“Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!”, dice il vescovo di Rieti
Tanto veemente, il Monsignore, quanto insufficiente. Dunque non c’è caso, non c’è fortuna, non c’è sorte, c’è solo la mano malvagia dell’uomo
I militari con in spalla la bara di una delle vittime del terremoto (foto LaPresse)
Ha parlato il vescovo. L’ordine d’apparizione ora è completo. Tutte le parti in commedia sono salite sul palcoscenico del terremoto. Sua Eccellenza Monsignor Domenico Pompili deve averci pensato a lungo, a quella frase, avrà immaginato gli applausi, l’acme dell’omelia funebre: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!”. Poteva pregare e officiare, il Monsignore, invece s’è fatto rapire dalla tentazione di raccontare il mito della “natura buona” e dell’uomo cattivo, del creato che non offende e si difende dall’azione dell’essere umano, una storia arcadica rotta dall’invasione barbarica delle “opere dell’uomo”. Il tono grave, la piazza di Amatrice colma di dolore, lo scenario di un sussulto biblico. A Sua Eccellenza il vescovo di Rieti deve essere apparsa la visione celeste di Jean-Jacques Rosseau che gli parlava del mito del ritorno alla natura.
ARTICOLI CORRELATI La scossa teologica di mons. Pompili contro il ProgressoTanto veemente, il Monsignore, quanto insufficiente. Dunque non c’è caso, non c’è fortuna, non c’è sorte, c’è solo la mano malvagia dell’uomo. Così il racconto del religioso viene travolto dal suo primitivismo che finisce per rivoltarsi in determinismo. Niente fato, solo il fatto. Che si risolve in contrappasso dantesco. Ad Accumoli il campanile della chiesa è crollato su una casa, un’intera famiglia è stata distrutta: marito e moglie poco più che trentenni e due figli. Travolti dalle macerie, Andrea e Gabriella sono morti abbracciati, vicino ad Andrea e Riccardo, 8 anni e 8 mesi. L’abitazione faceva parte di una schiera di case che ha resistito al sisma, tranne quella della famiglia Tuccio, colpita dal collasso del campanile. Se non c’è fato, se il terremoto è naturalmente buono, se la morte è il progresso, se il lutto è la civilizzazione, allora… c’è stata incuria della Curia?
I titoli dei giornali registrano la scossa retorica del vescovo: “Sisma, l’atto d’accusa del vescovo” (Corriere della Sera); “Il killer è l’uomo non il sisma”, l’accusa del vescovo ai funerali (Repubblica). Impaginano l’immancabile inchiestona: “Sisma, sequestri a tappeto” (Carlino-Nazione-Giorno); “I fondi spariti della ricostruzione” (La Stampa); “Svaniti in consulenze i fondi del terremoto” (Secolo XIX). Siamo al capitolo dell’azione delle procure che svetta nel surreale, chiosato da un titolo del Giornale: “Indagano anche i morti”. Tutti dentro, vivi e morti. Nessuna salvezza, è il terremoto italiano.
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Foto LaPresse
Chi sono io per giudicare di qua, chi sono io per giudicare di là… In tempi incerti per la dottrina e pure per la teodicea, era nell’aria che questa faccenda del terremoto avrebbe generato uno sciame teologico, pronto a ribaltare le poche certezze di diritto naturale rimaste a Santa Romana Chiesa. E va bene che avevano già iniziato Voltaire e Rousseau a bisticciarsi sul senso ultramondano dei terremoti, con Rousseau a far la parte di un Salvatore Settis d’antan e a dar la colpa al progresso. Ma quelli erano illuministi e mangiapreti, avevano una chiesa da far crollare, e non nel senso dei mattoni e dei campanili. Ma se ci si mettono i vescovi, questa sì che è magnitudo. Ci si era già provato quello di Ascoli, mons. Giovanni D’Ercole, a seminare cupezza in “questa nostra gente tradita dal ballo distruttore della terra”. Aveva detto, a messa: “‘E adesso che si fa?’ mi sono rivolto a Dio Padre”.
ARTICOLI CORRELATI “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo!”, dice il vescovo di Rieti Sulla solidarietà ai terremotati ha ragione Fiorello Terremoto neoliberistaMa mercoledì, ad Amatrice, al cospetto di Mattarella e Renzi, dioscuri della speranza, il vescovo di Rieti mons. Domenico Pompili ha traballato peggio di un container. E dire che aveva ben comiunciato: “I terremoti esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, l'acqua dolce, tutto è dovuto ai terremoti. Neanche l’uomo esisterebbe senza i terremoti… Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio”. Ma poi, se n’è uscito così: “Il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell’uomo”. Perbacco. Se non è Dio, se non è nemmeno la natura, vuoi vedere che è davvero colpa del Progresso?
