Giovanni Paolo II e rav Elio Toaff, 1986 |
"A parlare, in un'intervista all'ANSA, è il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, che accoglierà e guiderà Francesco nel Tempio maggiore della più antica comunità ebraica della diaspora. Bergoglio sarà il terzo pontefice a varcare la soglia della sinagoga di Roma, dopo la visita storica di Giovanni Paolo II, il primo pontefice romano - con l'eccezione di Pietro - che mise piede in un luogo di culto ebraico (13 aprile 1986) e quella di Benedetto XVI (17 gennaio 2010). Wojtyla, salutato dall'allora rabbino capo Elio Toaff, si riferì agli ebrei come ai 'fratelli maggiori'. Che ne pensa il mondo ebraico di questa definizione, che continua ad essere così usata? "Io ho sempre detto che è un'espressione un po' ambigua - ha risposto il rabbino -. Dal punto di vista mediatico è di grande impatto. Dal punto di vista teologico-biblico è però problematica, perché il fratello maggiore nella Bibbia e anche nel Nuovo testamento, per esempio nella Lettera ai Romani di Paolo, è il cattivo e il perdente. Quindi in questa espressione vi può essere anche un riferimento al sostituzionismo, anche se di queste cose l'uomo della strada non sa assolutamente niente.
Meglio che ebrei e cristiani si definiscano da soli", ha consigliato con un sorriso."
Ecco il passaggio di san Giovanni Paolo II in occasione, 30 anni fa, della sua visita al Tempio Maggiore di Roma, che forse può aiutare a capire bene i termini della questione posta dal rabbino Di Segni:
"Siamo tutti consapevoli che, tra le molte ricchezze di questo numero 4 della Nostra Aetate, tre punti sono specialmente rilevanti. Vorrei sottolinearli qui, davanti a voi, in questa circostanza veramente unica.
Il primo è che la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l’Ebraismo “scrutando il suo proprio mistero”. La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori.
Il secondo punto rilevato dal Concilio è che agli ebrei, come popolo, non può essere imputata alcuna colpa atavica o collettiva, per ciò “che è stato fatto nella passione di Gesù”. Non indistintamente agli ebrei di quel tempo, non a quelli venuti dopo, non a quelli di adesso. È quindi inconsistente ogni pretesa giustificazione teologica di misure discriminatorie o, peggio ancora, persecutorie. Il Signore giudicherà ciascuno “secondo le proprie opere”, gli ebrei come i cristiani (cf. Rm 2,6).
Il terzo punto che vorrei sottolineare nella dichiarazione conciliare è la conseguenza del secondo; non è lecito dire, nonostante la coscienza che la Chiesa ha della propria identità, che gli ebrei sono “reprobi o maledetti”, come se ciò fosse insegnato, o potesse venire dedotto dalle Sacre Scritture, dell’Antico come del Nuovo Testamento. Anzi, aveva detto prima il Concilio, in questo stesso brano della Nostra Aetate, ma anche nella costituzione dogmatica Lumen gentium (Lumen gentium, 6), citando san Paolo nella lettera ai Romani (Rm 11,28-29), che gli ebrei “rimangono carissimi a Dio”, che li ha chiamati con una “vocazione irrevocabile”."
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/01/italia-il-rabbino-capo-di-roma-e-le-sue.html#more
Rabbino capo Roma Di Segni, Papa con noi contro estremismi
Dialogo ebrei-cristiani cresce, non chiamateci fratelli maggiori
(di Elisa Pinna). (ANSA) - ROMA, 8 GEN - La visita di papa Francesco nella sinagoga di Roma il prossimo 17 gennaio rappresenta, per la comunità ebraica, la conferma di un rapporto di "amicizia, consuetudine e tradizione" tra le due fedi, ma sopratutto un messaggio di "pace" in contrapposizione "all'estremismo dilagante, alle violenze in nome della religione", che sconvolgono i nostri giorni. A parlare, in un'intervista all'ANSA, è il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, che accoglierà e guiderà Francesco nel Tempio maggiore della più antica comunità ebraica della diaspora. Bergoglio sarà il terzo pontefice a varcare la soglia della sinagoga di Roma, dopo la visita storica di Giovanni Paolo II, il primo pontefice romano - con l'eccezione di Pietro - che mise piede in un luogo di culto ebraico (13 aprile 1986) e quella di Benedetto XVI (17 gennaio 2010). Wojtyla, salutato dall'allora rabbino capo Elio Toaff, si riferì agli ebrei come ai 'fratelli maggiori'. Che ne pensa il mondo ebraico di questa definizione, che continua ad essere così usata? "Io ho sempre detto che è un'espressione un po' ambigua - ha risposto il rabbino -. Dal punto di vista mediatico è di grande impatto. Dal punto di vista teologico-biblico è però problematica, perché il fratello maggiore nella Bibbia e anche nel Nuovo testamento, per esempio nella Lettera ai Romani di Paolo, è il cattivo e il perdente. Quindi in questa espressione vi può essere anche un riferimento al sostituzionismo, anche se di queste cose l'uomo della strada non sa assolutamente niente".
