Raphael Louis I, patriarca della Chiesa cattolica caldea dell'Iraq, disdice tutti incontri con autorità politiche per Natale
di Fulvio Scaglione*
(vice-direttore di Famiglia Cristiana)
Raphael Louis I, patriarca della Chiesa cattolica caldea dell'Iraq, ha disdetto per questo Natale tutti gli incontri con autorità ed esponenti politici.
Perché? Tra le ragioni, racconta l'Agenzia Fides, ci sono "lo stato di abbandono in cui versano i profughi cristiani fuggiti dalla Piana di Niniveh a causa dell'offensiva dell'Isis, il mancato emendamento alla legge che impone ai figli di diventare in caso di conversione all'Islam di uno dei genitori e l'affissione per le strade di Baghdad di manifesti che chiedono alle donne cristiane di mettere il velo".
Avanti così, alla grande, democratizziamo il Medio Oriente...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=13825
*Pubblicato su gentile concessione dell'autore da un suo post FaceBook
(vice-direttore di Famiglia Cristiana)
Raphael Louis I, patriarca della Chiesa cattolica caldea dell'Iraq, ha disdetto per questo Natale tutti gli incontri con autorità ed esponenti politici.
Perché? Tra le ragioni, racconta l'Agenzia Fides, ci sono "lo stato di abbandono in cui versano i profughi cristiani fuggiti dalla Piana di Niniveh a causa dell'offensiva dell'Isis, il mancato emendamento alla legge che impone ai figli di diventare in caso di conversione all'Islam di uno dei genitori e l'affissione per le strade di Baghdad di manifesti che chiedono alle donne cristiane di mettere il velo".
Avanti così, alla grande, democratizziamo il Medio Oriente...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=13825
*Pubblicato su gentile concessione dell'autore da un suo post FaceBook
ASIA/IRAQ - Il Patriarca caldeo:
non accettiamo gli auguri di Natale da chi ci ha abbandonato
Baghdad (Agenzia Fides) - Nel ritiro spirituale pre-natalizio dei sacerdoti e dei diaconi dell'Arcieparchia caldea di Baghdad, tenutosi lunedì 21 dicembre nella capitale irachena alla presenza del Patriarca caldeo Louis Raphael I, il Primate della Chiesa caldea ha invitato i presenti a favorire una celebrazione del Natale sobria e concentrata sui tratti essenziali della solennità cristiana, senza farsi distrarre da momenti conviviali e mondani. Quest'anno - riferiscono le fonti ufficiali del Patriarcato, consultate dall'Agenzia Fides – la situazione drammatica vissuta dalle comunità cristiane irachene, anche a causa del disinteresse e delle inadempienze delle istituzioni pubbliche, suggerisce ai Pastori della Chiesa caldea di rifiutare a ogni livello anche i tradizionali incontri conviviali con i rappresentanti politici e religiosi per lo scambio di auguri, che in passato connotavano il periodo delle feste natalizie.
Una sobrietà motivata in particolare dal momento carico di sofferenze e incertezze sul futuro che stanno vivendo le comunità cristiane irachene. Tra i motivi, perduranti e nuovi, di sofferenza e di disagio, il Patriarca ha richiamato la situazione di abbandono dei profughi cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive sotto l'offensiva dei jihadisti dello Stato islamico (Daesh), la mancata modifica della legge che impone ai figli di diventare musulmani nel caso di conversione di un genitore all'islam, e anche i manifesti apparsi di recente sui muri di Baghdad, in cui si chiede alle donne cristiane di indossare il velo.
Quello del 2015 – ha suggerito il Patriarca caldeo – sarà per tutti un Natale di preghiera e raccoglimento, per trovare ls consolazione che può venire solo dall'annuncio salvifico della nascita di Gesù, all'inizio dell'Anno della Misericordia.
