In seguito alla diffusione del documento
Riflessioni sulla Chiesa e sulla posizione della FSSPX al suo interno,
a firma di Don Franz Schmidberger della FSSPX
è stato diffuso, a mo' di risposta, il seguente articolo,
che noi abbiamo ripreso dal sito Gloria TV
Don Franz Schmidberger e Mons. Bernard Fellay
Forse si potrà pensare che dopotutto, se a Roma piace riconoscerci ufficialmente senza chiederci alcunché in cambio, la cosa potrebbe andare benissimo e ci potrebbe anche permettere di avere una più ampia diffusione.
Era così che la pensava Mons. Lefebvre?
1. Un riconoscimento canonico ci pone sotto dei nuovi Superiori
«Questo trasferimento di autorità, è questo che è grave, è cosa eccessivamente grave. Non basta dire: “Non cambia niente nella pratica (1). È questo trasferimento che è molto grave, perché l’intenzione di queste autorità è di distruggere la Tradizione» (2).
«Sentiamo la necessità assoluta di avere delle autorità ecclesiastiche che sposino le nostre preoccupazioni e che ci aiutino a premunirci contro lo spirito del Vaticano II e lo spirito di Assisi» (4).
A questo si aggiunga il fatto che i vescovi della Fraternità invecchiano, quando ci sarà bisogno di consacrare dei nuovi vescovi per rimpiazzarli, per la loro scelta occorrerà avere l’approvazione della Roma attuale, la quale, se ancora non si è convertita, non accetterà mai dei candidati antiliberali e antimodernisti. Questo significa correre al suicidio della Tradizione.2. Un riconoscimento canonico, anche unilaterale, nelle circostanze attuali fa inevitabilmente fermare la battaglia per la Fede.
Vi è un processo psicologico evidente: quando ci si è posti sotto dei nuovi Superiori, si smette di criticare i propri nuovi maestri, per non rischiare di perdere uno status che è stato ottenuto dopo anni di fatiche. D’altronde, Mons. Fellay ha cessato da tempo i suoi attacchi alla Roma conciliare, su richiesta della stessa Roma:
Ad Arcadia, in California, il 10 maggio 2015, Mons. Fellay precisò:
«Quando vediamo il Papa, i cardinali, i vescovi, dire delle cose malvagie, non siamo pronti a criticarli rapidamente? Ma pensate che questo li aiuterà? Una preghiera per loro li aiuterà maggiormente»
Ma il semplice fatto di non denunciare più gli scandali di Roma, o di farlo solo timidamente e sotto la pressione dei fedeli e dei sacerdoti inquieti, evitando di prendere di mira personalmente il Papa, fa assomigliare sempre più la Tradizione alle comunità rientrate, che hanno abbandonato la battaglia per la Fede.
È interessante rileggere ciò che scriveva Mons. Fellay dopo il riconoscimento unilaterale del clero tradizionale di Campos (Brasile) da parte della Roma conciliare:
«Un’attitudine di duplicità implicita è divenuta come la norma … Si sottolineano i punti dell’attuale pontificato che appaiono favorevoli e si passa sotto reverenziale silenzio ciò che non va bene. Si potrà dire tutto ciò che si vorrà: il 18 gennaio 2002 a Campos, non vi è stato solo un riconoscimento unilaterale di Campos da parte di Roma, ma si è avuta una contropartita: la complicità del silenzio. Così, a poco a poco, la battaglia si dissolve e si finisce per accomodarsi nella situazione. Certo, a Campos, tutto ciò che è positivamente tradizionale è conservato, dunque i fedeli non vedono il cambiamento, tranne i più attenti che fanno notare la tendenza a parlare di più e più rispettosamente delle dichiarazioni e degli avvenimenti romani attuali, omettendo le messe in guardia di un tempo e le deviazioni odierne» (6).
