“Chiedo ai governi di cooperare, di riconoscere che la sovranità è una illusione, una assoluta illusione da mettersi dietro le spalle”: così qualche giorno fa Peter Sutherland, il rappresentante speciale del Segretario della Nazioni Unite. Che ha continuato: “I giorni in cui ci si nascondeva dietro i confini e gli steccati sono finiti da tempo. Dobbiamo lavorare insieme e collaborare insieme a fare un mondo migliore. E ciò significa distrugge quei vecchi familismi provinciali, quelle vecchie memorie storiche, quelle vecchie immagini del nostro paese, e riconoscere che siamo parte dell’umanità”.
Sono luoghi comuni, spezzoni di pensiero unico politicamente corretto, del tipo a cui hanno abituato una Boldrini, un Papa Francesco e il circo mediatico progressista.
Ciò che li rende più significativi è il personaggio: Sutherland, oggi delegato del Segretario Generale Onu, è stato direttore di Royal Bank of Scotland, poi di Goldman Sachs International, membro del comitato direttivo del Bildeberg, oggi nel comitato esecutivo di Allianz, il colosso assicurativo, e di Eli Lilly, la multinazionale del farmaco. Egli ha prescritto: “La Germania deve accogliere 1 milione di emigranti all’anno per 30 anni”.
Interessante vedere come le lezioni di morale filantropica, le esortazioni all’accoglienza e i biasimi per il nostro egoismo piccino e meschino che Boldrini e Francesco ci trasmettono, vengano da questi ambienti. I potenti banchieri d’affari e gestori del mercato globale (Sutherland è stato anche direttore dell’OMC il guardiano del commercio senza dazi) ci trovano poco cristiani, troppo attaccati alla “roba nostra”.
E sono – come El Papa e la Boldrini – ben intenzionati a moralizzarci. Come sapete, la moralità americana sta per infliggere alla Volkswagen un’ammenda di 20 miliardi di dollari per aver barato sulle emissioni dei suoi diesel. Nel 2015 la giustizia americana ha condannato la BNP Paribas a 8,9 miliardi per violazione delle leggi americane sull’embargo al Sudan e all’Iran: miliardi che il governo americano ha incamerato “per indennizzare le vittime2, secondo la versione ufficiale. Ci sarebbe anche la piccolezza dei 770 milioni di multa alla Alstom, a cui la giustizia Usa ha rimproverato una certa vendita della divisione energia di General Electric; una multa di 800 milioni alla Siemens, 170 milioni comminati ad Alcatel; e complessivi 5-6 miliardi a una mezza dozzina di industrie europee, per “corruzione”. Le banche svizzere hanno dovuto pagare un alto prezzo alla moralità americana, che costa parecchio: si valutano a 35 miliardi di dollari le ammende inflitte a banche estere, e incamerate dal grande moralizzatore nelle sue assetate casse pubbliche.
E’un immenso progresso dell’etica: l’extraterritorialità del diritto americano. Il “vecchio” diritto aveva questo difetto, di applicarsi all’interno di uno Stato. Ma come ci ha istruito Sutherland oggi all’Onu, ieri Goldman Sachs, “i giorni in cui ci si nascondeva dietro i confini sono trascorsi e da tempo”. Non c’è angolo del mondo (tranne i paradisi fiscali favoriti) dove i farabutti, i politici tangentari, e ditte e le banche mazzettare, si possano nascondere ai magistrati Usa.
Ne ha parlato a febbraio il giornalista economico Jean-Michel Quatrepoint, membro della Fondation Res Publica, spiegando con quale arsenale giuridico la Superpotenza s’è arrogata il diritto-potere di giudicare gli altri stati e paesi, trasformando questo arsenale nello strumento di una vera e propria offensiva economica.
Giusto subito dopo il collasso dell’URSS, Washington s’è dotato di leggi anti-corruzione e di difesa delle sanzioni all’estero che riguardavano, apparentemente, le aziende Usa, ma non solo: tipica la Foreign Corrupt Practices Act (FCPA), inizialmente applicata alle imprese Usa che danno mazzette ai dirigenti pubblici e politici per farsi aggiudicare dei contratti, che dal 1998 sono applicate agli stranieri – e che ora serve da modello alla Convenzione OCSE “contro la corruzione”.
