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giovedì 25 febbraio 2016

Fidarsi interamente di Dio

MISTICISMO ULTIMA SPERANZA

Sarà il misticismo a rinnovare la cristianità e a dare speranza all’uomo con la sua forza divina. Il grande pericolo che incombe sulla cristianità e sulla Chiesa è di farsi strumento del Diavolo e traendo in inganno i molti 
di Francesco Lamendola


Il misticismo è sempre stato non solo un "filone" dello sviluppo storico della religione cristiana, ma, anche, un atteggiamento di fondo, diffuso, radicato, presente in tutti i riti, in tutte le comunità parrocchiali, in tutte le famiglie e presso quasi tutti i fedeli. Non c'è solo il misticismo dei grandi contemplativi, di Francesco d'Assisi o di santa Teresa d'Avila, che ne hanno fatto la loro modalità specifica di vivere la fede; c'è anche quello dei sacerdoti, delle suore, dei padri e delle madri di famiglia, dei giovani, che si prendevano qualche ritaglio di tempo nell'arco della giornata per accostarsi a Dio nell'intimo della preghiera e della contemplazione, nel colloquio personale con Lui, nell'abbandono fiducioso al Suo amore, al Suo soccorso, al Suo ascolto. Abbiamo adoperato l'imperfetto perché, oggi, questa modalità di vivere la fede cristiana sembra essere in caduta verticale, praticata ormai da pochissimi (anche se, trattandosi del fatto spirituale per eccellenza, è difficile dire se le impressioni esterne corrispondano al vero). Almeno in apparenza, il cristianesimo odierno si è incardinato quasi esclusivamente sulla dimensione esteriore e visibile, sia della preghiera (comunitaria, appunto; mentre il misticismo è un fatto squisitamente individuale), sia dell'azione sociale (volontariato, attivismo sindacale e politico). In altre parole, la pratica cristiana ha eroso quasi del tutto la propria dimensione interiore, spirituale, per concentrarsi e, in definitiva, per identificarsi, con l'azione visibile ed esteriore, relegando l'altra nel ruolo, marginale e sussidiario, di pratica riservata ad alcune anime "elette", un tempo assai ammirate, oggi, invece, guardate sovente con una certa sufficienza, come un anacronismo.
Ad esempio, il modello ideale di prete sembra essere colui che agisce nel sociale, preferibilmente con una forte carica di contestazione (vedi la «Lettera a una professoressa» dei ragazzi della scuola di Barbiana, ispirati da don Lorenzo Milani; documento carico di risentimento sociale e del tutto sprovvisto di una qualsiasi prospettiva spirituale), e non più, come lo era in passato, il curato d'anime, il pastore del gregge che confessa e che dirige spiritualmente i suoi parrocchiani, come faceva il santo curato d'Ars, Jean-Marie Vianney. Il prete che va per la maggiore, oggi, si direbbe che non abbia bisogno di porsi l’obiettivo della santificazione; basta che sia giovane, dinamico, molto attento ai bisogni dei ragazzi (un po' meno a quelli degli anziani: tanto, fra qualche anno...; del resto, si sa, bisogna puntare sul futuro), molto "aperto" in fatto d morale, specialmente sessuale, molto impegnato socialmente e politicamente (a sinistra, si capisce), molto comprensivo sui temi etici (aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali), molto tollerante, molto disponibile (nel senso di permissivo: fino al punto di celebrare dei matrimoni religiosi simili a spettacoli circensi), sempre schierato a difesa dei più deboli (ma non necessariamente quelli "veri", bensì quelli che i media e la cultura dominante presentano come tali, a cominciare dagli immigrati, tutti indistintamente presentati come tali, nonché come “disperati”, ovviamente “in fuga da guerra e povertà”: regolari e irregolari, onesti e spacciatori, miti e aggressivi). Gli ordini religiosi, i monaci, le suore, sono visti, da molti se non da tutti, come dei "relitti" di un vecchio modo, ormai irrimediabilmente superato, d'intendere la religione. I monaci e le suore di clausura, in particolare, suscitano curiosità, ma non ammirazione, anzi, un certo sospetto, una certa qual diffidenza; ci si chiede: «Da che cosa mai staranno fuggendo?», e, cresciuti nella scuola del sospetto inaugurata dagli psicanalisti, si tende a vedere in essi i malinconici prodotti di una repressione psicologica – e, naturalmente, sessuale - sfociante in una particolare forma di nevrosi: la nevrosi religiosa. Un disturbo da curare, come ce ne sono altri. Quanto alla santità, a che serve? Meglio un prete dinamico, che porta i ragazzi a ballare.
