Incarnazione
Deus, qui humanae substantiae dignitatem mirabiliter condidisti et mirabilius reformasti…
Mirabile opera di Dio che, dopo aver riflesso le proprie perfezioni nel mondo creato, vi ha posto la propria immagine vivente, la creatura fatta a Sua somiglianza perché dotata di ragione, coscienza morale e libera volontà nonché capace di relazione, amore, sacrificio. Ma ancor più mirabile l’opera con cui, allo scopo di redimerlo dai suoi peccati, ha assunto la carne dell’uomo decaduto, si è fatto simile a lui ed è venuto ad abitare su una terra dominata dal male per purificarla e rinnovarla con la santità di cui rende partecipi i Suoi figli.
A questo scopo si è immolato nella Sua umanità ed è risorto alla gloria del cielo, aprendoci quella via regale della Croce che ci conduce in Paradiso e che si dischiude per noi in ogni santa Messa.Mirabile opera di Dio che, dopo aver riflesso le proprie perfezioni nel mondo creato, vi ha posto la propria immagine vivente, la creatura fatta a Sua somiglianza perché dotata di ragione, coscienza morale e libera volontà nonché capace di relazione, amore, sacrificio. Ma ancor più mirabile l’opera con cui, allo scopo di redimerlo dai suoi peccati, ha assunto la carne dell’uomo decaduto, si è fatto simile a lui ed è venuto ad abitare su una terra dominata dal male per purificarla e rinnovarla con la santità di cui rende partecipi i Suoi figli.
È questa la meravigliosa prospettiva della vita cristiana: per effetto dell’inaudita discesa di Dio, che ha così santificato ogni aspetto della nostra esistenza, un’ascensione straordinaria che nessun essere umano ha mai sognato. Per questo, chiedere a Dio di realizzare i nostri sogni è una grave offesa: Egli ci offre infinitamente di più di quanto possiamo desiderare o pensare. Celebrare degnamente il Natale richiede quindi una profonda conversione interiore: l’abbandono dei sogni utopistici di una società frustrata e senza speranza, l’accoglienza del disegno divino che ci è rivelato. Non è certo nelle nostre aspirazioni che possiamo trovare una via d’uscita dalla crisi odierna (di natura spirituale e morale ben più che economica o sociale), ma in ciò che Dio ci ha fatto conoscere e ha realizzato per noi in Suo Figlio fatto uomo.
L’Incarnazione redentrice, questo inimmaginabile evento, ci raggiunge nella Liturgia, diventandoci contemporanea e assumendoci in quel movimento ascendente che Gesù Cristo ha innescato nell’umanità con la propria oblazione al Padre, che la Messa rende presente e alla quale si deve associare chi vi partecipa per farlo con frutto. È quello che fa Lui che conta, non quello che facciamo noi, se non nella misura in cui ci aiuta ad aderire all’unico Sacrificio. Se invece ce ne distoglie, facendoci ripiegare su noi stessi e sui nostri velleitari valori, la partecipazione attiva è un danno e ancor prima un rinnegamento, specie se quei “valori” non sono altro che vuote parole cui non corrisponde nulla di concreto o di cui, peggio, la triste realtà dei fatti è solenne smentita. Se c’è in essi qualcosa di effettivo, si tratta in genere di un attivismo tutto orizzontale che non ha nulla di soprannaturale, dato che può benissimo realizzarlo anche un ateo. Quand’anche si riscontri in esso un rivolo di carità teologale, l’operatore di solito non lo sa nemmeno, perché non la conosce né alcuno gli ha mai insegnato a lasciarsi muovere dallo Spirito Santo.