Poi c’è la batteria delle leggi che rendono delitto penale il commercio con i paesi sotto embargo americano. La legge Helms-Burton -D’Amato che fulmina chi commerciava con Libia, Sudan, Iran, Cuba eccetera (sono 70 i paesi sotto embargo per decisione Usa). La moralità si applica(va) prima di tutto a casa: la Standard Chartered Bank nel 2006 ha dovuto cacciare 700 milioni di dollari per transazioni con Teheran. Ma non basta: altre leggi criminalizzano i paesi sotto embargo Onu, il riciclaggio di denaro sporco a narcos e terroristi.
E il Patriot Act, varato dopo l’11 Settembre, dà alle agenzie USA poteri nuovi e più larghi per ficcare il naso in tutte le comunicazioni informatiche: non escluse quelle degli alleati e subalterni, come dimostra la NSA che spiava il telefonino di Angela Merkel, figurarsi se non ascolta gli smartphone dei massimi dirigenti delle aziende europee. Anche se a rigore non ne ha bisogno, dato che nostri stessi governanti hanno dato il permesso di esaminare tutte le transazioni che i nostri enti economici fanno con SWIFT, la camera di compensazione europea situata in Belgio.
La legge Dodd-Frank del 2010 conferisce alla SEC (Securities and Exchange Commission, il sorvegliante della Borsa), il potere di reprimere ogni infrazione anche se conclusa fuori dagli Usa ed implicante esclusivamente attori esteri. Nel 2014, il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) dà al fisco Usa poteri extraterritoriali, per cui le banche estere sono obbligate a divenire suoi agenti, dando tutte le informazioni sui conti e i beni di cittadini americani dovunque nel mondo. Se non obbediscono, a dette banche vengono confiscati il 30 per cento dei loro introiti guadagnati in Usa,e, peggio, possono vedersi ritirata la licenza ad operare in America: ovviamente è un decreto di morte per una banca non poter più compensare in dollari né lavorare in USA, specie le grandi. Il FATCA è egregiamente servito per forzare le banche svizzere a rinunciare al loro segreto bancario; ma non solo. E’ in base alla stessa legge che BNPParibas, dopo la nota mega-multa ha dovuto fornire i dati sui conti dei clienti americani, ma anche dei franco-americani che non hanno mai lavorato e guadagnato in USA. “E se in Francia hanno pagato in imposte meno di quelle che avrebbero dovuto pagare in Usa, lo IRS (Internal Revenue Service, la Equitalia amerikana) pretende che gli versi la differenza”, ha spiegato Quatrepoint.
E’ la giustizia americana. La migliore e la più morale.
E chi avrebbe la faccia di opporsi a queste misure una per una? A contestare la “lotta alle tangenti”? Il riciclaggio dei narcos? I finanziatori dei terroristi? E dunque: cosa avete da nascondere voi che volete mantenere la vostra sovranità – ormai una illusione – e i vostri confini di Stato, che non esistono più?
Da qui si vede come Boldrini, la sinistra in generale, ed EL Papa sono subalterni dei grandi principi etici dettati dal grande business finanziario Usa: promotori volontari del processo del capitalismo globale, quello per cui (dice Christian Salmon) “gli uomini di Stato non più sovrano sono costantemente sottoposti a un processo di verifica e a un obbligo di performance” e da parte di chi? Non del popolo elettore, ma dei banchieri transnazionali, e del Senato americano che fa’ le leggi morali per Goldman Sachs.
E così la altissima moralità è diventata una offensiva globale contro tutti, che si ficca in ogni campo: si ricordi l’offensiva contro la FIFA, il certo corrottissimo Blatter (e Platini), la persecuzione sistematica degli atleti russi…a poco a poco, spero, questa alta etica dei grandi principi si manifesta per quello che è: un elemento del dominio mondiale Usa.
Globalizzazione, interdipendenza – gabellati come “efficienza” contro la odiata “autarchia” – si traducono in dipendenza politica e servaggio sotto l’emissore della moneta di scambio. Gli anglo sono riusciti a creare lo stesso rapporto che Londra aveva con le sue colonie imperiali, ma molto più in grande. L’India poteva e doveva produrre cotone,perché lo faceva “a prezzi competitivi”; ma non poteva filarlo e tesserlo, perché lo facevano a prezzi competitivi le fabbriche britanniche. Attenzione, era vietato per legge: Gandhi fu sbattuto ripetutamente in galera perché filava pubblicamente il cotone. Per questo sulla bandiera dell’India campeggia l’arcolaio.
