Il Cardinale Ciappi, il teologo di papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II (all’inizio del suo pontificato): “Il Terzo Segreto dice che la grande apostasia nella Chiesa inizia dal suo vertice. La conferma ufficiale del segreto de La Salette (1846): “La Chiesa subirà una terribile crisi. Essa sarà eclissata. Roma (il Vaticano) perderà la fede e diventare la sede dell’Anticristo “.
ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...
La lettera/petizione di David Van Hemelryck al Papa che sta scuotendo la Francia
Il fondatore del movimento che chiede le dimissioni di François Hollande ha scritto al Papa, dopo le dichiarazioni di Bergoglio sulla ‘violenza cattolica’ comparata alle stragi islamiste. A Bergoglio David Van Hemelryck chiede parole che leniscano il dolore provocato dalle sue affermazioni, dopo ilmartirio di padre Jacques Hamel, decapitato da due jihadisti islamici,
Parigi – Il giorno successivo al martirio di padre Jacques Hamel a Saint-Etienne-de-Rouvay, Papa Bergoglio di ritorno da Cracovia ha paragonato i crimini islamisti alla violenza cattolica, citando la mole di reati che quotidianamente vengono commessi da persone che si dicono cristiani e cattolici. Un paragone assurdo, di cui abbiamo parlato qui, che hanno indignato cristiano-cattolici e non solo, perfino molti musulmani che non mentono di fronte all’orrore jihadista.
La Francia è sotto attacco dal gennaio 2015 (Charlie Hebdo) e la gestione del presidente François Hollande, del primo ministro Manuel Valls e del ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve è sottoposta a critiche crescenti ogni giorno di più.
David Van Hemelryck ha promosso un comitato che ha il fine di chiedere le dimissioni di Hollande. Di fronte alle dichiarazioni di Bergoglio – che ha parlato di padre Jacques Hamel come un santo, ma non è parso appassionato difensore di un martire della Fede, decapitato sull’altare di una chiesa di fronte all’Eucaristia – ha proposto una lettera/petizione indirizzata a Papa Francesco, perché spieghi meglio le sue parole, che hanno provocato sconcerto e dolore tra i cattolici di Francia, i quali si sentono privi di una guida forte di fronte al relativismo imperante.
La petizione può essere firmata qui. Di seguito ve ne riportiamo la traduzione in italiano
Santissimo Padre
è con tutto l’amore di fedeli per la nostra madre Chiesa, e per il Pastore che nella sua benevolenza il Signore ci dà, che vogliamo scrivere a voi con dolore e con fiducia.
Le ultime vostre affermazioni che equiparano “violenza cattolica” e “violenza islamica” ci hanno ferito. Conoscendo la vostra misericordia dobbiamo affidarci a voi per testimoniare come queste dichiarazioni, dopo l’ondata di attacchi terroristici, ci hanno profondamente sconvolto.
Santissimo Padre, ci aspettiamo da voi, per rafforzare la fede della Chiesa di Francia, duramente colpita, che ci ricordiate che Dio, nel suo amore, ci ha dato il suo Unico Figlio in sacrificio di amore, come solo redentore, e che pertanto non può essere possibile comparare la sua salvezza con ogni altra impresa umana. Auspichiamo sia affermata dal vostro ministero lontano da ogni relativismo.
Santissimo Padre, conosciamo la vostra attenzione per ciascuna pecora smarrita, ma non possiamo essere indifferenti a delle parole che fanno il gioco dei relativisti che dicono che tutto va bene. Il Corano non abbonda, nelle sure medinesi, di istruzioni di guerra? Di consigli di menzogne? Di stratagemmi studiati per addormentarci? [Taqya]. Noi crediamo che gli uomini buoni esistano in ogni cultura, ma non è vostra responsabilità come nostra sottolineare fraternamente i loro errori?
