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lunedì 27 giugno 2016

Ingenuità o eresia?

CHIESA E DIALOGO INTERRELIGIOSO

    Dialogo interreligioso a tutto campo? Ma per piacere non diciamo sciocchezze. La Chiesa dialoga da 2 mila anni con le altre fedi fin dove è realistico e possibile: ma non è mai caduta nell’ingenuità, o nell’eresia di Francesco Lamendola  




A partire dal Concilio Vaticano II, due nuovi vocaboli sono entrati nel lessico quotidiano della Chiesa cattolica, o, se non nuovi, certo adoperati con uno spirito sostanzialmente nuovo: ecumenismo e dialogo interreligioso. Nel 1964, è stato addirittura istituito un apposito organismo, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, a segnare una svolta da cui, secondo ogni apparenza, non sarà più possibile tornare indietro. Gli scopi specifici di tale organismo sono i seguenti: promuovere il rispetto, il dialogo e la collaborazione fra i cattolici e i seguaci delle altre religioni; incoraggiare lo studio delle religioni (ma quanti cristiani conoscono decentemente la propria religione?); promuovere la formazione di persone votate al dialogo. Che cosa significa, questo? Che prima del 1964, e prima del Concilio Vaticano II, non esisteva dialogo interreligioso? Noi non lo crediamo. Il dialogo c’era, ma a livello di persone. L’idea che la Chiesa cattolica, in quanto tale, potesse “dialogare” con le altre religioni, in quanto tali, probabilmente non c’era; ed esisteva una buona ragione perché non ci fosse. Se certi teologi progressisti e certi preti modernisti avessero avuto un minimo di umiltà e avessero studiato, senza pregiudizi, la storia della Chiesa, si sarebbero accorti che da duemila anni essa “dialoga” con le altre fedi, sul terreno pratico, fin dove è realistico e possibile: ma non è mai caduta nell’ingenuità, o nell’eresia, di pensare che la sua verità vale quanto quelle altrui; che ogni religione, compresa quella cristiana, è portatrice di una verità relativa; e che, di conseguenza, la sola cosa giusta da fare, per ciascuna di esse, è trovare un modus vivendi civile e ragionevole, sopportandosi reciprocamente e cercando, anzi, di promuovere tutte quelle azioni che mirano alla crescita dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà e dei suoi diritti ”naturali”.
Tanto per cominciare, l’idea che l’uomo, che ogni singolo essere umano abitante sul pianeta Terra, indipendentemente dalla razza, dalla classe sociale e dal credo religioso, sia portatore di diritti naturali e inalienabili; che ogni essere umano abbia in se stesso una scintilla della luce divina, trasmessagli dal suo Creatore; che ogni essere umano sia meritevole di rispetto e amore, anche se diverso, anche se nemico, è un’idea puramente ed esclusivamente cristiana (e buddista; laddove, però, al buddismo manca la componente attiva dell’amore, proprio perché gli manca l’idea di un Dio creatore che è Persona, il quale vuole che tutti i suoi figli si amino e si perdonino le offese vicendevolmente). Qualcuno penserà che tale idea è figlia, invece, della civiltà moderna, e particolarmente dell’illuminismo, oppure del liberalismo, o del socialismo, o della democrazia, o, magari, della scienza moderna: ma costui dimentica che l’illuminismo, la democrazia, il liberalismo, il socialismo e la scienza moderna sono tutti figli, legittimi o illegittimi, del Cristianesimo. Senza il Cristianesimo, l’Europa, e, di conseguenza il mondo, non avrebbero conosciuto né la rivoluzione scientifica, né l’illuminismo, né il liberalismo, né il socialismo, né la democrazia moderna, che – si badi - è cosa ben diversa dalla democrazia antica, la quale coesisteva tranquillamente con il sistema schiavista, con l’esclusione della donna dalla vita pubblica, con la minorità giuridica degli stranieri e dei bambini (tanto è vero che il padre poteva “esporre”, cioè condannare a morte, il bambino indesiderato, o perché ritenuto non suo, o perché affetto da patologie o deformità).
