Non c’è nulla come la presunta emergenza smog per mettere in rilievo la cialtronaggine dei politici e l’inconsistenza degli ecclesiastici.
Cominciamo dai primi: come stiano le cose riguardo allo smog lo abbiamo già spiegato in due articoli (qui e qui). In sintesi: gli alti livelli di smog di questi giorni non cancellano la realtà di un inquinamento atmosferico in costante diminuzione da alcuni decenni a questa parte, tanto che seppure le concentrazioni di polveri sottili sono da oltre un mese sopra i livelli definiti accettabili restano pur sempre al di sotto dei livelli a cui si era abituati 30 anni fa.
Cominciamo dai primi: come stiano le cose riguardo allo smog lo abbiamo già spiegato in due articoli (qui e qui). In sintesi: gli alti livelli di smog di questi giorni non cancellano la realtà di un inquinamento atmosferico in costante diminuzione da alcuni decenni a questa parte, tanto che seppure le concentrazioni di polveri sottili sono da oltre un mese sopra i livelli definiti accettabili restano pur sempre al di sotto dei livelli a cui si era abituati 30 anni fa.
L’attuale situazione è cioè da imputarsi a condizioni meteo eccezionali: non piove e non tira vento da due mesi, per cui le sostanze inquinanti ristagnano nell’aria. Un evento certamente non piacevole né salutare, ma transitorio, e che non va neanche sovrastimato e soprattutto preso a pretesto per interventi straordinari che si risolveranno in grosse spese pubbliche senza peraltro ottenere benefici rilevanti.
Ebbene, davanti a questa situazione, nel migliore dei casi sindaci, governatori e membri del governo invece di spiegare – dati alla mano – come stanno le cose, vanno dietro agli allarmismi e chiedono, annunciano, polemizzano a soli scopi elettorali. Poi, cominciano a fioccare statistiche sulle morti per inquinamento e il più cialtrone di tutti, il comico a 5 stelle, imputa all’inquinamento i 68mila morti in più che complessivamente in Italia ci saranno nel 2015 rispetto al 2014. Una menzogna smascherata dallo stesso professor Giancarlo Blangiardo – il demografo responsabile dello studio che ha messo in rilievo questo dato – ma che non ha ovviamente fermato la strumentalizzazione.
A proposito però di speculazioni sulle migliaia di morti per inquinamento che vorrebbero assimilare Milano, Torino e Roma a Pechino o, peggio, alla Londra dei primi anni ’50 (quando i morti per smog c’erano davvero) occorre ricordare qualche altro dato. Perché se davvero le cose stessero così come ce le stanno raccontando non si spiegherebbe come mai a Milano – capitale dell’inquinamento - l’aspettativa di vita alla nascita sia di gran lunga superiore a quella media nazionale.
Guardiamo alle tabelle Istat: nel 2014 in Italia l’aspettativa di vita era 80,3 anni per i maschi e 84,9 per le femmine; a Milano era di 81,4 per i maschi e 86,1 per le femmine. Se poi prendiamo la serie storica ci accorgiamo che in venti anni l’aspettativa di vita alla nascita – sempre a Milano - è cresciuta di sette anni per i maschi (era di 74,2 anni nel 1994) e di quasi 5 anni per le femmine (era 81,3 nel 1994). Analoga la situazione a Torino: nel 2002 (anno da cui comincia la disponibilità dei dati) l’aspettativa era di 77,1 anni per i maschi e di 83,1 per le femmine contro gli attuali 80,7 e 85,2. Ma anche Roma non fa eccezione nel miglioramento: 80,3 anni per i maschi e 84,7 per le femmine nel 2014 contro rispettivamente i 74,4 e gli 80,8 del 1994. Numeri che mal si conciliano con il tragico scenario che ci viene dipinto.
Guardiamo alle tabelle Istat: nel 2014 in Italia l’aspettativa di vita era 80,3 anni per i maschi e 84,9 per le femmine; a Milano era di 81,4 per i maschi e 86,1 per le femmine. Se poi prendiamo la serie storica ci accorgiamo che in venti anni l’aspettativa di vita alla nascita – sempre a Milano - è cresciuta di sette anni per i maschi (era di 74,2 anni nel 1994) e di quasi 5 anni per le femmine (era 81,3 nel 1994). Analoga la situazione a Torino: nel 2002 (anno da cui comincia la disponibilità dei dati) l’aspettativa era di 77,1 anni per i maschi e di 83,1 per le femmine contro gli attuali 80,7 e 85,2. Ma anche Roma non fa eccezione nel miglioramento: 80,3 anni per i maschi e 84,7 per le femmine nel 2014 contro rispettivamente i 74,4 e gli 80,8 del 1994. Numeri che mal si conciliano con il tragico scenario che ci viene dipinto.