Mons. Fellay rimproverava in particolare al clero di Campos di non aver reagito pubblicamente quando Giovanni Paolo II organizzò di nuovo la stessa riunione nella città di San Francesco (questo clero si era appena riconciliato con la Roma conciliare):
«Bisogna distinguere una mancanza alla virtù della stessa Fede da un difetto nella confessione pubblica della Fede, che in certe circostanze è necessaria, come ricordò Mons. de Castro Mayer il giorno delle consacrazioni [1988]. Ora, una prevaricazione come quella di Assisi reclama tale confessione pubblica… che noi non abbiamo ascoltato da parte di Campos» (7) [e che noi non ascoltiamo più da parte di Menzingen].
Tuttavia, le conseguenze di questo silenzio sono molto pericolose per la stessa Fede, come faceva notare Mons. Lefebvre:
«Dal punto di vista delle idee, essi [queste comunità riconciliate] virano molto dolcemente e finiscono con l’ammettere le false idee del Concilio, perché Roma accorda loro qualche favore per la Tradizione. È una situazione molto pericolosa.» (8).
L’aveva constatato lo stesso Benedetto XVI. Dopo la remissione delle «scomuniche» e per rassicurare i vescovi del mondo intero su un possibile riconoscimento della Fraternità San Pio X, scrisse loro:
«Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme.» (9).
3. La Prelatura Personale ci fa rientrare di fatto nella Chiesa conciliare
Aggiungiamo che la Prelatura Personale che verrebbe accordata a Mons. Fellay, come lascia intendere Roma, e che è un’innovazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, dà giurisdizione al Prelato solo sui suoi sacerdoti. Riguardo all’apostolato, il Canone 297 precisa:
«Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie.» (10).
Se questa Prelatura fosse accordata, il riconoscimento unilaterale sarebbe quindi, né più né meno, un rientro, poiché essa metterebbe i sacerdoti e i fedeli sotto le direttive del nuovo Codice, che è la versione legislativa delle novità del Vaticano II.
4. Un riconoscimento canonico sopprime le nostre protezioni, mettendoci in pericolosa coabitazione con il clero e con i fedeli conciliari
Diamo qui uno stralcio di alcune note che Mons. Lefebvre aveva consegnato ai Superiori religiosi in occasione di una riunione svoltasi al Priorato di Pointet il 30 maggio 1988, per chiedere il loro parere sulla possibilità di un riconoscimento da parte di Roma:
«Relazioni con i vescovi, il clero e i fedeli conciliari:
«malgrado l’esenzione molto estesa, con le barriere canoniche sparite, vi saranno necessariamente dei contatti di cortesia e forse delle offerte di cooperazione: per le unioni scolari – unioni dei Superiori, riunioni sacerdotali, cerimonie regionali, ecc – Tutto questo mondo è di spirito conciliare, ecumenista, carismatico.
[…]
«Fino ad oggi noi ci siamo protetti naturalmente, la selezione veniva assicurata di per sé, anche per la necessità di una rottura con il mondo conciliare. Da allora bisognerà prendere delle precauzioni continue, premunirsi senza sosta nei confronti degli ambienti romani, degli ambienti diocesani. È per questo che noi vogliamo tre-quattro vescovi e la maggioranza nel Consiglio romano (11). Il problema morale che si pone quindi per noi è: dobbiamo assumerci i rischi dei contatti con questi ambienti modernisti, con la speranza di convertire qualche anima e con la speranza di potersi premunire, con la grazia di Dio e con la virtù della prudenza, e così rimanere uniti a Roma nella lettera nonostante non lo siamo nella realtà e nello spirito? Oppure dobbiamo prima di tutto preservare la famiglia tradizionale per mantenere la sua coesione e il suo vigore nella Fede e nella grazia, considerando che il legame puramente formale con la Roma modernista non può essere preso in considerazione per la protezione di questa famiglia, che rappresenta ciò che resta della vera Chiesa cattolica?»
«Se avessimo accettato [l’accordo], noi saremmo morti! Non saremmo durati un anno. Saremo divenuti conciliari» (12).
