Cosa sta succedendo in Irak?, “Il parlamento di Baghdad preso d’assalto da centinaia di manifestanti, attentati, morti a centinaia”. Già, ci eravamo tutti dimenticati dell’Irak. Qualche scarso telegiornale ci ha mostrato di questo ”assalto al parlamento”: non le solite folle urlanti islamiche” sventolanti la bandiera nera, ma uomini in abiti occidentali, che innalzavano la bandiera nazionale e che civilmente spiegavano ai giornalisti i motivi della loro protesta contro il loro governo. I media precisavano: sono sciiti, della “Armata del Mahdi” formata da “clerico estremista Muktada Al Sadr”.
Naturalmente omettendo di dire che Muktada è, prima che un chierico sciita, un patriota iracheno, che ha creato la sua formazione paramilitare, contro “la presenza straniera nel paese e per opporsi a qualsiasi interferenza internazionale nelle vicende dell’Iraq. ” Una ‘armata’ che in dieci anni ha mostrato una esemplare civiltà contro le provocazioni più sanguinose.
Naturalmente contro di essa non poteva mancare (ci ragguaglia Repubblica) la “dura denuncia dell’Ue, che ha invocato il ripristino dell’ordine per voce dell’alto rappresentante ue Federica Mogherini: “L’assalto di oggi rischia di aggravare una situazione già tesa”, ha dichiarato in una nota. “Si tratta della deliberata rottura del processo democratico. ”
Se avessimo bisogno di una prova del fatto che Mogherini è un asset della Cia (magari persino senza saperlo, come Regeni), potrebbe bastare questa: nel suo “duro comunicato”, non accenna minimamente a al fatto che in un solo mese – l’ultimo, aprile 2016 – in Irak sono morti 741 esseri umani, e 1374 sono stati feriti e mutilati. Se poi ci si prendesse la briga di vedere quel che è successo prima, a febbraio, a gennaio, e a dicembre 2015, e ancora più indietro, si vedrebbe che tutti i mesi hanno avuto la loro scia, anzi il loro fiume di sangue, fino a risalire al 2003: il momento dell’occupazione americana. Prima del 2003, nessun attentato: governava Saddam Hussei, il mostro. Dopo, durante tutta l’occupazione Usa che dura tuttora, da 13 anni, centinaia di morti ogni mese.
Le vittime sono sempre sciiti, spesso quando vanno in pellegrinaggi e quando le loro moschee e santuari sono pieni. Nel 2003 rivendicava le stragi “Il numero due di Al Qaeda”, Al Zarkawi, miticamente imprendibile. Adesso, sono “attentati dell’ISIS”, lo Stato Islamico.
Usa distrugge la civiltà
Quel Califfato che l’US Air Force sta bombardando con migliaia di missioni, da mesi, per liberare Mossul, la città che prima aveva 1,5 milioni di abitanti e una università, occupata dall’ISIS che ne ha fatto, ci dicono, la sua capitale.
“Il 24 aprile la Coalizione Americana ha bombardato l’impianto di trattamento acqua di Rashidya, sul lato sinistro di Mossul, e la centrale di generazione elettrica di Yermouk, sul lato destro di Mossul. Devastando queste strutture necessarie a sostenere la vita della popolazione, la coalizione sta commettendo azioni genocide verso gli abitanti con la scusa di combattere ‘ISIS”.
Chi parla? Un estremista, un inaffidabile filo-terrorista urlante “Allahu Akbar” brandendo la bandiera nera del Profeta? No, la dottoressa Souad Al-Azzawi. Che è dottoressa nel senso superiore: ha conseguito un dottorato di ricerca alla Colorado School of Mines, una università specializzata in scienze geologiche e ambientali. Parla con la giornalista Felicity Arbuthnot. E dice che quelle distruzioni non sono casuali e sfortunati effetti collaterali della lotta per liberare Mossul dal Califfato sono atti deliberati e costanti. Fa’ un elenco – parziale – di ciò che i bombardieri Usa hanno demolito nei giorni scorsi a Mossul:
“Hanno distrutto tutti gli edifici di servizio pubblico, compresi i municipi nel settore destro e sinistro di Mossul [la città oggi è divisa: una parte “Liberata” una parte occupata dall’ISIS] uccidendo i residente delle aree vicine. Hanno bombardato e distrutto tutti i centri di comunicazione. Hanno distrutto le piccole industrie lattiero-casearie nei due settori: qui si contano un centinaio di feriti tra i civili che facevano la fila per ricevere il latte e lo yogurt”.