Ragionassimo come gli ecologisti dovremmo dire che l’inquinamento fa bene alla salute, ma è evidente che le spiegazioni sono altre perché la realtà è più complessa degli slogan di politici e militanti. Dobbiamo pensare soprattutto al generale miglioramento delle condizioni di vita, economiche e non solo, che permettono una migliore alimentazione, di proteggersi meglio dal caldo e soprattutto dal freddo eccessivo, di accedere a migliori servizi sanitari, e così via. Allo stesso modo lo sviluppo permette la realizzazione da una parte e l’acquisto dall’altra di nuove tecnologie meno inquinanti, che a loro volta – come abbiamo visto – migliorando le condizioni dell’aria migliorano anche la salute.
È molto importante capire questo circolo virtuoso perché, ora, il perdurare della crisi economica potrebbe invertire la tendenza. Il picco di morti nel 2015 potrebbe essere proprio il segno di questa inversione, altro che smog.
Ma veniamo a certi ecclesiastici: è davvero fragoroso il silenzio in questi giorni dopo l’ubriacatura della Conferenza di Parigi sul clima di appena due settimane fa. Dove sono finiti tutti quei monsignori che marciavano contro i cambiamenti climatici, facevano e invitavano a fare omelie per spiegare la drammaticità del riscaldamento globale provocato dall’uomo, che parlavano di ultima spiaggia per salvare il pianeta? In questi giorni non uno ha pronunciato una parola di giudizio sull’«emergenza smog», eppure il clima c’entra e molto. Perché basterebbe una bella pioggia o un po’ di vento per riportare le polveri sottili sotto controllo. Certo, con il loro silenzio ci hanno risparmiato un po’ di inutili emissioni di anidride carbonica, ma possiamo anche sperare che qualcuno si sarà reso conto che l’ideologia non riesce a dare una risposta ai problemi posti dalla realtà.
Basterebbe un po’ di pioggia, un cambiamento delle condizioni meteo; sarebbe necessario non solo per chi respira in città ma anche per gli agricoltori che vedono i loro raccolti a rischio per questa prolungata siccità. Eppure a nessuno di questi importanti monsignori viene in mente ciò che ai semplici parroci di non molto tempo fa sarebbe venuto immediato: pregare perché il Signore mandi la pioggia. La Chiesa prevede anche una messa speciale a questo scopo, così come per altre «necessità particolari», ma chi se lo ricorda? Roba da sciamani o da pagani, pensa qualcuno, figurarsi se un vescovo post-conciliare può credere in queste cose. Invece bisognerebbe essere consapevoli che Dio è davvero il Signore della natura, è davvero il Creatore, capace – come Gesù ha mostrato più volte ai suoi discepoli – di comandare alle forze della natura.
Ormai chi si è convinto che tutto dipende dalle attività dell’uomo, spenderà piuttosto i soldi delle offerte per mettere i pannelli solari in parrocchia (gesto profetico che dovrebbe avere l’effetto di fermare il riscaldamento globale: questo sì che è sciamanesimo!), ma non gli verrà in mente di proporre una novena a san Giuseppe o di celebrare messe particolari per invocare la necessaria pioggia.
Solo la confessione e la domanda di Misericordia liberano dal peccato che inquina i cuori e il mondoIl peccato che inquina il cuore dell’uomo e il mondo, la Confessione che cu riconcilia con Dio e il Giubileo della Misericordia, un anno straordinario che mette al centro proprio il confessionale, indetto da Papa Francesco. In occasione del Santo Natale il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, ha scritto una bella lettera ai confessori. La Nuova Bussola lo ha intervistato.
In occasione del Santo Natale il Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, ha scritto una bella lettera ai confessori (clicca qui). Quest’anno la lettera ha un sapore particolare, visto che da pochi giorni siamo entrati nel Giubileo della Misericordia, un anno straordinario che mette al centro proprio il confessionale.
Eminenza, in occasione del Santo Natale ha scritto una lettera ai confessori anche per ringraziarli del «generoso ministero»che svolgono. Tra l'altro, dal suo scritto emerge che quello della confessione è il luogo privilegiato per la difesa ecologica. Perché salva «dal più letale degli smog». In che modo?
