È da un po’ che nella vita della Chiesa accadono cose preoccupanti. Ma non pare che siano in molti a preoccuparsi. E questo merita una riflessione.
Per oltre due anni siamo bombardati a più ripresedall’uscita dei risultati delle consultazioni di numerose diocesi nel mondo e di intere conferenze episcopali in vista del Sinodo sulla famiglia, risultati nei quali, senza tanti giri di parole, si smantella quel poco che in quei paesi è rimasto della fede e della morale;
c’è stata l’intervista del presidente della Conferenza episcopale tedesca, che parla a nome suo, ma anche di buona parte dei suoi colleghi, che proclama l’autodeterminazione della Chiesa tedesca; ci sono due pezzi da novanta del collegio cardinalizio (Muller e Kasper) che da fronti opposti del nuovo campo di battaglia ecclesiale (la morale sessuale e familiare), senza scomporsi tanto, parlano di uno scisma incombente o addirittura già in atto; c’è una conferenza episcopale, di nuovo quella tedesca, che ha derubricato ‘la pillola del giorno dopo’, dichiarando d’autorità che non si tratta di aborto; ci sono nazioni ex cattoliche, come l’Irlanda, che apostatano pubblicamente dalla fede votando in massa un referendum, sostenuti dal silenzio dei loro Pastori; ci sono gli apparati centrali di molte diocesi europee che si mostrano omertosi circa la rapida diffusione dell’ideologia gender e riducono al silenzio con metodi spicci i preti e i laici che la combattono… e l’elenco potrebbe continuare.
Ciascuno di questi fatti è stato già singolarmente commentato, e con grande competenza. Non pare superfluo, però, anche una valutazione dell’insieme, per la luce che questi fatti gettano sulla vita della Chiesa in questo momento cruciale.
Partiamo dalle due domande che queste vicende non possono non suscitare in chi ha ancora un po’ di fede e un po’ di buon senso: come siamo arrivati a questo punto? E come è possibile che questo non susciti alcuna reazione in chi di dovere? Per rispondere a queste domande e, partendo da esse, fare un’adeguata riflessione sul tempo che stiamo vivendo, ritengo sia indispensabile partire da lontano.
Si sta realizzando in modo macroscopico ciò che aveva previsto l’imperscrutabile Paolo VI, in quella che già allora fu una facile profezia e che oggi è pura evidenza: «Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte» (J. Guitton, ‘Paolo VI segreto’).
Sì, un pensiero non cattolico si è fatto strada ed è diventato predominante in molti ambienti della Chiesa cattolica, in molte facoltà teologiche, seminari, ordini religiosi, e, attraverso una capillare divulgazione, in molte comunità di fedeli; poi i rappresentanti di queste componenti ecclesiali si ritrovano nelle migliaia di convegni, assemblee, consigli pastorali dell’orbe cattolico, e così questo pensiero diviene predominante e maggioritario nella Chiesa intera. E a poco è servito il proliferare degli interventi magisteriali in contrario, visto che ormai da decenni essi, nella gran parte dei casi, rimbalzano sul corpo ecclesiale come su un muro di gomma.
Nessuna delle innovazioni proposte è originale: sono tesi che riguardano l’interpretazione della Scrittura, il valore dei dogmi, le conseguenze morali della fede, il valore dei sacramenti, la struttura della Chiesa, il rapporto con le altre religioni e con il mondo; su questi temi c’è un’unica paradossale proposta: sposare al più presto ciò che il Magistero ha condannato e combattuto negl’ultimi cinquecento anni.
Come è possibile un tale capovolgimento? Ecco il pensiero non cattolico, anzi anti-cattolico, di cui si diceva: è il pensiero secondo il quale nella contrapposizione del XVI secolo tra Lutero e il concilio di Trento, in realtà aveva ragione Lutero, solo che purtroppo la Gerarchia di allora non lo ha capito e la Chiesa si è chiusa alla meravigliosa opportunità della Riforma; nella contrapposizione del XVIII secolo tra l’illuminismo e la Chiesa, aveva ragione l’illuminismo, solo che il Magistero di allora non lo ha capito e di nuovo la Chiesa si è arroccata nelle sue posizioni integraliste e intransigenti e così ha perso l’opportunità di lasciarsi beneficamente influenzare dai principi e dai valori dei lumi … e così via di contrasto in contrasto. Così per circa cinquecento anni la Chiesa cattolica non ha fatto altro che chiudersi al mondo, alle novità, al progresso, e a moltiplicare le condanne: dalla BollaExurge Domine di Leone X, al Sillabo di Pio IX, alla Mirari Vos di Gregorio XVI, alla Pascendi di Pio X, alla Humani Generis di Pio XII.
E la cosa più drammatica – sempre secondo questo pensiero – è che in questo modo la Chiesa non ha fatto altro che allargare sempre più il suo divario con il Vangelo; eh sì, perché da Lutero fino all’abate Franzoni, i protestanti, gli illuministi, i liberali, i modernisti, i socialisti, insomma tutti i riformatori, ingiustamente e ottusamente condannati, in realtà avevano visto giusto, avevano capito il Vangelo ben più del Magistero cattolico!