E poiché è emerso che i crimini terroristici orribili sono motivati tutti dall’islam vicino alle loro scritture coraniche, come vostra Santità ha potuto compararli con reati di natura privata, dove a volte l’intento di uccidere è assente o è causato da una follia temporanea, quando sappiamo che questi pazzi dell’islam calcolino con attenzione i loro progetti di assassini, se ne vantano, e desiderano produrre degli emulatori?
Santissimo Padre, per consolidare la Chiesa di cui avete la custodia e di cui noi siamo tutti membri, di aiutare il maggior numero di persone a seguire la via della verità e della vita, noi rispettosamente vi chiediamo di fare dichiarazioni che dissipino ogni rischio di relativismo e che leniscano le ferite causate dalle vostre parole. Ci scusiamo se l’audacia di una simile petizione possa causarvi delle preoccupazioni, imploriamo la vostra benedizione apostolica e vi portiamo nelle nostre preghiere.
A Gaza con la ricostruzione ferma, si attende la nuova guerra. La fuga dei cristiani
Sono passati due anni dalla fine della campagna militare israeliana, “Margine Protettivo” nella Striscia di Gaza, contro il lancio di razzi da parte dei miliziani di Hamas. Al tragico bilancio di morti e feriti si aggiunge anche la distruzione di case, scuole e infrastrutture varie che hanno aggravato ancora di più le condizioni di vita della giovane popolazione gazawa, ostaggio del blocco israeliano e della politica di Hamas. La ricostruzione va a rilento e l'unica possibilità che si intravede all'orizzonte, non è la via diplomatica ma una nuova guerra, come denuncia il direttore della Caritas Jerusalem, padre Raed Abusahlia. Con la comunità cristiana in fuga e un boom di nascite - nei primi sei mesi del 2016 a Gaza sono nati 24194 bambini- nonostante le gravi condizioni di vita della popolazione
“Aspettiamo la prossima guerra di Gaza. Non tarderà ad arrivare. È già scritta. Basta solo una piccola scintilla al confine per accendere l’incendio”.
Non è rassicurante padre Raed Abusahlia, direttore generale di Caritas Jerusalem mentre parla al Sir dalla città santa. Le sue parole sintetizzano, in maniera drastica, tutte le operazioni militari che hanno visto fronteggiarsi, dal 12 settembre 2005, data del ritiro di Israele dalla Striscia, ad oggi, Hamas e l’esercito israeliano. Fino all’ultima, “Margine Protettivo”, 51 giorni di scontri iniziati l’8 luglio e terminati il 26 agosto 2014. Per un bilancio di oltre 2000 palestinesi uccisi, dei quali circa 500 bambini, 64 soldati israeliani morti, cui vanno aggiunti 6 civili, fra i quali un bimbo. I palestinesi feriti sono stati circa 11mila, di cui 3mila bambini.
A due anni dalla fine delle ostilità a Gaza la ricostruzione va a rilento. Anzi, dice convinto il direttore generale della Caritas Jerusalem, – da sempre attiva nella Striscia –
“tutto è fermo. Bloccato. Hanno ricostruito alcune case distrutte nel centro della città ma non quelle nei quartieri più colpiti. Parliamo di circa 10mila abitazioni a fronte di 46mila parzialmente distrutte.
Ogni alloggio necessita tra i 5 e i 10mila dollari di lavori per essere di nuovo abitabile. Altre 15mila case sono totalmente distrutte e le macerie visibili. La ricostruzione è minima. Dopo la fine della guerra nella Conferenza dei paesi donatori del Cairo fu deciso di stanziare 5,3 miliardi di dollari per la ricostruzione di Gaza. Dove sono questi soldi? Solo il Qatar sta facendo la sua parte costruendo circa 200 abitazioni, ma non di più”. Per padre Abusahlia “la lentezza della ricostruzione è dovuta principalmente al blocco israeliano che non permette l’ingresso ai valichi di materiale come ferro, cemento e legno, poiché ritenuti utili alla costruzione dei tunnel di Hamas. Ma senza cemento non si può ricostruire e l’uso di prodotti diversi da questo fa lievitare i prezzi di altri materiali. Anche da qui si capisce che la diplomazia ha fallito”.