«L’inquinamento, causa ultima di tutti gli inquinamenti è il peccato. È il peccato che de-ordina dal fine, è il peccato che scatena quegli elementi egoistici che, a vasto raggio, determinano i vari tipi di inquinamento dell’ambiente. É il peccato che porta l’uomo a sfidare la natura, a sostituire Dio con l’Io. La società, in genere, quando si parla di inquinamento è portata a pensare immediatamente al surriscaldamento dell’atmosfera, allo scioglimento di ghiacciai, al disboscamento selvaggio e così via. Allora, rispondendo talvolta anche a orientamenti politici, si organizzano incontri, tavole rotonde, programmi di sensibilizzazione dei diversi ambienti. Tutte cose positive e magari anche doverose, sì! Ma poiché non si va al cuore dell’uomo, si tratta di porre dei cerotti anziché di lavorare direttamente sulla malattia e di seguire, conseguentemente, il trattamento terapeutico adeguato. Si è talmente fuori strada che si fanno magari campagne perché talune specie animali rischiano l’estinzione e poi non si batte ciglio sui milioni di bambini abortiti ogni anno, una vera ecatombe, da rabbrividire. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Allora si comprende perché il confessionale diventa il luogo di difesa dell’ecologia integrale e autentica. Lì, a seguito di un onesto esame di coscienza, di un autentico pentimento, di un sincero desiderio di cambiare vita, con la grazia di Dio e la gioia che deriva dal sentirsi riconciliati con Dio e con il prossimo, nasce un uomo rinnovato, pulito, in comunione con tutti, anche con il creato. Allora si guarda con occhi nuovi. Se onestamente rileggiamo i dieci Comandamenti e le otto Beatitudini, allora ci accorgiamo che l’osservanza di essi garantirebbe un mondo migliore nel quale si vivrebbe come un mottetto polifonico. Rendiamoci conto che i doveri che abbiamo nei confronti dell’ambiente sono correlati ai doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e disattendere gli altri. Questa è una gravissima antinomia della mentalità corrente che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società. Tutte le nobili questioni legate all’ambiente e alla sua salvaguardia sono intimamente connesse con il tema dello sviluppo umano armonico e integrale. Sono tutti concetti sempre portati avanti dal Magistero autentico e perenne della Chiesa, anche di recente ribaditi dall’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco».
Il sacramento della Confessione sembra essere in crisi. Il cardinale Martini, ad esempio, in un itinerario quaresimale segnalava la differenza tra un “pentito giudiziario”, che non purifica il cuore, e il riconoscimento della colpa davanti a “Colui che cambia il cuore”. É il senso del peccato ad essere in crisi?
«Le crisi di questo genere hanno come radice una crisi di fede. Quando diminuisce la fede diminuisce la pratica della Confessione in quanto alla diminuzione di fede fa riscontro consequenziale la diminuzione, fino alla perdita, del senso del peccato. Anche la diminuzione del senso della santità e della maestà di Dio inducono alla diminuzione del senso del peccato. Se ripensiamo a quello che leggiamo sui quotidiani, quello che vediamo in televisione, quello che cogliamo nei discorsi di molta gente, ci rendiamo poi conto che si verifica un dissociamento comportamentale: da una parte c’è un duro rigorismo pubblico in forza del quale ci si scandalizza di tutti e di tutto, anche acriticamente o con toni sbilanciati e cattivi, da un altro lato vige un estremo permissivismo individuale in base al quale si perdona tutto a se stessi. Talvolta si “divinizzano” persone che poi, col tempo, magari cadono miseramente e talvolta si “demonizzano” persone che poi, col tempo, magari si rivelano innocenti perseguitati da livide malevolenze pregiudiziali. Ma dobbiamo ricordare che la legge di Dio è una e indivisibile e va rispettata in tutti i suoi aspetti e le sue rifrazioni. Vale in tutti i campi: quelli dell’economia e della finanza, come quelli dell’informazione e della politica, quelli del comportamento personale, familiare, civico ed ecclesiale. Innanzi alla legge di Dio non ci sono privilegi: nessuno può infangarla impunemente, nemmeno i personaggi più autorevoli per ruolo, neppure i più famosi e i più idolatrati, neppure gli “intoccabili”. Talvolta, poi, si pensa che determinati peccati fossero ritenuti tali in un periodo storico, ma in un altro no, per uno strano concetto di “evoluzione”. Certamente tutto ciò che è secondario può mutare e, talvolta, addirittura deve mutare, ma come dice il Salmo «la Parola di Dio rimane in eterno»; essa è sempre identica a sé e non muta in nulla con il mutare delle instabili leggi umane e con le mode transeunti».