Ciò ricorda alla dottoressa “il bombardamento della ditta lattiero-casearia alla periferia di Baghdad nel 1991, che produceva latte in polvere per bambini”. Nel 1991? Già, perché lo strazio del popolo iracheno non data da 13 anni fa, dal 2003; data da 25 anni, dalla prima guerra del Golfo, l’eroico Desert Storm che portò la democrazia al paese. La Arbuthnot visitò quella ditta, e se ne ricorda le rovine carbonizzate e fumanti: “Gli impianti erano stati forniti da una azienda di Birmingham, specializzata in alimenti per l’infanzia”.
Oggi, per sconfiggere l’ISIS, gli aerei americani hanno bombardato l’università di Mossul, “92 morti e 135 feriti, studenti, membri di facoltà, personale dell’università e della mensa”. Le industrie farmaceutiche di Mossul. Bombe sono state lanciate sugli appartamenti dei quartieri residenziali di Al Hadbaa e Al Khadraa: 50 morti di intere famiglie, e cento feriti. “Due giorni fa, bombe sull’area residenziale Hay al Dhubat nella casa crollata interamente. Il padre è un rispettato farmacista che nulla ha a che fare con l’ISIS. Bombardate la Casa del Governatore, la direzione di Pianificazione Urbana e la Direzione di pianificazione tecnica, entrambe situate in Hay al Maliyah.
“Sono state distrutte le case davanti al Collegio Medico: 22 civili uccisi, 11 di una sola famiglia. Bombardato l’edifici sunnita del Wakif, 20 morti e 70 feriti; devastazione di zone industriali per la riparazione auto in entrambi i settori di Mossul (la città è divisa); bombardati mulini di produzione di farine in entrambi i settori. Distruzione delle banche Rafidain e Rashid e loro filiali in ambo i settori, con un numero di vittime ancora da accertare. La banca centrale di Mossul in Gazhi street, devastata; incenerito l’impianto della Pepsi, che ormai produceva solo ghiaccio: 3 morti e 12 feriti tra i lavoratori. Distrutta la vecchia zona industriale di Mossul, dove stazionavano autobotti ed auto: tre giorni fa ci sono state enormi esplosioni di cisterne, 150 fra morti e feriti; magazzini alimentari in entrambi i settori; impianti di potabilzzazione delle acque; generatori e trasformatori elettrici in entrambi i settori; il ponte di Al Hurairah…
Sono gli stessi bersagli che furono preferiti nell’eroico Desert Storm del ’91, ricorda la giornalista: impianti di trattamento acqua, industrie farmaceutiche ed alimentai, generatori elettrici, infrastrutture educative e di comunicazione, posti sul Tigri e l’Eufrate. Operatori tv canadesi ripresero allora aerei Usa che, a bassa quota, lanciavano bengala incendiari su campi e messi giù falciate di grano ed orzo, “distruggendo l’intero raccolto di una nazione già messa alla fame perché strangolata da 25 anni di sanzioni”: già, perché il martirio del popolo iracheno risale a ben prima del Desert Storm, ben prima del 1991; risale all’embargo. Lo strazio degli iracheni è cominciato quasi 50 anni fa ormai. E ancora dura.
Chi denuncia – giustamente – la persecuzione delle comunità cristiane in Medio Oriente, ha dimenticato questo infinito martirio del popolo iracheno, sunniti e sciiti, insieme.
“Bomb them back to the Stone Age”
Il vostro cronista può testimoniare che, prima che scoppiasse Desert Storm (il posizionamento di mezzo milione di truppe Usa durò mesi) ebbe tutto il tempo di telefonare Edward Luttwak, che certamente anche voi conoscete, e chiedergli: è un bluff fatto per intimidire Saddam e convincerlo a cedere (aveva occupato il Kuweit), oppure fate sul serio? Luttwak rispose: “No, stavolta rimandiamo l’Irak all’età della pietra a suon di bombe (“bomb themback to the stone age“: è una frase storica, risale al generale Le May) , perché Saddam non fa come i principi sauditi, che spendono tutto l’introito petrolifero in puttane e champagne a Parigi; no, quello con i soldi ci fa ferrovie, dighe centrali elettriche, università! Quello sta rendendo il paese una media potenza industriale! Un paese moderno, una potenza regionale! Questo, è una minaccia per Israele, che Israele non può tollerare!”.
