MORIRE O VIVERE “IN ODIUM FIDEI”
Padre Jacques ucciso“in odium fidei”: la nottata non passerà ma loro sì già morti in quell’anima che non riconoscono più nei ricchi paramenti che nascondono a fatica corpi appesantiti dal benessere materiale e nei loro riti ormai vuoti
di R.Pecchioli
Padre Jacques Hamel era normanno, aveva 86 anni e, nonostante l’età, continuava il suo ministero di prete cattolico nella parrocchia di Santo Stefano ( Saint Etienne). Dopo 58 anni di sacerdozio, due giovanissimi mussulmani di origine magrebina nati in Francia ed in possesso, per ius soli, della cittadinanza transalpina, lo hanno sgozzato come un capretto nella sua chiesa al grido di Allah Akbar , Dio è grande.
Il padreterno è grande davvero e certo avrà accolto il vecchio prete martire e forse anche i due assassini, convinti della conformità del loro gesto al volere di Allah.
Non interessa qui ripetere che tra i mandanti, oltre ai capi del DAESH ( Stato Islamico dell’Irak e dello Sham) ed ai loro referenti religiosi, persiste la responsabilità di chi, come gli Usa, Israele e l’Arabia Saudita ,ha fomentato, creato, utilizzato masse di giovani disposti alla morte per la religione mussulmana, interpretata secondo le scuole salafita e wahabita. Ugualmente, non vale la pena disquisire del sesso degli angeli, ovvero del cosiddetto Islam moderato invocato dalle sedicenti élites occidentali. L’aggettivo moderato è uno dei più spregevoli inganni , ed autoinganni, di questi anni. Forse che è bene essere moderatamente onesti, moderatamente fedeli alla parola data, moderatamente credenti in Dio ? Balle, buone per generazioni stolte, paurose e vigliacche.
Noi non riusciamo a credere che per una causa qualsiasi ( e Dio è la causa massima che un uomo possa abbracciare ) si possa uccidere e morire. Non a caso ampia parte degli osservatori europei derubrica l’islamismo radicale ed i suoi assassini-suicidi a questione psichiatrica. Noi siamo scienza, razionalità perfetta, tassonomia, statistica applicata a qualsiasi idea, atto o comportamento; abbiamo inventato la teoria dei giochi per valutare i comportamenti umani alla luce dei tornaconti in caso di incertezza , competizione ,obbligo di decisione. Così abbiamo teorizzato e risolto con apposite equazioni il minimax, che minimizza la massima perdita possibile, e per massimizzare il minimo guadagno, il maximin. Ci consoliamo con l’interpretazione più semplice, sanitaria: sono pazzi, dei disturbati psichici.
Chi è abbastanza vecchio per ricordare il periodo del terrorismo di casa nostra rileva analoghi meccanismi mentali: prima i brigatisti erano “sedicenti”, poiché i cattivi dovevano essere necessariamente fascisti, poi le loro idee ed i comunicati che facevano ritrovare divennero “deliranti” . Semplice, rassicurante, per niente risolutivo. Adesso si occulta fino al ridicolo la matrice degli atti - l’islam fa paura, bisogna misurare parole, pensieri, anche espressioni mimiche !- nel caso normanno si è scritto senza vergogna che i terroristi erano “francesi, nati in Francia” . Al contrario, gli arabi restano arabi e i portoghesi rimangono tali, anche se leggi folli non vogliono più distinguere la nazionalità dalla cittadinanza. Quasi tutte le famiglie italiane hanno parenti emigrati in tutto il mondo, ma non credono affatto che lo zio o il nipote siano brasiliani o statunitensi: la voce del sangue è più forte e più saggia.
Un giornalista non certo sospettabile di estremismo come Enrico Mentana ha scritto, saggiamente “La situazione si deteriora, ma qualcuno continua a darne una lettura minimalista, quasi surreale. A leggere alcuni commenti sembra che la causa prima degli attentati più che lo Stato Islamico sia lo Stato Depressivo. Vogliono sconfiggere il terrorismo col Prozac”. Chi non crede in nulla vive con una stupefazione infantile, o come un sogno persistente da cui non ci si libera, l’esistenza di qualcosa o qualcuno che si mette in gioco sino alla morte in nome di un ideale, ciò che per noi è ormai pura astrazione, se non incomprensibile retaggio di un passato retrogrado come la stessa religione.
Una consigliera municipale francese di estrema sinistra ha dichiarato pubblicamente , in merito all’assassinio di padre Jacques “chissà se in paradiso avrà settanta bambini “. Premesso che la madre dei cretini ( e delle cretine) è sempre incinta, questo è il livello della parte più becera della popolazione. Un povero prete viene assassinato sull’altare che per lui è sacro, e la reazione di qualcuno è un repellente sarcasmo da osteria di analfabeti soddisfatti della propria volgarità. I preti sono tutti pedofili, gli islamici muoiono per avere in paradiso le vergini. Che se la vedano tra loro, noi sì che abbiamo capito tutto… In Italia un sub pensiero simile è veicolato dal noto periodico satirico di ultrasinistra livornese “Il Vernacoliere” e rappresenta la punta , almeno sincera, di un mondo ben più vasto, quello degli europei che vogliono “essere lasciati in pace”, interessati solo ai loro traffici economici, alle loro vite zoologiche, alle pulsioni elementari più basse vellicate da pubblicità corriva, pornografia, ideologia dei “diritti” e da tutto l’arsenale preparato per masse di neo primitivi che giocano con la vita tramite smartphone.
Una canzone di un regime trapassato affermava “vince sempre chi più crede, chi più a lungo sa patir”. Se è vero, ed in genere lo è, siamo fritti. Intanto gli islamisti uccidono , ed i loro manovali muoiono senza battere ciglio al grido di Allah Akbar. Noi non sappiamo neppure perché questa affermazione sia così importante e perché, dovunque, sia pronunciata in arabo. Uno dei cinque pilastri dell’Islam è la professione di fede, dunque l’affermazione della grandezza del Dio unico nel momento del sacrificio estremo ha un forte valore religioso, e deve essere pronunciata in arabo poiché quella è la lingua in cui il Corano , parola che è legge, è stato rivelato al profeta Maometto. In una sura ( capitolo) del libro sacro, la cosmogonia descrive il momento in cui, dopo averle create, Dio/Allah diede il nome a tutte le cose, imprimendo, infondendo in ciascuna carattere , senso, “forma”.