Dunque il nostro tempo ha perso il senso del peccato?
«In parte mi pare di aver risposto ma, soprattutto per l’esperienza che ho come confessore – ed ho sempre confessato molto, come pure continuo a fare con gioia- in un certo senso c’è pure un pungente senso del peccato ma, purtroppo, del peccato degli altri e non del proprio. Non è bello, né tanto meno giusto, battere il petto degli altri anziché il proprio. É uno sport molto praticato, salvo magari frasi manieristiche di mielosa umiltà. Quanta intransigenza per gli altri e quanta indulgenza con se stessi! Bisogna tener vivo il senso del nostro peccato personale. Dobbiamo lasciarci convertire dall’azione dello Spirito Santo e riversare sugli altri quello stesso torrente di misericordia rigenerante che il Signore riversa su di noi al momento in cui il nostro Redentore, per il tramite del Sacerdote Confessore, pronuncia la formula dell’assoluzione sacramentale».
In questi giorni festeggiamo il Santo Natale, l'Avvenimento che ha cambiato le sorti della storia e di ogni uomo. Nell'Anno della Misericordia, in particolare, cosa può significare celebrare il mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio?
«Ma il Natale è, in se stesso, Avvenimento di Misericordia! La Misericordia è la ragione dell’azione creatrice e dell’azione salvifica di Dio. La Misericordia è il senso ultimo dell’universo. Come ricorda sant’Ambrogio, Dio ha plasmato l’uomo come capolavoro finale, come apice della creazione perché in lui ha trovato qualcuno al quale poter perdonare i peccati (cf S.Ambr.,Exameron IX,76); è un Dio che dall’eternità ha deciso di donarci il suo Unico Figlio come grande sacramento della divina pietà (cf Timoteo,3,16), perché egli diventasse per noi “sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1,30). Il nostro Dio è “buono e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore” (salmo 102,8). Il Natale è capolavoro di Misericordia. Di qui la gioia come tema dominante delle festività natalizie. É la gioia di essere stati raggiunti dalla verità; di essere stati raggiunti dalla grazia; di essere stati redenti e conquistati dalla “gloria dell’Unigenito del Padre”, che è venuto a noi “pieno di grazia e di verità” (cf Gv 1,14). La celebrazione del mistero dell’Incarnazione salvifica nell’Anno della Misericordia ci stimola a una sincera revisione di vita davanti alla grotta di Betlemme nel presepe per gettarci poi, con l’umiltà insegnataci dal Santo Bambino, fra le braccia del Padre delle Misericordie in una confessione rigenerante e varcare poi la Porta Santa, passare al di là di un vecchio modo di agire e poter ricevere il dono dell’Indulgenza plenaria, ovvero anche la remissione di tutti i residui di pena da scontare come purificazione dalle scorie del peccato. Che gioia passare quella Porta, puliti come dopo il Battesimo. Sì “quoniam in aeternum misericordia eius”, perché in eterno è la sua misericordia!».
"INQUINAMENTO" DIECI ANNI DOPO: AVEVO RAGIONE IO
Galoppini Enrico | 29-12-2015
Galoppini Enrico | 29-12-2015
Nebbia e scie chimiche
“Inquinamento” dieci anni dopo: avevo ragione io…
Dopo più di due mesi che non si vede una goccia d’acqua, senza nemmeno un alito di vento, la Pianura Padana è ridotta ad un’enorme “camera a gas”. Le sue città sono si sono trasformate in una trappola mortale, dove morire è il meno che possa accadere: i danni all’apparato respiratorio, e non solo quelli, producono legioni di malati cronici, per la sopravvivenza della casta dei “dispensatori di salute” e di quei ‘mecenati’ che indebitano per statuto gli enti pubblici, altri malati cronici in perenne debito d’ossigeno. In queste condizioni, più che vivere si sopravvive, e il tanto sbandierato allungamento della “speranza di vita” si trasforma in una beffa.
Ma a prescindere dalle avverse condizioni meteorologiche, e da chi si diverte a giocare sulle nostre teste col pretesto del “controllo del clima”, va anche detto che a terra non è che si brilli per acume e lungimiranza.
L’abuso dell’automobile è una piaga dalla quale non ci si riesce a liberare, specialmente perché tutto converge solidalmente e criminalmente nell’incitamento a sostenere le case produttrici. “Mafia, per non dire Capitalismo”, avrebbe commentato l’amico Carmelo R. Viola.