Perché occorre pregare per i morti del sisma
Nel clima di dolore e rabbia lasciato dal terremoto, ha destato particolare scalpore l’iniziativa lanciata su Facebook dalla giornalista cattolica, Costanza Miriano, quella cioè di stilare un elenco delle vittime del sisma per pregare per ognuna di loro. C’è chi ha visto addirittura in questa preghiera un tentativo di “sciacallaggio”. Ma siamo sicuri che sia così? Cosa dice a riguardo la Dottrina cattolica?
Il Catechismo, all’articolo 958, fa esplicito riferimento alla preghiera per i defunti: «La Chiesa di quelli che sono in cammino […] fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con una grande pietà la memoria dei defunti e, poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati" (2 Mac 12,46), ha offerto per loro anche i suoi suffragi. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore». Si tratta della dottrina cattolica della Comunione dei Santi, alla quale il 30 ottobre 2013 Papa Francesco ha dedicato una stupenda catechesi.
«Il Catechismo della Chiesa cattolica», afferma Papa Francesco, «ci ricorda che con questa espressione si intendono due realtà: la comunione alle cose sante e la comunione tra le persone sante (n. 948). Mi soffermo sul secondo significato: si tratta di una verità tra le più consolanti della nostra fede, poiché ci ricorda che non siamo soli ma esiste una comunione di vita tra tutti coloro che appartengono a Cristo. Una comunione che nasce dalla fede; infatti, il termine “santi” si riferisce a coloro che credono nel Signore Gesù e sono incorporati a Lui nella Chiesa mediante il Battesimo». La Chiesa è dunque intesa come “communio sanctorum”, ovvero come la comunità di tutti coloro che hanno ricevuto la grazia rigeneratrice dello Spirito Santo mediante il Battesimo, comunione che unisce non solo i fedeli che ancora camminano su questa terra, ma anche coloro che già godono della visione di Dio.
Convinzione di tutti i fedeli cristiani è che la morte, dunque, non è la fine della “Comunione dei santi”, ma che, anzi, questa si estende al di là del tempo in questo mondo. La comunione con i defunti può avvenire solo attraverso la partecipazione ai Sacramenti e con la nostra preghiera, consolazione per i vivi e aiuto per morti. Tutte le anime, anche quelle che hanno condotto una vita cristiana ineccepibile, in quanto peccatori «non sono all’altezza dell’esigenza di Dio e hanno bisogno dell’amore accogliente del Dio misericordioso» (Maffeis). I defunti, posti di fronte al volto di Dio, diventano consapevoli della loro peccaminosità con estrema profondità «e, di fronte all’amore di Dio, sperimentano la loro assenza di amore bruciante» (Maffeis).
In questo contesto di purificazione le preghiere dei vivi possono essere di aiuto come intercessione presso Dio il quale, con amore infinito, li abbraccia e li salva. Entrando in comunione con Dio cerchiamo dunque per queste anime la salvezza eterna, poiché il giudizio finale spetta solo a Dio e, mentre nella sua storia la Chiesa ha stilato elenchi di Santi e Sante che certamente hanno raggiunto il Paradiso e quindi la Salvezza, di contro essa non ha mai, per nessuno, stilato un elenco dei “dannati”, cioè di coloro che sarebbero per l’eternità condannati alle pene infernali. La dottrina della Comunione dei Santi ci ricorda che il traguardo e la consolazione per tutti noi è e rimane il partecipare della Gerusalemme Celeste, della Città di Dio.
Nella Celebrazione delle esequie nel Rito Romano, il sacerdote esorta così i fedeli nel commiato finale: «Il nostro fratello N. si è addormentato nella pace di Cristo. Uniti nella fede e nella speranza della vita eterna, lo raccomandiamo all'amore misericordioso del Padre, accompagnandolo con la nostra fraterna preghiera: egli che nel Battesimo è diventato figlio di Dio e tante volte si è nutrito alla mensa del Signore, possa ora partecipare al convito dei santi nel cielo, e sia erede dei beni eterni promessi da Dio ai suoi servi fedeli. E anche per noi che sentiamo la tristezza di questo distacco, supplichiamo il Signore perché possiamo un giorno, insieme con i nostri morti, andare incontro al Cristo, quando egli, che è la nostra vita, apparirà nella gloria».
Oggi, quello della morte è un tema tabù ed il pregare per i defunti diventa così motivo di scandalo e imbarazzo. Ma è proprio davanti alla morte che noi, anche inconsciamente, cerchiamo un segnale di speranza, qualcosa che ci dia consolazione, che ci apra qualche orizzonte, che offra ancora un futuro, una via di speranza. Il 2 novembre 2011 ad un’udienza generale, Papa Benedetto XVI così parlava: «L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui è troppo breve, è troppo limitata. L’uomo è spiegabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio”. E basta solo questo, ormai, a scandalizzare la nostra “città degli uomini».
Mons. Pompili forse ha alluso a questo articolo qui pure ripreso ieri:
RispondiEliminahttp://antimassoneria.altervista.org/geoingegneria-avanzata-grado-provocare-terremoti-leggenda-tragica-realta/
Haarp non è certo un progresso benefico uscito dalle mani dell'uomo.