«Amoris Laetitia»: chiarire per evitare una confusione generale
Pubblichiamo un documento di riflessione di S.E. Mons. Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima di Astana, in Kazakhstan, riguardo l’esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco, «Amoris Laetitia».
Il paradosso delle interpretazioni contraddittorie di «Amoris laetitia»
L’Esortazione Apostolica «Amoris Laetitia» (AL) pubblicata di recente, che contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca, purtroppo ha già in poco tempo provocato interpretazioni contraddittorie perfino nell’ambiente dell’episcopato.
Vi sono vescovi e preti che avevano pubblicamente e apertamente dichiarato che AL avrebbe fornito un’apertura evidente alla Comunione per i divorziati-risposati senza chiedere loro di vivere in continenza. In quest’aspetto della pratica sacramentale, che secondo loro sarebbe ora significativamente cambiato, consisterebbe il carattere veramente rivoluzionario dell’AL. Interpretando AL in riferimento alle coppie irregolari, un Presidente di una Conferenza episcopale ha dichiarato in un testo pubblicato sul sito web della stessa Conferenza: «Si tratta di una misura di misericordia, di un’apertura di cuore, ragione e spirito per la quale non è necessaria alcuna legge, né bisogna attendersi alcuna direttiva o delle indicazioni. Si può e si deve metterla in pratica immediatamente».
Tale avviso è confermato ulteriormente dalle recenti dichiarazioni del padre Antonio Spadaro S.J., che dopo il Sinodo dei Vescovi del 2015 aveva scritto che il sinodo aveva posto i «fondamenti» per l’accesso dei divorziati-risposati alla Comunione, «aprendo una porta», ancora chiusa nel sinodo precedente del 2014. Ora, dice il Padre Spadaro nel suo commento ad AL, la sua predizione è stata confermata. Si dice che lo stesso padre Spadaro abbia fatto parte del gruppo redazionale di AL.
La strada per le interpretazioni abusive sembra esser stata indicata dallo stesso Cardinale Christoph Schönborn il quale, durante la presentazione ufficiale di AL a Roma, aveva detto a proposito delle unioni irregolari: «La grande gioia che mi procura questo documento risiede nel fatto che esso supera in modo coerente la divisione artificiosa, esteriore e netta fra “regolari” ed “irregolari”«. Una tale affermazione suggerisce l’idea che non vi sia una chiara differenza fra un matrimonio valido e sacramentale ed un’unione irregolare, fra peccato veniale e mortale.
Dall’altra parte, vi sono vescovi che affermano che AL debba essere letta alla luce del Magistero perenne della Chiesa e che AL non autorizza la Comunione ai divorziati-risposati, neanche in caso eccezionale. In principio, tale affermazione è corretta ed auspicabile. In effetti, ogni testo del Magistero dovrebbe in regola generale, essere coerente nel suo contenuto con il Magistero precedente, senza alcuna rottura.
Tuttavia, non è un segreto che in diversi luoghi le persone divorziate e risposate sono ammesse alla Santa Comunione, senza che esse vivano in continenza. Alcune affermazioni di AL possono essere realisticamente utilizzate per legittimare un abuso già praticato per un certo tempo in vari luoghi della vita della Chiesa.
Alcune affermazioni di AL sono oggettivamente passibili di cattiva interpretazione
Il Santo Padre papa Francesco ci ha invitati tutti a offrire il nproprio contributo alla riflessione e al dialogo sulle delicate questioni concernenti il matrimonio e la famiglia. «La riflessione dei pastori e dei teologi, se fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza» (AL, 2).
Analizzando con onestà intellettuale alcune affermazioni di AL, viste nel loro contesto, si constata una difficoltà di interpretarla secondo la dottrina tradizionale della Chiesa. Questo fatto si spiega con l’assenza dell’affermazione concreta ed esplicita della dottrina e della pratica costante della Chiesa, basata sulla Parola di Dio e reiterata dal papa Giovanni Paolo II che dice: «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, «assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (Familiaris Consortio, 84).
Il papa Francesco non aveva stabilito «una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi» (AL, n. 300). Però nella nota 336, dichiara: «Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave». Riferendosi evidentemente ai divorziati risposati il papa afferma in AL, al n. 305: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa.» Nella nota 351 il papa chiarisce la propria affermazione dicendo che «in certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti».
Nello stesso capitolo VIII di AL, al n. 298, il Papa parla dei «divorziati che vivono una nuova unione, … con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. La Chiesa riconosce situazioni in cui «l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione». Nella nota 329 il Papa cita il documento Gaudium et Spes in un modo purtroppo non corretto, perché il Concilio si riferisce in questo caso solo al matrimonio cristiano valido. L’applicazione di quest’affermazione ai divorziati può provocare l’impressione che il matrimonio valido venga assimilato, non in teoria, ma in pratica, ad una unione di divorziati.
L’ammissione dei divorziati-risposati alla Santa Comunione e le sue conseguenze
AL è purtroppo priva delle citazioni verbali dei principi della dottrina morale della Chiesa nella forma in cui sono stati enunciati al n. 84 dell’Esortazione ApostolicaFamiliaris Consortio e nell’Enciclica Veritatis Splendor del Papa Giovanni Paolo II, in particolare sui seguenti temi d’importanza capitale: «l’opzione fondamentale» (Veritatis Splendor nn.67-68), «peccato mortale e peccato veniale» (ibid., n.69-70), «proporzionalismo, consequenzialismo» (ibid. n.75), «il martirio e le norme morali universali ed immutabili» (ibid., nn.91ss). Una citazione verbale di Familiaris consorzio n.84 e di talune affermazioni più salienti di Veritatis splendor renderebbero peraltro AL inattaccabile da parte di interpretazioni eterodosse. Delle allusioni generiche ai principi morali e alla dottrina della Chiesa sono certamente insufficienti in una materia controversa che è di delicata e di capitale importanza.
Alcuni rappresentanti del clero e anche dell’episcopato affermano già che secondo lo spirito del capitolo VIII di AL non è escluso che in casi eccezionali i divorziati-risposati possano essere ammessi alla Santa Comunione senza che venga loro richiesto di vivere in perfetta continenza.
Ammettendo una simile interpretazione della lettera e dello spirito di AL, bisognerebbe accettare, con onestà intellettuale e in base al principio di non-contraddizione, le seguenti conclusioni logiche:
Il sesto comandamento divino che proibisce ogni atto sessuale al di fuori del matrimonio valido, non sarebbe più universalmente valido se venissero ammesse delle eccezioni. Nel nostro caso: i divorziati potrebbero praticare l’atto sessuale e vi sono anche incoraggiati al fine di conservare la reciproca “fedeltà”, cfr. AL, 298. Potrebbe dunque darsi una «fedeltà», in uno stile di vita direttamente contrario alla volontà espressa di Dio. Tuttavia, incoraggiare e legittimare atti che sono in sé e sempre contrari alla volontà di Dio, contraddirebbe la Rivelazione Divina.
La parola divina di Cristo: «Che l’uomo non separi quello che Dio ha unito» (Mt 19, 6) non sarebbe quindi più valida sempre e per tutti i coniugi senza eccezione.
Sarebbe possibile in un caso particolare ricevere il sacramento della Penitenza e la Santa Comunione con l’intento di continuare a violare direttamente i comandamenti divini: «Non commetterai adulterio» (Esodo 20, 14) e «Che l’uomo non separi quello che Dio ha unito» (Mt 19, 6; Gen 2, 24).
L’osservanza di questi comandamenti e della Parola di Dio avverrebbe in questi casi solo in teoria e non nella pratica, inducendo quindi i divorziati-risposati “ad ingannare se stessi (Giacomo 1, 22). Si potrebbe dunque avere perfettamente la fede nel carattere divino del sesto comandamento e dell’indissolubilità del matrimonio senza però le opere corrispondenti.
La Parola Divina di Cristo: «Colui che ripudia la moglie e ne sposa un’altra, commette un adulterio nei suoi confronti; e se una donna lascia il marito e ne sposa un altro, commette un adulterio» (Mc 10, 12) non avrebbe dunque più validità universale ma ammetterebbe eccezioni.
La violazione permanente, cosciente e libera del sesto comandamento di Dio e della sacralità e dell’indissolubilità del proprio matrimonio valido (nel caso dei divorziati risposati) non sarebbe dunque più un peccato grave, ovvero un’opposizione diretta alla volontà di Dio.
Possono esservi casi di violazione grave, permanente, cosciente e libera degli altri comandamenti di Dio (per esempio nel caso di uno stile di vita di corruzione finanziaria), nei quali potrebbe essere accordato a una determinata persona, a causa di circostanze attenuanti, l’accesso si sacramenti senza esigere una sincera risoluzione di evitare in avvenire gli atti di peccato e di scandalo.
Il perenne ed infallibile insegnamento della Chiesa non sarebbe più universalmente valido, in particolare l’insegnamento confermato da papa Giovanni Paolo II inFamiliaris Consortio, n.84, e da papa Benedetto XVI in Sacramentum caritatis, n,29, secondo il quale la condizione dei divorziati per ricevere i sacramenti sarebbe la continenza perfetta.
L’osservanza del sesto comandamento di Dio e dell’indissolubilità del matrimonio sarebbe un ideale non realizzabile da parte di tutti, ma in qualche modo solo per un’élite.
Le parole intransigenti di Cristo che intimano agli uomini di osservare i comandamenti di Dio sempre e in tutte le circostanze, anche accettando a questo fine delle sofferenze considerevoli, ovvero accettando la Croce, non sarebbero più valide nella loro verità: «Se la tua mano destra ti è causa di peccato, mozzala e gettala via da te, perché è meglio per te che un tuo membro perisca, piuttosto che tutto il tuo corpo sia gettato nella Geenna» (Mt 5, 30).
Ammettere le coppie in «unione irregolare» alla santa Comunione, permettendo loro di praticare gli atti riservati ai coniugi del matrimonio valido, equivarrebbe all’usurpazione di un potere, che però non compete ad alcuna autorità umana, perché si tratterebbe qui di una pretesa di correggere la stessa Parola di Dio.
Pericoli di una collaborazione della Chiesa nella diffusione della “piaga del divorzio”
Professando la dottrina di sempre di Nostro Signore Gesù Cristo, la Chiesa ci insegna: “Fedele al Signore, la Chiesa non può riconoscere come Matrimonio l’unione dei divorziati risposati civilmente. “Colui che ripudia la moglie per sposarne un’altra commette adulterio contro di lei. Se una donna ripudia il marito per sposarne un altro, commette adulterio” (Mc, 10, 11-12). Nei loro confronti, la Chiesa attua un’attenta sollecitudine, invitandoli ad una vita di fede, alla preghiera, alle opere di carità e all’educazione cristiana dei figli. Ma essi non possono ricevere l’assoluzione sacramentale, né accedere alla Comunione eucaristica, né esercitare certe responsabilità ecclesiali, finché perdura la loro situazione, che oggettivamente contrasta con legge di Dio” (Compendio di Catechismo della Chiesa Cattolica, 349).
Vivere in un’unione maritale non valida contraddicendo costantemente il comandamento di Dio e la sacralità e indissolubilità del matrimonio, non significa vivere nella verità. Dichiarare che la pratica deliberata, libera ed abituale degli atti sessuali in un’unione maritale non valida potrebbe in un caso concreto non essere più un peccato grave, non è la verità, ma una menzogna grave, e dunque non porterà mai una gioia autentica nell’amore. Permettere dunque a queste persone di ricevere la Santa Comunione significa simulazione, ipocrisia e menzogna. Resta valida infatti la Parola di Dio nella Sacra Scrittura: “Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui.” (1 Gv, 2, 4).
Il Magistero della Chiesa ci insegna la validità universale dei dieci comandamenti di Dio: “Poiché essi enunciano i doveri fondamentali dell’uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto primordiale, delle obbligazioni gravi. Essi sono fondamentalmente immutabili e il loro obbligo vale sempre e ovunque. Nessuno può dispensare da essi.” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2072). Coloro che hanno affermato che i comandamenti di Dio ed il particolare il comandamento “Non commetterai adulterio” possono avere delle eccezioni, ed in taluni casi la non imputabilità della colpa del divorzio, erano i Farisei e poi gli Gnostici cristiani nel secondo e terzo secolo.
Le seguenti affermazioni del Magistero restano sempre valide perché fanno parte del Magistero infallibile nella forma del Magistero universale e ordinario: “I precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di proibizioni che vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni, … ci sono comportamenti che non possono mai essere, in alcuna situazione, la risposta adeguata … La Chiesa ha sempre insegnato che non si devono mai scegliere comportamenti proibiti dai comandamenti morali, espressi in forma negativa nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Come si è visto, Gesù stesso ribadisce l’inderogabilità di queste proibizioni: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti…: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso» (Mt 19,17-18)” (Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, 52).
Il Magistero della Chiesa ci insegna ancor più chiaramente: “La coscienza buona e pura è illuminata dalla fede sincera. Infatti la carità sgorga, ad un tempo, “da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (1Tm 1,5 ): [Cf 1Tm 3,9; 2 Tm 1,3; 1794 1 Pt 3,21; At 24,16] (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1794).
Nel caso in cui una persona commetta atti morali oggettivamente gravi in piena coscienza, sana di mente, con libera decisione, con l’intento di ripetere quest’atto in futuro, è impossibile applicare il principio della non-imputabilità della colpa a causa delle circostanze attenuanti. L’applicazione del principio della non-imputabilità a queste coppie di divorziati-risposati rappresenterebbe una ipocrisia ed un sofisma gnostico. Se la Chiesa ammettesse queste persone, anche in un solo caso, alla Santa Comunione, essa contraddirebbe a ciò che professa nella dottrina, offrendo essa stessa una contro-testimonianza pubblica contro l’indissolubilità del matrimonio e contribuendo così alla crescita della “piaga del divorzio” (Concilio Vaticano II,Gaudium et Spes, 47).