La via della solidarietà. Chi cerca di fare qualcosa per la popolazione stremata, con i pochi mezzi a disposizione, sono le organizzazioni caritative come il Catholic Relief Service, la Caritas dei vescovi statunitensi, che da tempo sta provvedendo alla costruzione di case in legno da dare a chi è rimasto senza un tetto. “Ad oggi ne ha realizzate oltre 250 – spiega padre Raed – e stanno per partire due progetti di ‘Us Aid’ finanziati con 100 milioni di dollari, uno per l’assistenza sanitaria e l’altro per quella umanitaria. Ma ‘Us Aid’ non intende collaborare con Hamas, perché inserito nella black list delle organizzazioni terroristiche, e questo ne blocca l’avvio”. Anche Caritas Jerusalem sta continuando la sua opera in campo sanitario e umanitario. Nel 2015 siamo intervenuti con un milione di euro donati da Caritas Internationalis e quest’anno siamo impegnati in un progetto di 410mila euro per la nutrizione di bambini da 5 ai 15 anni. Abbiamo monitorato circa 5000 bambini e verificato un indice di anemia impressionante, il 34% di loro soffre di anemia per malnutrizione, in alcune zone della Striscia la percentuale arriva addirittura al 43%”. Numeri che confermano la gravità della situazione a Gaza. “L’80% dei gazawi – spiega il sacerdote – vive sotto la soglia di povertà, con meno di un dollaro al giorno. La disoccupazione tocca il 45% e un milione di abitanti della Striscia è sotto i 14 anni”. Una popolazione che nonostante sia molto giovane “sforna bambini.
Nei primi sei mesi del 2016 a Gaza sono nati 24194 bambini, circa 4mila neonati al mese. Le proiezioni del 2016 parlano di circa 50mila nuovi piccoli abitanti della Striscia.
Bambini che dovrebbero avere una condizione dignitosa per vivere e crescere. E invece, nulla di tutto ciò. Così cresce odio e risentimento”.
Una bomba demografica che rischia di deflagrare portando allo scontro finale tra Hamas e Israele. “La situazione è drammatica – ripete padre Abusahlia – la gente è triste, segnata da guerre continue di cui paga un prezzo altissimo. Non si possono costringere 1,5 milioni di persone dentro una gabbia. Gaza è una prigione a cielo aperto da quando, nel 2007, Israele ha imposto il blocco.
La vita quotidiana è sempre più difficile, con sole 5 ore di energia elettrica al giorno, senza acqua potabile, senza fognature, senza medicine, scuole distrutte, senza poter entrare e uscire”. Ferma la diplomazia, ferma la ricostruzione. Tra Hamas e Israele sembrano muoversi solo le armi.
I miliziani di Hamas si preparano a combattere “con nuove armi di cui non si conosce la provenienza”. Israele dal canto suo ha nominato un nuovo ministro della Difesa, Avigdor Liebermann, leader nazionalista dell’ultradestra che “ha dichiarato che la prossima guerra dovrà essere quella decisiva, l’ultima che servirà a sconfiggere Hamas. Ma così facendo – dice preoccupato padre Raed – spazzerà via anche Gaza e la sua popolazione”. Per questo chi può, cerca di uscire, come i cristiani, il cui numero nella Striscia cala progressivamente. “In occasione delle ultime festività pasquali – rivela il sacerdote – Israele ha concesso un permesso per uscire dalla Striscia al 95% della popolazione cristiana. Di questi molti non hanno fatto rientro preferendo restare in Cisgiordania, a Betlemme, a Ramallah. Si stima che almeno 50 famiglie non siano rientrate. A Gaza hanno lasciato tutto quello che avevano. Prima della guerra del 2014 i cristiani di Gaza erano 310 famiglie (poco più di 1300 fedeli) e il 34% di queste non aveva una fonte di reddito. Oggi sono circa 1100”.
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