Il rito romano antico, nella sua austera bellezza e severità virile, obbliga invece il fedele a superarsi, lasciandosi alle spalle quanto è troppo impastato di terra e lo tiene incollato al suolo. Ciò non significa affatto che non vi sia spazio per l’umano, al contrario: le creazioni più sublimi di cui l’uomo è capace vi hanno un posto riconosciuto ed essenziale alla bellezza insuperabile del tutto, dove ogni elemento concorre allo scopo in armonia con gli altri e, al contempo, con la sua specifica funzione. Frivolo estetismo? Tutt’altro: svelamento efficace del Verbo incarnato, del Dio sceso nell’uomo per elevare l’uomo a Sé; viva manifestazione della Chiesa, estensione di Lui nella carne degli uomini che Gli sono incorporati e vivono nella Sua grazia. Espressione di aristocratico ed elitario snobismo? Niente affatto: i nostri nonni, anche senza aver studiato latino, si sentivano perfettamente a loro agio quando stavano in chiesa – e si sono fatti santi.
Oggi, purtroppo, quelli che vengono volentieri a Messa sono sempre di meno… ancora più scarsi quelli che riescono a santificarsi per suo mezzo. Con buona pace di quella generazione che ha fatto la rivoluzione nella Chiesa, come dei suoi cocciuti figli e nipoti, una ragione ci sarà pure – e non è il fatto che «lo spirito del Concilio non si è ancora realizzato»: come scusa è talmente logora che ci si vede attraverso, tanto che nessun giovane intelligente ci crede più. Sono le azioni di Dio che hanno salvato l’uomo, non le sue idee o il suo idealismo. Chi gode delle proprie parole e si bea del suo intellettualismo astratto e involuto commette più di un peccato in un colpo solo: superbia, impurità, apostasia… e se ne possono aggiungere.
Agli antipodi, ad una distanza abissale, sta la Vergine Madre, la cui umiltà e obbedienza Le meritò di concepire il Verbo prius mente quam ventre, secondo la geniale intuizione agostiniana. L’anima e il cuore purissimi della Sposa di Dio, fin dagli albori della Sua esistenza, furono attraversati dalla luce della verità divina, che non vi trovò la minima opacità né resistenza, prima che il Verbo facesse di Lei il proprio tabernacolo vivente. Non Gli fu di ostacolo la piccolezza di una creatura; Gli fa da barriera la presuntuosa arroganza di chi crede di doverlo aggiornare. L’Onnipotente si è fatto bambino in una stalla ed è morto inchiodato come un malfattore per raggiungere anche l’ultimo povero e il peggiore criminale della terra, ma allo scopo di lavarli dal fango e dal sangue ed elevarli alla Sua vita divina. Chi li defrauda della beatitudine eterna in cambio di promesse illusorie che lasciano tutto com’è (compresa la situazione morale) non solo ha tradito Dio, ma tradisce anche loro. Santo Natale.
http://www.civiltacristiana.com/incarnazione/
A natale si può fare di più?
Vorrei dedicare questo articolo alle vittime del natale. Vittime del natale? Esistono le vittime del terrorismo, dell’alcolismo e della droga, della strada, ecc., ma non le vittime del natale. Forse che il Natale uccide qualcuno?
Il Natale no, ma il natale ferisce l’anima.
Il natale? Ma se è la festa dei bambini? Non è la festa delle famiglie? Non è forse la festa della neve (a natale deve nevicare per forza, anche se non nevica quasi mai), dei doni sotto l’albero, del panettone e del pandoro, dei dolci natalizi, delle famiglie ricche di soldi e ricche di persone felici e felici di rincontrarsi, in case ricche e addobbate meravigliosamente, con bambini che saltano gioiosi, nonni sereni, genitori felici, cani che scodinzolano e gatti che fanno le fusa, piene di luci, con alberi fantasticamente addobbati e regali splendenti da tutte le parti? Non è forse la festa nella quale “si può fare di più”?
È proprio questo il punto. Il natale miete vittime proprio per tutto questo. Per tutto quello che lo hanno voluto far diventare dal dopoguerra a oggi e per come ogni anno, infallibilmente, immancabilmente, e sempre prima (ormai già a inizio novembre) ce lo presentano in televisione e nelle pubblicità. Miete vittime fra le persone sole, perché hanno perso la famiglia o non l’hanno mai avuta. O perché non sono stati in grado di mantenerla unita. Fra le persone dimenticate dai figli o dai coniugi, che passano il natale ricordando il passato. Fra le persone malate o anche fra chi ha perduto la libertà. Fra le persone che non si possono permettere la casa splendente di luci e di doni e si vergognano. Miete vittime fra quei bambini che hanno perduto i genitori o sono costretti a passare la sera del 24 con uno e il pranzo del 25 con un altro. Miete vittime fra chi ha perduto la fede, fra chi è disperato, fra chi non riesce a venire a capo, fra chi odia o è odiato, fra chi semplicemente non sopporta questa immensa costruzione di ipocrisia e falsità che è diventato il natale del consumismo occidentale.