Al fine di evitare una tale intollerabile e scandalosa contraddizione, la Chiesa, interpretando infallibilmente la verità Divina della legge morale e dell’indissolubilità del matrimonio, ha osservato immutabilmente per duemila anni la pratica di ammettere alla Santa Comunione solo quei divorziati che vivono in perfetta continenza e “remoto scandalo”, senza alcuna eccezione o privilegio particolare.
Il primo compito pastorale che il Signore ha affidato alla sua Chiesa è l’insegnamento, la dottrina (vedi Mt 28, 20). L’osservanza dei comandamenti di Dio è intrinsecamente connessa alla dottrina. Per questa ragione la Chiesa ha sempre respinto la contraddizione fra la dottrina e la vita, qualificando una simile contraddizione come gnostica o come la teoria luterana eretica del “simul iustus et peccator”. Tra la fede e la vita dei figli della Chiesa non dovrebbe esserci contraddizione.
Quando si tratta dell’osservanza del comandamento espresso di Dio e dell’indissolubilità del matrimonio, non si può parlare di interpretazioni teologiche opposte. Se Dio ha detto: “Non commetterai adulterio”, nessuna autorità umana potrebbe dire: “in qualche caso eccezionale o per un fine buono tu puoi commettere adulterio”.
Le seguenti affermazioni del papa Francesco sono molto importanti, laddove il Sommo Pontefice parla a proposito dell’integrazione dei divorziati risposati nella vita della Chiesa: “questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. … Vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, … Si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale” (AL, 300). Queste affermazioni lodevoli di AL restano tuttavia senza specificazioni concrete riguardo alla questione dell’obbligo dei divorziati risposati di separarsi o almeno di vivere in perfetta continenza.
Quando si tratta della vita o della morte del corpo, nessun medico lascerebbe le cose nell’ambiguità. Il medico non può dire al paziente: “Dovete decidere l’applicazione della medicina secondo coscienza e rispettando le leggi della medicina”. Un comportamento simile da parte di un medico verrebbe senza dubbio considerato irresponsabile. E tuttavia la vita dell’anima immortale è più importante, poiché dalla salute dell’anima dipende il suo destino per tutta l’eternità.
La verità liberatrice della penitenza e del mistero della Croce.
Affermare che i divorziati risposati non sono pubblici peccatori significa simulare il falso. Inoltre, essere peccatori è la vera condizione di tutti i membri della Chiesa militante sulla terra. Se i divorziati-risposati dicono che i loro atti volontari e deliberati contro il sesto comandamento di Dio non sono affatto peccati o peccati gravi, essi s’ingannano e la verità non è in loro, come dice San Giovanni: “Se diciamo di essere senza peccato inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci purificherà da ogni iniquità. Se diciamo “Non abbiamo peccato”, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi” (1 Gv 1, 8-10).
L’accettazione da parte dei divorziati-risposati della verità che essi sono peccatori ed anche pubblici peccatori non toglie nulla alla loro speranza cristiana. Soltanto l’accettazione della realtà e della verità li rende capaci di intraprendere il cammino di una penitenza fruttuosa secondo le parole di Gesù Cristo.
Sarebbe molto salutare ripristinare lo spirito dei primi cristiani e del tempo dei Padri della Chiesa, quando esisteva una viva solidarietà dei fedeli con i peccatori pubblici, e tuttavia una solidarietà secondo la verità. Una solidarietà che non aveva nulla di discriminatorio; al contrario, vi era la partecipazione di tutta la Chiesa nel cammino penitenziale dei peccatori pubblici per mezzo delle preghiere d’intercessione, delle lacrime, degli atti di espiazione e di carità in loro favore.
L’Esortazione apostolica Familiaris Consortio insegna: ” Anche coloro che si sono allontanati dal comandamento del Signore e continuano a vivere in questa condizione (divorziati-risposati) potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità” (n. 84).
Durante i primi secoli i peccatori pubblici erano integrati nella comunità orante dei fedeli e dovevano implorare in ginocchio e con le braccia alzate l’intercessione dei loro fratelli. Tertulliano ce ne dà una testimonianza toccante: “Il corpo non può rallegrarsi quando uno dei suoi membri soffre. È necessario che tutto intero esso si dolga e lavori alla sua guarigione. Quando tendi le mani alle ginocchia dei tuoi fratelli, è Cristo che tocchi, è Cristo che implori. Parimenti, quando loro versano lacrime per te, è Cristo che compatisce” (De paenitentia, 10, 5-6). Nello stesso modo parla Sant’Ambrogio di Milano: “La Chiesa intera ha preso su di sé il fardello del peccatore pubblico, soffrendo con lui per mezzo di lacrime, preghiere e dolori” (De paenitentia, 1, 81).
È vero che le forme della disciplina penitenziale della Chiesa sono cambiate, ma lo spirito di questa disciplina deve restare nella Chiesa di tutti i tempi. Oggi, alcuni preti e vescovi, basandosi su alcune affermazioni di AL, cominciano a far intendere ai divorziati-risposati che la loro condizione non equivaleva allo stato oggettivo di peccatore pubblico. Essi li tranquillizzano dichiarando che i loro atti sessuali non costituiscono un peccato grave. Un simile atteggiamento non corrisponde alla verità. Essi privano i divorziati-risposati della possibilità di una conversione radicale all’obbedienza alla volontà di Dio, lasciando queste anime nell’inganno. Un tale atteggiamento pastorale è molto facile, a buon mercato, non costa niente. Non costa lacrime, preghiere ed opere diintercessione e di espiazione fraterna in favore dei divorziati-risposati.
Ammettendo, anche solo in casi eccezionali, i divorziati-risposati alla Santa Comunione senza chieder loro di cessare di praticare gli atti contrari al sesto comandamento di Dio, dichiarando inoltre presuntuosamente che l loro atti non sono peccato grave, si sceglie la strada facile, si evita lo scandalo della croce. Una simile pastorale dei divorziati-risposati è una pastorale effimera e ingannatrice. A tutti coloro che propagandano un simile facile cammino a buon mercato ai divorziati-risposati Gesù rivolge ancora oggi queste parole: ” Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! Allora Gesù disse ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuol seguirmi, che rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16, 23-25).
Riguardo alla pastorale dei divorziati-risposati, oggi bisogna ravvivare anche lo spirito di seguire Cristo nella verità della Croce e della penitenza, che solo porta una gioia permanente, evitando le gioie effimere che sono in fin dei conti ingannatrici. Le seguenti parole del papa San Gregorio Magno si rivelano veramente attuali e luminose: “Non dobbiamo abituarci troppo al nostro esilio terreste, le comodità di questa vita non devono farci dimenticare la nostra vera patria così che il nostro spirito non divenga sonnolento in mezzo alle comodità. Per questo motivo, Dio unisce ai suoi doni le sue visite o punizioni, affinché tutto ciò che c’incanta in questo mondo, divenga per noi amaro e si accenda nell’anima quel fuoco che ci spinge sempre di nuovo verso il desiderio delle cose celesti e ci fa progredire. Quel fuoco ci ferisce in modo piacevole, ci crocifigge dolcemente e ci rattrista gioiosamente” (InHez, 2, 4, 3).
Lo spirito dell’autentica disciplina penitenziale della Chiesa dei primi secoli è perdurato nella Chiesa di tutti i tempi fino ad oggi. Abbiamo l’esempio commovente della Beata Laura del Carmen Vicuna, nata in Cile nel 1981. Suor Azocar, che aveva curato Laura, ha raccontato: “Mi ricordo che quando spiegai la prima volta il sacramento del matrimonio, Laura svenne, di certo avendo compreso dalle mie parole che sua madre era in stato di peccato mortale finché fosse rimasta con quel signore. A quell’epoca, a Junin, una sola famiglia viveva in conformità alla volontà di Dio.” Da allora, Laura moltiplica preghiere e penitenze per la sua mamma. Il 2 giugno 1901 fa la sua prima comunione, con grande fervore; scrive le seguenti risoluzioni: “1. Voglio, o mio Gesù, amarti e servirti per tutta la vita; per questo ti offro tutta la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. – 2. Preferisco morire piuttosto che offenderti col peccato; perciò voglio allontanarmi da tutto quello che potrebbe separarmi da te. – 3. Prometto di fare tutto il possibile affinché tu sia sempre più conosciuto e amato, e al fine di riparare le offese che ogni giorno ti infliggono gli uomini che non ti amano, specialmente quelle che ricevi da coloro che mi sono vicini. -Oh mio Dio, concedimi una vita di amore, di mortificazione e di sacrificio!” Ma la sua grande gioia è oscurata nel vedere che sua madre, presente alla cerimonia, non fa la comunione. Nel 1902, Laura offre la propria vita per sua madre che convive con un uomo in una unione irregolare in Argentina. Laura moltiplica le preghiere e le privazioni per ottenere la vera conversione della madre. Poche ore prima di morire la chiama vicino a sé. Capendo di essere al momento supremo, esclama: ” Mamma, sto per morire. L’ho chiesto io a Gesù e gli ho offerto la mia vita per la grazia del tuo ritorno. Mamma, avrò la gioia di vedere il tuo pentimento prima di morire?” Sconvolta, la madre promette: “Domani mattina andrò in chiesa e mi confesserò”. Laura cerca allora lo sguardo del prete e gli dice: “Padre, mia madre in questo momento promette di abbandonare quell’uomo; siate testimone di questa promessa!” E poi aggiunge: “Ora muoio contenta!”. Con queste parole spira, il 22 gennaio 1904, a Junin delle Ande (Argentina), a 13 anni, nelle braccia della madre che ritrova allora la fede ponendo fine all’unione irregolare nella quale viveva.
L’esempio ammirevole della vita della giovane Beata Laura è una dimostrazione di quanto un vero cattolico consideri seriamente il sesto comandamento di Dio e la sacralità e indissolubilità del matrimonio. Nostro Signore Gesù Cristo ci raccomanda di evitare persino l’apparenza di un’approvazione di una unione irregolare o di un adulterio. Quel comando divino la Chiesa l’ha sempre fedelmente conservato e trasmesso senza ambiguità nella dottrina e nella pratica. Offrendo la sua giovane vita la Beata Laura non si era certo rappresentata una delle diverse interpretazioni dottrinali o pastorali possibili. Non si dà la propria vita per una possibile interpretazione dottrinale o pastorale, ma per una verità divina immutabile e universalmente valida. Una verità dimostrata con l’offerta della vita da parte di un gran numero di Santi, da san Giovanni Battista fino ai semplici fedeli dei giorni nostri il cui nome solo Dio conosce.
Necessità di una “veritatis laetitia”
Amoris laetitia contiene di sicuro e per fortuna delle affermazioni teologiche e indicazioni spirituali e pastorali di grande valore. Tuttavia, è realisticamente insufficiente affermare che AL andrebbe interpretata secondo la dottrina e la pratica tradizionale della Chiesa. Quando in un documento ecclesiastico, che nel caso nostro è sprovvisto di carattere definitivo e infallibile, si rinvengono elementi di interpretazioni ed applicazioni che potrebbero avere conseguenze spirituali pericolose, tutti i membri della Chiesa, e in primo luogo i vescovi, quali collaboratori fraterni del Sovrano Pontefice nella collegialità effettiva, hanno il dovere di segnalare rispettosamente questo fatto e di chiedere un’interpretazione autentica.
Quando si tratta della fede divina, dei comandamenti divini e della sacralità e indissolubilità del matrimonio, tutti i membri della Chiesa, dai semplici fedeli fino ai più alti rappresentanti del Magistero devono fare uno sforzo comune per conservare intatto il tesoro della fede e la sua applicazione pratica. Il Concilio Vaticano II ha in effetti ha insegnato: “La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando « dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici » (S. Agostino, De Praed. Sanct, 14, 27) mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita” (Lumen gentium, 12). Il Magistero, per parte sua, “non è al di sopra della Parola di Dio, ma è al suo servizio, poiché insegna solo ciò che è stato trasmesso (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 10).
Fu proprio il Concilio Vaticano II a incoraggiare tutti i fedeli e soprattutto i vescovi a manifestare senza timore le loro preoccupazioni ed osservazioni in vista del bene di tutta la Chiesa. Il servilismo ed il politicamente corretto causano un male pernicioso alla vita della Chiesa. Il famoso vescovo e teologo del Concilio di Trento, Melchior Cano, O.P., pronunciò questa frase memorabile: “Pietro non ha bisogno delle nostre menzogne e adulazioni. Coloro che ad occhi chiusi ed in modo indiscriminato difendono ogni decisione del Sommo Pontefice, sono quelli che maggiormente compromettono l’autorità della Santa Sede. Essi ne distruggono le fondamenta invece di consolidarle”.
Nostro Signore ci ha insegnato senza ambiguità spiegando in cosa consistano il vero amore e la vera gioia dell’amore: “Colui che ha i miei comandamenti e li osserva è colui che mi ama” (Gv 14, 21). Dando agli uomini il sesto comandamento e l’osservanza dell’indissolubilità del matrimonio, Dio li ha dati a tutti senza eccezione e non solo ad un’élite. Già nell’Antico Testamento Dio ha dichiarato: Questo comandamento che ti prescrivo oggi di sicuro non è al di sopra delle tue forze, né fuori della tua portata” (Deuteronomio 30, 11) e “Se vuoi, osserverai i comandamenti;
l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.” (Siracide, 15, 15). E Gesù disse a tutti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Quali? E Gesù rispose: Non ucciderai; non commetterai adulterio” (Mt 19, 17-18). L’insegnamento degli Apostoli ci ha trasmesso la stessa dottrina: “Poiché l’amore di Dio consiste nell’osservare i suoi comandamenti. E i suoi comandamenti non sono gravosi” (1 Gv5, 3).