E’ molto probabile che i mandanti dell’assassinio nel luogo consacrato ( e, in senso cristiano, desacralizzato dall’atto criminale commesso) abbiano scelto accuratamente luogo e data anche da un punto di vista simbolico. Innanzitutto perché sanno che noi non riconosciamo più alcun simbolo . Vale, per l’europeo contemporaneo, la frase drammatica di un cattivo maestro, Umberto Eco, a chiusura del “Nome della rosa” Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus: l’idea della rosa è solo nel nome , noi possediamo soltanto nudi nomi. Il 26 luglio ricorreva la festività dei santi Anna e Gioacchino, i genitori di Maria di Nazareth, in senso umano i nonni di Gesù , capo e fondatore dei “crociati” , che saremmo noi. Il crimine è stato commesso durante la Messa, dunque nel momento liturgicamente più solenne. La chiesa è intitolata a Santo Stefano, detto protomartire, il primo cristiano a morire per la fede. Padre Jacques è il primo europeo a morire nella nostra terra per mano mussulmana , nella presente fase storica, “in odium fidei”.
Religiosi e credenti sono stati uccisi in quanto tali durante tutto il XX secolo, specie per mano comunista, ideologia materialista che era una religione secolarizzata, ma anche in nome dell’ateismo massonico – pensiamo ai cristeros messicani – tuttavia il vecchio parroco normanno è la prima vittima sull’altare in terra “crociata” per motivi confessionali.
Hanno lasciato passare il 25 luglio, che è il giorno di san Giacomo Apostolo, e ciò fa immaginare che pensino a qualcosa di più drammatico per quel giorno o per luoghi che richiamino l’ interpretazione cristiana ed europea di quel santo. Le spoglie di Giacomo, Santiago per gli spagnoli, secondo tradizione furono ritrovate nell’ attuale Galizia durante il medioevo , ed il santo, apparso in sogno al re delle Asturie Ramiro, condusse alla vittoria l’esercito cristiano nella battaglia di Clavijo, anno 844, contro gli arabi che avevano sottomesso la penisola iberica. L’episodio segna l’inizio della “Reconquista”, ovvero della lotta dei popoli iberici per riprendere la sovranità sulla loro terra, divenuta araba, un processo storico che si sarebbe concluso prima con la distruzione del califfato di Cordoba, dopo il trionfo di Las Navas nel 1212 e, definitivamente, nel fatidico 1492 , con la presa di Granada e la cacciata dell’ultimo re “moro” Boabdil , da parte dei Re Cattolici, Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia. San Giacomo , in Spagna , è ricordato e venerato come“matamoros”, colui che ammazza i mori e tuttora , nelle feste popolari, si mette in scena la rappresentazione “moros contra cristianos”.
Ciò che tuttavia desta autentica angoscia non è tanto l’atteggiamento da pugile suonato delle élite di potere del nostro continente, capaci soltanto di ripetere come un disco rotto “siamo in guerra”, o la reazione per molti versi infantile di ampi settori di opinione pubblica, che manifestano cordoglio con lumini e infiorate di massa, ma la reazione, anzi la non reazione della principale religione nostra, la cattolica, che è anche una grande agenzia di consenso civile e politico, per quanto svalutata .
Si impone una volta di più l’ampiezza di vedute di Carl Schmitt ,massimo giurista del Novecento, proscritto per una breve stagione di vicinanza al nazionalsocialismo , tenuto a distanza per l’ascendenza cattolica e per il realismo impossibile da ammantare di retorica , così cara agli imbroglioni di tutte le epoche. Tra le categorie del politico da lui individuate, il concetto di “nemico assoluto” nella Teoria del partigiano e la necessità di individuare e scegliere amico e nemico restano insuperate. Il nemico ideologico, creatura del Novecento, e quello religioso, non possono essere ricondotti ai criteri del diritto internazionale e neppure a quelli del senso comune: sono irriducibili, totali, e richiedono una presa d’atto che il debole carattere dell’homo europaeus non sa reggere ; le scelte difficili le rifiuta con orrore, e nega pur dinanzi all’evidenza. Non riusciamo neppure a capire che se qualcuno , a torto o ragione, ci considera nemici, occorre prenderne atto e regolare di conseguenza i nostri comportamenti nei suoi confronti. Qui c’è uno degli incontri perversi tra una parte della cultura cristiana e la modernità liberale, progressista e socialista: il mito del dialogo a tutti i costi, il distinguere l’errore dall’errante ( Papa Giovanni ) , il credere per davvero alla favola dell’uguaglianza, in base alla quale esisterebbero comunque codici di comprensione comuni a tutti gli uomini.
Il tifoso del San Lorenzo de Almagro, che si fa la barba fischiettando il tango, e nel tempo libero fa il papa cattolico, dice che non c’è una guerra di religione, ma i kamikaze , quelli di Dacca, di Nizza , Parigi , Saint Etienne non hanno agito , ucciso ed accettato la loro fine per il denaro o il potere. Questa incomprensione, questa tenacissima negazione della realtà non può essere sincera. Per quanto il livello culturale di Jorge Mario Bergoglio sia imbarazzante ( non ci sono più i gesuiti di una volta….) è chiaro che mente. Oppure è un marxista in ritardo con la storia che, casualmente, ha vestito una tonaca nera e, per un incredibile follia della storia ( ma le vie del signore sono infinite, se ci credessero) è diventato Papa. “ Il mondo è in guerra, ma questa non è una guerra di religione. Tutte le religioni vogliono la pace. La guerra la vogliono gli altri. Abbiamo bisogno di dire la verità: Il mondo è in guerra perché ha perso la pace. Capito ? “ Capito, Santità, anche troppo. Sono parole successive all’uccisione di un suo prete. Qualche tempo prima, aveva affermato, sempre in occasione di massacri orditi dalle stessi mani, che le guerre le vogliono i mercanti d’armi.