Citiamo anche ciò che Monsignore disse al cardinale Ratzinger il 14 luglio 1987:
«Eminenza, anche se ci concedeste un vescovo, anche se ci concedeste una certa autonomia in rapporto ai vescovi, anche se ci concedeste tutta la liturgia del 1962, se ci concedeste di continuare con i seminari e la Fraternità come facciamo adesso, noi non potremmo collaborare, è impossibile; perché noi lavoriamo in direzioni diametralmente opposte: voi lavorate alla decristianizzazione della società, della persona umana, della Chiesa, noi lavoriamo alla cristianizzazione. Non ci si può intendere. Lei mi ha appena detto che la società non può essere cristiana.» (13).
È per questo che, dopo aver provato invano per tanti anni di ottenere un riconoscimento con tutte le protezioni necessarie, Mons. Lefebvre non considerava più possibile un accordo con Roma senza prima la conversione del Papa e della gerarchia dell’epoca. E ai futuri vescovi, prima della consacrazione scrisse:
«Vi conferisco questa grazia confidando che quanto prima la Sede di Pietro sarà occupata da un successore di Pietro perfettamente cattolico (14), nelle mani del quale voi potrete rimettere la grazia del vostro episcopato perché egli la confermi.» (15).
Egli riaffermerà questa necessità della conversione di Roma in diverse occasioni, per esempio:
«È dunque uno stretto dovere per ogni sacerdote che voglia rimanere cattolico, separarsi dalla Chiesa conciliare, fino a quando essa non ritroverà la Tradizione del Magistero della Chiesa e della Fede cattolica» (Itinerario spirituale [1990], ed. Ichthys, Albano Laziale, p. 34)
«Quando mi si chiede quando ci sarà un accordo con Roma, la mia risposta è semplice: quando Roma re intronizzerà Nostro Signore Gesù Cristo» (16)
Parlando del tentativo di accordo fatto nel 1988, scriverà:
Non si comprende dunque come Mons. de Galarreta, a Bailly, il 17 gennaio 2016, a proposito del rifiuto di un accordo, abbia potuto dire:
«non era questa la posizione di Mons. Lefebvre»;
e Mons. Tissier de Mallerais, il 21 marzo 2016:
«Mons. Lefebvre non ha mai posto, come condizione per il nostro nuovo riconoscimento, che Roma abbandonasse gli errori e le riforme conciliari» (18),
quando un anno prima, in una bella predica fatta a Chicago, l’1 gennaio 2015, usava queste pesanti parole:
«Noi metteremo in opera ciò che Mons. Lefebvre, nostro fondatore, scrisse nel suo Itinerario spirituale, che è il suo testamento spirituale: «È dunque uno stretto dovere per ogni sacerdote che voglia rimanere cattolico, separarsi dalla Chiesa conciliare, fino a quando essa non ritroverà la Tradizione del Magistero della Chiesa e della Fede cattolica» (Itinerario spirituale [1990], ed. Ichthys, Albano Laziale, p. 34).
La Fraternità San Pio X confermò la posizione di Mons. Lefebvre nel suo Capitolo Generale del 2006:
«…i contatti che essa mantiene sporadicamente con le autorità romane hanno per unico scopo di aiutarle a riappropriarsi della Tradizione che la Chiesa non può perdere senza rinnegare la propria identità, e non la ricerca di un vantaggio per se stessa, o di giungere ad un impossibile “accordo” puramente pratico.»
Questa posizione venne mantenuta fino al 2012, e Mons. Fellay predicava chiaramente:
«È impossibile e inconcepibile considerare degli accordi prima che i colloqui [dottrinali] non siano riusciti a chiarire e correggere i princípi della crisi» (Fideliter, maggio-giugno 2006).
La situazione a Roma sarebbe talmente migliorata da pensare che tutto questo che abbiamo appena ricordato oggi non sarebbe più vero?NOTE
1 – È quello che dicono all’inizio i rientrati per giustificarsi.
2 – Mons. Lefebvre, Conferenza a Ecône l’8 ottobre 1988
3 – Mons. Lefebvre, in Fideliter n° 70, p. 6. Ne abbiamo avuto una nuova prova con i Francescani dell’Immacolata, fortemente sanzionati da Papa Francesco (tutti i Superiori importanti allontanati dal loro incarico) per essere passati alla Messa tradizionale appoggiandosi tuttavia sul Motu Proprio di Benedetto XVI. Oggi si fa firmare ai novizi un documento in cui si impegnano a celebrare la nuova Messa.