Non vi è una vita vera, soprannaturale ed eterna, senza l’osservanza dei comandamenti di Dio: “Ti prescrivo di osservare i suoi comandamenti. Ho posto davanti a te la vita e la morte. Scegli la vita!” (Deuteronomio 30, 16-19). Non vi è dunque una vera vita e una vera gioia d’amore autentica senza la verità. “L’amore consiste nel vivere secondo i suoi comandamenti” (2 Gv 6). La gioia d’amore consiste nella gioia della verità. La vita autenticamente cristiana consiste nella vita e nella gioia della verità: “Per me non c’è gioia maggiore di quella che provo nel sapere che i miei figli vivono ubbidendo alla verità.” (3 Gv 4).
Sant’Agostino ci spiega l’intimo legame fra la gioia e la verità: “Chiedo a tutti loro se non preferiscono la gioia della verità a quella della menzogna. Ed essi non esitano qui più che per la risposta alla domanda sulla felicità. Perché la vita felice consiste nella gioia della verità, noi tutti vogliamo la gioia della verità” (Confessioni, X, 23).
Il pericolo di una confusione generale per quanto riguarda l’indissolubilità del matrimonio
Ormai da tempo, nella vita della Chiesa, si constata in alcuni luoghi, un tacito abuso nell’ammissione dei divorziati-risposati alla Santa Comunione, senza chiedere loro di vivere in perfetta continenza. Le affermazioni poco chiare nel capitolo VIII della AL hanno dato nuovo dinamismo ai propagatori dichiarati della ammissione, in singoli casi, dei divorziati-risposati alla Santa Comunione.
Possiamo ora constatare che l’abuso ha iniziato a diffondersi maggiormente nella pratica sentendosi in qualche modo legittimato. Inoltre vi è confusione per quanto riguarda l’interpretazione principalmente delle affermazioni riportate nel capitolo VIII della AL. La confusione raggiunge il suo apice poiché tutti, sia i sostenitori della ammissione dei divorziati-risposati alla Comunione sia i loro oppositori, sostengono che « La dottrina della Chiesa in questa materia non è stata modificata ».
Tenendo debitamente conto delle differenze storiche e dottrinali, la nostra situazione mostra alcune somiglianze e analogie con la situazione di confusione generale della crisi ariana del 4° secolo. All’epoca, la fede apostolica tradizionale nella vera divinità del Figlio di Dio fu garantita mediante il termine “consustanziale” (“homoousios”), dogmaticamente proclamata dal Magistero universale del Concilio di Nicea I. La crisi profonda della fede, con una confusione quasi universale, fu causata principalmente dal rifiutare o dall’evitare di utilizzare e professare la parola “consustanziale” (“homoousios“). Invece di utilizzare questa espressione, si diffuse tra il clero e soprattutto tra l’episcopato l’utilizzo di formule alternative che alla fine erano ambigue e imprecise come ad esempio “simile nella sostanza” (“homoiousios“) o semplicemente “simile” (“homoios“). La formula “homoousios” del Magistero universale di quel tempo esprimeva la divinità piena e vera del VERBO in modo così chiaro da non lasciare spazio ad interpretazioni equivoche.
Negli anni 357-360 quasi l’intero episcopato era diventato ariano o semi-ariano a causa dei seguenti avvenimenti: nel 357 papa Liberio firmò una delle formule ambigue di Sirmio, nella quale era stato eliminato il termine “homoousios”. Inoltre, il Papa scomunicò, in maniera scandalosa, sant’Atanasio. Sant’Ilario di Poitiers fu l’unico vescovo ad aver mosso gravi rimproveri a Papa Liberio per tali atti ambigui. Nel 359 i sinodi paralleli dell’episcopato occidentale a Rimini e di quello orientale a Seuleukia avevano accettato delle espressioni completamente ariane peggiori ancora della formula ambiguo firmata da Papa Liberio. Descrivendo la situazione di confusione dell’epoca, san Girolamo si espresse così: « “il mondo gemette e si accorse con stupore di essere diventato ariano. » («Ingemuit totus orbis, et arianum se esse miratus est » : Adv. Lucif., 19).
Si può affermare che la nostra epoca è caratterizzata da una gran confusione riguardo alla disciplina sacramentale per i divorziati-risposati. Ed esiste un pericolo reale che questa confusione si espanda su vasta scala, se evitiamo di proporre e proclamare la formula del Magistero universale e infallibile: « La riconciliazione nel sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo a quelli che, (…) assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” (Giovanni Paolo II,Familiaris consortio, 84). Questa formula è purtroppo incomprensibilmente assente da AL. L’AL contiene invece, in maniera altrettanto inspiegabile, la seguente dichiarazione: . « In queste situazioni (di divorziati risposati) , molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (AL, 298, n. 329). Tale affermazione lascia pensare ad una contraddizione con l’insegnamento perenne del Magistero universale, come è stato formulato nel testo citato dellaFamiliaris Consortio, 84.
Si rende urgente che la Santa Sede confermi e proclami nuovamente, eventualmente sotto forma di interpretazione autentica di AL, la citata formula dellaFamiliaris Consortio, 84. Questa formula potrebbe essere considerata, sotto certi aspetti, come l’”homoousios” dei nostri giorni. La mancanza di conferma in maniera ufficiale ed esplicita della formula di Familiaris Consortio 84 da parte della Sede Apostolica potrebbe contribuire ad una confusione sempre maggiore nella disciplina sacramentale con ripercussioni graduali e inevitabili in campo dottrinale. In questo modo si verrebbe a creare una tale situazione alla quale si potrebbe in futuro applicare la seguente constatazione: « Tutto il mondo gemette e si accorse con stupore di aver acettato il divorzio nella prassi.» («Ingemuit totus orbis, et divortium in praxi se accepisse miratus est »).
Una confusione nella disciplina sacramentale nei confronti dei divorziati-risposati, con le conseguenti implicazioni dottrinali, contraddirebbe la natura della Chiesa cattolica, così come è stata descritta da sant’Ireneo nel secondo secolo: « La Chiesa, avendo ricevuto questa predicazione e questa fede, benché dispersa nel mondo intero la conserva con cura come abitando una sola casa; e allo stesso modo crede in queste verità, come se avesse una sola anima e un solo cuore; e le proclama, insegna trasmette, con una voce unanime, come se avesse una sola bocca» (Adversus haereses, I, 10, 2).
La Sede di Pietro, cioè il Sovrano Pontefice, è il garante dell’unità della fede e della disciplina sacramentale apostolica. Considerando la confusione venutasi a creare tra di sacerdoti e vescovi nella pratica sacramentale per quanto riguarda i divorziati risposati e l’interpretazione di AL, si può considerare legittimo un appello al nostro caro papa Francesco, il Vicario di Cristo e « il dolce Cristo in terra » (Santa Caterina da Siena), affinché ordini la pubblicazione di una interpretazione autentica di AL, che dovrebbe necessariamente contenere una dichiarazione esplicita del principio disciplinare del Magistero universale e infallibile riguardo l’ammissione ai sacramenti dei divorziati-risposati, così come è formulato nel n. 84 della Familiaris consortio.
Nella grande confusione ariana del IV secolo, san Basilio il Grande fece un appello urgente al papa di Roma affinché indicazze con la sua parola una chiara direzione per ottenere finalmente l’unità di pensiero nella fede e nella carità (cf. Ep. 70).
Una interpretazione autentica di AL da parte della Sede Apostolica porterebbe una gioia nella chiarezza (« claritatis laetitia ») per tutta la Chiesa. Tale chiarezza garantirebbe un amore nella gioia (« amoris laetitia »), un amore e una gioia che non sarebbero secondo la mente degli uomini, ma secondo la mente di Dio (cf. Mt 16, 23). Ed è questo ciò che conta per la gioia, la vita e la salvezza eterna di divorziati-risposati e di tutti gli uomini.
+ Athanasius Schneider, Vescovo Ausiliare dell’Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana, Kazakhstan
http://www.corrispondenzaromana.it/amoris-laetitia-chiarire-per-evitare-una-confusione-generale/
Traduzione a cura di Chiesa e postconcilio dal testo originariamente pubblicato su Rorate caeli.
Note - di Dániel Fülep
[1] Il Sillabo (Syllabus Errorum) è un documento promulgato dalla Santa Sede sotto Pio IX l'8 dicembre 1864, festa dell'Immacolata Concezione, insieme all'enciclica Quanta Cura (qui il PDF di entrambi i documenti). Il Sillabo elencava le posizioni erronee o ambigue, nel campo filosofico e politico, riguardo a determinati temi su cui si era già precedentemente espresso l'insegnamento della Chiesa. È importante perché è stato largamente interpretato come un attacco della Chiesa al modernismo, alla secolarizzazione e all'emancipazione politica.
[2] Catholic Culture (Catholic World News), 21 gennaio 2011.
[3] "Partecipazione attiva".
[4] Tra le sollecitudini (22 novembre 1903).
[5] La costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, è uno dei documenti del Concilio Vaticano II. Fu approvato dall'assemblea dei vescovi con 2147 voti a favore contro 4, e promulgata da Paolo VI il 4 dicembre 1963.
[6] La costituzione sulla divina Rivelazione Dei verbum fu promulgata nel Concilio Vaticano II da papa Paolo VI il 18 novembre 1965, in seguito all'approvazione dell'assemblea dei vescovi con 2344 voti contro 6. È uno dei principali documenti del Vaticano II.
[7] Qui il video. [nel blog, qui]
[8] Cfr. Mc 16, 16.
[9] Cfr. Gv 3, 4-6.
[10] Cfr. “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!".” (Rm 8,15).
[11] Il Cammino Neocatecumenale (talvolta detto "neocatecumenato") è un'organizzazione dedita alla formazione religiosa dei fedeli. È stato fondato a Madrid nel 1964 da Kiko Argüello and Carmen Hernández.
[12] Le comunità neocatecumenali mescolano nella liturgia della Chiesa elementi Protestanti ed Ebraici.
[13] Il movimento neocatecumenale per lungo tempo ha desiderato ricevere dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l'approvazione dei propri abusi liturgici. Ma in seguito a consultazioni con la Congregazione, fu il Pontificio Consiglio per i Laici ad approvare prima lo Statuto e poi il Direttorio Catechetico e le pratiche non liturgiche. Il decreto del 20 gennaio 2012, infatti, non ha nulla a che vedere con le "innovazioni" liturgiche del Cammino Neocatecumenale, che dovrebbero essere immediatamente terminate perché sono contro le leggi universali della Chiesa e contro la pratica della Chiesa.
[20] Ibid., 40.
[22] Cfr. Mt 28,19.
[28] Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia. [nel blog, qui - qui]
[29] Giubileo straordinario della misericordia.
[30] Mt 18, 21–22.
[31] Veramente, realmente e sostanzialmente. Cf. DS 1637.
[35] Ibid., 92.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
Intervista a S.E. mons. Athanasius Schneider
Intervista a S.E. mons. Athanasius Schneider, da Dániel Fülep del Centro John Henry Newman (Ungheria).
Traduzione a cura di Chiesa e postconcilio dal testo originariamente pubblicato su Rorate caeli.
Le affermazioni di mons. Schneider di fatto ci confermano nelle nostre
posizioni e riflessioni sui vari argomenti trattati; abbiamo inserito
nel testo alcuni nostri link di riferimento che vi fanno puntuale
riscontro, insieme ai link ai principali documenti citati, per chi
avesse interesse ad approfondire.
Anche se l'intervista è avvenuta il 6 marzo scorso, un mese prima della
pubblicazione della Esortazione post-sinodale, abbiamo ritenuto dover
anticipare, pubblicandolo qui, tratto dal testo integrale,
il capitolo di apertura, che si riferisce alle due sessioni Sinodali in
generale e che, per l'approccio alle questioni dibattute, già di per sé
è rivelatore del pensiero di mons. Schneider sulla Esortazione stessa,
per via dell'evidente riscontro rilevabile nell'analisi riguardante la Relatio finale.
Di seguito riprendiamo il successivo lungo e ampio excursus sull'intera
realtà ecclesiale che tocca molti punti della crisi attuale.
A proposito del Concilio Vaticano II
Mr. Fülep: durante una conferenza teologica a Roma nel dicembre 2010 [qui] lei ha indicato la necessità di "un nuovo Sillabo"[1] nel quale l'autorità pontificia dovrebbe correggere le interpretazioni erronee dei documenti del Concilio Vaticano II.[2] Che cosa ne pensa oggi?
Mons. Schneider: penso che in questo periodo di confusione sia
assolutamente necessario avere un Sillabo del genere. Per Sillabo si
intende una lista, un elenco di pericoli, di affermazioni confuse, di
cattive interpretazioni, ecc.; l'enumerazione degli errori più comuni e
diffusi in ogni area come dogmi, morale e liturgia. D'altro canto
occorre anche chiarire e positivamente fissare quegli stessi punti. Ce
ne sarà sicuramente bisogno perché la Chiesa ha sempre dato chiarimenti
molto precisi, specialmente nelle epoche di confusione.
Mr. Fülep: il nome dato al programma pontificale di Giovanni
XXIII, nel suo discorso del 25 gennaio 1959, fu “aggiornamento”, e fu
una delle parole chiave utilizzate durante il Concilio Vaticano II.
Quale è la corretta interpretazione di tale termine?
Mons. Schneider: per papa Giovanni XXIII “aggiornamento” non
significava il cambiare la verità, ma lo spiegarla in modi più profondi e
pedagogici, così che i fedeli la accettassero e la comprendessero
meglio. Il papa insistette che “aggiornamento” significava mantenere la
fede nella sua interezza. Fu dopo il Concilio che quel termine fu
radicalmente abusato per cambiare la fede. Il che non era nelle
intenzioni di Giovanni XXIII.