Alla Casa del Popolo di Scandicci le analisi , tra una partita a scopa ed un fiasco di buon Chianti, sono più raffinate. Che poi tutte le religioni vogliano la pace, è affermazione che dimostra o l’ingenuità di un chierico adolescente o la callida falsificazione della storia. Un unico esempio: Martin Lutero, che il buon argentino andrà a “commemorare” l’anno prossimo, in odore di forte riabilitazione da parte del cattolicesimo ufficiale, approvò ed esaltò con parole di fuoco il massacro dei contadini tedeschi di Thomas Muntzer sollevatisi contro i principi, e le sue idee, contrastate vigorosamente allora dai cattolici, produssero guerre che durarono cent’anni. Quanto ai mussulmani, Maometto fu un guerriero e la nuova fede diffusa con la spada e le conquiste territoriali. Chi condanna le Crociate, dimentica che Gerusalemme ed il medio oriente furono oggetto di conquista militare e di massacri religiosi, e che gli eserciti cristiani reagirono, su iniziativa papale, alle perdite territoriali. Il Corano parla di “Dar al Islam”, i territori conquistati dalla giusta religione, e di “Dar-al- Harb” , casa della guerra, per gli altri.
Con improvvida generosità, la stessa parrocchia normanna retta dal povero Padre Jacques offrì il terreno per realizzare la moschea della cittadina , e lo stesso imam locale, certamente una brava persona, era amico della vittima.
Senza odio e lontani da generalizzazioni assurde, ammetteremo almeno che l’atteggiamento cristiano ed in particolare cattolico nei confronti dell’Islam è sbagliato, viziato da quella fiducia nel prossimo irritante e tonta stampata sui volti eternamente soddisfatti di troppi preti e monache e dei fedeli del cristianesimo del dopo concilio Vaticano II. Hanno esaltato teologi come Karl Rahner, autore della teoria del “cristiano anonimo “, ossia chiunque non cristiano che si può salvare anche se non conosce Dio, teorico della cosiddetta svolta antropologica che ha despiritualizzato la chiesa.
Il mussulmano medio osserva schifato i nostri modi di vita, la nostra incredulità, che considera empietà, e gli spiriti aggressivi comprendono che è il giusto momento per attaccare. Quando, se non nel momento in cui il nemico è debole, attonito, e non è in grado di comprendere l’ampiezza della sfida e rifiuta il concetto di nemico ? Del resto, noi siamo sorpresi persino dalla definizione di “crociati” , che è più metaculturale che religiosa, e ci ostiniamo a credere, a partire da Jorge Mario Bergoglio, che le lotte riguardino solo soldi, interessi, risorse della natura . Questa è l’interpretazione del mondo che vige, in questo pezzetto di mondo, dalla rivoluzione francese in poi, ed è l’idea forza , Alexsandr Dugin direbbe il circolo ermeneutico, dei marxisti ( i rapporti di produzione ) e dei liberali ( i mercati).
Un inglese che è forse il più grande uomo di lettere della storia, William Shakespeare , non la pensava allo stesso modo , esplorando tutti i recessi degli umani sentimenti e delle passioni, se fece dire ad Amleto, il suo eroe più sofferto ed universale “ ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Gli europei moderni lo hanno dimenticato, e con loro la religione che li ha forgiati.
Non siamo in grado di opporci ad una minaccia esclusivamente politica, o economica, da quando il giusto orrore per due conflitti che Ernst Nolte definì guerre civili europee ha portato i più su posizioni di pacifismo talora isterico . Figuriamoci se possediamo la tempra per fronteggiare una minaccia che ci trova impreparati prima sul piano dei principi e dei comportamenti che sul piano delle reazioni politiche, di sicurezza pubblica o militari . Noi guardiamo con terrore uno strano partigiano della fede– Schmitt aveva davvero intuito tutto- muoversi tra noi, addirittura accolto e da molti considerato membro a tutti gli effetti della stessa società , diventare ,un attimo dopo, un combattente in grado di dare la morte e riceverla senza battere ciglio, al grido di Dio è grande , urlato in una lingua sconosciuta . Intanto, è così, e i mussulmani più radicali sono in genere i più giovani, talora europei di sangue , quelli che abbracciano una causa ed una fede che ci fa paura perché sfida e oltrepassa tutte le categorie psicologiche e tutti gli orizzonti ideali e temporali che conosciamo.
Noi eludiamo da decenni le domande di senso, quelle che riguardano il perché siamo gettati nel mondo, per utilizzare un termine heideggeriano , qual è l’identità di cui siamo portatori, e lo scopo della vita . Domande che bruciano specie nell’adolescenza , cui non sappiamo più fornire risposte, per cui evitiamo di accostarci alle istanze più grandi, mascherandole dietro miti come il successo o l’acquisizione di nozioni strumentali, atte solo a svolgere compiti o prepararci a lavori lucrosi. Ma non si può sfuggire per sempre alle domande che contano davvero, né pensare di estirpare l’anima di intere generazioni, sia pure educate al consumo compulsivo ed al materialismo della quotidianità. La Chiesa, prima del terremoto contemporaneo, con sapienza millenaria, non solo forniva risposte chiare e nette, ma aveva la capacità di orientare le domande, e costruire una solida cornice entro la quale popoli interi e le generazioni che si avvicendavano trovavano risposte ai grandi interrogativi esistenziali , insieme con norme pratiche e sagge nelle quali sono cresciute e vissute milioni di persone.
L’Islam, in modo più radicale , fa esattamente la stessa cosa: offre risposte semplici alle richieste esistenziali, più forti nei giovani cresciuti ai margini delle società occidentali da sradicati e da immigrati, costruisce identità salde in base ad un codice elementare in cui il bene ed il male sono chiari e definiti. Se c’è qualcosa che il buon mussulmano non conosce è proprio il chiaroscuro, la parola tronca, il dubbio che il cristianesimo invece promuove attraverso il libero arbitrio, la responsabilità personale, la coesistenza difficile ma carica di forza e suggestione di fede e ragione. L’Occidente laico , scientista ed incredulo non può fornire risposte alla domande di senso : le sostituisce con il consumo, il godimento, la corsa a perdifiato. Quanto all’identità, zero assoluto. Ma l’uomo ha bisogno non solo di essere, ma anche di riconoscersi nell’altro, differenziarsi, possedere una verità. L’uomo è stato sempre disposto a molto, spesso a tutto, pur di possedere un’identità.