4 – Mons. Lefebvre, Lettera al Papa Giovanni Paolo II del 2 giugno 1988. È Francesco che ci proteggerà dallo spirito del Vaticano II e dallo spirito di Assisi?
5 – Mons. Fellay, Conferenza al seminario di Winona (USA) del febbraio 2015.
6 – Mons. Fellay, Lettera agli amici e benefattori della Fraternità San Pio X, n° 54, gennaio-febbraio 2003.
7 – Nouvelles de Chrétienté n° 73, marzo aprile 2002.
8 – Mons. Lefebvre, Intervista apparsa su Fideliter n° 79, gennaio-febbraio 1991.
9 – Benedetto XVI, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall'arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009.
10 – Il commento al nuovo Codice fatto dal canonico Paralieu (Bourges, Trady, 1985) dice chiaramente: «Il Prelato che è a capo della Prelatura non ha dunque un suo popolo» (p. 113). Quindi i fedeli rimangono sotto la giurisdizione del vescovo diocesano.
Il commento di Caparros (Montréal, Wilson et Lafleur Itée, 1999) precisa ancora: «Le opere pastorali o missionarie a cui si riferisce qui il Codice costituiscono la finalità per la quale la Santa Sede erige le prelature personali. Queste opere […] devono inserirsi armoniosamente nella pastorale comune della Chiesa universale, così come nella pastorale organica delle Chiese particolari» (p. 231). Non rimarrà più gran cosa della libertà dei Priorati. La Prelatura è una vera trappola. Mons. Lefebvre non aveva mai considerato la Prelatura personale, ma un “Ordinariato”, struttura che esisteva prima del Concilio, per esempio per il vescovo militare, e che esenta i fedeli dalla giurisdizione del vescovo locale (si veda Mons. Marcel Lefebvre, una vita, di Mons. Tissier de Mallerais, Ed. Tabula Fati, Chieti, 2005, p. 623).
Oggi, Roma si guarda bene dall’avanzare questa possibilità.
11 – Per proteggerci in caso di accordo, Mons. Lefebvre voleva una Commissione a Roma composta con una maggioranza di tradizionalisti, per regolare i problemi tra i vescovi diocesani e la Tradizione. Roma non accettò mai; e non se n’è più parlato, né per alcuna comunità rientrata, né nelle trattative tra Mons. Fellay e la Roma modernista.
Ora, questo è il minimo che si dovrebbe esigere.
12 – Consiglio ai futuri vescovi prima della consacrazione, pubblicato su Le Sel de la Terre n° 28, primavera 1999.
13 – Mons. Lefebvre, Conferenza ai sacerdoti a Ecône, per il ritiro sacerdotale, 1 settembre 1987. Mons. Lefebvre parla, tra l’altro, del colloquio avuto a Roma col Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il 14 luglio 1987.
14 – Ne siamo ben lontani con Francesco.
15 – Mons. Lefebvre, Lettera ai futuri vescovi, 29 agosto 1987. Se si accettasse un riconoscimento canonico, contrasterebbe con l’intenzione espressa da Mons. Lefebvre al momento della consacrazione dei quattro vescovi.
16 – Mons. Lefebvre, Conferenza a Flavigny, dicembre 1988, su Fideliter n° 68, p. 16.
17 – Intervista, su Fideliter 79, gennaio-febbraio 1991, a due mesi della morte.
18 – Pubblicato su La Porte Latine il 22 marzo 2016.
L'immagine e l'impaginazione sono nostre
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1495_Riconoscimento_canonico_unilaterale.html
Don Franz Schmidberger
o
Errare humanum est, perseverare diabolicum…
di Christian Lassalle
In seguito alla diffusione del documento
Riflessioni sulla Chiesa e sulla posizione della FSSPX al suo interno,
a firma di Don Franz Schmidberger della FSSPX
lo stesso Autore ha pubblicato una precisazione, che riportiamo in calce, la quale è stata presentata dal sito Medias Press Info con il presente articolo a firma: Christian Lassalle.
Riportiamo l'articolo perché ci sembra che l'Autore abbia avanzato degli appunti pertinenti.