Per la Messa di Natale, il Primate della Chiesa caldea aprirà la Porta nella Misericordia nella tenda che funziona da cappella per i circa mille cristiani rifugiati in un campo profughi di Baghdad. Altre due porte sante sono state già aperte dal Patriarca presso la chiesa dedicata all'Addolorata e presso la Cattedrale caldea di San Giuseppe. (GV) (Agenzia Fides 22/12/2015).
http://www.fides.org/it/news/59076-ASIA_IRAQ_Il_Patriarca_caldeo_non_accettiamo_gli_auguri_di_Natale_da_chi_ci_ha_abbandonato#.VnmKz2ThAk-
Così l'Isis distrugge le chiese
Sono almeno 17 le chiese e i santuari cristiani distrutti, profanati o occupati dai gruppi jihadisti durante il conflitto siriano
Sono almeno 17 le chiese e i santuari cristiani distrutti, profanati o occupati dai gruppi jihadisti durante il conflitto siriano
La lista - che non rivendica pretese di completezza - e' stata diffusa da fonti legate alle comunita' cristiane locali come l'Assyrian International News Agency. In particolare - scrive l'agenzia Fides - vengono documentate con accuratezza le devastazioni realizzate dai militanti dello Stato Islamico (Daesh) contro i luoghi di culto cristiano dei villaggi a maggioranza assira della valle del Khabour, attaccati dai jihadisti lo scorso febbraio. Soltanto in quella zona, le chiese e i santuari distrutti - alcuni dei quali rasi al suolo con la dinamite - sono stati almeno 11. in molti casi, il delirio della violenza jihadista si e' accanito contro luoghi di culto che custodivano memoria comune di diverse comunita' cristiane locali, come e' avvenuto a Deir el-Zor con la chiesa memoriale dei martiri del genocidio armeno, distrutta dai miliziani del Daesh nel settembre 2014. In altre situazioni, i jihadisti hanno preso volutamente di mira le reliquie dei santi custodite nelle chiese, come e' avvenuto lo scorso agosto nel monastero di Mar Elian.
L'antico Santuario del V secolo, collocato alla periferia di Quaryatayn, negli ultimi anni aveva ritrovato nuova vita trasformandosi in una filiazione di Deir Mar Musa al Habashi, il Monastero rifondato dal gesuita italiano padre Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico. Il priore di Mar Elian, pade Jacques Murad, era stato anche lui preso prigioniero dai jihadisti lo scorso 21 maggio, e ha ritrovato la liberta' lo scorso 11 ottobre.
L'antico Santuario del V secolo, collocato alla periferia di Quaryatayn, negli ultimi anni aveva ritrovato nuova vita trasformandosi in una filiazione di Deir Mar Musa al Habashi, il Monastero rifondato dal gesuita italiano padre Paolo Dall'Oglio, rapito anche lui il 29 luglio 2013 mentre si trovava a Raqqa, capoluogo siriano da anni sotto il controllo dei jihadisti dello Stato Islamico. Il priore di Mar Elian, pade Jacques Murad, era stato anche lui preso prigioniero dai jihadisti lo scorso 21 maggio, e ha ritrovato la liberta' lo scorso 11 ottobre.
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cos-lisis-distrugge-chiese-1207230.html
(Inviato - Giampaolo Cadalanu) Il Natale di Bagdad "Noi cristiani tra le bandiere nere ma resisteremo". Dai muri delle strade attorno alla zona verde, gli occhi penetranti del profeta Ali seguono i passanti, le donne velate che camminano in fretta, i ragazzi che fumano sul marciapiede, i militari con kalashnikov che controllano gli incroci. I ritratti del genero di Maometto sono una dichiarazione di fede sciita. «Prima non era così. Bagdad era come una città occidentale, adesso le strade sono nere, ovunque è pieno di bandiere», si accora Louis Sako, patriarca caldeo della capitale.