In secondo luogo, perché sia possibile un dialogo, bisogna che vi sia la volontà di dialogare da entrambe le parti. Ora, la religione islamica, così come la religione giudaica, non sono interessate al dialogo con il cristianesimo: per l’una, i cristiani sono degli infedeli, meritevoli delle fiamme dell’Inferno per il solo fatto di esistere e di essere quello che sono; per l’altra, sono i folli seguaci di un falso profeta, che ebbe l’ardire di proclamarsi figlio di Dio e che i loro antenati vollero far condannare a morte; gesto per il quale non hanno mai domandato scusa, anche se hanno preteso e ottenuto le scuse dei cristiani per le ingiustizie da essi subite: senza peraltro ammettere che le ingiustizie furono reciproche e che, se vogliamo storicizzare, i primi persecutori dei cristiani furono proprio i Giudei e il Sinedrio di Gerusalemme. Nemmeno l’induismo sembra essere interessato ad instaurare un serio dialogo con il Cristianesimo; e i ricorrenti massacri di cristiani che avvengono in parecchi Stati dell’Unione indiana (oltre che nel limitrofo Pakistan islamico) lo testimoniano ad abundantiam, con la forza innegabile dei fatti.
L’Islam, peraltro, si autodefinisce una religione “abramitica”, e ciò fa pensare ai cattolici ingenui e ignoranti (in fatto di storia e di teologia) che, alla radice, le tre grandi religioni monoteiste abbiano assai più cose in comune di quanto volgarmente si creda, e, comunque, più cose in comune che non con qualsiasi altra religione, diversa dal giudaismo e dall’islamismo. Se non che, l’Abramo di cui parla il Corano non è l’Abramo della Bibbia: è un Abramo puramente musulmano, cioè un Abramo che non ha proprio nulla a che fare con l’Abramo che prefigura la futura alleanza fra Dio e l‘uomo, instaurata da Gesù Cristo; proprio come il Gesù di cui parla il Coranonon ha assolutamente nulla a che fare con il Gesù in cui credono i cristiani. A questo punto, sorge la ragionevole domanda se sia davvero preferibile avere alcune cose, molto superficiali, in comune con un’altra religione, quando poi le differenze profonde sono decisive, o se non sia di gran lunga preferibile essere del tutto diversi, e confrontarsi a partire dalla propria identità e dalla propria diversità, senza suggerire zuccherosi abbracci e, soprattutto, senza illudersi che qualche vago e confuso punto di contatto implichi, di per sé, l’esistenza di condizioni favorevoli all’instaurarsi della comprensione e del rispetto reciproci.
Quanto all’ecumenismo, consistente nello sforzo di riavvicinare i membri di tutte le Chiese cristiane, le quali, nel corso del tempo, si sono separate, è lodevole in teoria, ma, in pratica, non tiene conto del dato di fatto fondamentale: che a staccarsi dalla Chiesa cattolica furono le altre confessioni, e non viceversa; che a restare fedeli alla Tradizione e alla Scrittura, così come erano sempre state intese, fu solo la Chiesa cattolica (con la parziale eccezione degli ortodossi, i quali si separarono per ragioni assai più politiche che dogmatiche e teologiche); che a tentar di distruggere la Chiesa cattolica furono soprattutto i protestanti, e che Lutero, Calvino e i loro seguaci, più che a riformare il cristianesimo, si adoperarono al fine di distruggerlo e ricostruirlo in maniera radicalmente nuova, sacrificando quanto di più specificamente cristiano vi era in esso, ed enfatizzando, invece, gli elementi giudaici, rigoristici, veterotestamentari, esclusivisti, quasi che Dio, nella persona di Gesù, sia venuto a condannare, più che a chiamare a sé, il maggior numero possibile di esseri umani, e quasi che il Vangelo non sia l’annuncio dell’amore di Dio per gli uomini (certo, insieme alla giustizia), ma la proclamazione definitiva e irrevocabile di una distanza abissale, incolmabile, fra l’uomo e Dio, svalutando così, implicitamente, anche l’Incarnazione, la Passione, la Morte e  la Resurrezione di Cristo; ed è quindi logico che l’Eucarestia, per molte Chiese protestanti, si riduca a una semplice commemorazione dell’Ultima Cena e non implichi il rinnovarsi miracoloso del sacrificio di Cristo mediante la transustanziazione del Pane e del Vino, nella Carne e nel Sangue di Lui.