Noi abbiamo rinunciato, barattandola con le varie “card” che scandiscono le nostre giornate di consumatori: quella per ritirare il denaro al bancomat, quella per comprare beni a credito, un’altra per accedere al locale dello sballo o al centro commerciale. Avevamo un Dio che aveva offerto il suo stesso corpo in espiazione per tutti, adesso aborriamo qualunque sacrificio, anzi consideriamo malati psichiatrici coloro che vivono per una causa o una fede. Gli islamici, specie quelli cresciuti tra noi , o in paesi attraversati dalla modernità “occidentale” , non hanno un Dio che è morto per loro, e versano essi stessi il loro sangue , mischiato con quello altrui, il sangue “infedele”, kefìr, in nome di quell’Assoluto che hanno individuato nella religione , nelle nette prescrizioni degli imam , nei precetti del Corano. Ma non vincerebbero, o almeno non farebbero tanta paura, se qui trovassero qualcuno che, come loro, crede e “sa patir”.
Invece, qui comanda il denaro, regna l’incredulità, e l’anima della gente sembra compressa, nascosta in mille paradisi artificiali, ciascuno cerca compulsivamente il suo , ma tutti diventano soldatini del consumo, come se negli acquedotti qualcuno versasse ogni giorno una sostanza ipnotica e suadente , come il “soma” somministrato nel libro di Aldous Huxley Il mondo nuovo. Poi ci destiamo quando irrompe la morte , scacciata nel fondo dei cervelli pieni di nulla, ma presente e vincente, come nel caso degli attentati islamisti. Una pubblicità di un canale televisivo digitale recita: “La verità dipende dal tuo punto di vista”. Una straordinaria intuizione se si tratta di verità fisiche: pensiamo alla rivoluzione prodotta dal principio di indeterminazione di Heisenberg, che intuì l’errore scientifico di non considerare noi stessi come interni al sistema che intendiamo misurare, ma una follia filosofica ed esistenziale alla base delle teorie liberali e del nostro modo di vivere individualista ed amorale.
I preti lo sapevano da sempre , poi hanno ceduto di colpo: fu la svolta antropologica, considerare l’uomo misura di tutta le cose, ma già i grandi greci avevano confutato i sofisti, i relativisti del loro tempo, e , da Parmenide a Plotino, attraverso i due giganti Platone ed Aristotele, fondarono il pensiero di questa parte di mondo , fisica ed etica, cielo e terra, come magistralmente dipinse Raffaello nel suo capolavoro La scuola di Atene, che è insieme pittura ed architettura, filosofia e teologia. Il cristianesimo ha accolto la lezione greca e l’ha sistematizzata nella scolastica e nel gigantesco sforzo filosofico, morale e teologico di Tommaso d’Aquino. Tra i maestri del domenicano aquinate c’erano stati Avicenna ed Averroè, islamici del periodo d’oro di quella civiltà , uno berbero e l’altro persiano, non arabi, poi, al tempo delle grandi conquiste, arrivò lo sceicco Rahman che distrusse la biblioteca di Alessandria, pur sconsigliato dai suoi. Ad Alessandria, città cosmopolita di impronta greco ellenistica, secondo tradizione era conservata tutta la sapienza del mondo antico. Rahman affermò che se quei libri contraddicevano il Corano, andavano distrutti, e se erano in sintonia con il Libro, inutili.
L’ultimo mezzo secolo della storia dell’Europa e del cosiddetto Occidente ( prima di Lutero e prima della presa di Bisanzio seconda Roma del 1453, si chiamava Cristianità) è quello della perdita di tutto, sull’altare di nuovi simulacri, la Scienza, la Ragione, il Mercato, la Volontà di Potenza. L’arte è scesa da secoli di grandezza all’astratto ed all’informale, passando per segnali di disperazione come L’Urlo di Munch o le stesse Demoiselles d'Avignon, deformazione dell’umano prima del definitivo divieto di rappresentarlo. Contemporaneamente, la grande committenza ecclesiastica passava da Michelangelo e da Bramante che fecero San Pietro ai cubi o dalle simil autorimesse delle chiese odierne, giustamente deserte. L’austriaco Hans Sedlmayr l’ha chiamata “perdita del centro” , e scriveva vedendo di fronte a sé la superba Vienna imperiale disegnata da Fischer Von Erlach, alcuni secoli prima salvata dai turchi dal provvidenziale intervento delle armi polacche di un re cattolico, Jan Sobieski.
Ci sono due quadri che paiono rappresentare , pur provenendo da periodi e latitudini diverse, il dramma della Chiesa di oggi e della stessa Europa: il Cristo Morto di Andrea Mantegna , con le ferite dei piedi in primo piano, il rigor mortis, la sofferenza che l’artista ha saputo rendere tanto mistica quanto fisica, la Madonna che si asciuga lacrime ed accanto, San Giovanni piangente. Sullo sfondo, un’altra figura di donna, forse la Maddalena. Cristo è morto come Dio e la Chiesa lo celebra come uomo, senza più credere che “il Terzo giorno è risuscitato, secondo le scritture “. L’altro è il Cristo di Grunewald, drammatico, sofferente , dal corpo rattrappito, che immaginiamo attraversato da fremiti. Alla sua destra , il Battista , dietro le cui spalle, nel buio della penombra che avvolge l'angosciante silenzio della scena, leggiamo la scritta Illum oportet crescere, me autem minui ("Egli deve crescere e io invece diminuire"), tratta dal Vangelo di Giovanni ove il Battista dichiara di essere stato mandato ad annunciare il Cristo.