Ma finalmente c’è stata la svolta, finalmente con il Concilio Vaticano II la Chiesa, seppure con mezzo millennio di ritardo, prende consapevolezza di tutto ciò: ecco la portata rivoluzionaria del Concilio così appassionatamente celebrata dai sostenitori di questo pensiero. Naturalmente questa rivoluzione copernicana non si manifesta tanto nei documenti, che sono frutto di un compromesso tra le varie posizioni presenti in Concilio e quindi per ciò stesso rappresentano una fase ancora immatura del cambiamento, e dunque provvisoria; ma piuttosto si manifesta nel famoso ‘spirito’ del Concilio. Lo spirito del Concilio è da cinquant’anni il criterio di interpretazione della realtà che ha scalzato tutti i criteri precedenti (vero o falso, bene o male …), la nuova ‘ortodossia’ violando la quale si incorre nella nuova ‘scomunica’ per la quale non c’è remissione.
L’effetto di questo pensiero è la rottura della Chiesa post-conciliare con la Chiesa pre-conciliare; da questa rottura è nata una Chiesa ‘nuova’ che ha archiviato quella vecchia; è nata una Chiesa purificata dai paludamenti costantiniani, da una teologia e una morale integraliste, da una liturgia clericale, da un’assoluta incapacità di dialogare con il mondo contemporaneo. Al contrario la ‘nuova’ Chiesa è aperta al mondo, fa autocritica per tutto ciò che di identitario c’era in lei, e con umiltà impara da coloro che aveva condannato. E per recuperare il tempo perduto, tanto per cominciare, sposa con entusiasmo i cavalli di battaglia del suo nemico storico: il protestantesimo. Il cosiddetto spirito del Concilio non è altro che il motore di una Chiesa in avanzata fase di protestantizzazione: nell’esegesi biblica, negli studi filosofici e teologici, nella riforma liturgica, nella visione della Chiesa e dei suoi rapporti con le religioni e col mondo, in ogni settore della vita ecclesiale il rinnovamento post-conciliare ha sposato sempre più esplicitamente le posizioni protestanti.
Naturalmente il fatto che il protestantesimo liberale a cui ci si è entusiasticamente ispirati per rendere più evangelico, più cristiano, un cattolicesimo ormai obsoleto, sia in realtà da decenni in profonda crisi e che perda ministri e fedeli con rapidità vertiginosa non importa a nessuno. Lo spirito del Concilio infatti è un teorema ideologico e i suoi paladini non si imbarazzano a chiamare ‘primavera’ della Chiesa questa imitazione a scoppio ritardato dei fallimenti dei nipoti di Lutero, una sicura ricetta svuota-chiese, svuota-seminari, svuota-conventi che si è puntualmente e drammaticamente realizzata in questi ultimi decenni. Le poche eccezioni a questo tracollo sono le realtà ecclesiali che meno si sono fatte rinfrescare da questo soffio dello ‘spirito’ del Concilio, e che per ciò sono state impunemente ostacolate, e oggi apertamente perseguitate…
Ma il punto di arrivo di questo processo non è nemmeno la protestantizzazione del cattolicesimo: questa infatti è la tappa intermedia, necessaria ma transitoria, per il raggiungimento del vero obiettivo che è la secolarizzazione; il protestantesimo infatti è l’anticamera della secolarizzazione della società: lo è di diritto e di fatto. Lo è di diritto, poiché il ripiegamento soggettivo e intimistico della fede luterana non può non sfociare nella pratica di una religiosità individuale, che esclude ogni dimensione sociale della fede; lo è di fatto, poiché è questo ciò che si è storicamente realizzato: i paesi protestanti si sono secolarizzati prima e di più di quelli cattolici, e non solo perché hanno opposto meno resistenza al processo mondano, ma al contrario perché vi si sono consapevolmente e volontariamente consegnati senza opporre resistenza. Anzi, nel protestantesimo liberale – e ora, per imitazione, anche in ampi settori del cattolicesimo – la secolarizzazione non è vista come antitetica, ma come fase più matura, compiuta, della fede.
In quest’ottica strabica, la secolarizzazione non è la scomparsa esplicita della fede, ma il suo evaporare in una religiosità vaga ed emotiva, che tutti accomuna, eliminando la dimensione identitaria; è dunque il miglior collante per costruire una società pacificata, tollerante, pluralista, accogliente e rispettosa di tutte le posizioni, cioè quel paradiso in terra che nella visione relativistica e immanentistica del mondo contemporaneo deve essere il vero obiettivo a cui tendono tutte le religioni, dunque anche quella cristiana.
In quest’ottica strabica, la secolarizzazione non è la scomparsa esplicita della fede, ma il suo evaporare in una religiosità vaga ed emotiva, che tutti accomuna, eliminando la dimensione identitaria; è dunque il miglior collante per costruire una società pacificata, tollerante, pluralista, accogliente e rispettosa di tutte le posizioni, cioè quel paradiso in terra che nella visione relativistica e immanentistica del mondo contemporaneo deve essere il vero obiettivo a cui tendono tutte le religioni, dunque anche quella cristiana.
