ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 4 dicembre 2015

Pareva che fossero anticaglie


DIFENDERE CIO' CHE SIAMO                              Siamo disposti a lottare per difendere ciò che siamo? Difendere le nostre vite non lo può negare nessuno: nemmeno i sapientoni di sinistra che predicano sempre e solo l’accoglienza incondizionata e la tolleranza a senso unico di Francesco Lamendola  


Gli increduli devono essere costretti a credere? E il credente può uccidere per la sua fede, quando essa si trova in gravissimo pericolo? Avete capito bene: non per difendere la sua vita, ma proprio per difendere la sua fede? Sembravano questioni antiche, datate, superate; ci si cullava nell’ebbrezza dell’ecumenismo, nell’ottimismo del dialogo interreligioso, nel buonismo post-conciliare.
Pareva che fossero anticaglie, roba che era d’attualità ai tempi di Sant’Agostino o, tutt’al più, di San Tommaso d’Aquino; non certo ai nostri giorni. Pareva che ormai non vi fosse nemmeno la remota possibilità di dover fare i conti con una realtà diversa: con una realtà dura, spietata, nella quale essere cristiani implica il rischio d’essere discriminati, costretti a fuggire, massacrati. Credevamo d’aver lasciato queste cose fra le pagine di libri impolverati, che non legge più nessuno, dove si parla del martirio come di una realtà che il cristiano deve essere sempre pronto ad affrontare. Cose di tempi remoti: i cristiani nell’arena dell’antica Roma, dati in pasto alle belve; i missionari gesuiti torturati e uccisi dai feroci Irochesi, nelle foreste del Canada, oppure crocifissi in Giappone, d’ordine dell’imperatore. Ormai i cristiani, particolarmente i cattolici (gli ortodossi hanno sempre dimostrato maggiore buon senso; e i protestanti, specialmente oggi, sono ancora cristiani?), hanno venduto la pelle dell’orso prima d’averlo ucciso: convinti che il “dialogo” sia tutto, e, insieme al dialogo, “l’apertura”, “l’inclusione”, la “tolleranza” e Dio sa cos’altro, hanno dato per scontato che, nelle altre religioni, e particolarmente nell’islamismo, fossero in atto gli stessi processi e le stesse dinamiche che hanno portato loro fino alle soglie – e, sovente, oltre le soglie – della laicizzazione, della secolarizzazione, del relativismo etico e dell’indifferentismo religioso, il tutto mascherato da religiosità “matura”, da “cristianesimo adulto”, da “svolta antropologica” e da “riscoperta del vero senso del Vangelo”, quasi che i nostri predecessori, compresi fior di teologi , di santi, di mistici, di vescovi e di papi, avessero vagolato a tentoni nel buio, o almeno della penombra, fino a quando è venuta ad illuminare la strada, e a rivelare il vero senso delle Scritture, la luce sfolgorante del Concilio Vaticano II.
E adesso un po’ tutti noi, credenti e non credenti, ma figli, comunque, della civiltà cristiana, ci ritroviamo a fare i conti con queste “antiche” e “superate” questioni: adesso che la persecuzione anticristiana si è fatta evidente, fuori dell’Europa (con tanto di cristiani decapitati sulla riva del mare, in stile cinematografico hollywoodiano, per esempio), e che, nel medesimo tempo, si sta facendo evidente l’insofferenza, per non dire, l’intolleranza religiosa a casa nostra. Oh, non verso la religione degli altri: questo mai. La religione degli immigrati va rispettata, sempre, essa è un valore sacro, imprescindibile, assoluto: ne va della nostra civiltà. Ma la nostra religione? Ed ecco la sorpresa (sorpresa per modo di dire; sorpresa per chi non ha voluto vedere, né sentire, né parlare, per tutti questi anni, come le tre scimmiette): a negare la tolleranza nei confronti della nostra religione – e, sovente, anche della nostra cultura, delle nostre tradizioni, della nostra identità – non sono gli ultimi arrivati: sono gli intellettuali di casa nostra, i politici e gli amministratori provenienti dalla pancia profonda della nostra società. Sono loro che non vogliono il Crocifisso nei luoghi pubblici, che non vogliono il presepio nelle scuole elementari, che non vogliono sentir parlare il papa all’università di Roma (dove sono invitati a parlare tutti, cani e porci), beninteso se il papa è Benedetto XVI; se è Francesco, allora sarebbe il benvenuto, salvo forzare e snaturare il senso delle sue parole secondo la versione teologica della Chiesa cattolica recentemente approvata e licenziata da monsignor Eugenio Scalfari.
Pertanto, ecco di nuovo alle prese con le vecchie e superate questioni.
Cominciamo dalla prima: gli increduli devono essere costretti a credere? Sentiamo innanzitutto cosa dicono i Padri, la Tradizione, i teologi del passato. Ecco il punto di vista di Tommaso d’Aquino, nella «Somma teologica» (Firenze, Salani, 1972, vol. XIV, pp. 226-28):

