Il ‘secolo cristiano’ che non sbocciò in Giappone
Michael Hoffman The Japan Times, 19 dicembre 2015

Hasekura Rokuemon (Rokuemon Hasekura)
Natale si avvicina. Cristiani e non, pensano a temi cristiani. Quali sono i temi cristiani? Amore. Perdono. Mansuetudine. Porgi l’altra guancia. Il regno dei cieli. C’era una volta il Giappone quasi cristianizzato. Nel 1549, un missionario basco di nome Francisco Xavier fu il primo a predicare la parola di Cristo sul suolo giapponese. Nel 1638, una rivolta cristiana guidata da contadini affamati nella provincia povera di Shimabara, presso Nagasaki, fu schiacciata con tanta furia genocida da seppellire la “dottrina perniciosa” per 250 anni. Quegli anni sono noti in Giappone come “secolo cristiano”.
Fin dall’inizio, Xavier vide qualcosa di proto-cristiano nel carattere giapponese. I giapponesi, disse, “sono tra i più desiderosi di conoscenza…. Mi sembra che tra i non credenti nessun popolo possa eccellere quanto loro“. I semi che piantò diedero i loro frutti. La dottrina attraeva offrendo la vita eterna in un mondo migliore. I missionari vagavano per la terra, convertendo feudatari uno a uno, e la gente comune in massa. Intorno al 1580 vi erano circa 200 chiese con 150000 fedeli giapponesi. Era l’onda del futuro? Nel 1582, si verificò un evento epocale nella storia del Giappone, la prima missione diplomatica del Giappone in Europa sponsorizzata da tre signori di Kyushu che abbracciarono la fede e volevano relazioni col papa. Gli ambasciatori furono cordialmente ricevuti in Vaticano e tornarono a casa dopo nove anni. Nel 1613, una seconda missione seguì, inviata da Date Masamune, Signore di Sendai. Le sue motivazioni erano in parte religiose e in parte commerciali. Scambi con Spagna e Nuova Spagna (Messico) erano una prospettiva allettante. Anche se non battezzato, Masamune fu istruito alla fede e simpatizzò fino al punto di accogliere nel suo remoto dominio settentrionale profughi cristiani, giapponesi e stranieri, quando la persecuzione stava rapidamente raggiungendo il culmine. Il suo ambasciatore a capo della missione, che per più di otto anni (1613-20) vagò dal Messico a Roma via Francia e Spagna, era un samurai di nome Hasekura Rokuemon (1571-1622), battezzato in Spagna come Francisco Felipe Faxicura. Aveva un messaggio di Masamune per Papa Paolo VI: “Al fine d’incoraggiare i miei sudditi a diventare cristiani, vi auguro d’inviare missionari della chiesa francescana. Vi garantisco che potrete costruire una chiesa e che i vostri missionari saranno protetti“. Era sincero senza dubbio, ma dalla parte sbagliata della storia. Decenni prima della ribellione di Shimabara, il primigenio fervore cristiano del Giappone cominciò a scemare. La prima repressione ufficiale avvenne nel 1587. Anche se applicata scarsamente, annunciò che il peggio doveva ancora venire. Nel 1596, 26 cristiani, sei francescani spagnoli e 20 giapponesi, furono crocifissi a Nagasaki. Quando la missione di Hasekura tornò nel 1620, quei cristiani che non avevano abiurato con la forzata o subito un martirio spaventoso, erano dei fuggitivi, una pietosa accozzaglia che sprofondava verso l’oblio. Hasekura morì in disgrazia nel 1622.
L’amore, il perdono, porgere l’altra guancia, si esplora la tradizione nativa invano per trovarvi degli esempi. Il sacrificio di sé abbonda, ma sotto forma di morte in battaglia, in obbedienza ai supremi comandi del proprio signore. Il Gesù di Endo è una figura pietosa. È il “servo sofferente” del profeta Isaia del Vecchio Testamento, è divino, nella visione di Endo, non per il potere, ma per l’amore. “Disprezzato e reietto tra gli uomini, uomo del dolore“. Nel suo infinito amore, tutto abbraccia e tutto perdona. Il Gesù di Endo, in un certo senso, è il fiore di ciliegio della cultura occidentale. Quando il cristianesimo giunse a bussare alle porte del Giappone, il Giappone, ospitale in un primo momento, infine gli si rivoltò contro dicendo, in effetti “Abbiamo già i fiori di ciliegio“.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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