Ma torniamo al dialogo interreligioso, e specificamente a quello con l’Islam, che oggi è diventato più che mai di attualità, stante il poderoso fenomeno della migrazione/invasione di milioni di musulmani nel continente europeo: continente che essi trovano spiritualmente “vuoto” e in attesa di essere colonizzato, in ogni caso un continente post-cristiano, che non ne vuole più sapere del Cristianesimo e che guarda, sovente, con degnazione, se non con aperto fastidio, verso tutto ciò che gli ricorda il suo ancor recente passato cristiano (si veda, a titolo di esempio, l’esclusione di qualsiasi riferimento alle radici cristiane dell’Europa, nei documenti costitutivi della Unione europea). È piuttosto logico che questa situazione incoraggi una tendenza che fa già parte, di per sé, della struttura psicologica del musulmano: l’assoluta indifferenza, o, per dir meglio, la rocciosa impermeabilità al “dialogo” interreligioso, se per dialogo s’intende una sia pur minima disponibilità a mettersi in discussione e, soprattutto, alla possibilità di modificare, eventualmente, taluni aspetti, se non della propria dottrina, almeno del proprio modo di porsi.
Il fatto è che non esiste, specialmente oggi, una teologia islamica, nel senso che noi europei, cristiani o post-cristiani, attribuiamo a questa parola; non esiste, per lo meno, da quando i centri di cultura e di spiritualità del sufismo sono stato distrutti, uno dopo l’altro, e si è imposta, in tutto il vastissimo panorama del mondo islamico (un mondo in rapida e tumultuosa espansione, dovuta non soltanto a fattori demografici, ma anche a una effettiva capacità di ottenere conversioni). Si studi la storia, e si vedrà che l’Islam n ha mai cercato il dialogo, per il semplice fatto che non ha mai ammesso alcuna libertà di ricerca neppure all’interno del proprio ambito: la parola del Corano è perfetta in se stessa e non suscettibile, né bisognosa, di ulteriori svolgimenti, approfondimenti, interpretazioni; all’uomo non si chiede, né si permette, d’indagare il mistero di Dio, ciò che sarebbe considerato come un atto d’intollerabile superbia. Tutto quel che si chiede al credente è di prosternarsi e pregare, accettando integralmente e letteralmente la parola del Corano, che non è parola umana, ma divina; e si noti la differenza con la concezione cristiana della Bibbia, che è parola divina nella sua essenza, ma filtrata dalla partecipazione umana e dalla collaborazione dei profeti e degli apostoli. Perciò l’Islam è la religione del Libro, in un senso molto più forte di quel che possa dire del Cristianesimo: il cristiano deve leggere la Bibbia con fede, ma non gli è affatto proibito studiarla; l’islamico deve solo leggere il Corano e, se possibile, impararlo a memoria. Tale differenza nasce da un’altra differenza, anch’essa assai reale e concreta, rispetto ai cristiani: il Cristianesimo proclama che Dio vuole avere l’uomo per amico, non quale servo (sono le parole testuali di Gesù nell’Ultima cena, nel racconto di Giovanni: Vi ho chiamati amici, perché il servo non sa quel che fa il padrone; io, invece, vi ho rivelato tutto quello che ho ricevuto dal Padre mio); mentre l’Islam vuole il totale abbandono dell’uomo a Dio, e null’altro(questo è infatti il significato della parole Islam).
Riportiamo una pagina molto significativa, su questo argomento, del libro di padre Livio Fanzaga Non praevalebunt. Manuale di resistenza cristiana, Milano, Sugarco Edizioni, 2007, pp. 105-107):