Qui però c’è anche dell’altro. C’è la stupidità umana. E lo sanno bene quelli che “invitano” a non prendere l’auto e che “consigliano” di tenere il riscaldamento domestico entro i 20 gradi. Tutte misure sensate, per carità, ma mai nessuno che prendesse la situazione di petto. Non sia mai detto che il “libero mercato” e il mito del comfort vengano intralciati… Non si può fare nulla: al punto che un serio piano di mobilità pubblica finirebbe in odor di “Stato etico”.
La salute pubblica non può mettersi davanti alla marcia del Progresso! E allora avanti tutta, con dosi sempre più massicce di “polveri sottili”, misurate da “agenzie” placebo, dove altra gente ha trovato un “impiego”. “Agenzie” che misurano solo le particelle di inquinamento superiori ad una certa dimensione (le famose pm10), mentre dall’alto veniamo sistematicamente irrorati con nanoparticolato d’alluminio ed altre delizie dell’ordine delle pm2.
Stabilito che nulla cambierà perché così deve andare avanti, cos’altro aggiungere? Nulla, tranne una piccola, amara soddisfazione personale. Dieci anni fa avevo descritto e spiegato esattamente l’attuale situazione che di nuovo riempie i palinsesti dei notiziari tanto per parlare di qualcosa ed allungare il proverbiale “brodo”. Nessun politico o “amministratore” locale mi ha ascoltato. Al che, passati dieci anni tondi, ripropongo – a mo’ di lunghissima nota a piè di pagina – tre articoli scritti per un giornale pisano che denuncia ancora errori ed orrori della cosiddetta “politica” locale.
Avrei certamente preferito non dover ripubblicare nulla.
***
I danni dell’ideologia liberale: l’abuso dell’automobile
di Enrico Galoppini
(“Luci sulla città”, a. 1, n. 1, gennaio 2005; ripubblicato su “Il Consapevole”, n. 2, 2005)
È un fatto, che ogni ideologia, prima d’addentrarsi in prescrizioni d’ordine economico, sociale, culturale e politico, si fonda su un’antropologia, ovvero postula un preciso ‘discorso’ sull’uomo: “l’uomo è per sua natura buono”, “l’uomo è fondamentalmente egoista”, “l’uomo è così e cosà” e via astraendo… In tutti i casi, si tratta di un discorso invariabilmente fallace perché riduttivo, soprattutto poiché tende a forzare, illusoriamente, l’uomo in una pretesa ‘realtà’. Così, la realtà, che per quanto attiene l’ambito delle relazioni interumane si risolve in un continuo divenire, deve purtroppo adattarsi sempre all’ideologia e ai capricci di coloro che se ne fanno portatori, ma se l’esperienza ci pone di fronte al palese scacco delle premesse ideologiche (e quindi antropologiche) in voga, tanto peggio per la realtà!
Ora, il liberalismo, che in tutte le sue varianti di destra, di centro e di sinistra è l’ideologia dominante del momento (sebbene sia piuttosto abile a camuffarsi come a-ideologico), non fa certo eccezione a questa ferrea e perversa regola. Il liberalismo, com’è noto, postula un’antropologia di tipo utilitaristico: l’uomo persegue sempre il maggior vantaggio per sé, e la somma di tale tensione individuale al massimo benessere dovrebbe, come per incantesimo, produrre un risultato positivo per gli altri, quindi per l’intera collettività. A temperare le eventuali disfunzioni del «sistema» (forse qualche dubbio anche i liberali devono averlo…) basterebbe la raccomandazione per cui “la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”.