Questo natale, miete vittime. E queste vittime non sono un gruppo di sfortunati, che non mancano mai nelle svariate situazioni umane. Sono milioni. Nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente tutti coloro che del natale non gliene importa nulla, che fanno finta di sorridere a parenti che non sopportano o che non vedono da un anno, e che nel loro cuore contano i minuti perché si arrivi al 26. A conti fatti, forse, ci si accorgerebbe che questa moltitudine, in tutte le sue sfaccettature (che sono innumerevolmente più numerose delle pochissime sopra citate) è costituita dalla grande maggioranza degli uomini e delle donne di quella che un tempo fu la società cristiana.
La verità è che il natale della televisione e dei negozi pieni, della perfezione e della gioia imposta a comando, delle famiglie meravigliose e dell’opulenza strafottente, miete vittime di infelicità. E ha stancato.
Questa è la verità, e nessuno lo dice, per non disturbare.
Ma vi è un’altra verità, ancor più vera, se così si può dire. Ovvero, che tutto questo non ha nulla a che vedere con il Natale.
Se tutte le categorie di infelici o di semplici disinteressati sopra indicate più tutte le altre non indicate capissero quale è il vero Natale, provassero non l’invidia o almeno la tristezza che produce il consumismo ma la gioia che deriva da Chi è si è incarnato povero tra i poveri per donarci la più grande e infinita di tutte le ricchezze, troverebbero la risposta al senso della loro sofferenza, della loro solitudine, troverebbero di che riempire il loro menefreghismo, e capirebbero quale meravigliosa occasione per ogni uomo può essere il Natale.
Il Natale è la festa di quella Forza infinita d’amore e giustizia che ha spento il fuoco dei sacrifici idolatrici, che ha svuotato le pire dei sacrifici umani, che riempito i cuori della speranza della vita eterna, che ha aperto le menti alla Verità eterna e le volontà alla carità fraterna, che ha fatto scoprire all’uomo il valore infinito del perdono, dell’accettazione della croce, della gioia che deriva dal sacrificio accettato e finanche ricercato, della serenità che deriva dal vivere in retta coscienza o dall’aver ricevuto il perdono di Dio tramite il pentimento, del valore della vita spesa nella lotta in difesa del Vero, del Buono, del Giusto e del Bello, della vita intesa come milizia al servizio di Dio, della sua unica Chiesa e del Bene del prossimo. È la festa della scoperta della gioia del dono.
Sull’esempio di Chi si è donato in una mangiatoia al mondo intero, vittima sacrificale d’amore infinito, e lo ha fatto – Lui bambino con un padre putativo e una Madre vera – senza però altri bambini e parenti, senza alberi meravigliosi, case fantastiche, pandori e torroni, e tutto l’orpello che è bello per pochi fortunati e peso di tristezza per milioni di persone.
Non che non sia giusto è bello festeggiare il Natale anche in bellezza, fare doni (come doni furono portati a quel Bambino nella mangiatoia), per chi ha la fortuna e la grazia di poterselo permettere, sia dal punto di vista umano che da quello economico. Non che non sia giusto stare in famiglia e mangiare pure tutti insieme. Ma è necessario ricominciare a ricordare a tutti che l’unica vera gioia è solo in quella mangiatoia, perché la Luce del mondo è venuta a illuminare le tenebre della menzogna e della morte e a rischiarare le anime degli “uomini di buona volontà”.
Da quella luce è nata l’unica civiltà umana degna di questo nome, da quella luce sono nati i martiri della fede, i monaci e i monasteri, gli eremiti e i cavalieri, le cattedrali e le meraviglie dell’arte, il genio umano e il vero e retto progresso scientifico ed economico, da quella luce sono nati una miriade di santi, capolavoro di carità divina e disposizione al sacrificio.