I musulmani hanno il merito di conoscere l’Islam e di sapere molto bene che cosa la loro religione afferma del cristianesimo. Essi, coerentemente con la loro fede, ritengono i cristiani idolatri e infedeli e perciò meritevoli dell’inferno. Naturalmente questo riguarda anche le altre religioni, compreso l’ebraismo. Il problema purtroppo è che i cristiani non sempre conoscono l’Islam e ne danno una rappresentazione accomodante che meraviglierebbe gli stessi musulmani. Lo dimostra il fatto che usano con estrema facilità delle espressioni prive di consistenza teologica e che gli stessi musulmani si guardano bene dal prendere in considerazione.
“Sarebbe opportuno – osserva Alain Besançon – eliminare dal lessico cristiano contemporaneo espressioni pericolose come “le tre religioni monoteiste”, “le tre religioni rivelate”. […] Il fatto che simili espressioni siano usate con tanta facilità è un segno che il mondo cristiano non è più in grado di distinguere chiaramente tra la propria religione e l’Islam. Siamo forse tornati ai tempi di S. Giovanni Damasceno, quando ci si domandava se l’Islam non fosse una forma come un’altra di cristianesimo? Non si può escludere che sia così. Per lo storico non c’è nulla di nuovo: quando una Chiesa non sa più in che cosa crede, né perché crede, scivola verso l’Islam senza nemmeno rendersene conto. È successo ai monofisiti in Egitto, ai nestoriano in Siria, ai donatisti in Africa settentrionale e agli ariani in Spagna” (prefazione al libro di Jacques Ellud, “Islam e Cristianesimo”, Lindau, Torino, pp. 25-26).
La situazione attuale dei rapporto fra Islam e cristianesimo  è senz’altro preoccupante per la Chiesa. Infatti l’Islam attraversa una fase di risveglio e di crescita che non è dovuta soltanto a fattori demografici. Viceversa i cristiani sono attratti dalla religione musulmana, e possono pesino essere tentati di convertirsi ad essa.
“Tale attrazione si avverte particolarmente presso uno studioso che ha contribuito non poco a influenzare la visone cristiana dell’Islam nel XX secolo: Luois Massignon. Egli ha instillato in alcuni ambienti teologici alcune opinioni ancora vive, e cioè che il Corano è a suo modo una rivelazione – probabilmente monca, primitiva, in ogni caso pur sempre una rivelazione di natura essenzialmente biblica – e che l’Islam, come esso stesso pretende, è una religione abramitica” (Alain Besançon, p. 24). Si tratta di affermazioni che non reggono a un’analisi teologica elementare, ma che tuttavia sono diventate degli slogan che vengono ripetuti acriticamente pesino nella predicazione ordinaria. Ormai è all’ordine del giorno sentirsi dire dal proprio parroco che cristiani e musulmani adorano l’unico Dio, senza che ci si ponga il problema di quale Dio si stia parlando.
“Quando nelle nostre librerie diamo un’occhiata alla letteratura favorevole all’islam, per la maggior parte opera di preti cristiani influenzati da Massignon, osserviamo che l’attrattiva che questa religione esercita nasce da più sentimenti. Una certa critica della nostra modernità liberale, capitalista, individualista e competitiva è affascinata dalla civiltà musulmana tradizionale, alla quale attribuisce caratteri del tutto opposti, come la stabilità delle tradizioni, lo spirito comunitario, il calore dei rapporti umani. Questi ecclesiastici, disorientati a causa del raffreddarsi della fede e della pratica del culto nei paesi cristiani – e in special modo in Europa -, ammirano la devozione dei musulmani, meravigliandosi davanti a questi uomini  che, nel deserto o in un capannone industriale in Francia o in Germania, si prosternano cinque volte al giorno per la preghiera di rito. Sono convinti che credere in qualcosa sia meglio che credere in nulla e si convincono che, dal momento che queste persone credono, esse credano press’a poco nelle stesse cose in cui credono loro, e non si rendono conto di confondere la fede con la religione. Si rallegrano, inoltre, nel constatare l’alta considerazione di cui nel Corano godono Gesù e Maria, senza riflettere sul fatto che quel Gesù e quella Maria sono semplicemente omonimi, che con il Gesù e la Maria che noi conosciamo hanno in comune soltanto i nomi. […] I cristiano commettono altresì l’errore di credere che ‘adorazione da parte dell’islam del Dio unico di’Israele renda loro i musulmani più vicini rispetto ai pagani. In realtà, come dimostra la storia delle loro relazioni, la religione musulmana è più lontana dal cristianesimo di quanto non lo sia il paganesimo per quanto concerne il modo di adoprare quello stesso Dio: si potrebbe dire che ci troviamo in presenza di due religioni separate dallo stesso Dio” (Alain Besançon, op. cit., pp. 24-25; 26-27).