Per i cristiani, il futuro dell'Iraq è oscuro. Appena pochi giorni fa Sako ha aperto la Porta Santa della cattedrale di Bagdad, sottolineando che «testimoniare può portare al martirio, e noi non abbiamo paura». Ma davanti al presidente del Senato italiano Pietro Grasso, in visita in Iraq, il patriarca non nasconde le sue preoccupazioni: «Di questo passo i cristiani se ne andranno tutti. Da poco gli sciiti hanno lanciato volantini sulle case dei cristiani, dove si diceva: anche la Madonna portava il velo, dovete farlo pure voi. Hanno proposto di chiudere i negozi che vendono alcol. Ma se vogliono uno stato islamico, c' è già Daesh». Secondo il patriarca, «è indispensabile che la comunità internazionale faccia un' azione politica con i leader religiosi islamici, perché emettano una fatwa di condanna per ogni violenza, anche sui non musulmani». A preoccupare i cristiani è soprattutto una norma proposta al Parlamento di Bagdad, che imporrebbe la fede musulmana anche ai figli di un solo genitore che si converta all' islam. Non è detto che sia approvata: il capo dello Stato l' ha rinviata al Parlamento e lo stesso presidente dell' Assemblea, Salim Al Jabouri, ha voluto garantire alla delegazione italiana «la massima tutela delle minoranze», curando di far trovare persino un albero di Natale nell' ingresso del Palazzo. Ma se a Bagdad c' è preoccupazione per l' attivismo sciita, nel nord Iraq è il fanatismo sunnita di Daesh, il sedicente Stato Islamico, a spaventare. Lo sanno bene le famiglie di Karakosh, cittadina a prevalenza cristiana non lontana da Mosul. Nella notte del 6 agosto 2014 hanno raccolto in fretta le proprie cose e sono partiti, dopo l' arrivo del primo razzo. «Ci ha salvato Gesù, perché la casa davanti a noi è crollata », racconta nonna Victoria, che ha 62 anni. Chi è rimasto a Karakosh è stato catturato dai fondamentalisti: le donne sono state vendute come schiave, gli uomini chissà. La famiglia di Victoria vive di solidarietà internazionale in una sola stanza, a Erbil. Sulla parete, accanto al crocefisso, c' è l' adesivo di una organizzazione di solidarietà cristiana Usa. Ma la nonna confida in papa Francesco: «Preghi per noi, perché possiamo tornare a casa». Nel piano di sopra, anche Salah Sarkis si accontenta di una stanza per sé, sua moglie e i quattro figli. E' un giornalista, e mostra con orgoglio il suo ultimo commento su un foglio che si chiama Suraya, "Cristiano". Racconta che a Karakosh i pochi islamici avevano da tempo cominciato ad "allargarsi", comprando terreni e minacciando i cristiani. «Poi, con l' arrivo di Daesh, per noi c' era la scelta: convertirci, o andare via, oppure restare quasi come ospiti, pagando 40 dollari a testa come tassa mensile per la nostra religione». Padre Majid, scappato anche lui da Karakosh, racconta di aver camminato nell' oscurità per sei-sette ore, per poi finire sotto una tenda: «E' stato Gesù a dirci: lasciate tutto e seguitemi. E noi abbiamo lasciato tutto, per la nostra fede ». «La situazione degli sfollati è difficile, soltanto dalla provincia di Ninive sono fuggite almeno quattromila famiglie, molti sono in Giordania, in Libano, in Turchia. A Erbil sono almeno seimila le famiglie di cristiani sfollate», dice Petros Mouche, arcivescovo di rito siriaco per Mosul e Kirkuk. Fra cattolici, caldei, ortodossi, la comunità cristiana in Kurdistan raggiunge i 150 mila fedeli. Ma sulla possibilità della convivenza futura con i musulmani, monsignore è scettico: «Se ci fosse la possibilità... Sarebbe difficile ma non impossibile, con l' aiuto di Dio».