Il Natale vero, quello che non dà tristezza proprio a nessuno ma può dare forza e serenità a tutti, lo si trova solo in ciò che in televisione e nelle pubblicità non si vede mai: solo nel presepe.
E chi ha per primo realizzato il presepe in un convento vicino Rieti, a Greccio, non lo ha fatto per i felici e ricchi, ma per tutti, nessuno escluso, e lo ha fatto in modo che nessuno, ma proprio nessuno, potesse sentirsi ferito in qualche modo, ma solo arricchito nella fede, nella speranza e nella carità.
Il presepe è oggi l’unico vero “unconventional Christmas”. È l’unico Natale con la N maiuscola, l’unico che dà risposta a ogni domanda, forza a ogni debolezza, serenità a ogni inquietudine, ricchezza a ogni povertà, senso a ogni vita, anche alla più misera e infelice. Basta scoprire che ogni sofferenza, piccola o grande che sia, solitudine, povertà, malattia, rimorso, diviene un’immensa ricchezza se vissuta in unione a quel Bambino nella mangiatoia e offerta in dono alla Sua Divina Madre, a Colei che ci donò l’autore della Vita e tramite Lui la salvezza e la gioia.
Il Natale no, ma il natale ferisce l’anima.
Il natale? Ma se è la festa dei bambini? Non è la festa delle famiglie? Non è forse la festa della neve (a natale deve nevicare per forza, anche se non nevica quasi mai), dei doni sotto l’albero, del panettone e del pandoro, dei dolci natalizi, delle famiglie ricche di soldi e ricche di persone felici e felici di rincontrarsi, in case ricche e addobbate meravigliosamente, con bambini che saltano gioiosi, nonni sereni, genitori felici, cani che scodinzolano e gatti che fanno le fusa, piene di luci, con alberi fantasticamente addobbati e regali splendenti da tutte le parti? Non è forse la festa nella quale “si può fare di più”?
È proprio questo il punto. Il natale miete vittime proprio per tutto questo. Per tutto quello che lo hanno voluto far diventare dal dopoguerra a oggi e per come ogni anno, infallibilmente, immancabilmente, e sempre prima (ormai già a inizio novembre) ce lo presentano in televisione e nelle pubblicità. Miete vittime fra le persone sole, perché hanno perso la famiglia o non l’hanno mai avuta. O perché non sono stati in grado di mantenerla unita. Fra le persone dimenticate dai figli o dai coniugi, che passano il natale ricordando il passato. Fra le persone malate o anche fra chi ha perduto la libertà. Fra le persone che non si possono permettere la casa splendente di luci e di doni e si vergognano. Miete vittime fra quei bambini che hanno perduto i genitori o sono costretti a passare la sera del 24 con uno e il pranzo del 25 con un altro. Miete vittime fra chi ha perduto la fede, fra chi è disperato, fra chi non riesce a venire a capo, fra chi odia o è odiato, fra chi semplicemente non sopporta questa immensa costruzione di ipocrisia e falsità che è diventato il natale del consumismo occidentale.
Questo natale, miete vittime. E queste vittime non sono un gruppo di sfortunati, che non mancano mai nelle svariate situazioni umane. Sono milioni. Nella migliore delle ipotesi, sono semplicemente tutti coloro che del natale non gliene importa nulla, che fanno finta di sorridere a parenti che non sopportano o che non vedono da un anno, e che nel loro cuore contano i minuti perché si arrivi al 26. A conti fatti, forse, ci si accorgerebbe che questa moltitudine, in tutte le sue sfaccettature (che sono innumerevolmente più numerose delle pochissime sopra citate) è costituita dalla grande maggioranza degli uomini e delle donne di quella che un tempo fu la società cristiana.
La verità è che il natale della televisione e dei negozi pieni, della perfezione e della gioia imposta a comando, delle famiglie meravigliose e dell’opulenza strafottente, miete vittime di infelicità. E ha stancato.