«Sembra che gli increduli in nessun modo debbano essere costretti a credere. Infatti:
1. Si legge nel Vangelo, che i servi di quel signore, nel cui campo era stata seminata la zizzania, chiesero a costui: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”; ed egli rispose: “No, perché raccogliendo la zizzania, non strappiate anche il frumento”. E il Crisostomo spiega: “Così disse il Signore volendo proibire di uccidere. Infatti non è necessario uccidere gli eretici: poiché se uccidete costoro, necessariamente abbatterete con essi molti santi”. Dunque per lo stesso motivo nessun incredulo si deve costringere a credere.
2. Nel “Decreto” [di Graziano] si legge: “”A proposito degli Ebrei il santo Concilio comanda che nessuno in seguito li forzi a credere”. Quindi per lo stesso motivo non si devono costringere gli altri increduli.
3. Afferma S. Agostino che altre cose l’uomo può farle anche non volendo, ma “non può credere altro che volendo”. Ora, il volere non si può costringere. Dunque gli increduli non si possono costringere alla fede.
4. Così Dio parla in Ezechiele: “non voglio la morte del peccatore”. Ma noi dobbiamo conformare la nostra volontà a quella di Dio, come abbiamo detto in precedenza. Quindi non dobbiamo volere che gli increduli vengano uccisi.
IN CONTRARIO: Nel Vangelo si legge “Va’ per le strade e lungo le siepi e costringi la gente a entrare, affinché la mia casa si riempia”. Ora, gli uomini entrano nella casa di Dio, cioè nella Chiesa, mediante la fede. Dunque alcuni devono essere costretti alla fede.
RISPONDO: Ci sono degli increduli, come i Giudei e i pagani, i quali non hanno mai abbracciato la fede. E questi non si devono costringere a credere in nessuna maniera: perché credere è un atto volontario. Tuttavia i fedeli hanno il dovere di costringerli, se ne hanno la facoltà, a non ostacolare la fede con bestemmie, cattivi suggerimenti, oppure con aperte persecuzioni. Ecco perché coloro che credono in Cristo spesso fanno la guerra agli infedeli, non per costringerli a credere (perché quando anche riuscissero a vincerli e a farli prigionieri, li lascerebbero liberi di credere, se vogliono): ma per costringerli a non ostacolare la fede in Cristo.
Ci sono invece altri increduli, i quali un tempo hanno accettato la fede e l’hanno professata: e sono gli eretici, e gli apostati di ogni genere. Costoro devono essere costretti anche fisicamente ad adempiere quanto promisero, e a ritenere ciò che una volta accettarono.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni intesero quel testo nel senso che è proibito, non già di scomunicare, ma di uccidere gli eretici: e ciò è dimostrato dalla citazione del Crisostomo. Anche S. Agostino così narra di se stesso: “Prima io ero dell’opinione che non si dovesse costringere nessuno all’unità di Cristo, ma che bisognava trattare a parole, e combattere con le dispute. Però questa mia opinione è stata vinta non dalle parole, ma dai fatti. Infatti la paura delle leggi civili ha tanto giovato, che molti sono arrivati a dire: “Sia ringraziato il Signore, che ha spezzato le nostre catene”. Perciò, il significato di quelle parole del Signore: “Lasciateli crescere insieme, l’uno e l’altra, fino alla mietitura”, appare da quelle che seguono: “… affinché raccogliendo la zizzania, non strappiate anche il frumento”. “Nelle quali egli mostra abbastanza chiaramente”, a detta di S. Agostino, “che quando non c’è questo timore, cioè quando il delitto è ben noto e a tutti appare esecrabile, così da non avere difensori o da non averne tali da poter determinare uno scisma, la severità della correzione non deve dormire”.
2. Gli Ebrei, se non hanno mai abbracciato la fede, non si devono costringere a credere. Ma se hanno ricevuto la fede, “devono essere costretti per forza a ritenere la fede”, come si dice in quello stesso capitolo.»
3. Come “fare un voto è atto di libera volontà, mentre adempierlo diviene una necessità”, così accettare la fede è un atto di libera volontà, ma ritenere la fede accettata è una necessità. Ecco perché gli eretici devono essere costretti a mantenere la fede. Scrive infatti S. Agostino: “Dove costoro hanno imparato a protestare: C’è libertà di credere e di non credere? A chi mai Cristo ha fatto violenza? Ebbene nel caso di S. Paolo essi possono vedere che Cristo prima lo costringe e poi lo istruisce”.
4. Rispondiamo con S. Agostino che, che “nessuno di noi vuole che un eretico perisca. Ma la casa di David meritò di avere pace, solo dopo che il figlio Assalonne fu ucciso nella guerra che questi combatteva contro il padre. Così la Chiesa Cattolica, se mediante la perdita di qualcuno può raccogliere tutti gli altri, allevia il dolore del suo cuore materno con la liberazione di intere popolazioni”.»

