ALTRO CHE NATURALISMO
Il cristianesimo è una lotta incessante contro la natura degradata. La legge naturale non basta: se bastasse l’uomo sarebbe il padrone di se stesso cioè il Dio di se stesso e non avrebbe bisogno di alcun Dio al di sopra di sè
di Francesco Lamendola
Alcuni filosofi che, stando all’esterno del cristianesimo, mostrano di non aver capito nulla di esso, come Massimo Cacciari, invitano il Papa e la Chiesa ad “abbandonare il naturalismo”, cioè, per esempio – oh, è un esempio fra mille; peccato che si parli sempre e solo di quello, da mesi, con martellante, ossessiva ripetitività – ad abbandonare il pregiudizio che essi nutrono verso l’omosessualità, i matrimoni omosessuali e le adozioni gay, soltanto per il piccolo dettaglio che due uomini o due donne non sono in grado, senza l’intervento di tecniche particolari, di rendere feconda la loro unione e avere una prole.
Altri filosofi e filosofe, dall’interno del cristianesimo (o, almeno, pensando di essere al suo interno), mostrando di aver capito, se possibile, ancora meno, come Michela Marzano, sostengono che tutto ciò che viene dall’amore è buono e che non vi è nulla di cattivo nella natura, per cui il “vero” cristianesimo dovrebbe consistere nell’accettazione di tutto ciò viene dalla “natura”, purché vi sia amore; perciò, nel caso sopra citato, la Chiesa dovrebbe abbandonare la visione dell’omosessualità come peccato, dato che le persone omosessuali esistono, e ciò che esiste va semplicemente accolto.
Sono due colossali, contrapposti fraintendimenti: per l’uno, il cristianesimo è troppo naturalista; per l’altro, lo è troppo poco; per l’uno, dovrebbe definitivamente rompere con la legge morale naturale, per l’altro dovrebbe fare della natura la nuova tavola della Legge. In entrambi i casi, non si capisce cosa sia venuto a fare Gesù Cristo sulla Terra: nel primo caso, sarebbe venuto per abolire la morale naturale, nel secondo, per erigerla a legge assoluta. Ma Lui, come Figlio di Dio e come Dio egli stesso, avrebbe potuto benissimo restarsene a casa – pardon, in Cielo.
Cos’è che non hanno capito, gli uni e gli altri? Non hanno capito che la natura non è buona in se stessa, o meglio, che non lo è più dopo la ferita inferta alla creazione del Peccato originale; ma che essa, così com’era uscita dalle mani del Creatore, era buona (non perfetta, perché solo Dio lo è; le sue opere lo sono solo in senso relativo), e anche dopo il Peccato ha conservato, nonostante tutto, un riflesso della sua bontà originaria. Pertanto la natura possiede, in se stessa, qualche cosa di buono: la bellezza dei corpi e delle forme, l’armonia fra gli enti (che non è certo assoluta, ma deturpata, ad esempio, dalla necessità della lotta per la vita), e soprattutto la legge morale che essa reca inscritta nel fondo dell’anima umana.
Finché l’uomo si attiene alla legge morale naturale, finché la sa vedere e riconoscere, finché riesce a seguirla fedelmente, l’uomo è sulla via del bene. Tuttavia, egli non riesce a perseverare a lungo in tale stato; i frutti avvelenati del Peccato si fanno sentire, con una predisposizione alla fragilità, alla debolezza della carne: per cui l’uomo, abbandonato alle sue sole forze, finisce per soccombere alle tentazioni, e a smarrire la retta via. Il suo destino, perciò, sarebbe quello di sprofondare nel male; se può sottrarsi ad esso, ciò gli viene non dalle sue forze, ma dall’aiuto della Grazia, che lo mette in armonia con il Creatore e ristabilisce il legame vivo e operante della dimensione soprannaturale, la quale, fin quando l’uomo è lontano da Dio, giace come in quiescenza.
La legge naturale, dunque, non basta; se bastasse, l’uomo sarebbe il padrone di se stesso, cioè il Dio di se stesso; e non avrebbe bisogno di alcun Dio al di sopra di sé. Se essa non basta, ciò non significa che vada abolita, o ignorata, o disprezzata, o capovolta: ciò che è bene secondo natura, è bene e anche secondo la Legge divina; e ciò che è male secondo natura, è male anche per la Legge divina. La Legge divina comprende ed ingloba la legge morale naturale; non la smentisce, non la contraddice: la supera.