Da quel momento mi è stato chiaro perché gli Usa preferiscono e favoriscono il potere degli estremisti islamisti: Talebani in Afghanistan, Al Qaeda ossa wahabiti dovunque, jihadisti con le bandiere nere del Profeta in Siria, Fratelli Musulmani in Egitto. Non so se è chiaro anche a voi. Naturalmente la prenderete per la solita posizione antisemita.
Fate pure. Io ricordo a me stesso tutti questi atroci attentati con centinaia di morti che saltarono all’occhio appena l’Irak fu liberato dal Mostro; attentati contro centri religiosi sciiti, pelleginaggi, assmblamenti di folle sciite. Fatti da sunniti, come dubitarne?
Di uno ho scritto in un mio saggio “Israele, Usa, Terrorismo Islamico” (Effedieffe 2005). Lo copio:
“Il 7 agosto 2003, nella città di Najaf sacra agli sciiti, un terrificante attentato all’autobomba uccide l’ayatollah Mohammad Baker al-Hakim, il capo dell’Assemblea Suprema della Rivoluzione Islamica in Irak, un organo legato al regime iraniano, e con lui 82 fedeli in preghiera nella moschea. Più di cento i feriti. Gli occupanti americani proclamano che l’autore è l’imprendibile Al Zarkawi, capo degl terrorismo sunnita. Ma gli sciiti, sia iracheni che iraniani, dicono: è il Mossad che uccide i leader sciiti iracheni con una deliberata campagna di assassini mirati; lo scrive il Teheran Times. Che cita un settimanale egiziano, Al-Osboa: “l’US CENTCOM (il comando centrale americano) ha raggiunto la convinzione che il delitto sia stato commesso da agenti israeliani dopo aver analizzato le tracce di esplosivo sul luogo dell’attentato: si tratta di un esplosivo molto avanzato usato solo dal Mossad”. (“US helped Mossad agents to fly after blast”, Teheran Times, 9 novembre 2003. Il giornale iraniano precisa anche gli agenti sionisti erano 15, e sono tati aiutati da comando Usa a uscire dall’Irak dopo l’attentato. “Mesi f un agente del Mossad – continuava l’articolo – che parlava arabo e conosceva bene i gruppi iracheni ha fatto grandi sforzi per infiltrar certi gruppi e influenzarli”. Lo scopo di queste infiltrazioni sarebbe “innescare una guerra civile fra musulmani”, e per gli Usa, avere una scusa “per proseguire l’occupazione del Paese. Il rifiuto delle truppe americane di proteggere i siti religiosi è parte di questo complotto”.
Adesso capisco meglio perché Muktada Al Sadr formò allora la sua “armata del Mahdi”: per autodifesa, e anche per trattenere i suoi fedeli sciiti, molto disciplinati, dall’abbandonarsi ritorsioni folli, ciò che avrebbe fatto il gioco degli oppressori. Adesso che “l’Armata del Mahdi” ha occupato i palazzi del governo (sciita)) pacificamene per protestar contro la corruzione, Obama ha subito annunciato: le truppe americane devono restar in Irak più a lungo, data l’instabilità del governo (aveva promesso di ritirarle dal 2011).
Quindi ci saranno altri attentati islamisti. Supereranno i 700 morti ad aprile? Per adesso il disegno di gettare gli uni contro gli altri non è pienamente riuscito, si son dovuti impiegare stranieri mercenari (quelli con la bandiera nera del Profeta, che gli Usa bombardano a Mossul), segno che gli iracheni mantengono ancora una coscienza nazionale, in qualche modo civile e degna.
Poi anch’io mi sono dimenticato dell’Irak. Dove ogni giorno centinaia di cittadini muoiono in esplosioni, bombardamenti americani e attentati “dell’ISIS”. Si fa’ presto a diri ISIS.
Chi denuncia il martirio del cristiani in Medio Oriente, non dimentichi il martirio a cui è sottoposto il popolo iracheno da quasi mezzo secolo, da 25 anni di sanzioni, di aggressione e da 13 di occupazione. E’ uno strazio talmente ostinato, spietato e disumano, che in qualche modo mi ricorda l’Holodmor ucraino, il genocidio degli Armeni. Mi par di vedere una sete di vendetta antica e mai appagabile, una volontà di sterminio arcaica, sacrale. Quella che scrisse: “Figlia di Babilonia, votata alla distruzione, (…) . Beato chi afferrerà i tuoi neonati e li sbatterà contro la roccia!” . Salmo. Di Davide. 137.
