.
Il fenomeno era stato colto per tempo da Vittorio Messori, addirittura prima della caduta del Muro di Berlino, e descritto con efficacia nel suo saggio «Scommessa sulla morte. La proposta cristiana: illusione o speranza?» (Torino, S.E.I., 1982, pp. 241-243):

«Strano destino, quello di tanti teologi, di tanti intellettuali cattolici, passati in pochi anni dal "sadismo" al "masochismo" nei confronti delle culture secolari.
Sono passati cioè dalla persecuzione, dal rifiuto di tutto ciò che non era "cattolico", anche in quanto aveva di apprezzabile, all'accettazione acritica ed entusiasta dl buono e del cattivo, "in totale disponibilità a ogni idea, soprattutto se anticristiana", come ha detto qualcuno.
Dal complesso di superiorità sono passati a quello di inferiorità, senza saper trovare un punto di equilibrio. Cristiani, cattolici magari intelligenti e certo generosi, in buona fede hanno scambiato per un operoso cantiere carico di futuro quello che ormai non è che il desolato campo di rovine delle ideologie contemporanee. Liquidando, svendendo tanta parte della speranza cristiana pensavano di "dialogare" con il futuro, mentre invece non si rivolgevano che a dei superstiti di società e culture ormai condannate.
Pagando ancora una volta la sua condanna a un cronico ritardo, certo mondo cattolico amputava quanto più poteva della dimensione di speranza del cristianesimo proprio mentre il "mondo" cerava confusamente una speranza, un supplemento d'anima, una maschera ad ossigeno per respirare.
Troppi cristiani, in questi anni, hanno creduto ingenuamente che ormai fosse tra noi il sempre annunciato e ancora mai visto "uomo nuovo" che, in realtà, è un mito inventato dagli illuministi per coprire la loro incapacità di dare risposte all'uomo di sempre. L'uomo, cioè, che sempre si interrogherà sul senso della vita, dell'amore, della morte, che sempre sarà bisognoso di speranza, di carità, di fede. Che sarà dunque sempre bisognoso di quel "Nuovo" che precede la parola "Testamento", le cui parole scaldavano ieri il cuore, lo scaldano oggi e lo scalderanno in ogni possibile domani.
Chiusi nelle loro stanzette di conventi e seminari, tanti patetici teologi dialogano con interlocutori immaginari, che esistono soltanto nei loro schemi libreschi. Gettano il seme di raffinate "riletture" del vangelo su strade ormai deserte perché i "laici" (quelli autentici, quelli che simili clericali non conoscono, o conoscono sempre in ritardo) battono ormai altre strade.
Proprio quando il marxismo mostra i segni di una crisi irreversibile, preti e sagrestani eccitatissimi lo scoprono e cercano di adattarvi il cristianesimo anche a costo di mutilarlo. Proprio quando sul volto truccato della "affluent society", del neocapitalismo occidentale, appaiono le rughe che annunciano la vecchiaia, altri preti sbucati dalle loro celle inneggiano alle "tecnopoli secolari", nuova Terra Promessa (a sentir loro) dell'uomo del vangelo. Proprio quando la psicoanalisi, assieme ai molti suoi meriti, mostra anche i suoi limiti, eco altri chierici accogliere entusiasti ciò da cui la cultura laica comincia a prendere le distanze.
E così via: un esempio è possibile per ciascuna delle mode e delle egemonie culturali di questi ultimi decenni. Sempre si troveranno teologi a chiedere rumorosamente che il cristianesimo si adegui a qualunque cosa, purché sulla via del tramonto. Tanto che Jean Guitton prevede maliziosamente  che "i parroci della Vandea e delle montagne bergamasche saranno gli ultimi, entusiasti predicatori del progressismo borghese e del materialismo dialettico marxista, quando entrambi saranno già morti e sepolti nelle coscienze laiche".»