L’immagine che per tal via i liberali intendono evocare è quella di una società di persone rispettose l’una dell’altra, di cittadini dall’elevato senso civico. Eppure, ad una neanche troppo approfondita osservazione del quotidiano tutto ciò si rivela per quel che è: una favola. In campo economico, col «liberismo», la prima favola è quella della «mano invisibile» del «mercato»: si pensi proprio ai produttori d’automobili, che senza lo Stato così solerte nel predisporre strade ed autostrade mai e poi mai avrebbero potuto «liberamente imporsi» nel settore industriale…[1]. Quindi, la «tensione utilitaristica» dei produttori d’auto ha prodotto – pensate un po’ – innanzitutto un diretto vantaggio per loro. Mentre al resto, alla «massa», tutto un apparato d’imbonimento collettivo messo su allo scopo deve comunicare l’impressione d’essere coinvolto in questa cuccagna. Si pensi ai lavoratori del settore dell’auto, settore che ha segnato l’avvio della «produzione in serie» (l’«organizzazione scientifica del lavoro» altrimenti definita come taylorismo), la quale a sua volta ha aggiogato l’operaio («specializzato») alla catena di montaggio. Ciò ha coinciso con l’invenzione dell’utilitaria, dell’«automobile per tutti», la «Ford T» prodotta nell’America degli anni Venti e Trenta in milioni di esemplari e, fatto rilevante, venduta a prezzi accessibili ai più, compresi gli stessi operai che vedevano aumentare i propri salari proprio per essere introdotti nella spirale del consumismo[2]. Risulta dunque chiaro che in tutto questo c’è solo qualcuno, una élite, che ha tratto un netto beneficio…
Ma a questo punto interviene il provvidenziale apparato pubblicitario della «creazione dei bisogni». Alzi la mano chi non ha associato, almeno una volta, «libertà» a «liberalismo» e «liberismo». L’ho fatto anch’io. Fino a che ho preso coscienza che l’unica libertà oggi concepita (e difesa: “è in gioco il nostro tenore di vita”, si è artatamente agitato in occasione della banditesca aggressione all’Iraq) è quella di «consumare»[3]. Nel caso specifico dell’automobile si tratta di una libertà che si esplica in una dipendenza sempre crescente dalle esigenze (indotte dalla pubblicità dei «solo per te», «tu vali» ecc.) dello strumento che si presupponeva dovesse affrancare l’uomo da supposte limitazioni poste alla sua «libertà» (ad es. «di spostamento»). Eppure, a fronte del crescente inurbamento, che consiglierebbe una razionale politica di trasporti pubblici, si assiste all’esponenziale crescita del traffico automobilistico (e scooteristico), con lenostre (e non dei gruppi di pressione e dei loro esecutori d’ordini) città che s’avviano a trasformarsi in terrificanti distese di parcheggi quando invece ci sarebbe bisogno di ben altro.
Inoltre l’«automobilista» è uno che alla «libertà» ci tiene. E, soprattutto, va a votare. Per questo nessun politico assennato prenderà mai provvedimenti che possano contrariarlo. Se aggiungiamo che anche i gruppi di pressione dei produttori d’auto (e delle compagnie petrolifere) sono parimenti intoccabili, si capisce perché l’invivibilità generata dal traffico urbano è – come chiunque può osservare – in progressivo aumento. Con i cantori dello «sviluppo sostenibile» intenti a stendere provvidenziali ‘cortine fumogene’ volte ad indorare la proverbiale pillola…
Ma ancora non si è andati al fondo del problema. Accade difatti che anche un’antropologia fasulla alla lunga impone un tipo umano. Come quel tale del proverbio, che a forza di frequentare lo zoppo impara a zoppicare. L’uomo informato dal paradigma liberale è in pratica il trionfo delle premesse a-sociali del liberalismo, l’apoteosi dell’individualismo, degenerazione di una naturale tendenza a curare anche il proprio tornaconto. Con buona pace dell’antica e sana idea di societas, organizzata in base ad una «morale societaria» nella quale sono contemplate e contemperate le idee (e quindi gli apporti) di tutti i cittadini che, naturalmente, vogliono «vivere insieme». L’esatto contrario è quel che avviene oggi, dove l’unico punto di vista ammesso è quello di coloro che abbracciano il paradigma dell’ideologia liberale… col risultato che “la mia libertà” non “finisce” più, o meglio è finita nel Far West del traffico!
Il punto di non ritorno di un’autentica sovversione della natura viene infine raggiunto quando anche coloro che in linea di principio sarebbero contrari alla distruttiva e masochista tendenza impostasi si rendono conto d’essere legati mani e piedi a ciò che contestano. Ecco che, a causa dell’incuria verso ogni coscienziosa e risolutiva politica del trasporto urbano, anche i più fieri paladini di un corretto uso dell’automobile devono arrendersi e conformarsi all’andazzo generale. Ovverosia l’esatto contrario delle premesse dell’ideologia liberale: la tensione al «massimo vantaggio per sé» ha prodotto una sommatoria di «svantaggi individuali», causa di un «massimo svantaggio» per la comunità nel suo complesso.
L’angosciante delirio collettivo delle file chilometriche di dannati del traffico, con i relativi danni ambientali – e alla salute di chi non abusa dell’auto – e le perdite secche sul piano energetico, nonché di tempo per chi passa anni della propria vita chiuso in un abitacolo (dotato di tutti icomfort!), è solo la manifestazione ultima di una patologia sociale, o meglio di un disordine antropologico.