Bancarotta, l’Europa lotta per salvare i terroristi ad Aleppo
MAGGIO 2, 2016
Ziad Fadil, Syrian perspective, 1/5/2016Fin dall’inizio del conflitto nel marzo 2011, l’occidente e i suoi mille scimmieschi burattini come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, erano intenzionati ad occupare una delle principali città della Siria per insediarvi un potere concorrente nel Paese sfidando l’autorità centrale di Damasco. Idealmente, il premio più grasso sarebbe stata la capitale. Quando ciò non è accaduto e sembrava un compito troppo scoraggiante, l’attenzione è caduta su l’enorme capitale industriale nel nord, Aleppo, che almeno per 2 anni ha resistito agli sforzi dei cannibali terroristici di entrare. Aleppo, come Damasco e come la maggior parte della Siria, del resto, è un poliedrico e demograficamente variegato insieme di minoranze nella popolazione a maggioranza sunnita. E i sunniti di Aleppo non sono noti per militanza o fondamentalismo. Al contrario, Aleppo rimane un importante centro in Siria del ramo Sufi dell’Islam sunnita, un ramo noto per la spiritualità e il pacifismo. Damasco non poteva essere spezzata per i noti motivi, qui a SyrPer, avendo a che fare con il fronte sionista. L’Esercito arabo siriano è stato addestrato a combattere nel sud e sul Golan, dove si prevede che tutte le guerre inizino e finiscano. Così, l’EAS ha concentratogli sforzi a sigillare il confine con la Giordania per evitare le manovre dell’esercito sionista da Sud e sul Golan, che la Siria è intenta a recuperare dagli artigli dei ratti sionisti che ora occupano la Palestina araba (Siria meridionale). I continui assalti alla capitale non hanno portato a nulla, se non al bombardamento occasionale dei tranquilli quartieri misti di Jaramana e Adra. In ultima analisi, i terroristi di Jaysh al-Islam poterono infestare il Ghuta orientale da cui sono ora in lenta ma inesorabilmente cacciata. Altre aree nel Qalamun sono state poi ripulite. Ma Aleppo, apparentemente sicura, era vulnerabile solo se i sauditi potevano appoggiarsi ad Erdoghan abbastanza per aprirvi un nuovo fronte, un fronte su cui l’esercito siriano non era concentrato. Si è sempre dato per scontato che l’unico innesco del conflitto siriano-turco fosse la questione curda; risolta anni prima quando Abdullah Ocalan fu esiliato in Grecia e, quindi, in Africa. (Fu catturato da un’unità per operazioni speciali turca in Africa orientale e rispedito in Turchia dove sconta l’ergastolo ad Imrali).
I sauditi trovarono orecchie attente ad Ankara, quelle di Recep Tayyip Erdoghan al potere. Gli Stati Uniti svolsero un ruolo nell’apertura delle porte dalla Turchia alla Siria nella fase iniziale, per armare i terroristi ora radunati numerosi in aree come Hatay, Gaziantep e Adana. Lasciamo perdere il coinvolgimento di Hillary Clinton nell’inviare armi libiche in Turchia per armare gli assassini anti-Baath attraverso i crimini di Christopher Stephens, l’ambasciatore dichiarato omosessuale degli Stati Uniti in Libia e agente della CIA (proprio come Robert Ford). L’episodio di Bengasi perseguiterà Clinton abbastanza presto, ma era alla finestra per quanto succedeva nei tentativi di Stati Uniti e NATO di scalzare un presidente siriano molto popolare. Erdoghan è un membro dei Fratelli musulmani e non ne ha mancata una. Era ricettivo. Erdoghan aveva anche altri motivi. Aleppo era un importante snodo per i sultani ottomani che governavano dalla Sublime Porta d’Istanbul. Chiunque abbia mai vissuto Aleppo, come l’autore, non può capire le sostanziali influenze turco-armene su tutto, dai modi di dire alla cucina degli abitanti. Erdoghan vide le aperture saudite e statunitensi come invito all’espansione; una giustificazione della chimera del rinnovato impero con lui come sultano (o forse califfo) redivivo. Per quanto assurdo possa sembrare, le nazioni non necessariamente si comportano seguendo esclusivamente gli interessi. Vi è l’elemento della fragilità e della credulità umane. Vi è la psicosi che affondò Hitler in Russia e che affonda Erdoghan oggi in Siria. C’è voluto molto tempo all’Esercito arabo siriano per rispondere alla sfida tattica spostando le sue priorità da sud a nord. Ma, con l’aiuto russo e iraniano, il passo verso la battaglia nazionale è diventato una realtà cui assistiamo oggi ad Aleppo.