Ma quello era un dominio esercitato su popoli sottosviluppati. La globalizzazione ha dato agli Usa il dominio sul primo mondo, l’Europa. La Russia, l’Iran, i”nemici” possono essere espulsi dal mondo e lasciati senza poter vendere né comprare; ciò che è è particolarmente odioso, è che tutto viene ammantato di superiore moralità, e giudizio etico. Ipocriti.
La vicenda Volkswagen appare la (meritata) punizione per un trucco che però doveva diffondere nel mercato american dei motori diesel, che le Case Usa non sanno fare, e che le petrolifere Usa non vogliono produrre. “VW ha commesso lesa maestà – dice Quatrepoint – rifiutando ai magistrati americani l’acceso ai suoi dati sul suolo tedesco, invocando la legge tedesca che vieta di fornire segreti industriali e commerciali a potenze straniere estranee alle UE. Gli americani vogliono tutto, documenti, mail, eccetera. La VW resisterà? Rischia di farsi chiudere le fabbriche su territorio USA…”. La francese Alcatel, dopo la multa, ha dovuto accettare per tre anni la presenza nella stanza dei bottoni, di un “controllore indipendente” a cui doveva fornire tutte le informazioni che reclamava, nessuna esclusa. Processi e segreti industriali sono finiti agli americani in quel triennio, assicura Quatrepoint.
C’è sequestro e sequestro
Del resto, cosa volete, il 78% delle transazioni mondiali si fanno in dollari e quindi ognuna è compensata in USA, quindi è soggetta alla legge Usa. Parte della multa pagata da BNP Paribas servirà – lo vuole il Senato – a “indennizzare i cittadini Usa rimasti vittime della presa di ostaggi all’ambasciata americana a Teheran”: sono 55 persone che nel lontano 1979 furono tenute nella sede diplomatica per 444 giorni. Questo atto (“inqualificabile”, certo) fu la risposta della folla iraniana alla notizia che il governo americano aveva confiscato tutti i capitali esteri del governo dell’Iran, detenuti presso la Chase Manhattan Bank. C’è sequestro e sequestro. Alcuni sono immorali, altri no.
Quelli americani non lo sono mai. I banchieri che hanno scatenato la crisi dei subprime, mescolando in titoli “garantiti da interessi” dei debiti di insolventi a quelli de solvibili, non sono mai stati puniti. Anzi, detti banchieri oggi ci insegnano la morale, e come dobbiamo accogliere i profughi islamici senza tabù e provincialismi superati.
Fra questi moralizzatori, è impossibile dimenticare quello più attivo nel darci lezioni di umanità integrale: Georges Soros. Questo esempio per tutti noi, che in queste settimane sta arruolando a 15 dollari l’ora dei disoccupati americani (ne trova quanti vuole) perché interrompano con la violenza i comizi di Donald Trump- la sua ultima lotta al “fascismo” – è anche colui che ha approntato tutta un’organizzazione per incitare i profughi siriani a venire in Europa in massa: “Il nostro progetto – ha detto – tratta la protezione dei rifugiati come obiettivo e i confini nazionali come ostacolo”
Soros ha praticato fin dalla prima giovinezza gli alti principi etici che impartisce a noi. Quasi adolescente, nel 1944, nella natia Ungheria, già collaborò con Gestapo ed SS alla deportazione di 440 mila correligionari in due mesi. Prima, infilandosi nella “Judenrat”, ossia nel comitato che selezionava per i nazisti gli ebrei da arrestare e deportare; poi addirittura – grazie ai buoni uffici di suo padre Theodor Soros, da cui ha appreso tutto – mollando una mazzetta ad un funzionario del ministero dell’agricoltura, a vivere in casa di quest’ultimo. Si sdebitò aiutandolo a confiscare i beni dei giudei, che questi nascondevano; opera meritoria da cui il nostro moralista si indennizzò, ritagliandosi qualche piccola mancia; il primo capitale col quale, andato dopo la guerra a Londra e poi a New York, diventò agente di Borsa. Lasciando l’Ungheria sotto il tallone giudeo-bolscevico. Soros infatti aveva allora un penchant anti-capitalista, ma non così forte da indurlo a scegliere di vivere nel paradiso del socialismo reale. D’altra parte si è convertito alla “Open society” predicata da Karl Popper, suo maestro ebreo e anticomunista. Adesso è il 35mo uomo più ricco del mondo e si batte per le migliori cause: i diritti umani, l’aborto legale, la droga libera, i diritti LGBT, primavere colorate nell’Est, demokràzia a Kiev, anti-Putin, anti-Trump, la potenza di Israele – in breve: il Bene contro il Male.