"Meglio che ebrei e cristiani si definiscano da soli", ha consigliato con un sorriso. Di Segni accolse, da rabbino capo di Roma, papa Benedetto XVI nel 2010 e farà gli onori di casa a Francesco, il 17 gennaio prossimo.
Come giudica l'atteggiamento dei due papi verso il dialogo con l'ebraismo? "Durante il pontificato di Benedetto XVI ci sono stati degli incidenti, diciamo così. Comunque è stato proprio Ratzinger a voler sottolineare certi punti molto importanti e positivi per la riflessione della Chiesa nei confronti degli ebrei". In passato Di Segni ha apprezzato ad esempio il libro di Benedetto XVI dedicato alla vita di Gesù, dove si definiscono gli ebrei "il popolo santo". "Ogni papa - ha spiegato all'ANSA - è differente, ha la sua storia e il suo stile. Nei rapporti con l'ebraismo ognuno ha le sue sensibilità, le sue priorità.
Benedetto è sopratutto un uomo di studio che ha analizzato gli aspetti dottrinali nei rapporti con l'ebraismo. Francesco è un papa pastorale, che quindi tocca altri tasti di sensibilità, ed ha dato, prima come arcivescovo di Buenos Aires, poi come papa, segnali di amicizia verso il popolo ebraico e la sua tradizione religiosa". "Al di là delle persone, quello tra ebrei e cristiani è comunque un processo di amicizia che va avanti in modo positivo", ha osservato il rabbino pur non nascondendo che sono tuttora "aperti diversi problemi" tra Chiesa cattolica e ebraismo. "C'è innanzitutto la parte dottrinale", ha spiegato, definendo l'ultimo documento pubblicato dal Vaticano lo scorso 10 dicembre un'importante "messa a punto" sul ruolo del popolo ebraico e su come la Chiesa cattolica debba rapportarsi all'ebraismo. "Nella parte dottrinale è stato trascurato finora - ha però rimarcato - il problema del legame del popolo ebraico con la terra di Israele, che rappresenta per gli ebrei un punto di fede e di storia essenziale". "Poi - ha aggiunto il rabbino - rimangono una serie di questioni di interpretazione storica, di interpretazione della Shoah e del ruolo della Chiesa in quei tempi". Ma, al di là di tutto ciò, la visita di Francesco in Sinagoga, ha ripetuto Di Segni, avrà la sua forza proprio nel momento storico che stiamo vivendo. "Noi siamo sconvolti e preoccupati per l'estremismo dilagante e le violenze in nome delle religioni. Il segnale che si vuole dare è che le differenze di fede non devono essere motivo di ostilità, di violenza e di odio, ma al contrario una ragione per convivere e lavorare per la pace. Il 17 gennaio non sarà certo un evento di routine", ha concluso.
"Meglio che ebrei e cristiani si definiscano da soli", ha consigliato con un sorriso. Di Segni accolse, da rabbino capo di Roma, papa Benedetto XVI nel 2010 e farà gli onori di casa a Francesco, il 17 gennaio prossimo.
Come giudica l'atteggiamento dei due papi verso il dialogo con l'ebraismo? "Durante il pontificato di Benedetto XVI ci sono stati degli incidenti, diciamo così. Comunque è stato proprio Ratzinger a voler sottolineare certi punti molto importanti e positivi per la riflessione della Chiesa nei confronti degli ebrei". In passato Di Segni ha apprezzato ad esempio il libro di Benedetto XVI dedicato alla vita di Gesù, dove si definiscono gli ebrei "il popolo santo". "Ogni papa - ha spiegato all'ANSA - è differente, ha la sua storia e il suo stile. Nei rapporti con l'ebraismo ognuno ha le sue sensibilità, le sue priorità.