Dunque: obbligare i non credenti a credere, no; obbligare gli ex credenti a tornare alla fede, sì: non perché si possa costringere qualcuno a credere ciò in cui non crede, ma perché è giusto pretendere da chiunque l’osservanza della promessa fatta. Il cristiano fa una promessa, e la fa nel momento del Battesimo, poi la rinnova con la Cresima: essere cristiani non è un fatto meramente interiore, e, soprattutto, non è una adesione sub condicione, cioè con riserva. È l’impegno di una vita, come il Matrimonio (che è un sacramento, per chi non lo sapesse: vale a dire una sacra promessa fatta non solo al proprio coniuge, possibilmente dell’altro sesso, ma anche a Dio). Certo, questo linguaggio è duro per gli uomini d’oggi; i loro orecchi son diventati troppo delicati per ascoltare questa musica. Non vogliono sentir parlare di promesse, tanto meno “sacre”, vale a dire irrevocabili. Piace molto di più ascoltare pseudo-teologi, preti e vescovi che predicano l’indulgenza all’ingrosso, il relativismo, l’auto-assoluzione sistematica in base al principio della libertà di coscienza.
Certo, nessuno si sogna, oggi, di voler costringere un ex credente a ritornare in senso alla Chiesa, cui ha deciso di voltare le spalle. Però, di qui a considerare la cosa come normale, ce ne corre. È normale, nel senso in cui sono diventate normali un sacco di altre cose, le quali, forse, tanto normali non sono: abbiamo scambiato il concetto di frequenza con quello di normalità; ma una cosa non diventa normale perché la praticano in molti, se essa è sbagliata in se stessa. Se questo, invece, sta accadendo, è appunto perché la nostra cultura ha rifiutato l’idea che esista la Verità, e ha proclamato che esistono solo le piccole verità parziali e soggettive: da ciò consegue la liberalizzazione di qualunque ideologia, di qualunque comportamento e di qualsiasi aberrazione. Ma in tal caso, bisognerebbe essere coerenti sino in fondo: se non esiste la Verità, non esiste nemmeno Dio, il Vangelo è un’impostura e la passione di Cristo non ha redento nessuno, perché non c’è nulla da redimere. Dunque, perché i cristiani modernisti e progressisti continuano a dirsi cristiani? La loro è ipocrisia e mancanza di coraggio: abbiano almeno la franchezza di dire che si sono costruiti una religione molto umana, sulla misura di ciò che piace al mondo: una falsificazione del cristianesimo.
E veniamo alla seconda domanda: è lecito uccidere, per difende la fede? Domanda delicatissima, ne siamo perfettamente consapevoli, con le strade di Parigi ancora sporche di sangue fresco versato da fanatici religiosi. E tuttavia, attenzione: abbiamo detto: per difendere la propria religione; non per imporla agli altri. I terroristi assassini non vogliono difende l’islamismo, vogliono imporlo agli “infedeli”, ai cristiani in primis. Per loro, è cosa lecita; e per noi, è lecito difendere non solo le nostre vite – questo, crediamo, non lo vorrà negare nessuno: nemmeno i sapientoni di sinistra che predicano sempre e solo l’accoglienza incondizionata e la tolleranza a senso unico – ma anche i valori in cui crediamo, e dunque, per il credente, la propria fede? C’è poco da fare: la domanda posta da San Tommaso d’Aquino conserva tutta la sua scottante attualità, piaccia o non piaccia.
Sono questioni che dobbiamo chiarire con noi stessi, e dobbiamo farlo in fretta. Ormai non c’è più tempo: siamo sotto attacco.Non solo le nostre vite, ma la nostra civiltà è sono direttamente minacciate. Ci siamo cullati nei sogni voluttuosi del buonismo: e questo perché, negando la ferita del Peccato originale, abbiamo creduto che l’uomo non sia bisognoso di redenzione, che sia buono e perfetto in se stesso, e che la pace universale fosse ormai a portata di mano (grazie all’Illuminismo, beninteso, e non certo al Vangelo, che pure è l’unica religione a predicare l’amore universale).
È tempo di risvegliarsi dai sogni buonisti e guardare in faccia la realtà: che è dura e non fa sconti a nessuno. La domanda è molto semplice: siamo disposti a lottare per difendere ciò che siamo?

Francesco Lamendola


Siamo disposti a lottare per difendere ciò che siamo?

di Francesco Lamendola

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