Nel 2011, nella trasmissione televisiva (J) “60 Minutes”, della CBS, il conduttore Steve Kroft (J) gli chiese se provava rimorso per quello che aveva fatto a suoi compagni di ebraismo magiari. “No”, ghignò lui: “Non c’era assolutamente alcun motivo che non lo facessi. Se non lo facevo io, qualcun l’altro avrebbe portato via quei beni. Sicchè, nessun senso di colpa”. Anzi, spiegò, “quello è stato il periodo più felice della mia vita”.
E’ bello vedere che Papa Francesco la Boldrini e la sinistra progressista sono schierati dalla parte di Soros. E della moralità americana.
http://www.maurizioblondet.it/la-superiorita-morale-usa-ci-insegna-ci-punisce/
Memorie di un’epoca – Quando il cinema racconta la Storia. Ustica: le cose che non si potevano dire – di Luciano Garibaldi
Memorie di un’epoca – rubrica mensile a cura di Luciano Garibaldi
biografie, eventi, grandi fatti, di quel periodo in cui storia e cronaca si toccano
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25 – giovedì 31 marzo 2016
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QUANDO IL CINEMA RACCONTA LA STORIA. USTICA: LE COSE CHE NON SI POTEVANO DIRE
Renzo Martinelli, il regista che più di ogni altro, nella storia della cinematografia italiana, ha trasformato la macchina da presa in strumento di ricerca storica della verità, è il protagonista di un esempio riguardante la nostra “submission” agli USA. E mi riferisco al suo film «Ustica», appena presentato a Roma, che ricostruisce la tragedia del DC.9 dell’Itavia, in volo da Bologna a Palermo, precipitato in mare il 27 giugno 1980 con 91 persone a bordo, tutte morte.
di Luciano Garibaldi
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E’ da settant’anni che gli Stati Uniti d’America fanno il bello e il cattivo tempo in casa nostra. Va be’, hanno vinto la guerra e noi l’abbiamo persa, ma forse è arrivato il tempo di recuperare un minimo di prestigio e di indipendenza. Forse chi è meno giovane (come chi scrive) ricorda un antico “adagio” che andava di moda negli anni del dopoguerra: «L’America comanda, / De Gasperi ubbidisce, / il Papa benedice, / il popolo patisce».
Sono trascorsi decenni, De Gasperi non c’è più, il Papa non c’entra niente e il popolo non è che patisca per via dell’America. Ma certamente chi ne va di mezzo è il nostro prestigio.
Ecco tre esempi significativi. Nel 1985, l’allora capo del governo Bettino Craxi osò tener testa agli Stati Uniti che, nella base militare di Sigonella, in Sicilia, pretendevano fosse loro consegnato il capo dell’organizzazione militare palestinese Abu Abbas, catturato dai nostri militari in quanto responsabile del sequestro del transatlantico “Achille Lauro”. Il braccio di ferro lo vinse Craxi, ma la pagò cara: pochi anni dopo fu travolto dal ciclone «mani pulite».
Secondo esempio: otto anni prima, era toccato ad Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana, pagarla cara per avere osato contrapporsi ai voleri americani. Intendeva aprire le porte del governo ai comunisti di Enrico Berlinguer, non più supinamente sottomessi a Mosca: il mitico “compromesso storico”. Non l’avesse mai fatto. Fu rapito in via Fani dalle Brigate Rosse, che non esitarono a massacrare i cinque agenti della sua scorta, fu assassinato e il suo cadavere fu fatto ritrovare a metà strada tra piazza del Gesù (sede della DC) e via delle Botteghe Oscure (sede del PCI). Le responsabilità della CIA nella fosca vicenda furono ben messe in luce nel film «Piazza delle Cinque Lune», del regista Renzo Martinelli.