Mr. Fülep: un altro termine frainteso è la “participatio actuosa” [nel blog qui].[3]
Anche il clero lo ha inteso come il dover preferibilmente assegnare un
compito a ogni fedele durante la liturgia. È come se questo termine si
riferisse al trambusto del darsi da fare, o all'attivismo. Nessuno ha
pensato che si trattasse di un'attività interna.
Mons. Schneider: il primo ad adoperare l'espressione “participatio actuosa” fu papa Pio X nel suo famoso motu proprio sulla musica sacra Tra le sollecitudini.[4]
Il papa parla di “participatio actuosa” spiegando che i fedeli durante
la Santa Messa devono essere consci delle sacre parole e dei sacri riti,
partecipando consapevolmente anziché distrattamente. Il loro cuore e la
loro bocca devono essere in accordo. Si può trovare questo stesso
significato nel documento Sacrosantum Concilium del Concilio Vaticano II,[5] dove non si trova certo una gran reinterpretazione di quel termine. Il Sacrosanctum Concilium ci insegna che in pratica la participatio actuosa
significa ascoltare, rispondere, cantare, inginocchiarsi, ed anche lo
stare in silenzio. È stata la prima volta che il Magistero ha parlato
del silenzio come una forma di participatio actuosa, per cui dobbiamo smontare alcuni miti sulla malintesa participatio.
A proposito della crisi della Chiesa
Mr. Fülep: oggi dobbiamo riconoscere che c'è una profonda
frattura all'interno della Chiesa. Il quadro è molto complesso, ma
semplificando possiamo dire che c'è una dura lotta tra il modernismo e
la tradizione. Come spiega sua Eccellenza questa dicotomia nella vita
della Chiesa?
Mons. Schneider: sono già 50 anni che stiamo vivendo e subendo
quella dicotomia, fin dal Concilio. Da un lato rileviamo segni positivi
nella Chiesa; d'altro canto vediamo che certi sacerdoti e vescovi
diffondono errori. Questa situazione è contraria alla natura della
Chiesa. Gesù Cristo comandò agli Apostoli e ai loro successori di
vigilare sul deposito della fede, cioè la fede cattolica, intatta, per
la quale gli Apostoli furono disposti anche a dare la vita. Coloro che
hanno autorità nella Chiesa devono agire contro tale situazione e
correggerla.
Mr. Fülep: nell'analizzare la vita della Chiesa, ci rendiamo
conto che stiamo vivendo in un'epoca fuori dall'ordinario. L'apostasia è
generalizzata, pressoché dappertutto, e le eresie sono scatenate:
modernismo, conciliarismo, arcaismo, ecc. Sfortunatamente vediamo segni
di eresia anche tra i vescovi. Gli storici dicono che questa crisi ci
ricorda l'epoca dell'arianesimo. Se questo paragone è esatto, che
somiglianza c'è tra il periodo ariano e i nostri giorni?
Mons. Schneider: la crisi ariana del quarto secolo fu causa di
una confusione generale in tutta la Chiesa. Le eresie - o ambiguità e
mezze verità - riguardanti la divinità di Cristo furono all'epoca assai
diffuse. Solo pochi vescovi restarono ad opporsi apertamente all'eresia e
all'ambiguità rappresentata dai cosiddetti semi-ariani. In quei giorni
solo il clero politicamente corretto veniva promosso
all'episcopato o altri alti uffici ecclesiastici, poiché il governo
dell'epoca sosteneva e promuoveva l'eresia, in modi simili a quelli del
nostro tempo. Nel nostro tempo non viene negata qualche specifica
dottrina di fede, ma c'è una confusione generale in quasi tutti gli
aspetti della dottrina cattolica, della morale e della liturgia. Nei
nostri giorni, inoltre, quanto alla difesa della fede cattolica molti
vescovi sono silenziosi o intimoriti. Per cui la mia risposta è "sì", ci
sono somiglianze.
Mr. Fülep: alcuni suggeriscono l'importanza di un nuovo dogma
per definire il termine ‘tradizione’ e chiarire il rapporto fra
tradizione e papato, concili, Magistero, ecc. Questo nuovo dogma
potrebbe ad esempio difendere la tradizione contro il conciliarismo o
qualche altra cattiva interpretazione del primato petrino. Cosa ne
pensa?
Mons. Schneider: abbiamo il documento Dei Verbum[6]
del Concilio Vaticano II sulla divina rivelazione, che contiene molte
ottime affermazioni. Ci dice che quanto al Magistero, il Papa non è al
di sopra della Parola di Dio o della Tradizione ma, in qualità di servo
della Parola trasmessa oralmente e per iscritto (= tradizione), ne è al
di sotto. Occorre anche insistere sul fatto che il papa, il papato, non è
il proprietario della traduzione o della liturgia, ma le deve
preservare, come un buon giardiniere. Penso che sia un bene approfondire
la riflessione sulle relazioni che intercorrono fra il Magistero e la
Tradizione.
Mr. Fülep: ai fedeli cattolici di oggi tocca fare esperienza
della debolezza e delle disfunzioni del Magistero: senza esagerazione
oso dire che nei media cattolici ufficiali si possono ascoltare, leggere
o vedere errori madornali, ambiguità, e quel che è peggio, anche
eresie, da preti di alto rango e tristemente anche da vescovi e alti
dignitari ecclesiastici, quasi ogni giorno. Una percentuale
significativa delle affermazioni ufficiali – anche le più alte – è
confusa e contraddittoria, ed inganna molti fedeli. Cosa dovrebbero fare
i fedeli cattolici in questi tempi difficili? Come possiamo restare
nella fede in questa situazione? Quale è il nostro dovere?
Mons. Schneider: nella storia della Chiesa ci sono sempre stati
momenti di crisi profonda, sia per la fede che per la morale. La crisi
più profonda e pericolosa fu senza dubbio la crisi ariana nel quarto
secolo. Fu un attacco mortale contro il mistero della Santissima
Trinità. In quei tempi furono praticamente i semplici fedeli a salvare
la fede cattolica. Nell'analizzare tale crisi, il beato John Henry
Newman disse che fu la “ecclesia docta” (cioè i fedeli che ricevono l'insegnamento dal clero) anziché la “ecclesia docens”
(cioè i responsabili del magistero ecclesiastico) a salvare l'integrità
della fede cattolica nel quarto secolo. In tempi di grave crisi la
Divina Provvidenza preferisce usare gli umili e i semplici per
dimostrare l'indistruttibilità della Sua Chiesa. Sulla situazione
interna della Chiesa si può anche considerare la seguente affermazione
di san Paolo: “Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per
confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per
confondere i forti” (1 Cor 1,27). Quando i semplici fedeli notano che i
rappresentanti del clero, e perfino dell'alto clero, trascurano la fede
cattolica e proclamano errori, dovrebbero pregare per la loro
conversione, dovrebbero riparare gli sbagli del clero attraverso una
coraggiosa testimonianza della fede. Certe volte i fedeli dovrebbero
anche avvisare il clero e correggerlo, sempre rispettosamente, cioè
seguendo il principio del “sentire cum ecclesia”, come ad esempio
fecero santa Caterina da Siena e santa Brigida di Svezia. Nella Chiesa
tutti costituiamo un unico corpo, il Corpo Mistico di Cristo. Quando la
testa (il clero) è debole, il resto dei membri dovrebbe tentare di
rafforzare l'intero corpo. In fin dei conti, la Chiesa è guidata dal suo
Capo invisibile, che è Cristo, ed è animata dalla sua anima invisibile,
che è lo Spirito Santo. Pertanto la Chiesa è indistruttibile.
Messaggio video confuso e ambiguo
Mr. Fülep: a gennaio papa Francesco ha rivelato la sua intenzione di preghiera per il dialogo interreligioso in un video-messaggio. [qui] [7]
Il Santo Padre ha detto di pregare affinché “il dialogo sincero fra
donne e uomini di diverse religioni possa portare frutti di pace e di
giustizia.” Nel video vediamo il papa argentino insieme a credenti di
altre religioni, inclusi ebrei, musulmani e buddisti, che professano la
propria fede e dichiarano insieme di credere nell'amore. Il Papa fa
appello al dialogo interreligioso, notando che “molti si dichiarano
credenti,” e perciò “questo dovrebbe portare al dialogo tra le
religioni”. “Solo attraverso il dialogo”, sottolinea, “si potrà
eliminare l'intolleranza e la discriminazione”. Nel notare che il
dialogo interreligioso è “una condizione necessaria” per la pace nel
mondo, il Papa dice: “Non dobbiamo smettere di pregare per essa né di
collaborare con coloro che la pensano in modo diverso.” Ha anche
espresso la sua speranza che la sua richiesta di preghiera si diffonda a
tutti. “In questo ampio spettro di religioni”, conclude papa Francesco,
“c'è solo una certezza che abbiamo per tutti: siamo tutti figli di
Dio”, e afferma di aver fiducia nelle nostre preghiere. Nell'ultima
inquadratura possiamo vedere Gesù Bambino fra il Buddha, la Menoràh e
una corona di preghiera islamica. Se crediamo che Gesù Cristo è il
Figlio Unigenito di Dio, e crediamo la Chiesa, la fede e il battesimo
necessari alla salvezza,[8] e sappiamo che la figliolanza divina è il frutto della giustificazione, vedere questo video mette un certo imbarazzo…
Mons. Schneider: ovvio. Sfortunatamente, queste affermazioni del
papa sono molto ambigue e confuse. C'è confusione perché sta mettendo
sullo stesso piano il livello della natura, secondo cui siamo tutti
creature di Dio, e il livello soprannaturale, secondo cui solo coloro
che credono in Cristo e vengono battezzati sono figli di Dio. Solo
coloro che credono in Cristo sono figli di Dio, che non sono nati nella
carne. Questo lo ha dichiarato Dio stesso, nel Vangelo di Giovanni.[9] Quell'affermazione del Papa contraddice in qualche modo la stessa Parola di Dio. E, come scrisse san Paolo, è solo in Cristo[10] e attraverso lo Spirito Santo riversato nei nostri cuori che possiamo dire “Abbà, Padre”:
cioè è assolutamente chiaro basandosi sulla Parola di Dio. Ovviamente,
Cristo ha versato il Suo sangue per redimere tutti, ogni essere umano.
Questa è redenzione oggettiva. E perciò ogni essere umano può diventare
figlio di Dio se accetta personalmente Cristo nella fede e attraverso il
battesimo. Per cui dobbiamo spiegare tali differenze in modo
assolutamente chiaro.
Il Cammino Neocatecumenale
è una comunità Protestante-Ebraica
è una comunità Protestante-Ebraica
Mr. Fülep: mentre la tradizione viene perseguitata, ci sono
certi nuovi movimenti moderni che vengono invece sostenuti parecchio.
Uno di questi è la comunità di Kiko. Quale è la sua opinione sul Cammino
Neocatecumenale?[11]
Mons. Schneider: si tratta di un fenomeno molto triste e
complesso. Per dirla apertamente: è un cavallo di Troia nella Chiesa. Li
conosco molto bene perché per loro sono stato delegato apostolico per
parecchi anni in Kazakhstan, a Karagandà. Ed ho assistito alle loro
Messe e ai loro incontri, e ho letto gli scritti di Kiko, il loro
fondatore, per cui li conosco bene. Parlando apertamente, senza
diplomazia, dico che il Neocatecumenato è una comunità
Protestante-Ebraica[12] all'interno della Chiesa, che di
cattolico ha solo la decorazione. L'aspetto più pericoloso riguarda
l'Eucarestia, poiché l'Eucarestia è il cuore della Chiesa. Quando il
cuore è in pessimo stato, l'intero corpo è in un pessimo stato. Per il
Neocatecumenato, l'Eucarestia è principalmente un banchetto fraterno.
Quest'attitudine è Protestante, tipicamente Luterana.[13] I
neocatecumenali rigettano il concetto e l'insegnamento che l'Eucarestia
sia un vero sacrificio. Addirittura affermano che l'insegnamento
tradizionale, e il credere che l'Eucarestia sia un sacrificio, sarebbe
qualcosa di non cristiano ma pagàno.[14] Questo è completamente
assurdo, questo è tipicamente Luterano e Protestante. Durante le loro
liturgie eucaristiche trattano il Santissimo Sacramento in una maniera
talmente banale, che certe volte è orribile.[15] Si siedono
mentre ricevono la Santa Comunione, e disperdono frammenti perché non se
ne curano, e dopo la Comunione ballano anziché pregare e adorare Gesù
in silenzio. È questo che è realmente mondano, pagàno, naturalistico.
Mr. Fülep: il problema potrebbe non essere solo pratico…
Mons. Schneider: il secondo pericolo è la loro ideologia. L'idea
principale del Neocatecumenato, stando al loro fondatore Kiko Argüello, è
la seguente: la Chiesa avrebbe avuto una vita ideale solo fino
all'epoca di Costantino, nel quarto secolo - solo questa sarebbe stata
la vera Chiesa.
E con Costantino la Chiesa avrebbe cominciato a degenerare: degenerazione dottrinale, liturgica e morale.[16]
E la Chiesa avrebbe raggiunto il peggio di questa degenerazione
dottrinale e liturgica nei decreti del Concilio di Trento. In realtà è
vero l'esatto contrario di tale opinione: il Concilio di Trento è stato
uno dei più alti momenti della storia della Chiesa proprio a causa della
chiarezza dottrinale e disciplinare. Secondo Kiko, l'epoca oscura della
Chiesa sarebbe durata dal quarto secolo fino al Concilio Vaticano II.
