I principali peccati contro la Fede si dividono in due generi: l'incredulità e la bestemmia contro lo Spirito Santo. Ci occuperemo in questo articolo dell’incredulità e delle sue specie. L'incredulità consiste anzitutto nel rifiuto di credere alla predicazione del Vangelo e della verità o nel disprezzo di essa.
Può riguardare sia chi ascolta il primo annuncio della fede (per esempio un pagano in terra di missione) oppure una persona già battezzata ma che abbia smarrito l'autentica fede o, peggio, si sia fatta un proprio credo a sua immagine e somiglianza. Certamente la fede si annuncia e interpella le singole libertà delle persone a cui la si propone senza mai poterla imporre in nessun modo, in nessun caso e a nessuno. Tuttavia, pur essendo un atto libero, ciò non toglie che a tale annuncio è dovuta accoglienza e obbedienza e chi non gliela desse non potrebbe essere esente dal gravissimo peccato di incredulità. Tale peccato si suddivide, peraltro, in alcune distinte specie, le cui principali sono: l'ateismo, l'apostasia, l'eresia, l'errore e il dubbio ostinato. L’ateismo è il rifiuto ostinato e irragionevole di credere nell’esistenza di un Dio creatore e personale e, quindi, nelle verità da Lui rivelate. Si tratta di un grave peccato perché, come ha insegnato autorevolmente il Concilio Vaticano I nella Costituzione Dei Filius, negare che esista un Dio creatore dell’universo è atto che va non solo contro la fede, ma anche contro la ragione dell’uomo, a cui consta, per evidente esperienza, che nulla di ordinato e perfetto può esistere senza una intelligenza che lo abbia generato; e nulla di più perfetto esiste che l’universo (almeno quella parte che noi conosciamo). L’apostasia è il gravissimo peccato del rinnegare la fede già professata, stigmatizzato dalle severe parole evangeliche di Gesù: “chi mi rinnegherà davanti a gli uomini, anch’Io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,33). Questo peccato può essere compiuto per paura (come nel caso di chi rinnegasse la fede sotto minaccia del martirio), oppure, con maggiore coscienza e lucidità, da chi si convertisse ad un’altra religione, qualunque essa sia, dal momento che solo nella santa fede cattolica c’è tutta intera la pienezza della verità e volgersi a qualunque altra confessione cristiana o religione significherebbe negare questo. L’eresia è la negazione o l’alterazione dei dogmi o delle verità di fede divinamente rivelate. Molto grave è questa specie, perché dalla negazione o l’alterazione delle verità di fede - che già in se stessa offende grandemente Dio, in quanto è atto di grande superbia e arroganza - conseguono nefaste conseguenze nell’ambito della vita cristiana, stante il noto adagio “agere sequitur esse” (“l’agire segue l’essere”, cioè da ciò che si è - e si crede - scaturisce ciò che si fa). Leggermente meno grave dell’eresia è l’errore, in quanto non tocca direttamente dogmi e verità divinamente rivelate, ma quelle comunemente credute o che comunque che la Chiesa propone a credere. Si può quindi definire errore anche lo sbaglio in materie che non sono definite con certezza di fede. Si pensi per esempio al fatto che l’anima è creata da Dio immediatamente appena esiste lo zigote, che non è mai stata definita come dogma o divinamente rivelata; oppure all’esistenza del Limbo, che oggi molti negano a cuor leggero ma che nella Tradizione della Chiesa è sempre stata creduta; oppure alla mediazione e corredenzione della Madonna che ancora non è stata definita come dogma. Infine il dubbio ostinato, consistente nel mettere in discussione le verità di fede in forza della loro non dimostrabilità razionale, che è peccaminoso perché la forza di una verità di fede, a differenza delle verità cosiddette scientifiche non sta nell’incontrovertibilità dimostrabile a livello empirico e razionale, ma nell’autorità (superiore) di Dio che è la fonte delle verità rivelate e che, per definizione, non sbaglia né può sbagliare, non inganna né può ingannare. Dubitare di una verità di fede, pertanto, equivarrebbe a negare l’infallibilità assoluta di Dio, la sua assoluta veracità e la sua assoluta credibilità in tutto ciò che rivela.