Pertanto si dia pace, il filosofo Cacciari: il cristianesimo non potrà mai abbandonare la legge naturale (anche nel deprecabile caso che qualche pastore impazzito lo facesse, a titolo personale): ciò che è male per la legge naturale, è male anche davanti a Dio. È male adorare falsi dèi, e non rendere il culto dovuto al vero Dio; è male mentire, rubare, calunniare, tradire, uccidere: queste cose sono male per la legge naturale, e sono male anche per i cristiani. L’omosessualità non è un male in quanto tendenza innata, ma è un disordine oggettivo: non tutto ciò che fa la natura è perfetto, lo abbiamo già detto. La natura compie degli errori, presenta delle situazioni disarmoniche: la natura con la quale abbiamo a che fare non è la natura buona, uscita dalle mani di Dio, ma la natura decaduta, prodotta dagli effetti del Peccato. Peccato nel quale siamo tutti solidali, perché tutti ripeteremmo la disobbedienza di Adamo ed Eva, se fossimo posti nelle medesime circostanze: tutti ci lasceremmo trascinare dalla tentazione della superbia. Il male vero e proprio, nel caso della omosessualità, non risiede nella tendenza (ciò sarebbe assurdo: come si può essere colpevoli per qualcosa che si è ricevuto dalla natura e che non dipende da noi?), ma nell’assenso a una inclinazione non buona, perché, appunto, disordinata.
Il discorso sarebbe lungo; ne abbiamo parlato in altre sedi, e ne parleremo ancora. Qui ci limitiamo ad osservare che molte persone con tendenze omosessuali, molte più di quel che non si pensi (anche se le lobby gay oggi imperanti hanno completamente oscurato questo fatto, e si scatenano con aggressività ogni qual volta si tenta di parlarne) sono depresse, infelici, desiderose di fare qualcosa per modificare un orientamento che non corrisponde ai loro intimi desideri; e che tale depressione e tale infelicità non dipendono, semplicemente (semplicisticamente!) dal fatto che la società, brutta e cattiva, oscurantista e omofoba, tende a giudicarli, a discriminarli, a disprezzarli, ma proprio dal fatto che qualcosa, nel profondo dell’anima, soffre e si ribella per una condizione sentita come non coerente con i bisogni più veri della persona umana. Questo, naturalmente, limitandoci a considerare le persone che hanno realmente delle tendenze omosessuali, cioè una piccolissima percentuale della popolazione umana; molte altre, infatti, le quali si dichiarano omosessuali e che rivendicano, con maggiore o minore fierezza, con maggiore o minore ostentazione e aggressività, il loro essere e il loro stile di vita, sono divenute tali, o praticano tale orientamento sessuale, non per una intima inclinazione naturale, ma per una scelta libera e consapevole, dettata da svariati fattori, sui quali non vogliamo discutere: ci basta aver messo bene in chiaro che, per quel genere di persone, essere omosessuali non è un destino, ma una opzione, evidentemente suggestionata o favorita da una serie di circostanze, di stimoli, di occasioni di tipo socio-culturale, a volta anche subiti in maniera inconsapevole, e dovuti a particolari circostanze ambientali.
Comunque, tornando al punto, non solo per i cristiani, ma anche per la legge morale naturale, l’omosessualità – oppure, diciamo con maggior precisione, la pratica omosessuale – è un disordine, e dunque una cosa non buona: se la natura assecondasse le proprie manifestazioni disordinate, si autodistruggerebbe. Questo crediamo che sia un concetto talmente chiaro ed evidente, da non richiedere particolari dimostrazioni. Ed ecco perché Cacciari dice una cosa assurda, quando invita la Chiesa e il Papa ad abbandonare il “naturalismo”: la sua idea di naturalismo, infatti, è una idea tutta ideologica: la natura, per lui – questo è il sottinteso, il retro-pensiero – va bene quando conferma certe tendenze e certi impulsi, ma non va più bene quando li smentisce. Questo è un vecchio, vecchissimo vizio dei “progressisti”: risale almeno a Rousseau; e, se si vuole andare ancora più indietro, a Francesco Bacone; e, se ancora non basta, agli Umanisti del XIV e XV secolo. Che la natura non sia “buona” in se stessa, è evidente: come si fa a negarlo, davanti a un bambino che nasce con tre gambe o con due teste? Qui c’è un mistero, un mistero tremendo, davanti al quale ci si può solo raccogliere in riverente silenzio. L’uomo non può sapere tutto, capire tutto: deve accettare il senso del limite. In ogni caso, è evidente che, se la natura non “correggesse”, ma “premiasse” i suoi errori, si auto-distruggerebbe. La legge morale naturale e la natura non sono la stessa cosa: Cacciari rifletta, prima di parlare. La dottrina cristiana non è naturalistica nel senso che erige la natura a norma suprema dell’etica; al contrario: innalza l’etica naturale sino a farne la base, naturale e ragionevole, dell’etica religiosa: nulla di più, nulla di meno. La natura non viene santificata in se stessa, non diventa norma di nulla; su di essa deve agire lo spirito.