Sarebbe stato solo grazie al Vaticano II che la luce sarebbe giunta
nella Chiesa. Questa è un'eresia perché vorrebbe insinuare che lo
Spirito Santo avrebbe abbandonato la Chiesa. Ed è davvero settario e
molto in linea con Martin Lutero, il quale disse che fino a lui stesso
la Chiesa era nell'oscurità e che solo attraverso lui stesso la luce
sarebbe tornata nella Chiesa. La posizione di Kiko è fondamentalmente
uguale, solo che Kiko postula l'epoca oscura della Chiesa da Costantino
al Vaticano II. Così i neocatecumenali fraintendono il Concilio Vaticano
II. Dicono di essere apostoli del Vaticano II, per giustificare tutte
le loro pratiche eretiche e gli insegnamenti eretici. Questo è un grave
abuso.
Mr. Fülep: com'è possibile che questa comunità sia stata ufficialmente ammessa dalla Chiesa?
Mons. Schneider: questa è un'altra tragedia. Hanno costituito una potente lobby
in Vaticano da almeno trent'anni. E c'è un altro inganno: in molti
eventi ostentano ai vescovi parecchi frutti di conversione e molte
vocazioni. Molti vescovi sono resi ciechi da tali "frutti", e non notano
gli errori e non li esaminano. I neocatecumenali hanno famiglie con
molti figli, ed hanno un alto livello morale nella vita familiare.
Questo è certamente un buon risultato, ma c'è anche la pratica esagerata
di imporre alle famiglie di avere quanti più figli è possibile. Questo
non è salutare. Loro affermano di accettare la Humanae Vitae,[17]
e questo è certamente un bene. Ma in fin dei conti è certamente
un'illusione, perché ci sono anche moltissimi gruppi Protestanti nel
mondo di oggi con un alto livello morale, che hanno anche un gran numero
di figli, e che vanno a protestare contro l'ideologia gender e l'omosessualità, e che pure accettano la Humanae Vitae.
Per me, perciò, non è un criterio decisivo di verità! Esistono un sacco
di comunità Protestanti che convertono tanti peccatori, gente che
viveva nei vizi come alcolismo e droga. Per cui i frutti di conversione
non li ritengo un criterio decisivo e non inviterei questi buoni gruppi
Protestanti a fare apostolato nella mia diocesi. Cosa che è invece
l'illusione di tanti vescovi, che sono ammaliati dai cosiddetti frutti.
Mr. Fülep: quanto alla dottrina, quale è la pietra d'inciampo?
Mons. Schneider: è la dottrina
sull'Eucarestia. È quella il cuore. È un errore guardare prima ai frutti
e poi non preoccuparsi della dottrina e della liturgia. Sono sicuro che
verrà il tempo in cui la Chiesa oggettivamente esaminerà questa
organizzazione in profondità, senza la pressione delle lobby del Cammino Neocatecumenale, e i loro errori dottrinali e liturgici verranno davvero alla luce.
Cristo è il solo Redentore
Mr. Fülep: cinquant'anni fa veniva promulgata la dichiarazione Nostra aetate.[18]
Nel suo quarto articolo presentava le relazioni fra la Chiesa Cattolica
e gli Ebrei in un nuovo quadro teologico. Questo documento del Concilio
è uno dei più problematici e controversi, fra le altre cose, a causa
delle affermazioni sugli Ebrei. Ed ora, in occasione del cinquantenario,
il cardinale Kurt Koch, per conto della Santa Sede, ha scritto un nuovo
documento[19] in cui si legge che “la Chiesa cattolica non
conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta
specificamente agli ebrei”.[20] Dunque non è più valido il mandato missionario[21] ricevuto da Gesù? [ne abbiamo parlato qui]
Mons. Schneider: è impossibile perché sarebbe totalmente
contrario alla parola di Cristo. Gesù Cristo ha detto: “non sono stato
inviato che alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15,24). E la
Sua missione continua, Lui non l'ha abolita. Ha detto: "andate e fate
discepole tutte le nazioni"[22] anziché "andate in tutte le
nazioni con l'eccezione degli Ebrei". L'affermazione sopraindicata
implica questo. Ma è assurdo. Questo è contro la volontà di Dio e contro
l'intera storia e vita della Chiesa lungo duemila anni. La Chiesa ha
sempre predicato a chiunque, indipendentemente dalla sua nazione e dalla
sua religione. Cristo è l'unico Redentore. Oggi gli Ebrei rifiutano
l'Alleanza con Dio. Esiste una sola Alleanza con Dio: l'Antica Alleanza
era solo preparatoria e si è compiuta nella Nuova ed Eterna Alleanza.
Questo è anche l'insegnamento del Concilio Vaticano II: “L'economia del
Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare
profeticamente e a significare con diverse figure l'avvento di Cristo
redentore... Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e
dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il
Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo” (Dei Verbum,
15–16). Gli Ebrei hanno rifiutato questa Divina Alleanza, dal momento
che Gesù aveva detto loro: “chi odia me, odia anche il Padre mio” (Gv
15,23). Queste parole di Gesù sono ancora valide per gli ebrei di oggi:
“il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mc
13,31). E Gesù disse: chi non accetta me, non può andare al Padre.[23]
Quando gli Ebrei di oggi rifiutano Cristo, rifiutano anche il Padre e
la sua Alleanza, poiché infatti c'è solo un'Alleanza, non ce ne sono
due: l'Antica si è conclusa nella Nuova Alleanza. Poiché c'è un solo
Dio, non ci sono due dèi distinti: un dio dell'Antico Testamento e un
dio del Nuovo Testamento. Gli Ebrei di oggi sono i discepoli talmudisti
dei Farisei, che rifiutarono l'Alleanza con Dio nella Nuova ed Eterna
Alleanza. Comunque, gli Ebrei giusti dell'Antico Testamento - i profeti,
Abramo e Mosè - accettarono Cristo. Gesù ci ha detto questo, per cui
occorre evidenziarlo.
Mr. Fülep: mentre Giovanni Paolo II - come la Nostra Aetate -
chiama gli ebrei “fratelli maggiori”, Benedetto XVI ha usato
l'espressione “padri nella fede”. Ma gli Ebrei dell'Antico Testamento e
il Giudaismo Talmudico sono due cose alquanto differenti, esatto?
Mons. Schneider: sì, certo. Sfortunatamente le espressioni di
questi due papi sono in qualche misura ambigue. Non sono chiare. Per cui
quando queste parole sono intese a significare che gli Ebrei sono i
nostri fratelli maggiori, noi dobbiamo precisare che solo gli Ebrei
dell'Antico Testamento – i Profeti, Abramo e tutti i santi dell'Antico
Testamento – sono i nostri fratelli maggiori. Questo è corretto perché
avevano già accettato Cristo, non esplicitamente ma al livello delle
prefigurazioni e dei simboli, ed Abramo anche esplicitamente, come
Cristo stesso ci ha detto: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza
di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Gv 8,56). Ma come
possiamo dire lo stesso a proposito degli Ebrei di oggi del Talmud che
rifiuta Cristo e che non hanno fede in Cristo e nella Santissima
Trinità? Come possono essere i nostri fratelli maggiori se non hanno
fede in Cristo? Che cosa si suppone che abbiano da insegnarmi? Io ho
fede in Cristo e nella Santissima Trinità. Ma loro rigettano la
Santissima Trinità, perciò non hanno fede. Pertanto non potranno mai
essere miei fratelli maggiori nella fede.
Dialogo con l'Islam
Mr. Fülep: l'Islam è la religione più praticata nel Kazakhstan.[24]
Tradizionalmente, i kazaki etnici sono musulmani sunniti. Quale è la
sua esperienza riguardo al dialogo con loro? L'Islam viene detto essere
simile al cristianesimo o all'ebraismo per il fatto di credere in un
solo Dio, per cui il monoteismo viene visto come la base della
conversazione. Ma è davvero così? È possibile avviare un dialogo
teologico approfondito con loro? Davvero Allah è lo stesso della
Santissima Trinità? C'è qualche altra base di dialogo teologico se
l'islam odia la fede nell'Incarnazione? [nel blog qui - qui - qui]
Mons. Schneider: c'è una certa confusione anche quando si dice
che gli Ebrei, i Musulmani e i Cristiani seguirebbero religioni
monoteistiche. Ciò è alquanto caotico. Perché? Perché noi cristiani
crediamo sempre non solo in un unico Dio, ma in un Dio uno e trino, Dio,
la Santissima Trinità. Noi non crediamo solo in un Dio unico come ogni
uomo può credere alla luce della ragione naturale. Gli Ebrei e i
Musulmani credono in un unico Dio che è una sola persona. Questa è
un'eresia, questo non è vero. Dio non è un'unica persona, ma è in tre
Persone. Inoltre non hanno fede poiché credono che il Dio unico non
richieda fede, solo la ragione naturale. C'è il dogma della fede che
afferma che attraverso la sola illuminazione naturale della ragione
naturale l'uomo può riconoscere che c'è Dio. Noi abbiamo una fede
soprannaturale, e questa è una differenza sostanziale. Oggettivamente,
Dio, che è conoscibile attraverso la ragione, è ovviamente la Santissima
Trinità. Ma gli Ebrei e i Musulmani non accettano la Santissima
Trinità. Perciò non possiamo pregare insieme perché la loro preghiera
manifesta la loro convinzione che ci sarebbe un solo Dio in una sola
Persona, mentre noi cristiani adoriamo sempre Dio in tre Persone.
Sempre. Per cui non possiamo partecipare alla stessa preghiera: non
sarebbe vera. Sarebbe una contraddizione e una menzogna.
Mr. Fülep: Questo significa che le due Giornate Mondiali della Preghiera per la Pace ad Assisi[25] hanno rappresentato una scandalosa contraddizione?
Mons. Schneider: sfortunatamente le Giornate Mondiali della
Preghiera che sono state tenute ad Assisi contenevano e manifestavano
una confusione a riguardo della differenza sostanziale tra la preghiera
dei Cristiani, che è sempre diretta alla Santissima Trinità, e alla
preghiera della gente che riconosce Dio come il Creatore e una Persona
alla luce della ragione naturale e pregandoLo secondo la ragione
naturale. L'espetto più atroce agli incontri di preghiera interreligiosi
di Assisi è stata la partecipazione di rappresentanti di religioni
politeistiche, che hanno eseguito il loro culto rivolgendosi a degli
idoli, praticando perciò una vera idolatria, che secondo le Scritture è
il più grande peccato.
"La migrazione è artificialmente
pianificata e programmata"
pianificata e programmata"
Mr. Fülep: cosa ne pensa a proposito della crisi europea delle migrazioni? Quale è l'attitudine del buon cattolico verso di essa?
Mons. Schneider: questa è pressoché una questione politica, e non
è compito primario dei vescovi fare affermazioni politiche. Ma in
qualità di privato cittadino, non da vescovo, direi che la cosiddetta
"migrazione" è artificialmente pianificata e programmata: si potrebbe
parlare di una specie di invasione. Alcuni poteri politici globali
l'avevano preparata già anni fa, creando caos e guerre nel Medio
Oriente, "aiutando" quei terroristi, anche non opponendovisi
ufficialmente, e così – in qualche modo – hanno contribuito a questa
crisi. Trasferire nel cuore dell'Europa una tale massa di persone, che
sono prevalentemente musulmane e appartengono a culture molto diverse, è
problematico. Per questo c'è un conflitto programmato in Europa, e la
vita politica e civile ne viene destabilizzata. Questo dovrebbe essere
evidente per tutti.
La Chiesa e la Russia
Mr. Fülep: vorrei chiederle qualcosa dell'ortodossia russa e
della Russia. Lei conosce molto bene la chiesa ortodossa russa, la sua
vita e la sua mentalità. L'anno prossimo sarà il centesimo anniversario
di Fatima. Senza dubbio la Russia non è stata consacrata direttamente al
Cuore Immacolato di Maria, ed è noto che non si è convertita a Dio.[26]
Mons. Schneider: beh, conosciamo il testo che Giovanni Paolo II
pubblicò. Era in qualche modo una consacrazione della Russia, che però
non era effettivamente esplicito. Nel testo parlava dei paesi e delle
nazioni che hanno bisogno di questa consacrazione e che Maria voleva
fossero consacrati a Lei. C'era un'allusione a Fatima, certo. Perciò
direi che è stata una consacrazione indiretta della Russia. Ma penso che
dovrebbe anche essere fatta in maniera esplicita, menzionando
specificamente la Russia. Per cui spero che ciò venga fatto in futuro.
Mr. Fülep: la
tradizione cattolica e la santa liturgia cattolica in usus antiquior
potrebbero aiutare l'ecumenismo vero con l'ortodossia. Ma
sfortunatamente gli ortodossi inorridiscono alla vista del rito latino
moderno: dicono che siamo come i Protestanti. Questo è tragico se si
pensa alla comune Tradizione Apostolica che si può trovare alla radice
delle liturgie latina e greca. Come può promuovere ciò un dialogo
efficace con le chiese orientali senza la tradizione cattolica?
Mons. Schneider: certo, è vero. Ho spesso avuto contatti con il
clero ortodosso e mi è stato detto così. Questa maniera di celebrare
verso il popolo, utilizzando donne come lettrici, per esempio, è simile
al rito Protestante. Il sacerdote e i fedeli formano un cerchio chiuso,
la celebrazione è come un meeting o una conferenza, ed anche gli aspetti
informali durante la Messa sono contro la tradizione cattolica e
apostolica che abbiamo in comune con le chiese ortodosse. Perciò è vero,
ed io sono convinto che quando torneremo alla liturgia tradizionale o
almeno celebreremo in maniera tradizionale il Novus Ordo Missae, ci
avvicineremo di più ai nostri fratelli ortodossi, almeno al livello
liturgico. Nel 2001 Giovanni Paolo II scrisse una lettera alla
Congregazione per il Culto Divino, nella quale compare un inciso molto
interessante, a proposito della particolarmente venerabile liturgia
tradizionale romana, che ha somiglianze con le venerabili liturgie
orientali.[27]
Mr. Fülep: papa Francesco e il capo della chiesa ortodossa
russa Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, si sono
incontrati all'Avana, a Cuba, il 12 febbraio 2016, firmando una storica
dichiarazione congiunta [qui - qui].[28]
Il documento comprende 30 punti, di cui solo tre relativi a questioni
teologiche, e tutti gli altri sulla pace nel mondo, problemi sociali,
protezione della vita, matrimonio, protezione dell'ambiente e libertà
religiosa. Quale è il significato di questo incontro?