L’influenza – negativa, a nostro parere – di Louis Massignon (1883-1962), che già Pio XI chiamava “il cattolico musulmano”, e che è giunta ad esercitarsi direttamente su uno dei più importanti documenti del redatti dai Padri del Concilio Vaticano II, la DichiarazioneNostra aetate (1965), è un chiaro esempio di come la cultura cattolica più recente, e perfino i membri del clero, si siano messi a rimorchio non già dei propri pastori, e quindi del Magistero ecclesiastico, ma di uno stuolo di studiosi laici, magari bene intenzionati, ma terribilmente inadeguati sul piano teologico: orientalisti, storici delle religioni, antropologi, psicologi, e così via, con conseguenze tutt’altro che positive. Diversamente, come avrebbe fatto Massignon, e, soprattutto, come avrebbero fatto i cattolici da lui influenzati, ad ignorare, o a sottovalutare, la differenza fondamentale esistente fra l’Islam e il Cristianesimo: il fatto, cioè, che, nel primo, non esiste la dottrina del Peccato originale, per cui non c’è bisogno, a rigor di termini, di alcuna Redenzione? Il fatto che Gesù, per gli islamici, sia semplicemente un profeta, e Maria una creatura umana, come tutte le altre, è la logica conseguenza di questa differenza abissale. Gesù, per i cristiani, è Dio che si fa uomo, muore e risorge per il riscatto degli uomini, e getta, con il suo sacrificio, un ponte di amore fra essi e Dio Padre, con la collaborazione dello Spirito santo; per gli islamici, è solo un uomo, il penultimo profeta prima di Maometto, e, dunque, portatore di una rivelazione ancora parziale e incompleta. Solo con Maometto, Allah ha parlato in maniera definitiva.
La seconda differenza decisiva fra Islam e Cristianesimo è che, nel primo, manca il concetto di persona; di conseguenza, Dio stesso non è Persona (e tanto meno è concepibile che Egli sia Uno, ma in tre Persone, come lo è per i cristiani), e l’Incarnazione diventa qualcosa d’incomprensibile, di assurdo. Ora, se manca il concetto di Persona, manca anche il concetto di Redenzione personale: basta seguire i precetti del Corano, e la salvezza è certa; non serve altro. Non si chiede all’uomo di cooperare all’azione salvifica di Dio; la distanza fra l’uomo e Dio è troppo grande, incommensurabile: all’uomo si chiede solo di credere e obbedire. E, nel suo credere, è incluso il fatto che non esiste alcuna possibile verità fuori del Corano. Pertanto, di quale mai dialogo vanno parlando i cattolici progressisti e buonisti?
Per l’Islam, il Corano è l’unico libro meritevole di essere letto; tutto il resto non ha importanza e se ne può fare benissimo a meno: ecco perché l’Islam non ha prodotto una scienza, una filosofia e una  politica paragonabili a quelle dell’Europa cristiana, anzi, a rigore, nemmeno una vera teologia; e perfino l‘arte è stata radicalmente limitata, per non dire mutilata, dalla proibizione di rappresentare Allah, Maometto e la figura umana. Nel Cristianesimo, la Bibbia, e particolarmente il Nuovo Testamento, specie il Vangelo, sono ritenuti gli unici libri essenziali, ma non vengono affatto svalutate la lettura e lo studio di altri libri; non viene disprezzata la possibilità che altre opere umane possano contribuire al percorso che conduce l’uomo verso Dio. Per il cristiano, come disse Santa Teresa di Lisieux prima di chiudere gli occhi alla vita terrena, tutto è Grazia (ma, beninteso, si tratta di un “tutto” che va inteso in senso ampio, con buon senso; certo non sono Grazia, in se stessi, né il peccato, né l’azione del Maligno); per il musulmano, solo il Corano lo è.
C’è poi una differenza che definiremmo psicologica e culturale. Per il cristiano, l’amore verso tutti, anche verso i nemici, è una forma di estrema di amore a Dio, il quale così ha ordinato, per mezzo di Gesù Cristo: Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi; anche se, contrariamente a quanto pensano certi cristiano progressisti e con tendenze masochiste, non equivale ad un invito al suicidio, nel caso di chi si trova a subire una aggressione violenta, perché non esclude il ricorso alla legittima difesa. Dal punto di vista musulmano, un simile atteggiamento remissivo, tollerante, incline  a perdonare sempre qualunque offesa, è una ammissione di debolezza, se non di paura vera e propria. Di conseguenza, quando certi cattolici buonisti esortano a concedere la massima libertà di culto ai musulmani residenti in Europa, senza però preoccuparsi minimamente della mancanza di libertà cui sono soggette le minoranze cristiane nei Paesi islamici, anzi, senza tener conto del vero e proprio genocidio che, in questi ultimi anni, si sta perpetrando contro di esse, tale atteggiamento rischia di tradursi in un messaggio profondamente sbagliato, e quindi pericoloso: rischia di essere percepito, cioè, come un segnale di resa, o come il preambolo ad una resa ormai vicina.
Il che, sia detto fra parentesi, forse non è neanche così lontano dal vero…

Dialogo interreligioso a tutto campo? Ma per piacere, non diciamo sciocchezze…

di Francesco Lamendola

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