Può riguardare sia chi ascolta il primo annuncio della fede (per esempio un pagano in terra di missione) oppure una persona già battezzata ma che abbia smarrito l'autentica fede o, peggio, si sia fatta un proprio credo a sua immagine e somiglianza. Certamente la fede si annuncia e interpella le singole libertà delle persone a cui la si propone senza mai poterla imporre in nessun modo, in nessun caso e a nessuno. Tuttavia, pur essendo un atto libero, ciò non toglie che a tale annuncio è dovuta accoglienza e obbedienza e chi non gliela desse non potrebbe essere esente dal gravissimo peccato di incredulità. Tale peccato si suddivide, peraltro, in alcune distinte specie, le cui principali sono: l'ateismo, l'apostasia, l'eresia, l'errore e il dubbio ostinato. L’ateismo è il rifiuto ostinato e irragionevole di credere nell’esistenza di un Dio creatore e personale e, quindi, nelle verità da Lui rivelate. Si tratta di un grave peccato perché, come ha insegnato autorevolmente il Concilio Vaticano I nella Costituzione Dei Filius, negare che esista un Dio creatore dell’universo è atto che va non solo contro la fede, ma anche contro la ragione dell’uomo, a cui consta, per evidente esperienza, che nulla di ordinato e perfetto può esistere senza una intelligenza che lo abbia generato; e nulla di più perfetto esiste che l’universo (almeno quella parte che noi conosciamo). L’apostasia è il gravissimo peccato del rinnegare la fede già professata, stigmatizzato dalle severe parole evangeliche di Gesù: “chi mi rinnegherà davanti a gli uomini, anch’Io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,33). Questo peccato può essere compiuto per paura (come nel caso di chi rinnegasse la fede sotto minaccia del martirio), oppure, con maggiore coscienza e lucidità, da chi si convertisse ad un’altra religione, qualunque essa sia, dal momento che solo nella santa fede cattolica c’è tutta intera la pienezza della verità e volgersi a qualunque altra confessione cristiana o religione significherebbe negare questo. L’eresia è la negazione o l’alterazione dei dogmi o delle verità di fede divinamente rivelate. Molto grave è questa specie, perché dalla negazione o l’alterazione delle verità di fede - che già in se stessa offende grandemente Dio, in quanto è atto di grande superbia e arroganza - conseguono nefaste conseguenze nell’ambito della vita cristiana, stante il noto adagio “agere sequitur esse” (“l’agire segue l’essere”, cioè da ciò che si è - e si crede - scaturisce ciò che si fa). Leggermente meno grave dell’eresia è l’errore, in quanto non tocca direttamente dogmi e verità divinamente rivelate, ma quelle comunemente credute o che comunque che la Chiesa propone a credere. Si può quindi definire errore anche lo sbaglio in materie che non sono definite con certezza di fede. Si pensi per esempio al fatto che l’anima è creata da Dio immediatamente appena esiste lo zigote, che non è mai stata definita come dogma o divinamente rivelata; oppure all’esistenza del Limbo, che oggi molti negano a cuor leggero ma che nella Tradizione della Chiesa è sempre stata creduta; oppure alla mediazione e corredenzione della Madonna che ancora non è stata definita come dogma. Infine il dubbio ostinato, consistente nel mettere in discussione le verità di fede in forza della loro non dimostrabilità razionale, che è peccaminoso perché la forza di una verità di fede, a differenza delle verità cosiddette scientifiche non sta nell’incontrovertibilità dimostrabile a livello empirico e razionale, ma nell’autorità (superiore) di Dio che è la fonte delle verità rivelate e che, per definizione, non sbaglia né può sbagliare, non inganna né può ingannare. Dubitare di una verità di fede, pertanto, equivarrebbe a negare l’infallibilità assoluta di Dio, la sua assoluta veracità e la sua assoluta credibilità in tutto ciò che rivela.
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