E qui viene pienamente in luce l’assurdità dell’altra posizione, quella ultra-naturalistica di filosofi come la Marzano (e tantissimi altri dello stesso tipo, e magari un pochino più colti e profondi, per quanto ostinati nell’errore, come Hans Küng): per il cristiano, lo spirito comanda alla natura, non la natura allo spirito. La vita, per il cristiano, è una lotta contro le passioni inferiori e contro gli istinti vergognosi che risalgono dalle profondità dell’anima. Essi non sono piovuti da Marte; vengono dalla nostra natura: dalla natura umana, decaduta a causa del Peccato. Il male è già dentro di noi, o, quanto meno, una certa predisposizione al male: per questo il Diavolo riesce a tentare l’uomo e a farlo cadere così facilmente, se questi non si tiene unito a Dio. Certi orripilanti fatti di cronaca nera – peraltro, sempre più frequenti -, che lasciano sconcertati non solo per la loro estrema efferatezza, ma anche per la loro apparente gratuità, dovrebbero insegnarci proprio questo: che la malvagità non è un meteorite che, ogni tanto, cade sulla Terra, ma un qualcosa che trova alimento nelle pieghe più profonde dell’anima umana. Non serve a nulla ripetere, come una vana giaculatoria, davanti a certi atroci delitti: «Chi l’avrebbe mai potuto immaginare? Era una così brava persona: così tranquilla, così educata»; perché la realtà del male è una realtà ordinaria, non straordinaria: esso non ha bisogno di presentarsi con fragore e con lampi e tuoni che lo annuncino; gli basta tirar fuori le unghie, all’improvviso, magari nel bel mezzo d’una vita apparentemente intemerata.
La logica conseguenza di tutto questo è che il cristiano deve lottare contro la propria natura, o, per dir meglio, contro una parte della propria natura: la parte inclinata al male. E non può farlo da solo; da solo, soccomberebbe: ha bisogno dell’aiuto di Dio, della Grazia di Dio. Solo con tali armi formidabili, può uscire vincitore dal combattimento. Ma è proprio questo il punto che scandalizza i cattolici progressisti, modernisti e di sinistra, come la Marzano: il dover ammettere che la vita è lotta, una lotta incessante del bene contro il male; e che la natura non è buona in se stessa, ma è il campo di battaglia di tale lotta. Ciò li scandalizza, perché essi pensano che la natura sia buona in se stessa, e che la vita ci sia stata “per la gioia”, come continuamente ripetono. Ma non specificano che tipo di gioia: si direbbe una gioia tutta naturalistica, la loro: la gioia di chi gode della pienezza della natura, della salute, della giovinezza, del benessere. Infatti, essi non parlano mai della Croce, della Via della Croce. Non sanno, o hanno scordato, ciò che qualsiasi vecchietta abituata a partecipare, il venerdì sera, alle funzioni della Via Crucis, sa benissimo, per averlo imparati sin da bambina: che non c’è salvezza, per l’uomo, fuori della Croce. La Croce, per i filosofi e i teologi cattolici modernisti e progressisti, è un imbarazzante retaggio del passato. Se potessero, come ebbe a dire un prete dal pulpito, una volta (lo abbiamo udito con i nostri orecchi), farebbero sparire tutte le Croci e i Crocefissi, per sostituirli con l’immagine del Risorto. Troppo comodo, troppo facile: ciò significa porre come punto di partenza quello che è il punto d’arrivo, al termine di un lungo cammino. Non c’è alcuna Resurrezione, senza la Croce: questo è stato ciò che Gesù Cristo ha voluto insegnare agli uomini, non solo con le parole, ma, soprattutto, con l’esempio della sua vita e della sua morte. Morte sulla croce, appunto: la più dolorosa, la più umiliante, la più spaventevole di tutte le morti. Non è un dettaglio: se ne facciano una ragione, questi preti e vescovi e teologi di sinistra: se Gesù è morto sulla croce, non è stato per un caso, né perché non è stato abbastanza accorto da risparmiare a se steso una simile fine. Nossignori: Egli l’ha voluta, e l’ha voluta sino in fondo. Ma quella Croce, per i cattolici progressisti, è motivo di scandalo (proprio come lo è stata per gli apostoli, duemila anni fa): ragion per cui ne parlano meno che possono, e la confinano alla biografia di Gesù Cristo. Non ne parlano mai come della realtà abituale del cristiano; non ne parlano, soprattutto, come della filosofia di vita del cristiano. No: per loro, la vita è fatta per la gioia.
Non hanno letto il Vangelo. Gesù non ha promesso la gioia, ma la pace, che è cosa ben diversa; inoltre, come ha detto esplicitamente, egli la dà ai suoi seguaci, ma «non la dà come la dà in modo». La gioia viene come effetto della pace di Cristo; ed Egli ha promesso che tale gioia sarà “piena”. Ma non è partito dalla gioia: è partito dalla croce. Ha detto: chi mi vuol seguire, prenda la sua croce e mi segua. E poi ha aggiunto che essa sarà leggera, perché gli uomini non dovranno portarla da soli: sarà Lui a prendersela sulle spalle, quando per essi sarà troppo pesante. Non è una religione triste, il cristianesimo; non nega la gioia, non la rifiuta: ma afferma che essa si conquistaattraverso la croce. La Croce, per il cristiano, non è uno strumento di tortura, ma la porta d’ingresso al Paradiso…
Altro che naturalismo; il cristianesimo è una lotta incessante contro la natura degradata
di Francesco Lamendola
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