Mons. Schneider: ha già un significato speciale il solo fatto che
per la prima volta nella storia un Pontefice romano e un Patriarca
russo si siano incontrati. Al livello umano e psicologico un tale
incontro cancella mutue diffidenze e separazioni di parecchi secoli.
Perciò in questo senso è stato un incontro importante. Le questioni
teologiche, invece, sono state pressoché totalmente escluse. Le
circostanze dell'incontro hanno avuto anche una chiara dimensione
politica. Noi speriamo che la Divina Provvidenza sfrutti questo incontro
per una futura unità nell'interezza della fede cattolica.
Dobbiamo pentirci dei nostri peccati
Mr. Fülep: papa Francesco ha aperto il Giubileo Straordinario della Misericordia,[29]
un periodo di preghiera dalla scorsa festa dell'Immacolata Concezione
(8 dicembre 2015) alla prossima Festa di Cristo Re (20 novembre 2016).
Abbiamo ascoltato parecchie lezioni e meditazioni a proposito della
misericordia. Come interpreta lei la misericordia di Dio?
Mons. Schneider: la misericordia di Dio è il Suo amore per noi. E
la misericordia di Dio è stata rivelata a noi quando si è incarnato ed è
divenuto uno di noi. È per l'ineffabile misericordia di Dio che ha
deciso di essere uomo e ci ha redenti sulla croce. La misericordia di
Dio sta nel fatto che è sempre pronto a perdonarci quando ci pentiamo
sinceramente dei nostri peccati. Gesù stesso rispose a Pietro,[30]
alla domanda “quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca
contro di me? Fino a sette volte?”, “non ti dico fino a sette, ma fino a
settanta volte sette”, cioè, ogni volta che tuo fratello sinceramente
chiede perdono. Tutte le volte che chiediamo a Dio di perdonare i nostri
peccati, non importa quanto grandi e orribili siano, Egli ci perdona a
condizione che ne siamo sinceramente pentiti, cioè che siamo disposti ad
evitarli in futuro. Ma sfortunatamente il gruppo del cardinal Kasper e
quei chierici che ne supportano le teorie, fraintendono il concetto di
misericordia e ne abusano, introducendo la possibilità che Dio
perdonerebbe anche se non abbiamo la ferma intenzione di pentirci e di
evitare futuri peccati. Il risultato è la completa distruzione del
concetto di divina misericordia. Tale teoria suggerisce: puoi continuare
a peccare, tanto Dio è misericordioso. Questa è una menzogna e per
certi versi anche un crimine spirituale, perché stai spingendo i
peccatori a continuare a peccare, e di conseguenza a perdersi e ad
essere condannati per l'eternità.
Mr. Fülep: che connessione c'è fra la misericordia di Dio e la
Santissima Eucarestia? Il Santissimo Sacramento è il principale segno
della misericordia di Dio che si è donato a noi vere, realiter et
substantialiter?[31]
Mons. Schneider: certamente. È così perché la Santissima
Eucarestia è il sacramento della Croce di Cristo, il sacramento del Suo
sacrificio, che è reso presente in ogni Santa Messa. L'atto della nostra
redenzione, che il più grande atto della misericordia di Dio, diventa
presente. Così l'Eucarestia è la dimostrazione e la proclamazione della
viva misericordia di Dio per noi. L'Eucarestia contiene non solo il
sacrificio di Cristo, ma anche la persona di Cristo stesso. Il Suo Corpo
e il Suo Spirito sono realmente presenti e questa è la più sacra e
santa realtà che abbiamo sulla Terra. Noi possiamo avvicinarci al Santo
solo come il pubblico peccatore che disse: "Oh, mio Dio, io non sono
degno, ma guariscimi, purificami!" Perciò l'Eucarestia è anche la
dimostrazione della misericordia di Dio, che esige che dobbiamo
anzitutto essere purificati e lavati dei nostri peccati. L'Eucarestia è
la dimostrazione della misericordia di Dio, e richiede necessariamente
il sacramento specifico della misericordia, che è il sacramento della
Riconciliazione, cosicché l'anima possa essere purificata. L'ingresso
nella misericordia avviene col sacramento della Riconciliazione: così si
aprono le porte del Cuore di Gesù, quando durante l'assoluzione
sacramentale fluisce dal Cuore di Gesù il Suo Sangue, che purifica il
peccatore. La stessa Santa Messa contiene in sé la fonte di tutti gli
altri sacramenti, e questa fonte è il sacrificio della Croce.
Lo Spirito Santo è più forte
Mr. Fülep: l'anno prossimo saranno dieci anni del motu proprio Summorum Pontificum.[32] Sua eccellenza ha osservato come questa legge del papa è stata seguìta nel mondo. Come giudicherebbe la situazione?
Mons. Schneider: certo, come risultato di quel motu proprio,
la liturgia tradizionale ha cominciato lentamente ma decisamente a
diffondersi. Un movimento del genere non può più essere fermato. È già
molto forte anche nelle giovani generazioni: i giovani, i seminaristi,
le giovani famiglie, che desiderano fare esperienza della bellezza della
fede cattolica attraverso questa liturgia, e questo per me è un vero
segno dell'opera dello Spirito Santo, perché si sta diffondendo così con
lentezza e naturalezza, senza l'aiuto di strutture ufficiali della
Chiesa, senza il sostegno della nomenklatura ecclesiale. Spesso questo
movimento si trova davanti un'opposizione dai rappresentanti ufficiali
della Chiesa. Ma al di là dell'ostruzionismo di parte della burocrazia
ecclesiale, sta crescendo e diffondendosi, e questo per me è opera dello
Spirito Santo. E lo Spirito Santo è più forte di certi vescovi e
cardinali e di certe strutture ecclesiastiche ben consolidate.
"Lex credendi – lex orandi – lex vivendi"
Mr. Fülep: ci sono molti tradizionalisti che vedono solo la
bellezza della liturgia, e non si preoccupano della dottrina.
Formalismi, ritualismi e prefezionismi sono molto pericolosi perché
questi errori mantengono separate la verità della dottrina, la vita e la
liturgia. Come si possono evitare problemi del genere?
Mons. Schneider: un principio basilare della fede cattolica dice: “Lex credendi est lex orandi”.
Cioè che la legge della fede - la verità della fede cattolica - va
espressa nella legge della preghiera, nella pubblica liturgia della
Chiesa.[33] I testi e i riti della liturgia devono riflettere
l'integrità e la bellezza della fede cattolica e delle divine verità.
Nell'amare la bellezza della liturgia, nella sua forma tradizionale,
dovremmo sentirci toccati nell'anima e nel cuore ad amare di più la
verità cattolica e a viverla nella nostra vita cristiana di tutti i
giorni. Un vero cattolico deve amare anzitutto l'integrità della fede, e
da questo amore segue l'integrità della liturgia, da cui anche l'amore
per l'integrità morale. Per cui potremmo espandere quell'assioma
tradizionale dicendo: "Lex credendi – lex orandi – lex vivendi". La cura e la difesa dell'integrità della fede cattolica va comunque tenuta in accordo col principio del "sentire cum ecclesia", cioè nel rispetto e nella carità.
"Non possumus!"
Mr. Fülep: durante il pontificato di Giovanni Paolo II, la
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti ha
promulgato un'istruzione intitolata “Redemptionis Sacramentum” su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia.[34]
Il documento prescrive che “se un comunicando, nelle regioni in cui la
Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica,
lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia
distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare
attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro,
di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie
eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la
santa Comunione sulla mano dei fedeli.”[35] Noi crediamo nella
dottrina della Presenza Reale del Signore Gesù Cristo nella Santissima
Eucarestia. Il dare il Santissimo Sacramento nelle mani comporta il
rischio di disperderne piccoli frammenti e di profanare il Santissimo.[36]
Dal libro scritto da Sua Eccellenza sappiamo che la pratica antica era
del tutto differente dalla forma protestante attuale. Quando viene
richiesto di dare la Santa Comunione "sulle mani", il "Non Possumus" è l'unica risposta adeguata per preti, diaconi e ministri straordinari?[37]
Mons. Schneider: sì, sono completamente d'accordo su questo e non
ho altro da aggiungere perché è tutto così evidente. Prima di tutto
abbiamo da difendere Nostro Signore. È un dato di fatto che quasi in
ogni distribuzione della Santa Comunione sulle mani c'è il pericolo
reale della dispersione di frammenti. Perciò non possiamo dare la
Comunione sulle mani. È troppo pericoloso. Dobbiamo decidere se
proteggere e difendere Nostro Signore. La legge della Chiesa è
subordinata al bene della Chiesa. Ed in questo caso la lettera della
legge – il permesso di dare la Comunione sulle mani – è causa di un gran
danno spirituale al Santissimo nella Chiesa, cioè Nostro Signore
nell'Eucarestia. Dare la Comunione sulle mani è pericoloso e danneggia
la Chiesa. Perciò non possiamo seguire questa legge. In pratica è
ovviamente difficile, perché in certi posti i fedeli sono già abituati a
prendere la Santa Comunione con le mani. Tuttavia dovremmo spiegar loro
tutto questo, con grande convinzione ed amore: di solito la maggioranza
lo accetta. Perciò dobbiamo fare del nostro meglio per raggiungere tale
scopo.
Mr. Fülep: che succede nel caso che i superiori non permettano
a seminaristi, accoliti e ministri straordinari di ricevere la
Comunione alla bocca?
Mons. Schneider: preferirei non dare la Comunione sulle mani. E se il superiore mi obbligasse a riceverla in quel modo, risponderei: "non posso". Dovrei avvisare il superiore che anch'io ho una coscienza.
Regnum Eucharisticum
Mr. Fülep: negli scorsi giorni Sua Eccellenza ha avuto
l'opportunità di incontrare i maggiori esponenti dei cattolici
tradizionali ungheresi e sacerdoti tradizionali ungheresi, sia nelle
conferenze che nella Santa Messa. Abbiamo visitato il Parlamento e
pregato di fronte alla Sacra Corona d'Ungheria e di fronte alla Sacra
Destra di Santo Stefano I d'Ungheria. Quale è la sua impressione del Regnum Marianum?[38]
Mons. Schneider: è un bellissimo paese! Vedo tanti bei villaggi e
chiese dappertutto! Questo viaggio mi ha mostrato che questo è un paese
cattolico. E spero che gli ungheresi restino fedeli al Regnum Marianum
cosicché il vostro paese possa essere davvero governato da Nostra
Signora: il regno di Cristo è sempre realizzato attraverso Maria.
Perciò, essendo un Regnum Marianum dovrebbe essere anche un Regnum Eucharisticum. Spero che in Ungheria crescano ancora l'amore, la riverenza e la difesa di Nostro Signore nell'Eucarestia.
Note - di Dániel Fülep
[1] Il Sillabo (Syllabus Errorum) è un documento promulgato dalla Santa Sede sotto Pio IX l'8 dicembre 1864, festa dell'Immacolata Concezione, insieme all'enciclica Quanta Cura (qui il PDF di entrambi i documenti). Il Sillabo elencava le posizioni erronee o ambigue, nel campo filosofico e politico, riguardo a determinati temi su cui si era già precedentemente espresso l'insegnamento della Chiesa. È importante perché è stato largamente interpretato come un attacco della Chiesa al modernismo, alla secolarizzazione e all'emancipazione politica.
[2] Catholic Culture (Catholic World News), 21 gennaio 2011.
[3] "Partecipazione attiva".
[4] Tra le sollecitudini (22 novembre 1903).
[5] La costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium, è uno dei documenti del Concilio Vaticano II. Fu approvato dall'assemblea dei vescovi con 2147 voti a favore contro 4, e promulgata da Paolo VI il 4 dicembre 1963.
[6] La costituzione sulla divina Rivelazione Dei verbum fu promulgata nel Concilio Vaticano II da papa Paolo VI il 18 novembre 1965, in seguito all'approvazione dell'assemblea dei vescovi con 2344 voti contro 6. È uno dei principali documenti del Vaticano II.
[7] Qui il video. [nel blog, qui]
[8] Cfr. Mc 16, 16.
[9] Cfr. Gv 3, 4-6.
[10] Cfr. “E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!".” (Rm 8,15).
[11] Il Cammino Neocatecumenale (talvolta detto "neocatecumenato") è un'organizzazione dedita alla formazione religiosa dei fedeli. È stato fondato a Madrid nel 1964 da Kiko Argüello and Carmen Hernández.
[12] Le comunità neocatecumenali mescolano nella liturgia della Chiesa elementi Protestanti ed Ebraici.
[13] Il movimento neocatecumenale per lungo tempo ha desiderato ricevere dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti l'approvazione dei propri abusi liturgici. Ma in seguito a consultazioni con la Congregazione, fu il Pontificio Consiglio per i Laici ad approvare prima lo Statuto e poi il Direttorio Catechetico e le pratiche non liturgiche. Il decreto del 20 gennaio 2012, infatti, non ha nulla a che vedere con le "innovazioni" liturgiche del Cammino Neocatecumenale, che dovrebbero essere immediatamente terminate perché sono contro le leggi universali della Chiesa e contro la pratica della Chiesa.