Ebbene, bisogna avere chiaro il concetto che questo slittamento, questo sbilanciamento della cristianità verso una pratica prevalentemente, o quasi esclusivamente, comunitaria ed esteriore, della propria fede religiosa, ha rappresentato un enorme impoverimento per il cristianesimo stesso. Il grande serbatoio spirituale della religione è situato nella dimensione interiore: è lì che la fede attinge le forze per affrontare le difficoltà, grandi e piccole, comunque incessanti, della vita quotidiana. Gesù raccomandava ai suoi discepoli: «Pregate sempre, senza stancarvi mai»; e  rimproverava Marta di preoccuparsi troppo del servizio materiale agli altri (in quel caso, a Lui stesso, il Maestro) ma di trascurare "la parte migliore", quella spirituale, l'ascolto della Parola e la meditazione su di essa. Il cuore della religione è la fede: cioè la ricerca personale e l'incontro mistico con Dio.
Cos'è il misticismo? Una maniera di rapportarsi a Dio, che prescinde sia dalla realtà sensibile, sia dalla dimensione razionale. Dunque non è liturgia e non è teologia; è qualcos'altro: qualcosa in più, e non qualcosa di meno. Il mistico è colui che ha un immenso privilegio: quello di "vedere" Dio, di udirlo, e di riceverne – talvolta - un particolare messaggio, destinato non a lui solo, ma a tutti i credenti.  In effetti, vi sono due tipi di esperienze mistiche: spontanee e intenzionali. Sono spontanee quelle in cui un soggetto "vede" il divino senza averlo cercato, almeno in apparenza; e ciò può accadere a dei bambini o a degli adolescenti (La Salette, Lourdes, Fatima); oppure a degli adulti (gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni nell'episodio della Trasfigurazione di Cristo; san Paolo nell'apparizione di Cristo sulla via di Damasco). Sono intenzionali le esperienze mistiche nelle quali il soggetto, attraverso una serie di pratiche e anche di "tecniche" (come la "lectio divina": suddivisa, a sua volta, in "lectio", "meditatio", "oratio" e "contemplatio", o il digiuno, la veglia, la mortificazione della carne, ecc., tende con tutte le forze dell'anima ad incontrare Dio nelle profondità della coscienza, eventualmente anche con l’intercessione degli Angeli, dei Santi e della Vergine Maria. In effetti, sia nell'un caso che nell'altro, ad agire in maniera decisiva è la Grazia divina, e non la volontà umana: nessuna esperienza mistica è possibile su una base puramente volontaristica. Nondimeno, resta il fatto che la mistica è il cuore della religione, compresa la religione cristiana. E poiché nel cuore della religione cristiana c'è l'Incarnazione di Dio in un essere umano (che è un "mistero", nel senso teologico del termine: qualcosa che eccede la ragione umana, non qualcosa che sta al di sotto di essa), ecco che la meditazione sul mistero dell'Incarnazione è, per così dire, il cuore del cuore della pratica cristiana; e coloro che vi si dedicano, anima e corpo, non sono "in fuga dal mondo", ma sono, alla lettera, gli intercessori fra l'umanità e Dio e i collaboratori più preziosi nel piano della redenzione divina.
Giunti a questo punto, forse possediamo anche gli strumenti per capire le ragioni profonde, e inconfessate, della diffidenza, se non addirittura del discredito, che hanno creato come un diaframma fra il "cristiano medio" e la dimensione del misticismo: il fatto che l'uomo moderno, e anche parecchi che si credono cristiani, non aspettano più la redenzione da Dio, ma pensano di potersi redimere da soli, sostituendo la loro azione a quella divina. Resta, semmai, una certa curiosità, e anche una certa popolarità, nei confronti di quei mistici che operano miracoli, specialmente se "socialmente utili", come le guarigioni dalle malattie gravissime o incurabili: il che è una forma di idolatria ed è proprio quel che Gesù poneva ogni cura di evitare, per esempio ordinando di tacere ai malati che guariva, ai ciechi che risanava o agli indemoniati che esorcizzava, o allontanandosi subito dopo aver operato simili cose; e ciò appunto per evitare che la folla concentrasse l'attenzione sul miracolo come fatto visibile e materiale, piuttosto che sul mistero di Dio e sull'ascolto della Sua parola.
Da quanto abbiamo fin qui detto possiamo capire come il cristianesimo odierno abbia quasi smarrito la sua anima religiosa e sia diventato, da un lato, dottrina e pratica sociale, con un orientamento fortemente immanentistico e una prospettiva decisamente storicista, quasi che l'uomo, e non Dio, fosse il fine e il senso della creazione (ammesso e non concesso che un fine ed un senso esistano, cosa da molti, anche fra i cosiddetti credenti, revocata in dubbio); e, per un altro lato, una ricaduta verso forme e mentalità di tipo superstizioso e "fideistico", nel senso negativo del termine, ossia nel senso di negazione e disprezzo della ragione (che la sana teologia cristiana non ha disprezzato mai, nel modo più assoluto) e nella ricerca del soprannaturale, inteso solo come "spettacolare".
A scopo di ulteriore riflessione, riportiamo una pagina di Giorgio Fedalto,  ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Padova (da: G. Fedalto, «Le porte del Cielo. Il cristianesimo e i segni dell’Aldilà: apparizioni, visioni, testimoni», Cinisello Balsamo, Milano, 2002, pp. 181-183):