Ancora Martinelli, il regista che più di ogni altro, nella storia della cinematografia italiana, ha trasformato la macchina da presa in strumento di ricerca storica della verità, è il protagonista del terzo esempio riguardante la nostra “submission” agli USA. E mi riferisco al suo film «Ustica», appena presentato a Roma, che ricostruisce la tragedia del DC.9 dell’Itavia, in volo da Bologna a Palermo, precipitato in mare il 27 giugno 1980 con 91 persone a bordo, tutte morte.
L’anteprima del film è stata proiettata a Roma il 29 marzo ed è stata preceduta da una conferenza-stampa alla quale ha preso parte il giudice Rosario Priore, che indagò a lungo sulla tragedia di Ustica e riunì i documenti che aveva recuperato, in una sentenza di 5000 pagine. Ad essa ha fatto riferimento Martinelli, per la stesura della sceneggiatura. Il film di Martinelli manda definitivamente in pensione le ipotesi che si sono susseguite in tutti questi anni. Il DC.9 non precipitò per un cedimento strutturale, né per una bomba collocata nella toilette di coda, né per un missile che lo avrebbe colpito per errore. Precipitò perché urtato involontariamente da un jet militare americano che stava inseguendo un Mig libico che si nascondeva sotto la pancia del nostro aereo passeggeri. Ovviamente, precipitò in mare anche il jet statunitense, ma il pilota riuscì a salvarsi e fu recuperato da un elicottero. La cosa forse più scottante del film di Martinelli consiste nella serie di morti misteriose susseguitesi negli anni tra chi sapeva troppo e magari avrebbe potuto rivelare come erano andate veramente le cose. Una denuncia indubbiamente grave, ma supportata dal giudice Rosario Priore che, nella conferenza stampa di presentazione del film, ha detto tra l’altro: «Mentre indagavo, mi vedevo sottrarre le prove sotto gli occhi e mi scontravo costantemente con il “segreto di Stato”. Per fortuna è entrato in gioco il cinema, che, in questo caso, grazie all’opera di Martinelli, da’ una mano alle inchieste e innesca meccanismi forti che incidono sui segreti anche a livello internazionale».
Tra i tanti episodi oscuri che circondano la vicenda, la tragica morte dei piloti Naldini e Nutarelli avvenuta nel corso di una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein, in Germania, alla vigilia della loro convocazione come testimoni inviata ai due aviatori proprio dal giudice Priore in relazione ai fatti di Ustica. Molto importante anche questa dichiarazione di Priore durante la conferenza-stampa di Martinelli: «Abbiamo un problema: il segreto di Stato. L’unico a poterlo togliere è il presidente del Consiglio. Il percorso è molto difficile, il segreto tocca un Paese che ha una supremazia nel mondo, il Paese più potente, ma con questi film possiamo innescare meccanismi capaci di incidere su questo segreto».
Vale la pena, a questo punto, ritornare alla vicenda Moro così come “storicizzata” dallo stesso Martinelli nel suo film «Piazza delle Cinque Lune». Aldo Moro, rapito nel 1978, era assolutamente sgradito agli Stati Uniti, perché aveva deciso di aprire le porte del governo al partito di Berlinguer, ormai non più asservito a Mosca. Ma questo particolare (cioè un PCI finalmente italianizzato), l’America di Carter, di Henry Kissinger e di Steve Pieczenik non lo dava certamente per scontato. Per loro, affidare qualche ministero al PCI significava consegnare all’URSS le chiavi di tutte le basi militari americane, i depositi di armi anche atomiche, i segreti americani sul nostro territorio. Non per nulla, durante un suo viaggio negli Stati Uniti, Henry Kissinger (che tutt’ora tiene banco in Italia, ospite dei più autorevoli talk show televisivi, malgrado i suoi novantatré anni, che peraltro non dimostra affatto) aveva sibilato a Moro: «Lei la deve smettere di volere il PCI nel governo. O la smette, o la pagherà cara» (testimonianza testuale della moglie di Moro, Noretta, alla Commissione parlamentare).