[14] Il Concilio di Trento (1545–1563)
dichiarò come dogma di fede, in opposizione alla concezione
Protestante, che il Sacrificio della Santa Messa comprende un elemento
propiziatorio (Enchiridion Symbolorum Denzinger-Schönmetzer, nr. 1743, 1753, cioè la sess. XXII,
in particolare il cap. II). Il sacrificio è stato ordinato da Cristo
stesso. Non è semplicemente commemorazione, glorificazione e rendimento
di grazie, ma un vero sacrificio propiziatorio per i vivi e per i
defunti. Tuttavia il fatto che la Messa è un vero sacrificio non
significa che deve essere ripetuto esattamente il sacrificio di Cristo:
la Chiesa non trasforma il sacrificio di Cristo in un sacrificio umano
pagano. Il sacrificio della Santa Messa non è la replica del sacrificio
della Croce, ma è l'unico sacrificio di Cristo reso presente sotto i
segni sacramentali. In questo senso è "commemorazione", in cui la realtà
del sacramento stesso è presente (DS 1740). Cristo è lo stesso
sacerdote nella Santa Messa così come sulla croce (DS 1743).
[15] La liturgia del Cammino Neocatecumenale non segue l'Ordinamento
Generale del Messale Romano, né le altre norme liturgiche, ma contiene
delle proprie "innovazioni". La pratica liturgica del Cammino è zeppa di
abusi: infatti il Vaticano ha richiamato il movimento neocatecumenale
su problemi quali le omelie dei laici durante la Messa, il ballo dei fedeli
durante la liturgia, il fatto di star seduti durante la ricezione della
Santa Comunione, il passarsi di mano in mano un enorme calice col
sangue di Cristo... Le norme sulla musica sacra vengono totalmente
ignorate. Un altro problema è che il Cammino separa i fedeli dalla
parrocchia e dalla Chiesa: la Santa Messa domenicale, già piena di
abusi, viene celebrata di sabato sera come "messa privata" della
comunità neocatecumenale, tipicamente non in chiesa ma in un posto
profano, come le salette comunitarie.
[16] Il 13 giugno 313 Costantino promulgò l'Editto di Milano che terminò
le persecuzioni dei cristiani e riconobbe il cristianesimo come una
religione lecita nell'impero romano. Nel 315 terminò anche l'uso delle
esecuzioni mediante crocifissione, e garantì alla Chiesa tutti i
privilegi di cui già godevano le religioni pagane. Nel 321 Costantino
dichiarò festivo il giorno della domenica. In qualità di monarca
assoluto, permise lo stabilirsi di una base istituzionale per la Chiesa
in tutto l'impero a partire dal 324: la struttura istituzionale della
Chiesa e il suo rafforzarsi nel campo sociale e politico, così come
l'alleanza fra trono e altare, vennero considerati dai Protestanti come
una vittoria del paganesimo.
[17] La Humanae vitae
è un'enciclica di Paolo VI promulgata il 25 giugno 1968 in cui viene
riaffermato l'insegnamento tradizionale della Chiesa Cattolica riguardo
l'amore coniugale, la paternità responsabile e il rifiuto di pressoché
tutte le forme di controllo delle nascite.
[18] La Nostra aetate
è una dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della
Chiesa sulle religioni non cristiane. Passata con una votazione di 2221
voti contro 88 nell'assemblea dei vescovi, fu promulgata il 28 ottobre
1965 da Paolo VI. La prima bozza, intitolata Decretum de Iudaeis
(decreto sugli ebrei), era stata preparata dal cardinal Bea su incarico
di papa Giovanni XXIII, già nel novembre 1961, dopo circa 14 mesi di
lavoro. Tale bozza però è andata perduta, non essendo stata sottoposta
al Concilio che fu aperto l'11 ottobre 1962.
[19] Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, "Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili"
(Rm 11,29): riflessioni su questioni teologiche attinenti alle
relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50° anniversario di Nostra
Aetate (n.4) (10 dicembre 2015)
[21] “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad
osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo".” (Mt 28, 19-20).
[22] Cfr. Mt 28,19.
[23] Cfr. “Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.” (Gv 14,6).
[24] Stando ai dati del Censimento 2009, il 70% della popolazione è
islamica, il 26% si definisce cristiana, lo 0,1% buddisti, lo 0,2% altre
religioni (per lo più ebrei), ed il 3% irreligiosi, mentre lo 0,5% ha
scelto di non rispondere.
[25] Papa Giovanni Paolo II promosse
la prima Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace ad Assisi, il 27
ottobre 1986. Si radunarono 160 leader religiosi passando la giornata
insieme digiunando e pregando il proprio Dio o i propri dèi. Benedetto
XVI, succeduto a Giovanni Paolo II, si recò
ad Assisi il 27 ottobre 2011 per una Giornata di Riflessione, Dialogo e
Preghiera per la Pace e la Giustizia nel Mondo, e commemorare
l'incontro del 1986. In quest'occasione non ci fu alcun servizio di
preghiera interdenominazionale poiché, secondo l'idea di Benedetto XVI,
benché tali incontri siano buoni, non si può dare l'impressione –
nemmeno esternamente, interpretabile da altri – che le differenze
teologiche non contino.
[26] “La terza parte del segreto si riferisce alle parole di Nostra
Signora: «Diversamente, [la Russia] diffonderà i suoi errori nel mondo,
promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa; i buoni saranno
martirizzati, il Santo Padre dovrà soffrire molto, diverse nazioni
saranno annientate» (13 luglio 1917). … «Se le Mie richieste saranno ascoltate, la Russia si convertirà e vi sarà la pace; altrimenti, essa diffonderà i suoi errori in tutto il mondo, etc.”
[27] “La Sacra Liturgia, che la Costituzione Sacrosanctum Concilium
qualifica come il culmine della vita ecclesiale, non può mai essere
ridotta a semplice realtà estetica, né può essere considerata come uno
strumento con finalità meramente pedagogiche o ecumeniche. La
celebrazione dei santi misteri è innanzitutto azione di lode alla
sovrana maestà di Dio, Uno e Trino, ed espressione voluta da Dio stesso.
Con essa l'uomo, in modo personale e comunitario, si presenta dinanzi a
Lui per rendergli grazie, consapevole che il suo essere non può trovare
la sua pienezza senza lodarlo e compiere la sua volontà, nella costante
ricerca del Regno che è già presente, ma che verrà definitivamente nel
giorno della Parusia del Signore Gesù. La Liturgia e la vita sono realtà
indissociabili. Una Liturgia che non avesse un riflesso nella vita
diventerebbe vuota e certamente non gradita a Dio. La celebrazione
liturgica è un atto della virtù di religione che, coerentemente con la
sua natura, deve caratterizzarsi per un profondo senso del sacro. In
essa l'uomo e la comunità devono essere consapevoli di trovarsi in modo
speciale dinanzi a Colui che è tre volte santo e trascendente. Di
conseguenza l'atteggiamento richiesto non può che essere permeato dalla
riverenza e dal senso dello stupore che scaturisce dal sapersi alla
presenza della maestà di Dio. Non voleva forse esprimere questo Dio nel
comandare a Mosè di togliersi i sandali dinanzi al roveto ardente? Non
nasceva forse da questa consapevolezza l'atteggiamento di Mosè e di
Elia, che non osarono guardare Iddio facie ad faciem? Il Popolo
di Dio ha bisogno di vedere nei sacerdoti e nei diaconi un comportamento
pieno di riverenza e di dignità, capace di aiutarlo a penetrare le cose
invisibili, anche senza tante parole e spiegazioni. Nel Messale Romano,
detto di San Pio V, come in diverse Liturgie orientali, vi sono
bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo
senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano
la sostanza stessa di qualsiasi Liturgia.” (Giovanni Paolo II, 21
settembre 2001, Messaggio ai partecipanti
all'assemblea plenaria della Congregazione per il Culto Divino e la
Disciplina dei Sacramenti). Giovanni Paolo II ha fortemente
puntualizzato che la traduzione fedele dei libri liturgici è di
importanza fondamentale e ha anche incoraggiato a fare catechesi
appropriate sulle devozioni popolari, che dovrebbero sempre portare i
fedeli ad una migliore comprensione della Messa.
[29] Giubileo straordinario della misericordia.
[30] Mt 18, 21–22.
[31] Veramente, realmente e sostanzialmente. Cf. DS 1637.
[32] La lettera apostolica Summorum Pontificum di Benedetto XVI è stata promulgata motu proprio (cioè di sua iniziativa) il 7 luglio 2007 ed è entrata in vigore il 14 settembre successivo. È accompagnata da una lettera ai vescovi in cui spiega le ragioni del Summorum Pontificum
e le circostanze nelle quali i sacerdoti della Chiesa di rito latino
possono celebrare la Messa secondo il “Messale promulgato dal beato
Giovanni XXIII nel 1962” (una delle ultime edizioni del Messale Romano,
conosciuto anche come Messa tradizionale in latino), ed amministrare la
maggioranza dei sacramenti nella forma liturgica in uso prima delle
riforme successive al Concilio Vaticano II. Con l'approvazione di papa
Benedetto XVI, la Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha promulgato il 30 aprile 2011 (festa di san Pio V) l'istruzione Universae Ecclesiae, per chiarire alcuni aspetti del Summorum Pontificum.
[33] Con queste espressioni Sua Eccellenza parafrasava il principio del “lex orandi, lex credendi”,
cioè ‘la legge della preghiera è la legge del credere’, che risale ai
tempi di sant'Agostino e intende che per conoscere ciò in cui la Chiesa
crede occorre conoscere il modo in cui la Chiesa prega, perché il
credere e il pregare non possono contraddirsi l'un l'altro. Sebbene il
principio riguardi principalmente la liturgia, è applicabile anche ad
altre preghiere ufficialmente approvate, per cui le preghiere ufficiali
della Chiesa andrebbero considerate come fonti autentiche del dogma
cattolico.
[34] L'istruzione Redemptionis Sacramentum,
preparata dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti su mandato del sommo pontefice Giovanni Paolo II in
collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata
approvata dallo stesso Giovanni Paolo II nella solennità di san
Giuseppe, 19 marzo 2004, che ha ordinato che venisse pubblicata e
immediatamente osservata.
[35] Ibid., 92.
[36] Questa modalità è solo un indulto, cioè una concessione
particolare. È importante notare che stando alle effettive norme
liturgiche attuali, i fedeli dovrebbero ricevere la Comunione in
ginocchio (cfr. Redemptionis Sacramentum, 90).
[37] Come dissero i martiri di Abitina: “Sine dominico non possumus” – non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore.
[38] "Regnum Marianum" (il regno di Maria) è un antico nome
cattolico dell'Ungheria. Tale nome viene dalla tradizione che il primo
re d'Ungheria, santo Stefano, morendo senza eredi, offrì la Sacra Corona
d'Ungheria alla Vergine Maria. Da allora la Vergine Maria è stata la
vera Regina del regno cattolico d'Ungheria; il nome Regnum Marianum è stato spesso utilizzato per evidenziare la forte connessione tra l'Ungheria e la Chiesa Cattolica.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
di don Matthias Gaudron
L’8 aprile scorso è stata pubblicata l’esortazione post sinodale tanto attesa di Papa Francesco. In questa lettera, il Papa non ha accordato né un permesso generale per dare la comunione ai divorziati né ha lasciato alle conferenze episcopali il potere di dare delle esenzioni. Ha anche ripreso i termini dell’ultimo sinodo dei vescovi, dicendo che “non vi è alcun fondamento per assimilare o stabilire delle analogie, spesso lontane, tra le unioni omosessuali e la volontà di Dio sul matrimonio e la famiglia” (n 251). Infine, si è pronunciato in maniera chiara contro la teoria del gender, denunciata come un’ideologia contro l’ordine della creazione (cfr. n 56). Per tutti questi motivi, Papa Francesco ha deluso molte persone tra coloro che sono cattolici solo sulla carta e negli ambienti liberali.
Tuttavia, con Amoris Laetitia, apre una breccia che rimette in causa tutta la morale cattolica. Nel capitolo 8, intitolato Accompagnare, discernere e integrare la fragilità, papa Francesco ha aperto delle porte che permetteranno in avvenire di sottrarsi alla morale cattolica nascondendosi dietro alle istruzioni del papa. Quest’ultimo non solamente ripete le affermazioni dubbiose dell’ultimo sinodo, secondo il quale i divorziati risposati sono i “membri viventi della Chiesa”, sui quali lo Spirito Santo riversa “doni e carismi per il bene di tutti” (n 299) ma si spinge ancora più lontano, Certo, l’insegnamento sul matrimonio cattolico e tutte le antiche norme restano sempre in vigore; a coloro che vivono in concubinaggio o che sono uniti semplicemente con il matrimonio civile è sempre proibito ricevere l’assoluzione e la santa comunione ma… ci sono delle eccezioni!
Rimettere in causa la morale cattolica
Dovremmo, dice il Papa, evitare i giudizi “che non tengano conto della complessità delle diverse situazioni” (n 296). Le norme generali sarebbero certo un bene “ma nella loro formulazione, esse non possono abbracciare in assoluto tutte le situazioni particolari” (n 304). Questo può intendersi per la maggior parte delle norme umane, ma non per le leggi divine che affermano che l’atto coniugale non è permesso se non tra un uomo e una donna uniti da un matrimonio valido e che un matrimonio sacramentale e consumato non può essere sciolto da nessun potere al mondo, nemmeno da quello del Papa. Queste leggi non conoscono alcuna eccezione e sono valide in qualsiasi circostanza.