Basta, la Chiesa non annuncia più il Salvatore, ma solo un palestinese di nome Gesù, un grand’uomo, certamente, ma fanno bene sua madre, Giovanni e Maddalena a piangere, poiché il terzo giorno non è accaduto proprio nulla. Non ci credono più che sia risorto, come possono chiedere a noi di prestar fede ad una narrazione, ampiamente storicizzata da biblisti insigni- qualcuno è cardinale, come Ravasi, un altro rischiò di essere papa, Martini. Eccolo, è tutto qui , il dramma della Chiesa che è quello del continente in cui è cresciuta dopo la nascita palestinese : non credere più. Dietro di loro, ovviamente, è incredulo quello che una volta era il popolo di Dio. Altrove credono, e questo desta paura, terrore, persino scandalo. I mussulmani credono alle parole del Corano, noi non crediamo più a quelle dei vangeli, se non nella loro parte pedagogica o politica.
In occasione della fine del Ramadam di qualche anno fa, vedemmo forse mille persone assiepate in un nudo spiazzo di fronte al vecchio porto di una gran città di mare, tutte accovacciate o inginocchiate per terra, a salmodiare e pregare al segnale di un omino barbuto che teneva in mano un librone enorme, evidentemente un Corano. Il primo istinto fu di fastidio e di rigetto, poi prevalse la commozione e l’invidia: c’erano ancora persone in ginocchio dinanzi a Dio, ignoti e così diversi , ed il pensiero corse alla Messa domenicale.
Prediche frettolose e prive di profondità, gesti meccanici, persone che arrivano a cerimonia iniziata e cercano frettolosamente il foglietto della liturgia del giorno. Poi quell’imbarazzante “scambiatevi un segno di pace”, che è il simbolo della povertà del rito e della sua stanchezza. Si stringono con fastidio le mani dei vicini di sedia e qualcuno biascica pace e bene. Hanno espunto dal rito frasi sospette al cattolicamente corretto : una volta si invocava il Dio degli eserciti, oggi quello dell’universo. Non è citato più quel Gesù così poco pacifico da affermare che era venuto per portare la spada e la divisione, che ribaltò i tavoli dei mercanti all’interno del tempio, e seppe dire “ Chi scandalizzerà uno solo di questipiccoli che credono in me, conviene che gli sia appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare “.
Quanto al dialogo, fissazione contemporanea, tanto laica quanto cristiana, il nazzareno fu chiaro “Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi”. Ed ancora : “quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi. Pensate che sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.
Cessato di credere che Gesù fosse il figlio di Dio , restano due scelte , l’ateismo pratico della maggioranza ed il deismo paramassonico di tanti preti. Lo stesso Bergoglio , in una delle sue numerose esternazioni a ruota libera con la stampa o nelle prediche a braccio in Santa Marta, ha detto che non esiste un Dio cattolico, che il proselitismo ( una volta si chiamava apostolato) è una sciocchezza, e, comunque, chi è lui per giudicare gli omosessuali o chicchessia ? Solo il Papa di Roma , successore di Pietro e vicario di Cristo in terra, secondo la sorpassata dottrina appresa al tempo della prima comunione. Thomas Stearns Eliot, il maggior poeta del Novecento, in uno dei Cori della Rocca - metafora della Chiesa- si chiede, drammaticamente, se sia l’umanità ad aver abbandonato la Chiesa, o se sia la Chiesa ad aver lasciato solo l’uomo. Quel che è certo che lo ha lasciato senza Dio, su cui tace con imbarazzo.
L’istinto popolare capisce tutto: non credono più, anzi, per usare il loro linguaggio, sono apostati che ogni mattina mentono durante la messa : “Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica “ . Tra cristiani anonimi , per cui non vale più “professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati “, divieto dell’ apostolato , scandali sessuali e finanziari, quelli che ancora pochi anni fa un uomo di fede come Joseph Ratzinger, Benedetto XVI , chiamava principi non negoziabili sono in rotta. L’argentino ha osato affermare di recente che la verità dipende dalla propria coscienza, gettando nella spazzatura la legge naturale e l’esistenza oggettiva del bene e del male.
Non a caso, è tanto amato dal sistema mediatico occidentale , in mano a imprenditori , finanzieri e giornalisti espressione di quel progressismo materialista ed antitradizionale che costruisce l’homo consumens . In tutto questo smottamento progressivo, la Rocca è divenuta un cumulo di rovine, e ciascuno ne porta via un pezzo, come ricordo o per rivenderlo . in fondo è un gadget interessante, persino meglio di Che Guevara, uno che è morto da comunista per finire sulle magliette e gli accendini come marchio registrato, con la R chiusa in un cerchio.
Non abbiamo più gli strumenti culturali per comprendere chi combatte e chi crede. Ci restano il prontuario psichiatrico DSM , i listini di borsa, i complicati istogrammi previsionali degli economisti, personaggi che, se capissero qualcosa, il mondo non andrebbe come va , e, naturalmente, l’avanzata razionalità di chi ha tutto sotto controllo, tutto gestisce, sino al prossimo attentato o carneficina di pazzi, contro cui siamo in guerra, ma non sappiamo come e dove rispondere ai colpi, “non cambieremo il nostro modo di vivere e le nostre libertà “, e, sia chiaro, l’accoglienza degli stranieri non si discute. Questo forse è un bene, almeno ci estingueremo più in fretta e non ci sarà più bisogno di colpirci.
A proposito, mentre il cardinale Biffi parlava di Europa sazia e disperata, Wojtyla e Ratzinger esortavano il vecchio continente a rialzarsi in piedi ed a riscoprire paternità e maternità, Bergoglio si scaglia contro quelli che “fanno figli come conigli”. Parlando ad un convegno ecclesiale ha inanellato una serie incredibile di perle al limite della blasfemia: Gesù che nell’episodio dell’adultera “fa un po’ lo scemo” (espressione inaudita che il sito vaticano ha cambiato in fa un po’ il finto tonto, ma la registrazione è chiara) e poi Gesù che – nello stesso racconto evangelico in cui Maddalena è salvata dalla lapidazione – “ha mancato verso la morale” (testuale anche questo). Ha poi strologato sul fatto che addirittura Gesù non era uno “pulito”, e meglio non chiedersi che cosa intendesse. A questo sono ridotti venti secoli di civiltà cristiana, quindi di Europa.