Benedetto è sopratutto un uomo di studio che ha analizzato gli aspetti dottrinali nei rapporti con l'ebraismo. Francesco è un papa pastorale, che quindi tocca altri tasti di sensibilità, ed ha dato, prima come arcivescovo di Buenos Aires, poi come papa, segnali di amicizia verso il popolo ebraico e la sua tradizione religiosa". "Al di là delle persone, quello tra ebrei e cristiani è comunque un processo di amicizia che va avanti in modo positivo", ha osservato il rabbino pur non nascondendo che sono tuttora "aperti diversi problemi" tra Chiesa cattolica e ebraismo. "C'è innanzitutto la parte dottrinale", ha spiegato, definendo l'ultimo documento pubblicato dal Vaticano lo scorso 10 dicembre un'importante "messa a punto" sul ruolo del popolo ebraico e su come la Chiesa cattolica debba rapportarsi all'ebraismo. "Nella parte dottrinale è stato trascurato finora - ha però rimarcato - il problema del legame del popolo ebraico con la terra di Israele, che rappresenta per gli ebrei un punto di fede e di storia essenziale". "Poi - ha aggiunto il rabbino - rimangono una serie di questioni di interpretazione storica, di interpretazione della Shoah e del ruolo della Chiesa in quei tempi". Ma, al di là di tutto ciò, la visita di Francesco in Sinagoga, ha ripetuto Di Segni, avrà la sua forza proprio nel momento storico che stiamo vivendo. "Noi siamo sconvolti e preoccupati per l'estremismo dilagante e le violenze in nome delle religioni. Il segnale che si vuole dare è che le differenze di fede non devono essere motivo di ostilità, di violenza e di odio, ma al contrario una ragione per convivere e lavorare per la pace. Il 17 gennaio non sarà certo un evento di routine", ha concluso.
Ebrei e Mussulmani nostri fratelli?
La fratellanza spirituale fra Ebrei, Mussulmani e Cristiani suppone un unico padre spirituale che è Abramo.
Ma Abramo è padre nella fede e questo significa che sono figli spirituali di Abramo solo coloro che hanno la fede di Abramo. Ora Abramo aveva la fede nel Dio Altissimo, ossia quello più alto, ossia l’unico (Creatore, Provvidente, Sovrano), l’Infinito, il Trascendente. Ma questa fede non era esclusiva di Abramo. Anche il sacerdote Melchisedec aveva la stessa fede. Invece assolutamente esemplare in Abramo era la fiducia, l’affidamento, il credito , l’obbedienza. E questa è la fede che è degna dei figli spirituali di Abramo. Per questa fede Dio promise ad Abramo che sarebbe diventato padre di tanti popoli, innumerevoli come le stelle del cielo e i granelli della sabbia del mare, i quali hanno la fede di Abramo, che diventa così un padre universale dell’umanità posteriore ad Abramo.
Ora gli Ebrei, sebbene pochi, si rifanno ad Abramo e se hanno la fede di Abramo sono figli spirituali di Abramo.
I Cristiani, dietro l’esempio di Gesù, si rifanno ad Abramo, e se, come Gesù, hanno lo stesso affidamento di sé a Dio, sono anch’essi figli di Abramo (e sono in tutto il mondo).
I Mussulmani, si rifanno anch’essi ad Abramo, di cui esaltano la misericordia: se si affidano a Dio senza condizioni sono anch’essi somiglianti ad Abramo, suoi figli.
In questo senso Ebrei, Cristiani, Mussulmani sono fratelli nella fede. Ma c’è una differenza fra loro:
- Abramo credeva che la sua paternità sarebbe stata universale mentre gli Ebrei sono rimasti pochi ed esclusivi;
- Gesù disse che Abramo esultò nel prevedere Gesù e i Cristiani sono i figli più numerosi nel mondo;
- i Mussulmani esaltano la santità di Gesù, ma non vedono la continuità della fede tra Abramo, Gesù e i Cristiani.
Perciò questi fratelli sono assai diversi tra loro e faticano a riconoscersi fratelli: Dio è Unico, ma il loro atteggiamento spirituale non è unico.
Don Ennio Innocenti
http://www.fraternitasaurigarum.it/wordpress/?p=953
oro, incenso e mirra
Su Facebook circola questa immaginetta relativa ad una certa bergogliata (le crocette rosse sono state aggiunte perché altrimenti è blasfema):
Io però vorrei muovere un indignato appunto agli autori della foto e ai protagonisti della scenetta.
Ma come? Oro, incenso e mirra sono rappresentati dall'ebraismo (oro), dal buddismo (incenso e stregonerie) e dalla mirra (la mortifera dea Kalì)?
E come mai hanno messo in posizione "prostrata" il candelabro ebraico? C'è qualche altro sottinteso?
Mah!
Io però vorrei muovere un indignato appunto agli autori della foto e ai protagonisti della scenetta.
Ma come? Oro, incenso e mirra sono rappresentati dall'ebraismo (oro), dal buddismo (incenso e stregonerie) e dalla mirra (la mortifera dea Kalì)?
E come mai hanno messo in posizione "prostrata" il candelabro ebraico? C'è qualche altro sottinteso?
Mah!
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