Per i cristiani, il futuro dell'Iraq è oscuro. Appena pochi giorni fa Sako ha aperto la Porta Santa della cattedrale di Bagdad, sottolineando che «testimoniare può portare al martirio, e noi non abbiamo paura». Ma davanti al presidente del Senato italiano Pietro Grasso, in visita in Iraq, il patriarca non nasconde le sue preoccupazioni: «Di questo passo i cristiani se ne andranno tutti. Da poco gli sciiti hanno lanciato volantini sulle case dei cristiani, dove si diceva: anche la Madonna portava il velo, dovete farlo pure voi. Hanno proposto di chiudere i negozi che vendono alcol. Ma se vogliono uno stato islamico, c' è già Daesh». Secondo il patriarca, «è indispensabile che la comunità internazionale faccia un' azione politica con i leader religiosi islamici, perché emettano una fatwa di condanna per ogni violenza, anche sui non musulmani». A preoccupare i cristiani è soprattutto una norma proposta al Parlamento di Bagdad, che imporrebbe la fede musulmana anche ai figli di un solo genitore che si converta all' islam. Non è detto che sia approvata: il capo dello Stato l' ha rinviata al Parlamento e lo stesso presidente dell' Assemblea, Salim Al Jabouri, ha voluto garantire alla delegazione italiana «la massima tutela delle minoranze», curando di far trovare persino un albero di Natale nell' ingresso del Palazzo. Ma se a Bagdad c' è preoccupazione per l' attivismo sciita, nel nord Iraq è il fanatismo sunnita di Daesh, il sedicente Stato Islamico, a spaventare. Lo sanno bene le famiglie di Karakosh, cittadina a prevalenza cristiana non lontana da Mosul. Nella notte del 6 agosto 2014 hanno raccolto in fretta le proprie cose e sono partiti, dopo l' arrivo del primo razzo. «Ci ha salvato Gesù, perché la casa davanti a noi è crollata », racconta nonna Victoria, che ha 62 anni. Chi è rimasto a Karakosh è stato catturato dai fondamentalisti: le donne sono state vendute come schiave, gli uomini chissà. La famiglia di Victoria vive di solidarietà internazionale in una sola stanza, a Erbil. Sulla parete, accanto al crocefisso, c' è l' adesivo di una organizzazione di solidarietà cristiana Usa. Ma la nonna confida in papa Francesco: «Preghi per noi, perché possiamo tornare a casa». Nel piano di sopra, anche Salah Sarkis si accontenta di una stanza per sé, sua moglie e i quattro figli. E' un giornalista, e mostra con orgoglio il suo ultimo commento su un foglio che si chiama Suraya, "Cristiano". Racconta che a Karakosh i pochi islamici avevano da tempo cominciato ad "allargarsi", comprando terreni e minacciando i cristiani. «Poi, con l' arrivo di Daesh, per noi c' era la scelta: convertirci, o andare via, oppure restare quasi come ospiti, pagando 40 dollari a testa come tassa mensile per la nostra religione». Padre Majid, scappato anche lui da Karakosh, racconta di aver camminato nell' oscurità per sei-sette ore, per poi finire sotto una tenda: «E' stato Gesù a dirci: lasciate tutto e seguitemi. E noi abbiamo lasciato tutto, per la nostra fede ». «La situazione degli sfollati è difficile, soltanto dalla provincia di Ninive sono fuggite almeno quattromila famiglie, molti sono in Giordania, in Libano, in Turchia. A Erbil sono almeno seimila le famiglie di cristiani sfollate», dice Petros Mouche, arcivescovo di rito siriaco per Mosul e Kirkuk. Fra cattolici, caldei, ortodossi, la comunità cristiana in Kurdistan raggiunge i 150 mila fedeli. Ma sulla possibilità della convivenza futura con i musulmani, monsignore è scettico: «Se ci fosse la possibilità... Sarebbe difficile ma non impossibile, con l' aiuto di Dio».
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