Questa è la verità, e nessuno lo dice, per non disturbare.
Ma vi è un’altra verità, ancor più vera, se così si può dire. Ovvero, che tutto questo non ha nulla a che vedere con il Natale.
Se tutte le categorie di infelici o di semplici disinteressati sopra indicate più tutte le altre non indicate capissero quale è il vero Natale, provassero non l’invidia o almeno la tristezza che produce il consumismo ma la gioia che deriva da Chi è si è incarnato povero tra i poveri per donarci la più grande e infinita di tutte le ricchezze, troverebbero la risposta al senso della loro sofferenza, della loro solitudine, troverebbero di che riempire il loro menefreghismo, e capirebbero quale meravigliosa occasione per ogni uomo può essere il Natale.
Il Natale è la festa di quella Forza infinita d’amore e giustizia che ha spento il fuoco dei sacrifici idolatrici, che ha svuotato le pire dei sacrifici umani, che riempito i cuori della speranza della vita eterna, che ha aperto le menti alla Verità eterna e le volontà alla carità fraterna, che ha fatto scoprire all’uomo il valore infinito del perdono, dell’accettazione della croce, della gioia che deriva dal sacrificio accettato e finanche ricercato, della serenità che deriva dal vivere in retta coscienza o dall’aver ricevuto il perdono di Dio tramite il pentimento, del valore della vita spesa nella lotta in difesa del Vero, del Buono, del Giusto e del Bello, della vita intesa come milizia al servizio di Dio, della sua unica Chiesa e del Bene del prossimo. È la festa della scoperta della gioia del dono.
Sull’esempio di Chi si è donato in una mangiatoia al mondo intero, vittima sacrificale d’amore infinito, e lo ha fatto – Lui bambino con un padre putativo e una Madre vera – senza però altri bambini e parenti, senza alberi meravigliosi, case fantastiche, pandori e torroni, e tutto l’orpello che è bello per pochi fortunati e peso di tristezza per milioni di persone.
Non che non sia giusto è bello festeggiare il Natale anche in bellezza, fare doni (come doni furono portati a quel Bambino nella mangiatoia), per chi ha la fortuna e la grazia di poterselo permettere, sia dal punto di vista umano che da quello economico. Non che non sia giusto stare in famiglia e mangiare pure tutti insieme. Ma è necessario ricominciare a ricordare a tutti che l’unica vera gioia è solo in quella mangiatoia, perché la Luce del mondo è venuta a illuminare le tenebre della menzogna e della morte e a rischiarare le anime degli “uomini di buona volontà”.
Da quella luce è nata l’unica civiltà umana degna di questo nome, da quella luce sono nati i martiri della fede, i monaci e i monasteri, gli eremiti e i cavalieri, le cattedrali e le meraviglie dell’arte, il genio umano e il vero e retto progresso scientifico ed economico, da quella luce sono nati una miriade di santi, capolavoro di carità divina e disposizione al sacrificio.
Il Natale vero, quello che non dà tristezza proprio a nessuno ma può dare forza e serenità a tutti, lo si trova solo in ciò che in televisione e nelle pubblicità non si vede mai: solo nel presepe.
E chi ha per primo realizzato il presepe in un convento vicino Rieti, a Greccio, non lo ha fatto per i felici e ricchi, ma per tutti, nessuno escluso, e lo ha fatto in modo che nessuno, ma proprio nessuno, potesse sentirsi ferito in qualche modo, ma solo arricchito nella fede, nella speranza e nella carità.
Il presepe è oggi l’unico vero “unconventional Christmas”. È l’unico Natale con la N maiuscola, l’unico che dà risposta a ogni domanda, forza a ogni debolezza, serenità a ogni inquietudine, ricchezza a ogni povertà, senso a ogni vita, anche alla più misera e infelice. Basta scoprire che ogni sofferenza, piccola o grande che sia, solitudine, povertà, malattia, rimorso, diviene un’immensa ricchezza se vissuta in unione a quel Bambino nella mangiatoia e offerta in dono alla Sua Divina Madre, a Colei che ci donò l’autore della Vita e tramite Lui la salvezza e la gioia.
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