Inoltre la chiesa ha sempre insegnato, così come fecero anche alcuni filosofi pagani, che esistono, oltre ad atti moralmente indifferenti, atti buoni o cattivi in sé; la portata morale di un’azione ha dunque qualcosa di oggettivo e non dipende solo dalle circostanze o dall’intenzione del soggetto. Uccidere un innocente, abusare di un bambino o calunniare qualcuno sono sempre atti malvagi, quali che siano le circostanze e non potranno mai diventare atti moralmente buoni anche se compiuti con le migliori intenzioni. Colui che stima, per ignoranza e con una coscienza sbagliata, che gli è permesso uccidere un innocente per salvare qualcun altro o calunniare un avversario per una giusta causa può essere eventualmente scusato dal punto di vista del peccato, in maniera soggettiva, ma il suo atto resterà intrinsecamente malvagio. Al contrario, aiutare quelli che sono nel bisogno o rispettare la promessa di fedeltà fatta al proprio sposo o alla propria sposa, costituisce sempre un atto buono. Se qualcuno facesse qualche cosa soltanto per essere lodato dagli altri o per ricevere in cambio un pagamento, ciò diminuirebbe il suo merito personale o lo sopprimerebbe completamente, ma l’atto in sé resterebbe buono. La legge naturale non è dunque solamente una fonte di ispirazione” nel prendere una decisione, come afferma il paragrafo 305, ma essa impedisce o comanda necessariamente alcune azioni.
Questo non ha veramente niente a che vedere con il fatto di credere “che tutto è bianco e nero” (n 305). Si potrebbe avere una certa comprensione per una donna che si imbarcasse in una nuova relazione a ragione dell’infedeltà o della durezza di cuore del suo sposo, si può ammettere che in un caso simile la sua colpa sia meno grave, nondimeno l’adulterio in sé resta un atto cattivo.
Inoltre la chiesa ha sempre insegnato, così come fecero anche alcuni filosofi pagani, che esistono, oltre ad atti moralmente indifferenti, atti buoni o cattivi in sé; la portata morale di un’azione ha dunque qualcosa di oggettivo e non dipende solo dalle circostanze o dall’intenzione del soggetto. Uccidere un innocente, abusare di un bambino o calunniare qualcuno sono sempre atti malvagi, quali che siano le circostanze e non potranno mai diventare atti moralmente buoni anche se compiuti con le migliori intenzioni. Colui che stima, per ignoranza e con una coscienza sbagliata, che gli è permesso uccidere un innocente per salvare qualcun altro o calunniare un avversario per una giusta causa può essere eventualmente scusato dal punto di vista del peccato, in maniera soggettiva, ma il suo atto resterà intrinsecamente malvagio. Al contrario, aiutare quelli che sono nel bisogno o rispettare la promessa di fedeltà fatta al proprio sposo o alla propria sposa, costituisce sempre un atto buono. Se qualcuno facesse qualche cosa soltanto per essere lodato dagli altri o per ricevere in cambio un pagamento, ciò diminuirebbe il suo merito personale o lo sopprimerebbe completamente, ma l’atto in sé resterebbe buono. La legge naturale non è dunque solamente una fonte di ispirazione” nel prendere una decisione, come afferma il paragrafo 305, ma essa impedisce o comanda necessariamente alcune azioni.
Questo non ha veramente niente a che vedere con il fatto di credere “che tutto è bianco e nero” (n 305). Si potrebbe avere una certa comprensione per una donna che si imbarcasse in una nuova relazione a ragione dell’infedeltà o della durezza di cuore del suo sposo, si può ammettere che in un caso simile la sua colpa sia meno grave, nondimeno l’adulterio in sé resta un atto cattivo.
Ora Papa Francesco afferma che “non è più possibile dire che tutti quelli che si trovano in una certa situazione detta “irregolare” vivano in una situazione di peccato mortale privi della grazia santificante” e non solo per ignoranza della norma divina ma anche in ragione “di una grande difficoltà a cogliere i valori compresi nella norma”. Un soggetto può anche “trovarsi in condizioni concrete che non gli permettano di agire in maniera differente e di prendere altre decisioni senza fare un nuovo sbaglio” (n 301).
Il Papa afferma anche ufficialmente che può accadere che qualcuno debba restare in una relazione oggettivamente peccaminosa per evitare di caricarsi di una nuova colpa. Il solo caso che si possa immaginare qui è quello di un uomo e di una donna non sposati religiosamente che restano insieme per crescere i loro figli minorenni. Questo caso è già stato approvato in passato dalla Chiesa a condizione che una tale coppia viva come fratello e sorella, nella completa astinenza.
Il Papa afferma anche ufficialmente che può accadere che qualcuno debba restare in una relazione oggettivamente peccaminosa per evitare di caricarsi di una nuova colpa. Il solo caso che si possa immaginare qui è quello di un uomo e di una donna non sposati religiosamente che restano insieme per crescere i loro figli minorenni. Questo caso è già stato approvato in passato dalla Chiesa a condizione che una tale coppia viva come fratello e sorella, nella completa astinenza.
Quali sono le conseguenze logiche di tali errori?
Supponiamo che una coppia che viva fuori dal matrimonio abbia una “grande difficoltà” a comprendere che si trova in uno stato di peccato. Questa coppia vuole amare e servire Dio in questa situazione e agisce soggettivamente in buona coscienza. Un tale caso può presentarsi eventualmente per la confusione generale provocata dai media, dall’opinione pubblica e dai sacerdoti che sfidano l’insegnamento contrario della Chiesa. Se dunque è possibile che una tale coppia sia esente dal peccato dal punto di vista soggettivo, la loro relazione contraddice oggettivamente la volontà di Dio. Un vero pastore, la cui missione è riportare le pecorelle smarrite nella via del signore, non può accettare una tale situazione né amministrare a costoro i sacramenti, come se si trattasse di una coppia sposata cristianamente. Ora è precisamente a questo che portano le considerazioni del Papa. E possibile, scrive, “che nella situazione oggettiva di peccato- che non è soggettivamente imputabile o che non lo è pienamente- si possa vivere nella grazia di Dio, che si possa amare, e che si possa egualmente crescere nella vita della grazia e della carità, ricevendo per questo motivo l’aiuto della Chiesa” (n 305). Come lo fa notare esplicitamente la nota a piè di pagina n 351, questo aiuto della Chiesa può avvalersi “in certi casi” “dell’aiuto dei sacramenti”, perché l’Eucarestia non sarebbe “un premio destinato ai perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli”. In questo il Papa si allontana dalla morale cattolica, avendo il coraggio di appoggiarsi, per giustificare tali sofismi, sulle distinzioni insegnate da San Tommaso d’Aquino.
Papa Francesco ha ben ricordare sempre che bisogna “evitare ogni interpretazione fuorviante” e proporre l’ideale completo del matrimonio… in tutto il suo splendore” e anche che “qualsiasi forma di relativismo” deve essere bandita, spetta ormai adesso ad ogni pastore procedere nel foro interiore al “discernimento responsabile e personale e pastorale dei casi particolari” (n 300). Così la decisione di dare o non dare i sacramenti in tali casi sarà de facto confidata all’apprezzamento personale di ciascun prete. Ma quale prete si prenderà il rischio di dare i sacramenti in casi simili a una coppia per la sua situazione particolare rifiutandola ad altre coppie?
Inoltre, l’argomentazione del papa può applicarsi facilmente ad altri casi. Se una coppia di omosessuali si ama veramente e se non riescono a capire semplicemente che il loro modo di vivere è peccaminoso, allora possiamo dar loro la comunione?
E che cosa bisogna pensare dell’asserzione “Nessuno può essere condannato per sempre, perché non è la logica del Vangelo” (n 297)? Nel Vangelo, il Figlio dell’uomo dice a quelli che hanno fatto il male: “Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli” (Mt 25,41). Colui che non vuole abbandonare la situazione peccaminosa, ma al contrario persiste nel peccato fino alla fine, è condannato da Dio per l’eternità.
Tuttavia il Papa sembra dire che non si può privare indefinitamente della comunione una coppia che vive nel peccato. Allo stesso modo, come si può condannare per sempre un ladro che rifiuta di restituire ciò che ha rubato? Il bene acquisito illegalmente diventa, con il tempo, un possesso legale?
E questa esattamente la logica del Papa.
Papa Francesco ha ben ricordare sempre che bisogna “evitare ogni interpretazione fuorviante” e proporre l’ideale completo del matrimonio… in tutto il suo splendore” e anche che “qualsiasi forma di relativismo” deve essere bandita, spetta ormai adesso ad ogni pastore procedere nel foro interiore al “discernimento responsabile e personale e pastorale dei casi particolari” (n 300). Così la decisione di dare o non dare i sacramenti in tali casi sarà de facto confidata all’apprezzamento personale di ciascun prete. Ma quale prete si prenderà il rischio di dare i sacramenti in casi simili a una coppia per la sua situazione particolare rifiutandola ad altre coppie?
Inoltre, l’argomentazione del papa può applicarsi facilmente ad altri casi. Se una coppia di omosessuali si ama veramente e se non riescono a capire semplicemente che il loro modo di vivere è peccaminoso, allora possiamo dar loro la comunione?
E che cosa bisogna pensare dell’asserzione “Nessuno può essere condannato per sempre, perché non è la logica del Vangelo” (n 297)? Nel Vangelo, il Figlio dell’uomo dice a quelli che hanno fatto il male: “Andate lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli” (Mt 25,41). Colui che non vuole abbandonare la situazione peccaminosa, ma al contrario persiste nel peccato fino alla fine, è condannato da Dio per l’eternità.
Tuttavia il Papa sembra dire che non si può privare indefinitamente della comunione una coppia che vive nel peccato. Allo stesso modo, come si può condannare per sempre un ladro che rifiuta di restituire ciò che ha rubato? Il bene acquisito illegalmente diventa, con il tempo, un possesso legale?
E questa esattamente la logica del Papa.
Anche i bei passaggi non sono esenti da errori
Non bisogna passare sotto silenzio il fatto che vi sono, in Amoris laetitia, dei bei passaggi. Il Papa si sforza davvero per promuovere l’ideale del matrimonio cristiano. Spiega perché l’unione tra un uomo ed una donna nel matrimonio deve essere per sua natura indissolubile, dà una bella immagine della famiglia cristiana parlando del grande dono che i bambini rappresentano, dà dei consigli per superare le crisi ed educare i bambini. Contro l’ideologia molto diffusa del gender, scrive: ogni bambino ha diritto a ricevere l’amore di una madre e di un padre, tutti e due sono necessari per la sua maturazione integrale e armoniosa” (n 172). Insiste sul fatto che i bambini hanno bisogno della presenza della madre, soprattutto durante i primi mesi di vita (n173), e fa anche notare il ruolo importante che ha il padre e i pericoli di una “società senza padri” (n 176). Francesco ricorda inoltre che l’educazione dei bambini è un “diritto primario” dei genitori e che lo Stato non ha che un ruolo sussidiario (n 84).
Ma anche questi paragrafi fanno nascere delle critiche. Per esempio è veramente appropriato, in un testo apostolico sul matrimonio e la famiglia, inserire una lunga citazione di Martin Luther King, noto acattolico il cui insegnamento non dovrebbe trovar posto in questo documento?
Si nota egualmente che il papa commette un errore cristologico quando scrive che Gesù era “educato alla fede dei suoi genitori, fino a farla fruttificare nel mistero del Regno” (n 65). Essendo Figlio di Dio per natura, Gesù non aveva più la fede perché aveva la visione di suo Padre e delle cose divine e di conseguenza non aveva bisogno di essere educato alla fede.
A più riprese si trova anche una mescolanza di ordine naturale e soprannaturale, quando il Papa fa l’elogio di un bene naturale vedendovi troppo velocemente l’opera dello Spirito Santo. Francesco afferma che in ogni famiglia dove i bambini sono educati al bene, lo Spirito è vivo, e questo indipendentemente dalla religione alla quale tali famiglie appartengono. (n 77; cf anche n 47 e 54).
Tuttavia è soprattutto con l’ottavo capitolo che Amoris Laetitia si iscrive tra gli atti apostolici più deplorevoli della storia della Chiesa odierna. Si può solamente sperare che i cardinali i vescovi e i teologi che hanno costantemente difeso la dottrina sul matrimonio religioso contro le edulcorazioni di questi due ultimi anni oseranno ancora opporre resistenza.
Ma anche questi paragrafi fanno nascere delle critiche. Per esempio è veramente appropriato, in un testo apostolico sul matrimonio e la famiglia, inserire una lunga citazione di Martin Luther King, noto acattolico il cui insegnamento non dovrebbe trovar posto in questo documento?
Si nota egualmente che il papa commette un errore cristologico quando scrive che Gesù era “educato alla fede dei suoi genitori, fino a farla fruttificare nel mistero del Regno” (n 65). Essendo Figlio di Dio per natura, Gesù non aveva più la fede perché aveva la visione di suo Padre e delle cose divine e di conseguenza non aveva bisogno di essere educato alla fede.
A più riprese si trova anche una mescolanza di ordine naturale e soprannaturale, quando il Papa fa l’elogio di un bene naturale vedendovi troppo velocemente l’opera dello Spirito Santo. Francesco afferma che in ogni famiglia dove i bambini sono educati al bene, lo Spirito è vivo, e questo indipendentemente dalla religione alla quale tali famiglie appartengono. (n 77; cf anche n 47 e 54).
Tuttavia è soprattutto con l’ottavo capitolo che Amoris Laetitia si iscrive tra gli atti apostolici più deplorevoli della storia della Chiesa odierna. Si può solamente sperare che i cardinali i vescovi e i teologi che hanno costantemente difeso la dottrina sul matrimonio religioso contro le edulcorazioni di questi due ultimi anni oseranno ancora opporre resistenza.
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Don Matthias Gaudro, sacerdote della Fraternità San Pio X, è stato per quindici anni professore la Seminario internazionale del Sacro Cuore a Zaitzkofenn (Baviera) (1991-2006). Ne fu direttore durante cinque anni (1999-2003). ha scritto il Catechismo della crisi nella Chiesa (Traduzione italiana Ed. Ictys ). Attualmente è professore all'Istituto Santa Maria nel cantone di San Gallo (Svissera)
Fonte : FSSPX/Germania
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