Commettere adulterio? Per “amore” si può.
Uno “spirito” s’aggira nella Gerarchia: lo “spirito del concilio”.
Semmai se ne fosse mai andato… ecco che ritorna con prepotenza lo spettro di un certo spirito attribuito al concilio, attraverso il quale si continua a pretendere una mutazione (o mutilazione) genetica della Sacra Dottrina.
Uno spirito per altro chiaramente condannato da Benedetto XVI senza giri di parole:
«In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro…» (1).
Con questa premessa vediamo di capire le espressioni eretiche pronunciate dal cardinale Schonborn (vedi qui), magistralmente riprese da Stefano Fontana e, se non bastasse, abilmente contrastate da altri alti prelati, vedi qui, dimostrando così le difficoltà contenute nell’Amoris letitiae, la divisione che questo testo porta dentro la Chiesa, con la conseguente confusione nel mondo e tra il gregge.
Fa pensare poi, allora, perché a chi si deve sposare in Chiesa gli vengono chiesti i documenti sulla ricezione dei Sacramenti quali Battesimo ecc? Perché non dare la comunione anche ai non battezzati?
In particolare, dice Schornborn, «quando il Santo Padre parla delle “situazioni oggettive di peccato”, non si accontenta dei casi di specie distinte nella “Familiaris consortio”, n. 84, ma si riferisce in modo più esteso a coloro “che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio” e la cui “coscienza dev’essere meglio coinvolta” “a partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti” (AL 303)».
Domandina facile, facile: ma se non riconoscono la “nostra concezione” di matrimonio, come fanno a pretendere l’Eucaristia? E poi, se non sono sposati in chiesa, come fanno a ricevere (o pretendere) l’Eucaristia?
Questo discorso fa acqua da tutte le parti. Perché, allora, alle coppie che stanno per ricevere il sacramento del matrimonio, viene chiesto i certificati di Battesimo e Cresima, ecc? Perché non dare la Comunione anche ai non cristiani?
Volendo noi, pur arrampicandoci sugli specchi, a servizio del Papa, provare a sostenere che egli non sta dicendo “allora sì ai sacramenti”, dice piuttosto che la coscienza di queste persone deve essere maggiormente coinvolta a capire il valore del matrimonio, non per ricevere il sacramento; però, siccome il Papa ha detto per due volte che l’interpretazione dell’esortazione è in mano a Schonborn, un altro grande teologo (sic!) dopo l’elogio a Kasper, che cosa dobbiamo pensare?
In effetti, in AL, non c’è affatto scritto che i divorziati-risposati “debbano” ricevere la Comunione, tuttavia essendo Schonborn il suo fiduciario nell’interpretazione del testo, va da se che quanto sta dicendo è, perlomeno, nelle intenzioni del Pontefice. Il quadro poi sarebbe chiarissimo: Papa Francesco aprì i giochi delle discussioni attraverso le eresie di Kasper in quel primo Concistoro nel quale si aprirono le danze del primo sinodo sull’argomento. In quei mesi ci furono affermazioni gravissime, smentite e imposte spudoratamente, in un gioco al ping-pong nel quale, l’Eucaristia Santissima, viene sovente usata come una palla, sbattuta da una racchetta all’altra.
Dopo la pausa del primo round, iniziò una nuova partita nel secondo Sinodo nel quale, inaspettatamente e grazie a Dio, al vero Spirito, i vescovi frenarono i brogli, riconducendo le regole del gioco all’interno della legalità. Una legalità di cui è il Papa stesso a denunciare una certa insofferenza! Ed ecco spuntare un nuovo pupillo teologo, il cardinale Schonborn, al quale il Papa consegna il diritto ad interpretare le sue parole in AL e, oseremo dire tanto è chiaro, persino le sue intenzioni.
Se vi gira la testa per la confusione, non spaventatevi perché è proprio il demonio che vuole questo, ma prendetene atto!
Infatti, Schonborn sostiene che «l’Esortazione apostolica di Papa Francesco non contiene mutamenti della dottrina. Contiene piuttosto degli sviluppi, da cui bisogna partire per leggere anche i precedenti interventi del magistero, come dopo il Vaticano II si è partiti da esso per rileggere il precedente magistero….».
Stefano Fontana ha brillantemente smascherato il nucleo diabolico contenuto nelle parole del cardinale austriaco:
«Quest’ultima affermazione è piuttosto grave, perché la verità è piuttosto il contrario, ma in questo momento mi interessa invece l’affermazione secondo cui nella AL non ci sarebbero cambiamenti di dottrina. Ora, non riesco a capire come si possa sostenere una cosa del genere. Di cambiamenti di dottrina ce ne sono, e molti. Essi riguardano la concezione cattolica della morale e la dottrina dei sacramenti, in particolare quello della comunione eucaristica. La prima cosa da fare è quindi, a mio avviso, prendere atto delle notevoli e innegabili discontinuità dottrinali…».