Note:
[1] Cfr. J. Kleeves, La leggenda del capitalismo e del libero mercato, “Italicum”, nov.-dic. 2000 (http://www.centroitalicum.it/giornale_2000/kleeves1112_00.htm).
[2] Cfr. il dossier Contro l’automobile, curato da A. de Benoist per il n. 86, 1996, della rivista “Eléments” e tradotto sul n. 232, gen. 2000 (pp. 4-21), del mensile “Diorama Letterario” (http://www.diorama.it/n232.html).
[3] Cfr. Ch. Champetier, Homo consumans. Morte e rinascita del dono, (trad. it.) Arianna, Casalecchio di Reno 1999.
***
Curiose coincidenze: «targhe alterne» e auto «euro 4»
di Enrico Galoppini
(“Luci sulla città”, a. 1, n. 5, maggio-giugno 2005)
I recenti provvedimenti istitutivi della circolazione «a targhe alterne» sono stati presi, ufficialmente, per attenuare i nocivi effetti dell’«emergenza smog». Ma come ciascuno di noi, per esperienza diretta, può osservare, tali provvedimenti risultano inadeguati a fronteggiare quello che – come ho già scritto su questo giornale (v. n. 0, gennaio 2005) – non è una semplice e passeggera «disfunzione del sistema», bensì un problema d’ordine strutturale, ovvero antropologico, sociologico e politico. Per tornare a respirare finalmente dell’aria buona in città, si dovrebbe perciò «cambiare mentalità». Altrimenti, le «targhe alterne», oltre che a non servire a nulla (anche perché i controlli latitano e molti automobilisti fanno i furbi), vengono percepite dai cittadini come un ostacolo imposto all’espletamento delle loro quotidiane esigenze. Con un certo margine di ragione, in mancanza di una risolutiva politica dei trasporti pubblici…
Dunque, ricapitolando, la situazione è questa: esiste un’«emergenza smog» alla quale chi governa (cioè è delegato dal popolo a governare) oppone dei palliativi, mentre la mentalità diffusa resta ancorata ad un insano individualismo (perché ne esiste anche uno sano!), che a sua volta alimenta tale «emergenza».
Bisogna dunque spezzare questo circolo vizioso, colpendo i vari anelli della catena ed individuandone le connessioni, più o meno dirette e/o volontarie. Ad esempio, risulta di una solare evidenza la sincronia dell’istituzione – in tutta Italia – delle «targhe alterne» col lancio delle campagne pubblicitarie delle auto «euro 4», quelle che, come recita una réclame, possono circolare «anche quando vigono le targhe alterne»…
In un mondo normale, il potere politico, di fronte ad una così smaccata sconfessione dei suoi sforzi per tutelare la salute pubblica, dovrebbe intervenire e proibire simili messaggi pubblicitari. Ma, si dirà, non si può, perché c’è il «libero mercato», la «libertà d’espressione» ecc. ecc. Tutte chiacchiere. Il mio sospetto è invece che le cose siano ben peggiori ed inconfessabili: le «targhe alterne», in mancanza di mezzi pubblici adeguati, creano effettivamente solo delle difficoltà, quindi non è esatto dire che non servono a nulla… servono invece a far vendere nuove automobili, immancabilmente presentate come «ecologiche», «verdi» e via raggirando. Ripeto, la simultaneità delle «targhe alterne» (che potevano essere istituite in qualsiasi altro momento) e del lancio delle auto «euro4», entrambi a livello nazionale, induce a pensar male.
Così anche per questa volta, verrà salvato l’interesse delle lobby petrolifere, dei costruttori d’auto, e dei politici stessi, che remando contro l’interesse generale (la tutela della salute pubblica) puntano a garantirsi la rielezione. Dopo le «rottamazioni» di qualche anno fa, gli italiani dovranno tirare fuori altri quattrini, sentendosi raccontare che tutto ciò è in «sostegno dell’industria nazionale» e in difesa dei posti di lavoro dei lavoratori delle industrie automobilistiche e di quelli dell’indotto[1]. Il solito ricatto, dunque, quando invece se si puntasse ad una sostanziale riconversione del settore in funzione della costruzione di mezzi per il trasporto pubblico (treni, autobus, navette, taxi collettivi ecc.) tutti gli interessi verrebbero tutelati. Quello generale, con la salute in primo luogo, e anche quelli particolari dei lavoratori e degli imprenditori, coi politici che, in uno scenario di questo tipo, finalmente tornerebbero a svolgere la loro funzione naturale.