Ma vediamo come Mario Moretti, l’allora boss delle BR, l’assassino di Moro, sta scontando i sei ergastoli cui fu condannato. Oggi settantenne, è in regime di semilibertà dal 1997. La notte (ma il particolare andrebbe controllato, e io non ho né il tempo né il modo né una testata che mi copra, per farlo, o per farlo fare ad un giovane collega) va a dormire nel carcere milanese di Opera e di giorno lavora, come dirigente, in una cooperativa che gestisce gli impianti informatici della Regione Lombardia. Ha scritto un libro di successo («Brigate rosse, una storia italiana») e ha fondato l’Associazione «Geometrie variabili» per fornire «lavoro non alienante ai detenuti». Di geometria (la «geometrica potenza di via Fani») parlava anche, a proposito dell’annientamento della scorta di Moro, il suo braccio destro Oreste Scalzone, scarcerato «per motivi di salute», poi «esule» a Parigi fino al 2007, quando poté tornare in Italia senza scontare la condanna perché i giudici della Corte d’Assise di Milano avevano sancito l’«intervenuta prescrizione in relazione ai reati di partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e rapine».
Già questi particolari inducono a forti perplessità. Ma c’è ben altro che meriterebbe di essere approfondito, pubblicizzato e seguìto. Mi riferisco alle testimonianze storiche di due personalità come il senatore Giovanni Pellegrino, per ben sette anni, dal 1994 al 2001, presidente della Commissione parlamentare stragi, e il senatore Ferdinando Imposimato, già giudice istruttore per il sequestro e l’assassinio Moro, poi senatore, poi presidente della Cassazione e ora avvocato e storico.
Pellegrino ha scritto, con Giovanni Fasanella, il libro-intervista «Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro» (Einaudi), in cui sostiene che Moro fu ucciso per ordine della CIA. Dunque, Brigate Rosse telecomandate, con il beneplacito del KGB, che temeva di perdere il controllo di un PCI inserito nel governo Moro e dunque deciso a privilegiare gli interessi dell’Italia e non più quelli dell’URSS.
Imposimato, di libri ne ha scritti addirittura tre: «Moro doveva morire» (con Sandro Provvisionato), «La Repubblica delle stragi impunite» (2012) e «I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia» (2013). Questi libri-testimonianza sono una clamorosa conferma al film «Piazza delle Cinque Lune», realizzato da Renzo Martinelli nel 2003.
E’ ormai di tutta evidenza che, con l’assassinio di Aldo Moro, fu raggiunto un duplice risultato: 1°) eliminare il rischio di agenti sovietici in posti chiave del governo italiano; 2°) dare inizio all’autodistruzione delle BR, sempre più osteggiate dal PCI e dalla Sinistra legalitaria. Il che significa una cosa soltanto: che CIA e KGB “gestirono”, ciascuno mirando ai propri interessi, il vertice decisionale delle Brigate Rosse.
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25 – giovedì 31 marzo 2016
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QUANDO IL CINEMA RACCONTA LA STORIA. USTICA: LE COSE CHE NON SI POTEVANO DIRE
Renzo Martinelli, il regista che più di ogni altro, nella storia della cinematografia italiana, ha trasformato la macchina da presa in strumento di ricerca storica della verità, è il protagonista di un esempio riguardante la nostra “submission” agli USA. E mi riferisco al suo film «Ustica», appena presentato a Roma, che ricostruisce la tragedia del DC.9 dell’Itavia, in volo da Bologna a Palermo, precipitato in mare il 27 giugno 1980 con 91 persone a bordo, tutte morte.
di Luciano Garibaldi
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E’ da settant’anni che gli Stati Uniti d’America fanno il bello e il cattivo tempo in casa nostra. Va be’, hanno vinto la guerra e noi l’abbiamo persa, ma forse è arrivato il tempo di recuperare un minimo di prestigio e di indipendenza. Forse chi è meno giovane (come chi scrive) ricorda un antico “adagio” che andava di moda negli anni del dopoguerra: «L’America comanda, / De Gasperi ubbidisce, / il Papa benedice, / il popolo patisce».