Ma santo cielo, ci vogliono davvero vedere così ignoranti ed ebeti? Lo “sviluppo” di una dottrina è accettabile solo se si va avanti, si amplifica nella sua spiegazione, e non quando si va indietro, non quando si regredisce o si pretende di rigettare la vecchia Costituente per crearne una nuova, come spiegava sopra Benedetto XVI. E c’è anche un altro aspetto che ribalta la regola del gioco: non è dall’ultimo concilio — come pretende Schonborn — che bisogna “rileggere” il magistero precedente, ma è l’ultimo concilio che deve tenere conto del magistero passato per continuarlo (ermeneutica della riforma nella continuità) in assoluta fedeltà.
Spiegava infatti Benedetto XVI nella famosa Lettera ai vescovi:
«Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive…» (2).
Se dunque, come afferma lo stesso Schonborn, l’AL non conterrebbe “mutamenti” della dottrina, come fa allora ad affermare quanto segue, sempre a La Civiltà Cattolica: «Certo — risponde Schonborn a una domanda di Spadaro — “questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo”, ma “può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo” (AL 303)».
Le domande restano, si moltiplicano e chiedono davvero aiuto a Dio e alla retta coscienza: se non riconoscono la “nostra concezione” di matrimonio, come fanno a pretendere l’Eucaristia? E poi, se non hanno ricevuto il sacramento del matrimonio, come possono ricevere l’Eucaristia?
Se poi, come pretende il cardinale «è la risposta generosa che si può offrire a Dio» ci chiediamo: come può Dio offrirci il peccato, nella fattispecie quello dell’adulterio? Il sacrificio del suo Figlio Unigenito è stato forse fine a se stesso? L’aberrazione è palese.
«Il divieto dell’adulterio — aggiunge Stefano Fontana — è da considerarsi un precetto morale negativo a carattere assoluto, come dice il Catechismo al n. 1756. La dottrina delle azioni intrinsecamente cattive (intrinsece mala), verso le quali la coscienza non ha margini di discernimento, perché si tratta di “atti non ordinabili a Dio”, è definita dalla Veritatis splendor nei paragrafi 67, 78, 79, 80. 81, 82, e dal Catechismo al n. 1761. L’Amoris Laetitia, però, nega che l’adulterio sia un atto intrinsecamente cattivo e nega l’esistenza stessa di atti intrinsecamente cattivi. Tanto è vero che dispone nei confronti dei divorziati risposati la possibilità di un discernimento pastorale per l’accesso all’Eucarestia ed esplicitamente afferma che “è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa (305). Questo ultimo punto elimina la nozione di peccato mortale che la Veritatis splendorinvece ribadiva nella tradizionale distinzione con il peccato veniale (nn. 69, 70). Il peccato mortale, vi si legge, c’è in tutte le “disubbidienze ai comandamenti di Dio in materia grave”. Quindi anche nell’adulterio in caso di secondo matrimonio dopo il divorzio. Ammettere la possibilità dell’accesso all’Eucarestia per i divorziati-risposati è quindi in discontinuità nei confronti della dottrina cattolica del peccato».
E ritorniamo all’eresia del gesuita Karl Rahner con la sua eliminazione del “peccato contro Dio”.
Non è una nostra invenzione. Padre Giuseppe Notari, un altro gesuita, ribalta da anni il senso della colpa e quello del peccato, l’«esame spirituale di coscienza»: non esiste più la parola «colpa», non si commette più il «peccato»; sono termini aboliti. Quindi, nemmeno è possibile emendarli. Né l’una, né l’altro. Al massimo, si parla di «non risposte», di «vuoti», di «chiamate non accolte, perché scomodanti oppure accolte a metà oppure non prese in dovuta considerazione». Ed ora è chiaro come, nell’immaginario collettivo, un invito non accolto, quand’anche fattoci da Dio, appaia meno grave del male da me volutamente compiuto, dell’errore da me volutamente commesso. (3)
NOTE
1) Benedetto XVI, Discorso alla Curia del 22 dicembre 2005.
2) Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi del 10 marzo 2009.
3) Quell’“esameˮ che fa perdere la coscienza del peccato (Luigi Bertoldi, Corrispondenza Romana, 02-09-2015)
IPSE DIXIT
«Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia» (Beato Paolo VI, 8 settembre 1977. Fonte: Paolo VI segreto, Jean Guitton, San Paolo, 1979).
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