Note:
[1] Ma ciò è falso, ed è dimostrato dalla situazione catastrofica della Fiat emersa dopo le «rottamazioni». Intendiamoci, «catastrofica» per le maestranze, poiché, com’è prassi nel «libero mercato», si privatizzano gli utili – tra pochi – e si socializzano le perdite! Eppure c’è un articolo 46 della Costituzione, mai attuato, che recita: “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
***
Il traffico a Pisa e i palliativi del Comune
di Enrico Galoppini
(“Luci sulla città”, a. II, n. 2, feb.-mar. 2006)
Risolvere il grave problema dell’inquinamento da traffico automobilistico non è facile. Ci vuol poco a proclamare: «tutti a piedi!», oppure, «tutti in bici!», con buona pace di chi, onestamente, non può essere posto di fronte all’unica realtà di ‘arrangiarsi’ se poi non ha a disposizione mezzi pubblici comodi ed efficienti per recarsi, ad esempio, sul luogo di lavoro. Ma la questione, non essendo meramente ‘tecnica’, va affrontata da svariati punti di vista, e soprattutto c’è da intervenire sulla «mentalità collettiva», su quelle inveterate abitudini che malgrado a prima vista ci sembrino irrinunciabili, ad una più attenta disamina si rivelano degli autentici suicidi collettivi. Al fondo dell’abuso dell’automobile (v. «Luci sulla città», n. 1, gennaio 2005) c’è infatti un problema di mentalità. Un tipo umano che evidentemente concepisce molte delle funzioni importanti della propria vita associate all’auto. Alla base dell’abuso dell’auto vi sono determinate concezioni del tempo, della socialità, della mobilità, dello spazio e della città.
Tanto per fare un esempio, non è vero che andando in macchina «si guadagna tempo»: sfido chiunque, ad un’ora di punta, a recarsi dalla periferia di Pisa al centro o viceversa, io in bici e lui in macchina, a svolgere una commissione (non parliamo di due o tre) e tornare indietro: vediamo chi ci mette meno (e chi spende meno!), tra file, semafori e parcheggi.
Certo, non si può attendere che tutti quanti «capiscano» per iniziare a voltar pagina… infatti, il vecchio sistema del «bastone» e della «carota» funziona sempre: è frequente il caso di provvedimenti inizialmente percepiti come gravosi e negativi, ma che poi, rivelandosi di nessun peso e positivi, finiscono per modificare le abitudini e quindi la mentalità.
Ma a Pisa non si corre pericolo che questo accada. Qui la regola è la ‘fuga in avanti’: sperare che con «miglioramenti», «interventi correttivi» ed altre meraviglie «sostenibili» si possa andar avanti con questa follia di massa che è l’autoavvelenamento di una comunità per il (lungimirante) tornaconto materiale di pochi e il (miope) menefreghismo di molti. Così, tanto per non affrontare il nodo cruciale del trasporto pubblico (e pure delle piste ciclabili), il Comune ha pensato bene di far ‘spalmare’ su alcuni chilometri-campione di strade cittadine un prodotto che dovrebbe trattenere buona parte delle c.d. polveri sottili. Qualcuno si è già posto interrogativi sulla eventuale tossicità del miracoloso composto e sulle sue ricadute sulla sicurezza del manto stradale. Ma non è questo il punto. La cosa veramente incredibile è che in pratica (come del resto già dimostrato con la costruzione del mega-parcheggio in Piazza Vittorio) il Comune non crede che il ridimensionamento dell’uso dell’auto sia una cosa civile e utile (si pensi anche all’inquinamento acustico, ovvero al boato che fa da colonna sonora a molte zone di Pisa), ma ribadisce per l’ennesima volta che tutto, in fondo, va bene così; con la maggior parte dei cittadini che probabilmente gradiranno la suddetta sperimentazione-palliativo perché, poveretti, non hanno mai potuto sperimentare altro: perché la mentalità dominante, appunto, è ferma agli anni Settanta o giù di lì, quando quasi si pretendeva di salire in casa con la macchina.
Riflettiamoci un po’ su questo delirio: è come se una casa fosse abitata da gente che mangia pasta e fagioli a pranzo e a cena, con l’aria che diventa irrespirabile, ed uno, per risolvere il problema, anziché far cambiar dieta, proponesse una spruzzatina di profumo!
http://www.stampalibera.com/?a=31089
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.