Aleppo è la penultima meta del governo. Una volta liberata completamente, parlare di “soluzioni politiche” o “governi di transizione” sembrerà banale, perfino senza senso. Gli Stati Uniti e i loro alleati lo sanno, motivo per cui sono esplose le attività diplomatiche per frenare l’EAS e la sua rinnovata Aeronautica. Cercano disperatamente di fermare l’assalto che, si prevede, comporterà la disfatta totale dei ratti su tutta Aleppo nelle prossime settimane. La Lega araba, ispirata dallo Stato-scarafaggio del Qatar, guida una riunione di emergenza totalmente concentrata su Aleppo. Il Qatar, attraverso la sua macchina della menzogna propagandistica al-Jazeera, dilaga la retorica che accusa il governo di Damasco di “crimini di guerra” e simili. Inutile dire che nessuno presta molta attenzione all’orrida prostituta rotta a tutto che è al-Jazeera. Questa la tecnica: cercano d’istigare il furore nel pubblico per giustificare un intervento diretto militare che è mancato perché l’amministrazione russa ha chiarito nettamente che alcuna “pressione sarà fatta alla Siria mentre combatte il terrorismo“. Questo è l’incubo del Qatar. Con un membro del Consiglio di sicurezza che ostacola il tentativo di salvare gli ultimi ratti di al-Qaida ad Aleppo, la muta di ratti che domina il Qatar deve fare i conti, ora, con il fatto che ha perso più di 100 miliardi di dollari in riserve per sostenere la guerra maniacale contro il popolo della Siria. I sauditi sono in una posizione ancor meno invidiabile. Hanno perso il loro rapporto privilegiato con Washington. Hanno iniziato dei passi per la pace nello Yemen nella speranza di salvarsi la faccia con il ritorno negoziato del loro factotum immensamente impopolare, al-Hadi, al potere. Le recenti dichiarazioni del leader huthi indicano che i colloqui non vanno da nessuna parte, nonostante la sciocchezza del Quwayt nel menzionare l’imminente “storico accordo”. Infatti, la macchina combattente Ansarullah ha appena liberato la base militare di al-Amaliqa con un arsenale da Creso di armi da utilizzare per eliminare i sauditi. I sauditi sono in un torrente senza pagaie, per così dire. E la loro leadership è senza timone ed è ingenua. Vediamo la lenta discesa della Casa dei Saud nel pozzo nero della dissoluzione.
Ieri e oggi l’Esercito arabo siriano è avanzato più in profondità nel quartiere di al-Rashidin liberando 8 edifici ed eliminando 4 cecchini. I terroristi erano quasi tutti membri di al-Qaida e affrontano un terribile destino mentre il nostro esercito li pesta continuamente presso Dhahiyat al-Assad. SyrPer ha ricevuto segnalazioni precise di profonde carenze di munizioni e acqua tra i ratti in questo settore. Siamo sicuri che cadrà abbastanza presto perché le chiacchiere tra ratti indicano un completo crollo morale con dichiarate espressioni sull’assenza di fiducia nei capi. Non ci sono più linee di rifornimento.