E anche verso questa tappa ultima si cammina a grandi passi: il dialogo ecumenico dell’immediato post-Concilio si è progressivamente trasformato nella inter-confessionalità, cioè nello scambio senza più distinzioni tra le diverse denominazioni cristiane; e ora la inter-confessionalità si sta evolvendo rapidamente nella inter-religiosità, cioè una parificazione sincretista di tutti i credo religiosi, forse in vista della costruzione di quella ONU delle religioni, la super religione universale, umanitaria e antropocentrica, che sempre più e da più parti viene auspicata…
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-chiesa-in-via-di-protestantizzazione-14915.htm
Cappuccetto Rosso, il lupo buono e Colonia
Cappuccetto Rosso, il lupo buono e Colonia
Esistono due versioni delle fiabe: quella tradizionale e quella politicamente corretta. A spiegare la seconda versione ci ha pensato alcuni anni fa James Finn Garner, (Fiabe della buona notte politicamente corrette, Frassinelli, Milano 1994), rileggendo le fiabe tradizionali alla luce della cultura oggi dominante. Prendiamo, ad esempio, Cappuccetto Rosso. Nella versione tradizionale Cappuccetto Rosso è una “dolce bimbetta”, tenerella, brava e gentile. Mentre porta vino e focaccia alla nonna vecchia e malata, incontra il lupo. Il lupo la distrae, afferra cappuccetto e cestino e corre dalla nonna; inghiotte la vecchia e si mette a letto ad aspettare l'arrivo della ragazzina.
Al suo arrivo, dopo il celebre scambio di battute («Nonna, che orecchie grandi che hai!»), il lupo si pappa pure lei, mettendosi a russare sonoramente con la panza piena. Il cacciatore, sentendo il gran russare e preoccupato per la vecchia, entra nella casetta nel bosco, apre la pancia al lupo e ne fa uscire bimba e nonna. Cappuccetto Rosso riempie la pancia del lupo con dei pietroni così, quando quello si sveglia e cerca di scappare, cade a terra e muore. E tutti (tranne il lupo) vissero felici e contenti.
Nella versione politicamente corretta il cacciatore piomba nella casa della nonna mentre il lupo sta per papparsi Cappuccetto Rosso (che è istruita, emancipata e fiduciosa «nella sua sbocciante sessualità»). Solo che non è un cacciatore, ma un taglialegna, perché nelle fiabe politicamente corrette la brutale pratica della caccia è abolita e i cacciatori, per campare, devono mettersi a tagliare la legna. All'arrivo del cacciatore accorso in aiuto delle due donne, Cappuccetto Rosso e il lupo reagiscono all'unisono con queste parole: «Si può sapere che cosa crede di fare? Piombare qua dentro come un neandertaliano, impugnando un’arma per fare chissà che! Sessista! Specista! Come osa supporre che uomini [sic] e lupi non siano in grado di risolvere i propri problemi senza l’aiuto di un uomo?». Al che la nonna salta fuori dalla bocca del lupo e ammazza il taglialegna con la sua stessa accetta. «Dopo quell’ardua prova, Cappuccetto Rosso, la nonna e il lupo sentirono una certa comunanza di propositi. Decisero, pertanto, di costituire un gruppo famigliare alternativo basato sul reciproco rispetto e sulla cooperazione, e da allora vissero insieme, felici e contenti, nel bosco».
Sarò strano, ma quando ho letto delle violenze di massa subite dalle donne tedesche la notte di Capodanno a Colonia, e dell'atteggiamento della stampa nei confronti di questi e di innumerevoli altri episodi simili (clicca qui), a me è venuta in mente la fiaba di Cappuccetto Rosso e la sua versione politicamente corretta. Le fiabe, si sa, aiutano i bambini a dare ordine al mondo. Senza dilungarci troppo, il ruolo che le fiabe affidano agli uomini è quello del cacciatore: uccidere (ed essere uccisi) per proteggere donne e bambini. Un ruolo che porta con sé un carico di sofferenza, di fatica e solitudine; ma è il compito degli uomini, il sacrificio che essi hanno da sempre compiuto – in silenzio, senza troppo lamentarsi – per il bene delle persone loro affidate.
Nel nuovo mondo politicamente corretto il cacciatore è un neanderthaliano, sessista, specista, brutto, sporco e cattivo. È stato quindi rieducato alla non violenza, alla tolleranza, all'accoglienza; è stato lavato, depilato, profumato; al posto del fucile ora porta un fiore, al posto degli stivalacci infangati indossa sandali fatti con materiale riciclato. Non uccide più il lupo, è diventato vegetariano, anzi: vegano. Non solo: in un mondo politicamente corretto, basato sul rispetto reciproco e sulla cooperazione, è un personaggio inutile, senza ruolo, senza un compito; senza identità.
Cosa sarà, dunque, di Cappuccetto Rosso e della nonna, quando il lupo si toglierà il manto da pecora? Chi le difenderà, se chi è preposto a questo compito è imbelle? Chi si opporrà alla violenza, se l'unico antidoto alla violenza - la forza - è stato bandito? Tanti auguri, Cappuccetto Rosso, anzi: in bocca al lupo...
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