«Cosa fare per espandere il messaggio che il mistico ha ricevuto, dal momento che “il misticismo deve trasformare l’umanità”? Sempre Bergson risponde che occorre trasmettere il messaggio a poco a poco e i mistici lo sentono, lo sanno. “Il grande ostacolo che incontreranno è quello che ha impedito la creazione di un’umanità divina”. Ciò sembra vero anche se un filosofo ragiona con proprie categorie, come anche se scrive che, essendo impossibile una diffusione generale immediata del messaggio mistico, ci potrebbe essere un metodo diverso da seguire, quale è quello “di comunicarlo, benché già indebolito, ad un piccolo numero di privilegiati che insieme formerebbero una società spirituale; le società di questo genere potrebbero disperdersi; ciascuna di queste, tramite alcuni dei suoi membri, che sarebbero eccezionalmente dotati, darebbe vita ad una o a molte altre società; così si prolungherebbe lo slancio fino al giorno in cui un profondo cambiamento delle condizioni materiali, imposte all’umanità dalla natura, permetterebbe, dal lato spirituale, una radicale trasformazione” (Bergson, “Le due fonti della morale e della religione”, p. 171).
Il compito del mistico, sia pure grandissimo e difficilissimo, sarebbe così limitato, in quanto altri, convergenti interverrebbero a prendere e a realizzare quanto è stato manifestato. Dal momento che il mistico si rivolge ad uomini che hanno la sua stessa religione, la sua funzione sarebbe di riaccendere la religione portando qualcosa dell’ardore che lo anima. Chi professa la stessa religione non farà fatica ad accettare ad accettare il suo messaggio, che invece non dirà assolutamente niente è lontano dal suo spirito (idem, p. 173).
A chi obiettasse che vi sono i canali ordinari della grazia e che la religione di per sé non ha bisogno dei mistici, Bergson ciò può essere vero, ma dal momento che ci sono stati dati, ci sono, con tutte le loro manifestazioni straordinarie, una volta si se appurato trattarsi di perone e di fatti autentici e attendibili, allora come il misticismo beneficia della religione, così la religione si può arricchire del misticismo” (p. 174): “In questo modo si spiega il compito che (il mistico) si sente chiamato svolgere all’inizio, quello di un intensificatore della vita religiosa”. Anche non volendo accettare la concezione di un misticismo attivo, “capace di andare alla conquista del mondo”, in quanto è un dono e un compito della grazia di Dio, è pur sempre accettabile che i gradi mistici siano stati generalmente “degli uomini e delle donne d’azione, di un buon senso superire: poco importa che abbiamo avuto per imitatori degli squilibrati, o che qualcuno tra loro abbia risentito, in alcuni momento, di una tensione estrema e prolungata dell’intelligenza e della volontà” (p. 178).
Persone di buon senso, dunque, i mistici che hanno percorso un certo cammino , passando per vari stato, che, se possono variare l’uno dall’altro, si assomigliano molto in quanto la strada percorsa è la stessa Va comunque notato che, se alle spalle hanno una tradizione di cui hanno potuto subire l’influenza, “i grandi mistici si preoccupano poco di questa tradizione; ciascuno di loro ha la sua originalità, che non è voluta, che non è stata desiderata” (p. 180). Può anche essere che il loro fondamentale riferimento al Vangelo sia sufficiente per loro, come anche l’accettare “con docilità assoluta”l’insegnamento della Chiesa o l’obbedire al proprio confessore, cui saranno istintivamente indirizzati.»