I sauditi trovarono orecchie attente ad Ankara, quelle di Recep Tayyip Erdoghan al potere. Gli Stati Uniti svolsero un ruolo nell’apertura delle porte dalla Turchia alla Siria nella fase iniziale, per armare i terroristi ora radunati numerosi in aree come Hatay, Gaziantep e Adana. Lasciamo perdere il coinvolgimento di Hillary Clinton nell’inviare armi libiche in Turchia per armare gli assassini anti-Baath attraverso i crimini di Christopher Stephens, l’ambasciatore dichiarato omosessuale degli Stati Uniti in Libia e agente della CIA (proprio come Robert Ford). L’episodio di Bengasi perseguiterà Clinton abbastanza presto, ma era alla finestra per quanto succedeva nei tentativi di Stati Uniti e NATO di scalzare un presidente siriano molto popolare. Erdoghan è un membro dei Fratelli musulmani e non ne ha mancata una. Era ricettivo. Erdoghan aveva anche altri motivi. Aleppo era un importante snodo per i sultani ottomani che governavano dalla Sublime Porta d’Istanbul. Chiunque abbia mai vissuto Aleppo, come l’autore, non può capire le sostanziali influenze turco-armene su tutto, dai modi di dire alla cucina degli abitanti. Erdoghan vide le aperture saudite e statunitensi come invito all’espansione; una giustificazione della chimera del rinnovato impero con lui come sultano (o forse califfo) redivivo. Per quanto assurdo possa sembrare, le nazioni non necessariamente si comportano seguendo esclusivamente gli interessi. Vi è l’elemento della fragilità e della credulità umane. Vi è la psicosi che affondò Hitler in Russia e che affonda Erdoghan oggi in Siria. C’è voluto molto tempo all’Esercito arabo siriano per rispondere alla sfida tattica spostando le sue priorità da sud a nord. Ma, con l’aiuto russo e iraniano, il passo verso la battaglia nazionale è diventato una realtà cui assistiamo oggi ad Aleppo.
Aleppo è la penultima meta del governo. Una volta liberata completamente, parlare di “soluzioni politiche” o “governi di transizione” sembrerà banale, perfino senza senso. Gli Stati Uniti e i loro alleati lo sanno, motivo per cui sono esplose le attività diplomatiche per frenare l’EAS e la sua rinnovata Aeronautica. Cercano disperatamente di fermare l’assalto che, si prevede, comporterà la disfatta totale dei ratti su tutta Aleppo nelle prossime settimane. La Lega araba, ispirata dallo Stato-scarafaggio del Qatar, guida una riunione di emergenza totalmente concentrata su Aleppo. Il Qatar, attraverso la sua macchina della menzogna propagandistica al-Jazeera, dilaga la retorica che accusa il governo di Damasco di “crimini di guerra” e simili. Inutile dire che nessuno presta molta attenzione all’orrida prostituta rotta a tutto che è al-Jazeera. Questa la tecnica: cercano d’istigare il furore nel pubblico per giustificare un intervento diretto militare che è mancato perché l’amministrazione russa ha chiarito nettamente che alcuna “pressione sarà fatta alla Siria mentre combatte il terrorismo“. Questo è l’incubo del Qatar. Con un membro del Consiglio di sicurezza che ostacola il tentativo di salvare gli ultimi ratti di al-Qaida ad Aleppo, la muta di ratti che domina il Qatar deve fare i conti, ora, con il fatto che ha perso più di 100 miliardi di dollari in riserve per sostenere la guerra maniacale contro il popolo della Siria. I sauditi sono in una posizione ancor meno invidiabile. Hanno perso il loro rapporto privilegiato con Washington. Hanno iniziato dei passi per la pace nello Yemen nella speranza di salvarsi la faccia con il ritorno negoziato del loro factotum immensamente impopolare, al-Hadi, al potere. Le recenti dichiarazioni del leader huthi indicano che i colloqui non vanno da nessuna parte, nonostante la sciocchezza del Quwayt nel menzionare l’imminente “storico accordo”. Infatti, la macchina combattente Ansarullah ha appena liberato la base militare di al-Amaliqa con un arsenale da Creso di armi da utilizzare per eliminare i sauditi. I sauditi sono in un torrente senza pagaie, per così dire. E la loro leadership è senza timone ed è ingenua. Vediamo la lenta discesa della Casa dei Saud nel pozzo nero della dissoluzione.
Ieri e oggi l’Esercito arabo siriano è avanzato più in profondità nel quartiere di al-Rashidin liberando 8 edifici ed eliminando 4 cecchini. I terroristi erano quasi tutti membri di al-Qaida e affrontano un terribile destino mentre il nostro esercito li pesta continuamente presso Dhahiyat al-Assad. SyrPer ha ricevuto segnalazioni precise di profonde carenze di munizioni e acqua tra i ratti in questo settore. Siamo sicuri che cadrà abbastanza presto perché le chiacchiere tra ratti indicano un completo crollo morale con dichiarate espressioni sull’assenza di fiducia nei capi. Non ci sono più linee di rifornimento.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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