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giovedì 18 febbraio 2016

Gli autopiacioni

SPOTLIGHT E LA PROPAGANDA ANTICATTOLICA

La chiesa ha deciso di farselo piacere, questo film che la dipinge come una mafia, ma seguire la logica del vittimismo non è un vero servizio alla carità. Orchi e pedofilia. Tutte le maschere di un racconto cinico e senza verità

Spotlight”, da stasera nelle sale italiane, è un film ben fatto di violenta propaganda anticattolica e anticlericale. Racconta l’inchiesta giornalistica del team investigativo (Spotlight) del Boston Globe, che diede il via quindici anni fa alla grande campagna mondiale sulla pedofilia del clero, e mise in ginocchio la chiesa e il papato di Benedetto XVI di fronte ai fedeli e al mondo, fino all’abdicazione.

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Il film travolge, commuove, convince con la grande tecnica emozionale del cinema, con il ritmo, con la verità indiscutibile delle maschere che si esprime nei dialoghi, nella recitazione e nel montaggio. La verità sulla pedofilia dei preti però non c’entra. E non c’entrano la giustizia e la misericordia. Nel mirino di sceneggiatori, regista, produttore è la chiesa come istituzione, il suo clero consacrato, la sua gerarchia: sapevano della diffusione in diocesi dell’abuso sessuale di minori da parte di centinaia di pastori, lo hanno tollerato e coperto per il buon nome della ditta, hanno ignorato con cinismo il dolore e il silenzio delle vittime, che vale più di qualunque grido. Chi vedrà il film con occhi lucidi si accorgerà che è una favola edificante, che non coglie la tragedia e il peccato, e nemmeno il profilo di reato criminale incollato giustamente a comportamenti abusivi su minori. Nella storia raccontata, e in parte anche nella realtà, non ci sono giudici che eseguono i dettami del diritto e impongono il governo della legge, non c’è nemmeno il circo mediatico-giudiziario: ci sono giornalisti semidei, che rovesciano la logica dell’insabbiamento delle notizie, procedono eroicamente e svergognano una trama di patteggiamenti tra vittime e diocesi gestita da avvocati che sopra il dolore privato e le violenze private di molti preti fanno un monte di soldi. Uno strano modo di fare giustizia.
Il cardinale Bernard Law, arcivescovo di Boston che si dimetterà alcuni mesi dopo la pubblicazione degli articoli incriminanti, compare in un incontro con il direttore del Boston Globe, ha il tratto ambiguo di chi vuole proteggere una situazione di malaffare, punto. Nel film, due ore e passa, non c’è nemmeno uno straccio di prete, né di quelli coinvolti né di quelli (e ce ne sono) estranei a comportamenti abusivi, che faccia vedere l’altra faccia del vero, e il vero, lo sappiamo, ha sempre facce diverse: puoi e in certi casi devi concludere in modo univoco, ma la procedura per arrivarci non può mai escludere il dubbio, il tormento, le alternative di cuore e di ragionamento che ti portano al dunque. Non è obbligatorio aver letto Bernanos, essersi immersi nella profondità umana e teologica della cura d’anime, nella opaca natura del peccato e della grazia a fronte della fede e della pastorale cattolica, ma se non lo fai, se la cultura del pamphlet hollywoodiano non lo prevede, il risultato è appunto la favola degli spettri, degli agenti del male assoluto. Il film evita rigorosamente di indagare sui perché e sul come di un fenomeno, si limita alla evocazione di una banda di orchi ispirati dal più banale e pervertito desiderio di possesso sui corpi dei ragazzi,  ma gli orchi non si vedono, sono fantasmi, sono traditori di Dio che assassinano anime innocenti. Si vedono soltanto le loro vittime e i liberatori a mezzo stampa. L’istituzione ecclesiastica difende e protegge i predatori senza volto, senza coscienza, senza anima, è complice del loro spirito predatorio, e perde alla fine la battaglia di verità e di giustizia, contro l’omertà, dei valorosi investigative reporters.
La chiesa ha deciso di farselo piacere, questo film che la dipinge e spiega come una mafia. Si mette sulla sua scia. Rivendica al vecchio e malato san Giovanni Paolo II, e al suo successore allora responsabile della procedura contro gli abusi, la svolta di espiazione e di denuncia fondata su giustizia e verità. Il procuratore della Congregazione per la dottrina della fede, il tribunale all’epoca presieduto da Ratzinger (l’inchiesta di cui si parla è del 2001 e gli articoli che portano alle dimissioni dell’arcivescovo di Boston in dicembre escono nel gennaio del 2002), monsignor Charles Scicluna, affida a Paolo Rodari di Repubblica giudizi definitivi: i vescovi devono vedere il film, impararne la morale, che è contro l’omertà comunque giustificata. Il cardinale Law fu trasferito dopo le dimissioni nella funzione romana di arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore, poi fu emeritato, ma secondo monsignor Scicluna dovrebbe andarsi a rivedere nei foschi panni che gli ha disegnato addosso il film, e applaudire. Dare un giudizio diverso da quello della stessa chiesa è una follia, un paradosso, un sofisma sulfureo, dunque: ma è la mia convinzione da sempre. Mi sarà consentito di inoltrarmi nella follia, che procede per argomentazione razionale e un tentativo di comprensione storica e morale.