La leggenda dell’olandese volante, di cui Richard Wagner fece una suggestiva opera romantica in un atto unisce che unisce poesia e musica, in cui il tema della redenzione è legato a quello dell’amore incondizionato, racconta di un Vascello Fantasma condannato a navigare in eterno senza mai toccare terra come pena perché i marinai non hanno invocato Dio nella tempesta . Molto simile è la situazione dell’uomo contemporaneo, che si è fatto creatore ed ha perduto se stesso insieme con Dio. Ma anche la Chiesa sembra subire la stessa pena del vascello fantasma: gira in tondo tra potere, denaro ed assistenzialismo materiale, come sul tema della cosiddetta accoglienza agli immigrati, avendo però perduto il contatto con il suo popolo e con lo stesso Dio, su cui è calato un silenzio drammatico.
Su tutto, un pacifismo ossessivo, che nega , oltreché la concreta natura umana creata da Dio , la grande lezione dei suoi maggiori pensatori, come Agostino di Ippona e Tommaso, senza dimenticare Gesù stesso, che dice, nel Vangelo di Giovanni, “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dà il mondo, io la dò a voi.” Ma Giovanni sembra dimenticato , e la sua Apocalisse trattata come una sceneggiatura pulp, o un racconto visionario , quasi onirico del vecchio di Patmos, che parla della terra di Gog e Magog popolata da genti più numerose dei granelli di sabbia del mare, destinata ad invadere il campo dei santi, la Gerusalemme celeste. Narrazioni, come Lyotard chiamava le ideologie novecentesche. La Chiesa ambisce ad una pace che sa di cimitero perché non sa più credere.
Fu Chesterton, il grande scrittore inglese cattolico, a comprendere per primo tale pericolo, cogliendone la natura distruttiva: “Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Nietzsche, affermare che dovremmo andare a combattere invece che amare. Non c’è sintomo peggiore di quello che vede l’uomo, fosse pure Tolstoj, affermare che dovremmo amare invece di andare a combattere . Una cosa implica l’altra. Una cosa implicava l’altra nel vecchio romanzo e nella vecchia religione, che erano le due cose permanenti dell’umanità. Non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa. Non si può combattere senza qualcosa per cui farlo. Amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore, ma lussuria. “
L’Occidente non può combattere perché non ama, e non si può combattere o morire per il listino di Borsa e il libero mercato; la Chiesa non può combattere perché non crede più nell’oggetto del suo amore, Dio, che ha sostituito con i poveri o i migranti. E’ un destino comune, giacché è il cristianesimo la colonna portante della civiltà europea: simul stabunt, simul cadent, stavano insieme, cadranno insieme, anzi stanno cadendo con rapidità, ed il moto accelera quando la fine si avvicina.
Eppure, l’uomo ha sempre accettato di morire per qualcosa; nel caso delle religioni, ha saputo affrontare impavido qualsiasi sofferenza, sicuro del premio. Noi no, noi lasciateci in pace, tra la nostra musica atonale di cui Adorno comprese la valenza rivoluzionaria sull’animo umano, con i nostri centri commerciali dove possiamo spendere , indebitarci, vivere l’ultima religione ammessa, quella della dismissione del vecchio e della sequela del nuovo, che domani sarà vecchio a sua volta, ed il gioco ricomincia, con le nostre vacanze last minute , nudi sulle spiagge a vivere una sessualità obbligatoria e staccata dall’amore, e poi i nostri abiti “firmati” che dimostrano quando siamo alla moda, la nostra superiorità culturale, per cui crediamo solo a quel che dicono gli esperti e gli scienziati.
I presepi non si fanno più nelle scuole perché potrebbero offendere i bimbi stranieri, ed è grave, ma esiste anche il ridicolo, come in un bellissimo paese della riviera ligure che non ha organizzato i tradizionali fuochi in onore del santo patrono perché….. spaventano i cani. Si poteva morire con maggiore dignità.
Altrove non è così, altrove si hanno ancora dei punti di riferimento, si riconoscono dei simboli, si accolgono gli amici e si detestano i nemici. Qui è il regno della quantità , come capì Guénon, che si fece mussulmano in nome della tradizione e come predicò Evola, che invece delle religioni diffidava e che ricostruì la Tradizione lontana dalle tradizioni. Ma il nichilismo nostro proibisce di trasmettere , oltreché , ovviamente, di credere. Unica eccezione: i beni materiali, quelli possono, anzi devono passare da una mano all’altra. Perdute le nostre identità, razziali, nazionali, religiose, morali, siamo del tutto indifferenti a ciò che verrà dopo di noi, tutti come Luigi XV di Francia quando, superbo come solo un re di Francia poteva essere, pronunciò il famoso “Aprés moi, le deluge”, dopo di me il diluvio, e lo disse non al suo popolo o ai ministri, ma alla sua amante, la marchesa di Pompadour.
Ci fu davvero , il diluvio. Luigi XVI vide la Bastiglia assaltata, chiese se si trattasse di una rivolta, gli risposero che era una rivoluzione. Conobbe la morte per ghigliottina, e cominciò la modernità borghese. Sempre la Francia, al centro di tutto: antica figlia prediletta della Chiesa, poi regicida ed assassina di preti durante la rivoluzione, infine laica nel senso di miscredente . Eppure, Poitiers è in Francia, Carlo Martello vi fermò i mori di Spagna nel 732, lì nacque il mito dei paladini , la Chanson de Roland, il ciclo bretone e quello carolingio. Carlo Magno unì le tribù franche, e nacque l’Europa che noi abbiamo conosciuto, e Re Luigi il Santo, Bernardo di Chiaravalle promotore del monachesimo che con San Benedetto ha ricostruito il tessuto spirituale dei popoli europei decaduti dopo la lunga agonia di Roma; più di recente fu francese una grande mistica , normanna come padre Jacques, Teresina di Lisieux, Bernadette la contadina che vide la Madonna ed il curato d’Ars, San Giovanni Maria Vianney, contadino consacrato che dedicò la vita alla confessione dei fedeli , alla penitenza ed alla preghiera, Francesco di Sales, ispiratore spirituale di Don Bosco ( i salesiani ).