Sono trascorsi decenni, De Gasperi non c’è più, il Papa non c’entra niente e il popolo non è che patisca per via dell’America. Ma certamente chi ne va di mezzo è il nostro prestigio.
Ecco tre esempi significativi. Nel 1985, l’allora capo del governo Bettino Craxi osò tener testa agli Stati Uniti che, nella base militare di Sigonella, in Sicilia, pretendevano fosse loro consegnato il capo dell’organizzazione militare palestinese Abu Abbas, catturato dai nostri militari in quanto responsabile del sequestro del transatlantico “Achille Lauro”. Il braccio di ferro lo vinse Craxi, ma la pagò cara: pochi anni dopo fu travolto dal ciclone «mani pulite».
Secondo esempio: otto anni prima, era toccato ad Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana, pagarla cara per avere osato contrapporsi ai voleri americani. Intendeva aprire le porte del governo ai comunisti di Enrico Berlinguer, non più supinamente sottomessi a Mosca: il mitico “compromesso storico”. Non l’avesse mai fatto. Fu rapito in via Fani dalle Brigate Rosse, che non esitarono a massacrare i cinque agenti della sua scorta, fu assassinato e il suo cadavere fu fatto ritrovare a metà strada tra piazza del Gesù (sede della DC) e via delle Botteghe Oscure (sede del PCI). Le responsabilità della CIA nella fosca vicenda furono ben messe in luce nel film «Piazza delle Cinque Lune», del regista Renzo Martinelli.
Ancora Martinelli, il regista che più di ogni altro, nella storia della cinematografia italiana, ha trasformato la macchina da presa in strumento di ricerca storica della verità, è il protagonista del terzo esempio riguardante la nostra “submission” agli USA. E mi riferisco al suo film «Ustica», appena presentato a Roma, che ricostruisce la tragedia del DC.9 dell’Itavia, in volo da Bologna a Palermo, precipitato in mare il 27 giugno 1980 con 91 persone a bordo, tutte morte.
L’anteprima del film è stata proiettata a Roma il 29 marzo ed è stata preceduta da una conferenza-stampa alla quale ha preso parte il giudice Rosario Priore, che indagò a lungo sulla tragedia di Ustica e riunì i documenti che aveva recuperato, in una sentenza di 5000 pagine. Ad essa ha fatto riferimento Martinelli, per la stesura della sceneggiatura. Il film di Martinelli manda definitivamente in pensione le ipotesi che si sono susseguite in tutti questi anni. Il DC.9 non precipitò per un cedimento strutturale, né per una bomba collocata nella toilette di coda, né per un missile che lo avrebbe colpito per errore. Precipitò perché urtato involontariamente da un jet militare americano che stava inseguendo un Mig libico che si nascondeva sotto la pancia del nostro aereo passeggeri. Ovviamente, precipitò in mare anche il jet statunitense, ma il pilota riuscì a salvarsi e fu recuperato da un elicottero. La cosa forse più scottante del film di Martinelli consiste nella serie di morti misteriose susseguitesi negli anni tra chi sapeva troppo e magari avrebbe potuto rivelare come erano andate veramente le cose. Una denuncia indubbiamente grave, ma supportata dal giudice Rosario Priore che, nella conferenza stampa di presentazione del film, ha detto tra l’altro: «Mentre indagavo, mi vedevo sottrarre le prove sotto gli occhi e mi scontravo costantemente con il “segreto di Stato”. Per fortuna è entrato in gioco il cinema, che, in questo caso, grazie all’opera di Martinelli, da’ una mano alle inchieste e innesca meccanismi forti che incidono sui segreti anche a livello internazionale».
Tra i tanti episodi oscuri che circondano la vicenda, la tragica morte dei piloti Naldini e Nutarelli avvenuta nel corso di una esibizione delle Frecce Tricolori a Ramstein, in Germania, alla vigilia della loro convocazione come testimoni inviata ai due aviatori proprio dal giudice Priore in relazione ai fatti di Ustica. Molto importante anche questa dichiarazione di Priore durante la conferenza-stampa di Martinelli: «Abbiamo un problema: il segreto di Stato. L’unico a poterlo togliere è il presidente del Consiglio. Il percorso è molto difficile, il segreto tocca un Paese che ha una supremazia nel mondo, il Paese più potente, ma con questi film possiamo innescare meccanismi capaci di incidere su questo segreto».