Io dico che solo nella storia della Shoah, come volle giustamente Claude Lanzmann, la domanda sul perché non ha senso, devi limitarti a descrivere i fatti e il come. Sterminare secondo un programma di razzismo biologico il popolo degli ebrei in quanto ebrei non ha un perché, è il culmine inindagabile di una nozione nichilista e antiumanista della storia moderna, appunto il male assoluto. La pedofilia è un’altra cosa. Lo è come mito letterario o artistico nella storia dell’occidente pagano e poi cristiano, dai greci a Nabokov, da Matzneff a Montherlant a Pasolini a Balthus; lo è come fenomeno sociale diffuso nelle famiglie stesse, nella scuola, nello sport e in altre decisive attività sociali. La pedofilia si intreccia con la paideia, il modello di educazione e formazione del fanciullo aperto a tutte le sfumature dell’ethos e dell’eros.
L’esercizio di un’autorità educativa e formativa del fanciullo, una delle attività principali del clero monosessuale maschio nella chiesa cattolica, è esposto a un massimo di libertà e di autonomia e armonia morale dell’individuo in formazione come al suo pervertimento in modi schiavistici e abusivi: la linea di demarcazione esiste, ma è una linea d’ombra affidata alla responsabilità, alla libertà dal peccato e dalla concupiscenza dei maestri e degli allievi, con una decisiva responsabilità etica dei maestri. Non sto divagando, e agli effetti della legge i reati sono reati e vanno perseguiti. Sto cercando di discernere, discriminare, sceverare il grano dal loglio, capire quel che probabilmente, anzi certamente, è da capire se si voglia davvero realizzare “la giustizia nella verità e nella carità”, come dice monsignor Scicluna, come esortò Benedetto XVI nella lettera al clero irlandese dopo l’analogo scandalo.
 Il film “Spotlight” non accenna minimamente a questa parte del problema, la favola edificante e demonizzante non prevede sfumature, gradi di conoscenza diversi nell’accertamento sommario di una verità così intricata, così inestricabilmente legata all’impasto di bene e male che si ritrova nei comportamenti soggettivi e nei sistemi di sanzione delle devianze. Il “buon nome della ditta” è una cosa se la Volkswagen produce i diesel contestati per la manipolazione dei software ambientali; è una cosa se richiami l’omertà di una gang che fonda la sua autorità sul forte profilo sociale dell’accolita: ma è un’altra cosa se riguarda una chiesa, una comunità vivente di anime in cura d’altre anime in cui la legge suprema è la salvezza delle anime e la redenzione del peccato. E’ così difficile da capire che il disastro nel sistema sanzionatorio e nel coraggio della denuncia è espressione di una debolezza della chiesa, condivisa da altre istituzioni tra le quali la stessa stampa, non del suo avere venduto l’anima al diavolo? Ci dobbiamo rassegnare a metterci in fila al botteghino, magari dietro a legioni di preti e di vescovi, e a imparare la morale della favola come ce la dipinge Hollywood? Dobbiamo pensare che verità e carità si esauriscano nella blacklist dei preti pedofili e dei loro complici gerarchici, soltanto capaci di dare dei gala di beneficenza allo scopo di meglio dissimulare la natura demoniaca dell’istituzione chiusa, la chiesa intera come un manicomio psichiatrico o un carcere desiderante e degradante alla maniera del marchese de Sade?
Noi europei che abbiamo letto di don Abbondio e del curato di campagna, noi che conosciamo la leggenda del santo Inquisitore, e che sappiamo quanto il delitto, la sovversione dei valori, sia intrinseco anche alla storia della chiesa e del suo clero, perfino dei suoi papi, abbiamo una visione non demonizzabile, perché più intelligente e più ambivalente, della figura del pastore, del prete, dell’educatore. Nell’edificazione a sfondo protestante anche del cattolicesimo mediatico e bostoniano rappresentato nel film emerge altro: il prete lo manda Dio e il suo tradimento di fiducia e di condotta è un tradimento della fedeltà a Dio, senza mediazioni. Noi invece sappiamo, ed è famosa la battuta umanista di un Montanelli sulla messa mattutina di De Gasperi e Andreotti, in cui il primo parlava con Dio e il secondo parlava col prete, quanto importi la distinzione tra i peccatori della chiesa in cammino e la funzione sacramentale dell’istituzione che bada alla salus animarum. Se tu fai un film in cui campeggiano soltanto gli orchi, le vittime,  le colpe morali di un’istituzione e i semidei mediatici che ce ne liberano, puoi farmi piangere di compassione, puoi appunto edificarmi in forma di favola, ma non puoi farmi capire quel che è effettivamente successo, così, senza nemmeno sentire la ratio di un sistema che metti sotto accusa, senza rappresentarne il dramma o la tragedia. Fatta l’inchiesta, il Boston Globe chiede all’arcivescovo Law, poche ore prima della pubblicazione, una dichiarazione “a copertura”, la famosa altra campana o altra fonte del buon giornalismo si riduce a squillare come una toppa per parare il buco: e Law giustamente risponde, sconfitto, che non vuole nemmeno sentire le domande, chiudendosi anche lui nel silenzio di una vittima. Seguire questa logica che vittimizza la chiesa e deifica la stampa, caro monsignor Scicluna, può essere un rimedio tattico a circostanze avverse ma non è un servizio alla carità, e nemmeno alla verità di noi laici. Buona visione.

di Giuliano Ferrara | 18 Febbraio 2016 ore 06:27 Foglio

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