Tutto è dietro le spalle, e la decadenza è ingloriosa quanto grande fu la storia; l’ultimo grande pensatore cattolico tomista fu francese, padre Réginald Garrigou Lagrange , e l’abbandono del pensiero che univa sapientemente fede e ragione , spirito, intelligenza e carne ha prodotto il deserto. Non si può morire per una Chiesa fatta di Don Gallo , monsignor Marcinkus e di troppi pederasti attratti sessualmente da quei piccoli che Gesù chiamava a sé e prediligeva , così come non si può amare o combattere per un’Europa di finanzieri, spacciatori di moneta unica di proprietà bancaria, che si rifiuta financo di difendere i confini.
Il presbitero Jacques Hamel è morto inginocchiandosi davanti al suo Dio, non prostrandosi di fronte ad assassini a sangue freddo. Lo hanno ammazzato, come recita la vecchia formula , “in odium fidei “ ed ha raggiunto indubbiamente il destino che quel Dio ha predisposto per ognuno di noi. Thomas Becket fu ucciso in chiesa , nella cattedrale di Canterbury, per non aver accettato , da prete e da ministro di Stato, le costituzioni di Clarendon che avrebbero sottomesso la chiesa inglese alla corona . Era il XII secolo e dopo tre secoli e mezzo, quel che non poté Enrico II riuscì ad un altro Enrico, l’Ottavo, e l’Inghilterra fece il suo scisma , non prima di aver bruciato conventi, ucciso monaci che resistevano e perseguitato gli avversari, tra i quali Tommaso Moro, autore di Utopia.
Oggi, quel che resta della chiesa cattolica ha abbandonato il vecchio continente. Sbarazzatisi di Benedetto XVI, che fin dal grande discorso di Ratisbona aveva tentato di ricostruire un destino comune tra cattolicesimo ed Europa, respinto con sdegno e infine costretto a misteriose dimissioni, sembrano dare per perduta la nostra gente, e si concentrano su altre aree del mondo. Dunque, è la Chiesa che abbandona il suo popolo, come aveva paventato Eliot.
Un grande filosofo ed uomo di fede russo ortodosso, Nikolaj Berdjaev, uno dei cui libri, Filosofia dell’ineguaglianza è stato vergognosamente ristampato da un’editrice cattolica con il solo sottotitolo , Lettera ai miei nemici, scrisse nel suo importante saggio Nuovo Medioevo della necessità per l’Europa di bere l’amaro calice della decadenza e del materialismo sino in fondo, quando potrà apparire dalla macerie della sua tradizione una spiritualità rinnovata, che egli chiamò nuovo Medioevo. Una seconda età dell’oro di un mondo , quello europeo e russo, che costruirà sulla verità, la libertà e la persona che ogni essere umano è chiamato a costruire oltre la propria individualità , la civiltà in cui Dio e l’uomo si riconcilieranno, con quello stupore di evento sempre nuovo che fu di un luterano come Kierkegaard e di un cristiano ortodosso innamorato di Gesù come Dostojevsky.
Padre Jacques è morto, per mano di altri fedeli, in “odium fidei”. Ma di quale fede, se l’assenza erode dall’interno tutte le chiese occidentali, dai luterani , il cui primate di Svezia è una donna vescovo sposata in chiesa con una donna pastore , agli anglicani, tra i quali si mormora esista un’associazione riservata di preti atei (!!!!!) , alla stessa chiesa di Roma , che perseguita i fedeli tradizionali ed i religiosi dediti alla vita contemplativa e tollera preti, teologi e vescovi che di cattolico non hanno più nulla, neppure l’abito. Anche di quello si vergognano, mentre un ragazzino seminarista di 14 anni, Rolando Rivi, fu ucciso da canaglie comuniste nell’aprile del 1945, dopo torture e botte, perché vestiva l’abito talare, da cui non voleva separarsi, orgoglioso del simbolo di quella sua giovanile vocazione. Ora è stato proclamato beato, ma di una Chiesa vuota di vocazioni e di fede.
I macellai islamisti, purtroppo, vedono giusto, e colpiscono il nemico dove è più vulnerabile, tra gli ultimi preti fedeli , i cristiani del medio oriente e di certe zone dell’Africa. Agli europei nulla importava sinché non erano colpiti personalmente: ora si comincia a pensare diversamente, ma in maniera isterica , urlando di espulsioni di massa e sciocchezze simili. Abbiamo chiamato in casa il nemico, non l’abbiamo riconosciuto, abbiamo deriso chi lo indicava, disprezzato chi osava pronunciare la parola nemico , ora non sappiamo che pesci prendere, a partire da un ceto politico troppo abituato alle mansioni servili imposte dal potere economico e finanziario per decidere alcunché. Come teorizzò Schmitt, non abbiamo sovrani, poiché nessuno decide in stato di eccezione. Tutti esitano, e la saggezza millenaria della chiesa, i nostri padri la chiamavano madre e maestra, si è perduta . Gli alti prelati , che nella cappella Sistina dovrebbero avvertire la grandezza non di Michelangelo , ma di quel che ha dipinto, tacciono , negano la matrice islamica delle violenze e forse, come Eduardo, sperano che passi “ ‘a nuttata.”
La nottata non passerà, ma loro sì, già morti in quell’anima che non riconoscono più, nei ricchi paramenti che nascondono a fatica corpi appesantiti dal benessere materiale, nei riti vuoti che praticano , ma in cui non credono. Padre Jacques , sgozzato da fedeli di un Dio potente , di cui dicono che sia clemente e misericordioso, è morto da uomo, da prete, forse da santo, ucciso “in odium fidei”. L’Europa, la sua Francia, la sua Chiesa, stanno vivendo “in odium fidei” i loro ultimi anni. E’ un destino peggiore.