In fondo, tutta la questione si riduce a un equivoco che non sapremmo se definire tragico o patetico, a seconda che siffatti teologi e vescovi e preti vi siano caduti in buona o in malafede (e, francamente, non sapremmo dire quale delle due ipotesi sia la peggiore): ossia che, per dialogare con il mondo, come si usa dire, la Chiesa e i credenti debbano assumere la prospettiva del mondo, debbano pensare dall’interno dei suoi valori (o disvalori), debbano sbarazzarsi della loro identità, della loro storia, delle loro certezze, della  tradizione (e magari anche della Tradizione con la “t” maiuscola), perché solo facendosi tutt’uno con il mondo, laicisti coi laici, scientisti con gli uomini di scienza, modernisti coi moderni, ateisti con gli atei, liberisti coi liberali, marxisti con gli orfanelli di Marx (poverini!), islamisti con gli islamici, omosessualisti con gli omosessuali, transessualisti con i transessuali, relativisti con chiunque, buonisti con tutti, e specialmente con chi odia e desidera distruggere non solo la presenza, ma perfino il ricordo del cristianesimo: ebbene, solo allora si potrà dialogare fruttuosamente e costruttivamente con il “mondo”.
Sì; nelle loro cellette di convento, nelle loro stanzette di seminario, nei loro anfratti di sacrestia che odorano d’incenso e di candele, tutti costoro hanno letteralmente perso la bussola, e ciò per la più mediocre delle ragioni: perché nelle loro cellette, nelle loro stanzette, nelle loro sacrestie, essi non hanno realmente cercato Dio, ma hanno alimentato, ancora e sempre, il proprio Ego, bramosi di notorietà, desiderosi di piacere al mondo, di ricevere gli applausi, di essere intervistati e invitati nei salotti televisivi. Non vogliamo dire che tutti siano inciampati in questa triste dinamica; ma è certo che questo è accaduto per molti di loro. Eppure i sorrisi compiaciuti, le strizzatine d’occhio, le pacche sulle spalle che ricevono da tutti coloro i quali, apertamente o nascostamente, detestano il cristianesimo, non vogliono vedere il Crocifisso nelle scuole, non sopportano che il papa o, almeno tutto ciò  avrebbe dovuto metter loro qualche pulce nell’orecchio. Come mai tutta questa simpatia, tutta questa complicità, tutto questo incoraggiamento, da parte di coloro che sono i peggiori nemici della Chiesa e del Vangelo? Possibile che nessun sospetto abbia sfiorato le loro candide menti? Possibile che quando sono invitati a parlare sui grandi temi etici, e li si sollecita ad approvare, o almeno ad “aprire”, in fatto di aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, omosessualità, coppie di fatto, nessun dubbio prenda corpo nei loro cervelli?
Vescovi e preti dovrebbero essere i pastori del gregge; i teologi dovrebbero essere il loro sostegno, il loro aiuto, il loro conforto: da che mondo è mondo, la teologia è sempre stata al servizio della fede, come in Tommaso d’Aquino; e giammai in contrasto con essa, giammai pietra d’inciampo per essa, giammai motivo di scandalo. Com’è  possibile che un Hans Küng non si renda conto di essere diventato un operaio della distruzione, e non della costruzione? Come è possibile che un cardinal Martini non si sia vergognato di essere chiamato, apertamente e un po’ affettuosamente, il “papa rosso”, e di essere corteggiato, apprezzato, osannato, proprio da coloro che sparavano a zero contro la Chiesa, contro il papa, contro la fede? Come non si è vergognato di ricevere simili omaggi, e non si è sentito in dovere di proclamare la propria estraneità e la propria contrarietà a simili strumentalizzazioni, e di ribadire la propria fedeltà assoluta al papa e alla Chiesa di sempre?
Perché quel che costoro non sembrano aver capito è che non esiste una Chiesa prima e una Chiesa dopo il Concilio: la Chiesa è sempre quella, una, santa, cattolica e apostolica; anche perché la Chiesa visibile è solo la punta dell’iceberg; dietro di essa, e dentro di essa, nelle sue profondità misteriose, c’è la Chiesa invisibile, la comunione dei santi, gli Angeli, la Grazia, lo Spirito Santo: e, sopra tutto e tutti, c’è il Cristo, il suo sposo, il suo eterno Re e Sacerdote. E non saranno certo le velleitarie elucubrazioni, gli eterodossi relativismi e gli ambigui possibilismi, i vaneggiamenti narcisisti e gli opportunismi culturali di quattro “teologi” che non sono nemmeno tali, perché non basta avere una laurea in teologia per esserlo: non saranno certo costoro e le loro bislacche teorie  a stravolgere la Rivelazione, saldamente poggiata sui due pilastri incrollabili, entrambi necessari e complementari, della Scrittura e della Tradizione.
La verità è che accade ai cristiani la stessa cosa che accade a tutti gli uomini in cammino verso la Verità: la tentazione della scorciatoia, l’ebbrezza dell’orgoglio, la superbia dell’io che vuole porre se stesso al di sopra di tutto, magari fingendo umiltà, quando di umiltà non vi è neppure l’ombra, neppure un vago sentore. Per cercare onestamente la Verità c’è una sola strada: quella di deporre il fardello dell’io e di aprirsi al mistero dell’Essere. Chi è capace di fare questo, riceverà dall’Alto il premio della sua fedeltà, della sua sincerità, della sua umiltà; chi non ne è capace, anche se vive come un monaco o se è un monaco, troverà - ancora e sempre - il riflesso del proprio ipertrofico io...

Quei teologi progressisti che non cercano Dio, ma sempre e solo l’orgoglio del proprio io

di Francesco Lamendola

Francesco Lamendola

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