Vale la pena, a questo punto, ritornare alla vicenda Moro così come “storicizzata” dallo stesso Martinelli nel suo film «Piazza delle Cinque Lune». Aldo Moro, rapito nel 1978, era assolutamente sgradito agli Stati Uniti, perché aveva deciso di aprire le porte del governo al partito di Berlinguer, ormai non più asservito a Mosca. Ma questo particolare (cioè un PCI finalmente italianizzato), l’America di Carter, di Henry Kissinger e di Steve Pieczenik non lo dava certamente per scontato. Per loro, affidare qualche ministero al PCI significava consegnare all’URSS le chiavi di tutte le basi militari americane, i depositi di armi anche atomiche, i segreti americani sul nostro territorio. Non per nulla, durante un suo viaggio negli Stati Uniti, Henry Kissinger (che tutt’ora tiene banco in Italia, ospite dei più autorevoli talk show televisivi, malgrado i suoi novantatré anni, che peraltro non dimostra affatto) aveva sibilato a Moro: «Lei la deve smettere di volere il PCI nel governo. O la smette, o la pagherà cara» (testimonianza testuale della moglie di Moro, Noretta, alla Commissione parlamentare).
Ma vediamo come Mario Moretti, l’allora boss delle BR, l’assassino di Moro, sta scontando i sei ergastoli cui fu condannato. Oggi settantenne, è in regime di semilibertà dal 1997. La notte (ma il particolare andrebbe controllato, e io non ho né il tempo né il modo né una testata che mi copra, per farlo, o per farlo fare ad un giovane collega) va a dormire nel carcere milanese di Opera e di giorno lavora, come dirigente, in una cooperativa che gestisce gli impianti informatici della Regione Lombardia. Ha scritto un libro di successo («Brigate rosse, una storia italiana») e ha fondato l’Associazione «Geometrie variabili» per fornire «lavoro non alienante ai detenuti». Di geometria (la «geometrica potenza di via Fani») parlava anche, a proposito dell’annientamento della scorta di Moro, il suo braccio destro Oreste Scalzone, scarcerato «per motivi di salute», poi «esule» a Parigi fino al 2007, quando poté tornare in Italia senza scontare la condanna perché i giudici della Corte d’Assise di Milano avevano sancito l’«intervenuta prescrizione in relazione ai reati di partecipazione ad associazione sovversiva, banda armata e rapine».
Già questi particolari inducono a forti perplessità. Ma c’è ben altro che meriterebbe di essere approfondito, pubblicizzato e seguìto. Mi riferisco alle testimonianze storiche di due personalità come il senatore Giovanni Pellegrino, per ben sette anni, dal 1994 al 2001, presidente della Commissione parlamentare stragi, e il senatore Ferdinando Imposimato, già giudice istruttore per il sequestro e l’assassinio Moro, poi senatore, poi presidente della Cassazione e ora avvocato e storico.
Pellegrino ha scritto, con Giovanni Fasanella, il libro-intervista «Segreto di Stato. La verità da Gladio al caso Moro» (Einaudi), in cui sostiene che Moro fu ucciso per ordine della CIA. Dunque, Brigate Rosse telecomandate, con il beneplacito del KGB, che temeva di perdere il controllo di un PCI inserito nel governo Moro e dunque deciso a privilegiare gli interessi dell’Italia e non più quelli dell’URSS.
Imposimato, di libri ne ha scritti addirittura tre: «Moro doveva morire» (con Sandro Provvisionato), «La Repubblica delle stragi impunite» (2012) e «I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia» (2013). Questi libri-testimonianza sono una clamorosa conferma al film «Piazza delle Cinque Lune», realizzato da Renzo Martinelli nel 2003.
E’ ormai di tutta evidenza che, con l’assassinio di Aldo Moro, fu raggiunto un duplice risultato: 1°) eliminare il rischio di agenti sovietici in posti chiave del governo italiano; 2°) dare inizio all’autodistruzione delle BR, sempre più osteggiate dal PCI e dalla Sinistra legalitaria. Il che significa una cosa soltanto: che CIA e KGB “gestirono”, ciascuno mirando ai propri interessi, il vertice decisionale delle Brigate Rosse.
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