L'impaginazione è nostra
In una nota datata 19 febbraio scorso, Don Franz Schmidberger riassumeva le sue riflessioni sulla Chiesa e sulla FSSPX al suo interno.
Largamente diffusa, in tedesco come in francese, questa nota ha provocato un vero trambusto. L’autore della nota, che si sa essere molto vicino al Superiore Generale della FSSPX, ritiene che «è arrivato il momento di una normalizzazione della Fraternità».
Una tale affermazione poteva solo rimettere in ballo la credibilità di Mons. Fellay, il quale ancora poco tempo fa affermava che per il momento non si trattava di firmare un qualsivoglia riconoscimento canonico.
Così Don Schmidberger è stato obbligato ad aggiungere qualche precisazione per mezzo di un comunicato del 15 aprile, sul procedimento di pubblicazione, non sul contenuto della nota.
Infatti, questo comunicato si limita a dare o a ridare a questa nota un carattere puramente privato.
Ci sarebbe piaciuto che questo ex Superiore Generale fosse ritornato su certi sui apprezzamenti poveri o affrettati contenuti nella sua nota del 19 febbraio.
Siamo rimasti per esempio sorpresi nell’apprendere che l’anormalità sia essa a qualificare la FSSPX, per la sua situazione canonica, e non più la Roma modernista e apostata.
Sorprende ancora leggere come argomento numero uno a sostegno della sua tesi che «ogni situazione anormale porta di per sé alla normalizzazione», come se il disordine o il caos potessero condurre di per sé all’ordine.
E l’elenco potrebbe allungarsi.
Ci si potrebbe per esempio stupire della concezione ben povera della Chiesa. Che apre la nota e poi la regge da cima a fondo: mistero e non più società organica organizzata introno al bene comune.
Ugualmente molto sorprendente il giudizio perentorio con cui si accusano di «perdita del senso della Chiesa» tutti coloro che ritengono, con semplice buon senso, che sia benefico per le anime (e non solo «confortevole») tenersi alla larga dall’influenza di autorità malvagie.
Su tutti questi punti, Don Schmidberger non precisa alcunché.
E tuttavia è sempre lo stesso Don Schmidberger, allora Superiore Generale, che chiedeva a Roma, nel luglio 1988, congiuntamente a tutti i membri del Capitolo, di essere solidarmente considerati scomunicati insieme a Mons. Lefebvre, in seguito all’ingiusta sanzione che questi aveva subito.
Quel Don Schmidberger non aveva dunque il «sensus Ecclesiae»?
Già… ma il 1988 è lontano.
1. Il documento Riflessioni sulla Chiesa e sulla posizione della Fraternità al suo interno, è stato scritto da me, di mia iniziativa, senza che nessuno mi abbia incitato, né spinto, né che mi abbia incaricato di farlo. Esso presenta le riflessioni mie proprie ed ha un carattere puramente privato.
2. Esso è stato reso noto a una piccola cerchia di persone, in tutto nove: al Superiore Generale, a un altro vescovo della Fraternità, ad altri sacerdoti del seminario di Zaitzkofen e ad un laico non nominato. Esso non è stato mostrato ai seminaristi, né agli altri Fratelli del seminario, che non hanno avuto conoscenza del suo contenuto. Del pari, non è stata fatta alcuna traduzione in un’altra lingua, né è stata considerata, né autorizzata. Io non ho alcuna responsabilità per la pubblicazione di questo documento su internet.
3. Naturalmente, mi assumo la responsabilità delle considerazioni che ho espresse, che ritengo siano pertinenti nell’attuale situazione della Chiesa e della Fraternità. Del resto, io non mi impedisco né di pensare né di Sentire cum Ecclesia.
Zaitzkofen, 15 aprile 2016
Don Franz Schmidberger
Direttore
Don Franz Schmidberger
o
Errare humanum est, perseverare diabolicum…
di Christian Lassalle
In seguito alla diffusione del documento
Riflessioni sulla Chiesa e sulla posizione della FSSPX al suo interno,
a firma di Don Franz Schmidberger della FSSPX
lo stesso Autore ha pubblicato una precisazione, che riportiamo in calce, la quale è stata presentata dal sito Medias Press Info con il presente articolo a firma: Christian Lassalle.