Come si vede, l’interpretazione del misticismo qui esposta è quella di Henri Bergson, precisamente nel suo saggio «Le due fonti della morale e della religione», pubblicato nel 1932. A dire il vero, è un po’ strano – ma in linea con i tempi – che un autore d’impostazione cattolica, e che pubblica un libro sul misticismo con la maggiore casa editrice cattolica italiana, non colga affatto quanto di non cristiano vi è nella concezione del misticismo delineata da Bergson: ossia che l’élan vital, motore di tutta la sua filosofia, per mezzo di essa arrivi a cogliere se stesso (cosa non molto diversa dallo Spirito hegeliano che crea l’essere, invece di esserne creato). I concetti-chiave dei pensatori dovrebbero servire a comprendere il reale, piuttosto che le loro rispettive filosofie. Perché, in quel modo, l’Io non uscirà mai da se stesso: mentre tale uscita è la condizione di ogni misticismo autentico, ossia di ogni autentico tentativo d’incontro intimo e personale dell’umano con il divino. Perciò, anche se possiamo condividere taluni passaggi del ragionamento di Bergson, dissentiamo profondamente dalla sua idea di fondo, che piacque, infatti, ai modernisti, ma non aveva nulla di condivisibile, dal punto di vista di una sana teologia cristiana: cioè che la mistica sia, in definitiva, un dono che l’uomo fa a se stesso. Nossignori: la mistica è un dono che Dio fa all’uomo; quel che può fare l’uomo, è di collaborare cin Dio, aprendosi a ricevere quel dono preziosissimo, con “timore e tremore”, come direbbe Kierkegaard.
Ed è di questo misticismo – umile, centrato su Dio, proiettato verso le altezze e non sull’uomo stesso – che il cristianesimo, oggi, ha bisogno, per tornare ad essere quello che era: una religione piena di risorse spirituali, e una fede che affascina, seduce e cattura le anime, rendendole totalmente disponibili al disegno di Dio. Se non faranno questo, i cristiani del nostro tempo condanneranno il cristianesimo alla fine, attraverso una più o meno lenta consunzione, un progressivo inaridimento. Pure, le sfide del terzo millennio, per la civiltà europea e per l’umanità tutta, sono così tante e così gravi, da far vacillare la nozione stessa di ciò che si può considerare umano: un essere creato artificialmente, manipolando il Dna e, magari, mescolandolo a quello di specie animali, sarà ancora un essere umano? E che cosa faranno gli uomini del terzo millennio, di fronte a tali sfide decisive, se non potranno più attingere al serbatoio di risorse spirituali che solo la vera fede può dare? Ora, la vera fede si riconosce da questo: dal fidarsi interamente di Dio; dal lasciare che sia Lui a guidare i nostri pensieri e i nostri passi; dal rinunciare all’idea di aver compreso i disegni di Dio, più di Lui stesso, e di poterli realizzare da soli, senza di Lui e, magari, meglio di Lui. Perché questo non sarebbe cristiano, ma satanico. E tale è il grande pericolo che incombe sulla cristianità e sulla Chiesa medesima, in questo nostro tempo: di farsi strumento del Diavolo, traendo in inganno molti e distruggendo gran parte di ciò che Dio ha costruito, per il bene dell’uomo e con la fiduciosa collaborazione dell’uomo stesso.


Sarà il misticismo a rinnovare la cristianità e a dare speranza all’uomo con la sua forza divina

di Francesco Lamendola

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