Roberto Pecchioli
In redazione il 30 Luglio 2016
MORIRE , O VIVERE “IN ODIUM FIDEI”
di Roberto Pecchioli
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9304:morire-o-vivere-in-odium-fidei&catid=124:nazioni-sovrane&Itemid=155
Il detto e il non detto da papa Francesco, a proposito del terrorismo islamista che divampa anche in Europa, suscitano interrogativi crescenti, specie dopo l'assassinio del sacerdote Jacques Hamel davanti all'altare della sua chiesa in Normandia, il 26 luglio.
Poche ore dopo quell'uccisione, il papa, durante il volo d'andata del suoviaggio in Polonia, ha voluto "chiarire" così il suo pensiero, in realtà ingigantendo ancor di più gli interrogativi:
"Quando io parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Qualcuno può pensare: 'Sta parlando di guerra di religione'. No. Tutte le religioni vogliamo la pace. La guerra, la vogliono gli altri. Capito?".
A stupire è soprattutto la reticenza di Jorge Mario Bergoglio circa la matrice islamica degli aggressori.
Gli interrogativi che sorgono da questo suo silenzio sono numerosi, e Aldo Maria Valli, il più autorevole dei vaticanisti in servizio alla Rai, ne ha inanellati nove in un suo post del 29 luglio, tra i quali i due seguenti:
"Perché [il papa] si rifugia nella lettura sociologicamente povera e superata secondo cui dietro questa violenza ci sarebbero solo vili interessi materiali, solo questioni di soldi e di commercio di armi, solo disagi psicologici, culturali e sociali più o meno indotti dall’Occidente?".
"Perché non dice quello che ormai perfino molti islamici, con infinito dolore, dicono, e cioè che, qualunque sia l’innesco contingente, la loro religione fornisce la legna perché il fuoco possa divampare?".
Valli però va oltre agli interrogativi e alle critiche. "Mi viene quasi da difenderlo, il papa", scrive. "Nel senso di cercare di capirlo".
E avanza un'inattesa ipotesi di spiegazione, che merita di essere riportata per intero. Eccola.
*
È FIGLIO DEL CONCILIO, PER QUESTO RAGIONA COSÌ
di Aldo Maria Valli
Una risposta che mi viene, e che propongo, è questa: pur non avendo partecipato al Concilio Vaticano II, Francesco è profondamente figlio del Concilio, nel senso che mantiene una grande fiducia nel mondo e nei suoi fenomeni e pensa che la Chiesa questi fenomeni li debba sempre e comunque accogliere e accettare piuttosto che fronteggiare e denunciare.
Non a caso nel vocabolario di Francesco i verbi accogliere e accompagnare sono così centrali. Sono verbi conciliari, di una Chiesa fiduciosa nei confronti del mondo, che usciva da una fase delle porte e delle finestre chiuse (dove c’era un po’ odore di muffa, come mi disse una volta il cardinale Martini) e desiderava aprirsi alla realtà non per ciò che essa potrebbe essere ma per ciò che essa è, anche dal punto di vista delle diverse fedi religiose.
Quella Chiesa desiderava voler bene al mondo "in toto", anche e soprattutto al mondo lacerato, contraddittorio, brutto e cattivo. Quella Chiesa desiderava voler bene alle altre fedi e religioni, anche se dalle altre fedi e religioni non arrivavano messaggi altrettanto concilianti e amichevoli.
Papa Giovanni volle un Concilio pastorale, non teologico. Volle un Concilio per dire il Vangelo in modo nuovo, non per lanciare anatemi. Di qui il necessario senso di fiducia verso il mondo in tutti i suoi aspetti. Di qui quello che io chiamo, anche se l’espressione non suona bene, il desiderio di voler bene al mondo. Desiderio a volte sincero, a volte no, a volte declinato nella realtà con intelligenza, altre volte no.
Ma il punto non è questo. Il punto è che un figlio del Concilio, come sicuramente Francesco è, probabilmente continua a desiderare di voler bene al mondo "in toto". E continua nonostante il fatto che, nel frattempo, il mondo, anche dal punto di vista religioso, è riuscito molto bene nell’impresa di dare il peggio di sé.
Fa parte della temperie culturale e spirituale del Concilio non solo la fiducia nel mondo, ma un certo senso di colpa per i peccati dell’Occidente.
In quella fase, in cui si usciva definitivamente dall’epoca coloniale e molti popoli e molte culture si affacciavano sulla scena rivendicando un ruolo autonomo e portatore di dignità, indipendentemente dal ruolo assegnato loro dall’Occidente, la Chiesa fece propria questa visione, fino al punto da incominciare a mettersi in discussione in quanto Chiesa nata in Oriente ma cresciuta in Occidente, con tutte le conseguenze del caso.
I figli del Concilio sono cresciuti così, interiorizzando sinceramente questa miscela di fiducia e senso di colpa più o meno consapevole. E anche Bergoglio è cresciuto così.
Solo che oggi le sue parole, di figlio del Concilio, suonano terribilmente fuori sincrono rispetto a un mondo che non è più quello di mezzo secolo fa.
Ascoltando Francesco, specie quando parla dell’accoglienza dei migranti o denuncia le colpe della globalizzazione o tace certe responsabilità a proposito di violenza di matrice religiosa, sembra proprio di assistere a un video con un montaggio sfasato: un testo appartenente a un’altra epoca è applicato sopra immagini di un’epoca, la nostra, tutta diversa, così profondamente diversa da aver bisogno di nuove chiavi di lettura.
Ripeto: non sto giustificando il papa. Sto solo cercando di capire. E quella che propongo potrebbe essere una risposta, o almeno un pezzo di risposta.
Di certo, credo che Francesco abbia bisogno di aiuto. Non solo attraverso la preghiera, che lui sempre chiede e noi gli assicuriamo, ma dico proprio aiuto culturale: quello che solo amici sinceri, e non "yes men" ossequiosi, possono garantirgli.
Del resto, non è stato proprio Francesco a chiedere a noi cattolici di parlare con 'parresìa', cioè con franchezza e libertà di dire tutto?
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