Riportiamo l'articolo perché ci sembra che l'Autore abbia avanzato degli appunti pertinenti.
L'impaginazione è nostra
Don Franz Schmidberger e Mons. Bernard Fellay
In una nota datata 19 febbraio scorso, Don Franz Schmidberger riassumeva le sue riflessioni sulla Chiesa e sulla FSSPX al suo interno.
Largamente diffusa, in tedesco come in francese, questa nota ha provocato un vero trambusto. L’autore della nota, che si sa essere molto vicino al Superiore Generale della FSSPX, ritiene che «è arrivato il momento di una normalizzazione della Fraternità».
Una tale affermazione poteva solo rimettere in ballo la credibilità di Mons. Fellay, il quale ancora poco tempo fa affermava che per il momento non si trattava di firmare un qualsivoglia riconoscimento canonico.
Così Don Schmidberger è stato obbligato ad aggiungere qualche precisazione per mezzo di un comunicato del 15 aprile, sul procedimento di pubblicazione, non sul contenuto della nota.
Infatti, questo comunicato si limita a dare o a ridare a questa nota un carattere puramente privato.
Ci sarebbe piaciuto che questo ex Superiore Generale fosse ritornato su certi sui apprezzamenti poveri o affrettati contenuti nella sua nota del 19 febbraio.
Siamo rimasti per esempio sorpresi nell’apprendere che l’anormalità sia essa a qualificare la FSSPX, per la sua situazione canonica, e non più la Roma modernista e apostata.
Sorprende ancora leggere come argomento numero uno a sostegno della sua tesi che «ogni situazione anormale porta di per sé alla normalizzazione», come se il disordine o il caos potessero condurre di per sé all’ordine.
E l’elenco potrebbe allungarsi.
Ci si potrebbe per esempio stupire della concezione ben povera della Chiesa. Che apre la nota e poi la regge da cima a fondo: mistero e non più società organica organizzata introno al bene comune.
Ugualmente molto sorprendente il giudizio perentorio con cui si accusano di «perdita del senso della Chiesa» tutti coloro che ritengono, con semplice buon senso, che sia benefico per le anime (e non solo «confortevole») tenersi alla larga dall’influenza di autorità malvagie.
Su tutti questi punti, Don Schmidberger non precisa alcunché.
E tuttavia è sempre lo stesso Don Schmidberger, allora Superiore Generale, che chiedeva a Roma, nel luglio 1988, congiuntamente a tutti i membri del Capitolo, di essere solidarmente considerati scomunicati insieme a Mons. Lefebvre, in seguito all’ingiusta sanzione che questi aveva subito.
Quel Don Schmidberger non aveva dunque il «sensus Ecclesiae»?
Già… ma il 1988 è lontano.
1. Il documento Riflessioni sulla Chiesa e sulla posizione della Fraternità al suo interno, è stato scritto da me, di mia iniziativa, senza che nessuno mi abbia incitato, né spinto, né che mi abbia incaricato di farlo. Esso presenta le riflessioni mie proprie ed ha un carattere puramente privato.
2. Esso è stato reso noto a una piccola cerchia di persone, in tutto nove: al Superiore Generale, a un altro vescovo della Fraternità, ad altri sacerdoti del seminario di Zaitzkofen e ad un laico non nominato. Esso non è stato mostrato ai seminaristi, né agli altri Fratelli del seminario, che non hanno avuto conoscenza del suo contenuto. Del pari, non è stata fatta alcuna traduzione in un’altra lingua, né è stata considerata, né autorizzata. Io non ho alcuna responsabilità per la pubblicazione di questo documento su internet.
3. Naturalmente, mi assumo la responsabilità delle considerazioni che ho espresse, che ritengo siano pertinenti nell’attuale situazione della Chiesa e della Fraternità. Del resto, io non mi impedisco né di pensare né di Sentire cum Ecclesia.
Zaitzkofen, 15 aprile 2016
Don Franz Schmidberger
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