Gender, attacco finale. Come si diventa collaborazionisti
ProVita, nella memoria depositata prima dell’audizione alla Camera, affoga nell’accettazione dell’esistenza reale di categorie e problematiche nate esclusivamente su base ideologica, con fini ben precisi. Sono caduti in trappola, divenendo di fatto opposizione di regime.
di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
per leggere il precedente articolo, “Gender, attacco finale. Col contributo degli ex-combattenti”, clicca qui
.
Chi abbia intuito quali siano le ricadute della straordinaria macchina da guerra messa in moto dalla armata omo-femminista e senta il dovere di opporvisi, dovrebbe preoccuparsi anzitutto di smascherare la truffa planetaria che vi è sottesa, e denunciare il grande inganno. Dovrebbe smontare il castello di cartapesta che è stato costruito per renderlo inattaccabile.
Invece, a sorpresa, ormai quasi nessuno si preoccupa più di smontare l’artificio. Anzi, ormai tutti danno per scontato proprio quel presupposto fasullo del “genere” come categoria avulsa dalla realtà concreta, cioè dal sesso, e ci girano intorno preoccupati soltanto di trovarvi qualcosa di plausibile e di accettabile finendo per agevolarne, di fatto, una penetrazione più morbida e indolore nell’orizzonte del pensiero comune, e quindi nella vita quotidiana.
Insomma, ora sembra che un po’ tutti abbiano finito per adottare il linguaggio, utilizzare le formule dell’antico nemico e immedesimarsi nei suoi panni.
Alla luce di quanto ricordato per sommi capi nella prima parte del nostro lavoro, vediamo ora cosa dicono i rappresentanti della associazione ProVita Onlus nella memoria depositata – che consta di ben quindici cartelle – in vista della loro audizione alla Camera.
(per leggere il testo completo della Memoria, clicca qui – per leggere l’articolo di ProVita, che contiene anche il video dell’audizione alla Camera, clicca qui.)
In questa memoria ci si dilunga sulla possibilità di declinare il genere secondo diversi gradi di accettabilità, ammettendo – coraggiosamente – che esso presenti alcune “criticità” (quali ad esempio «la promozione e normalizzazione della omogenitorialità, questione quanto mai controversa anche a livello della ricerca scientifica» sic!).
Dunque, si ammette ancora che il concetto tradisca una impostazione «perlomeno parzialmente ideologica», pari a quella, definita “caricaturale”, di quanti commetterebbero «l’errore diametralmente opposto», sostenendo che «la natura sessuata determini rigidi ruoli sociali e comportamenti tipicamente femminili o maschili». Ambedue queste posizioni sarebbero – per i nostri commentatori – grossolane semplificazioni.
Insomma, l’idea del gender di una Firestone e di una Fedeli è esagerata tanto quanto quella di chi crede che comportarsi da madre derivi dal fatto di essere sessuata come donna.
Invece – si legge ancora nella memoria in questione – è giusto parlare «di “influenza” e non di “determinazione” riguardo ai comportamenti “maschili” e “femminili” (le virgolette sono autentiche: ndr), sia privati che sociali (c.d. “ruoli di genere”)».
«Il sesso biologico dunque – continuano gli estensori – non solo gioca un ruolo fondamentale dal punto di vista della identità…ma può (sic!?!) anche giocare un ruolo importante come “tendenza” che influisce sui comportamenti…». Ancora: «questo non vuol dire che in tutti i comportamenti e in tutte le pratiche sociali specificamente attribuite a uomini o donne ci sia un’influenza del sesso biologico; tuttavia questa influenza non si può escludere (sic!?!) come fanno generalmente le prospettive di genere».
Seguono disquisizioni sui livelli di testosterone, sulla diversa lateralizzazione di alcune funzioni encefaliche e capacità di coordinamento motorio-spaziale.
Quanto alla scuola, troviamo ancora che «la prospettiva di genere nel sistema scolastico porta con sé le criticità sopra esposte relative alle sue ambiguità e alla dimensione ideologica». Che «naturalmente, le finalità che si propone questa prospettiva possono sembrare condivisibili, come il contrasto della violenza e del bullismo, ma non è lecito perseguire finalità buone attraverso mezzi che pongono rilevanti problemi, soprattutto quando si tratta di intervenire presso i più piccoli».
E ancora: «si potrebbe pensare, in fin dei conti, che la comunità scientifica è unanime su un certo tipo di interventi, e in particolare sulla decostruzione degli stereotipi già nella tenera età per prevenire violenza e discriminazione». Ma, dicono, «la domanda non è se esistano o meno cattivi stereotipi: su questo siamo tutti d’accordo…». «La vera domanda è: quali sono i veri stereotipi negativi? Non c’è una risposta condivisa a livello scientifico…».
Attendiamo dunque, con l’associazione ProVita Onlus, che la comunità scientifica si esprima a maggioranza sul punto e presenti un elenco ufficiale di stereotipi negativi da combattere.
La conclusione delle quindici pagine di elucubrazioni circolari è folgorante. «A prescindere da altri profili critici, si eviterebbero almeno l’incertezza nella applicazione e le problematiche esposte di natura ideologica, che tanto hanno preoccupato numerose famiglie, associazioni e professionisti in tutta Italia, sostituendo i riferimenti al “genere” e ad un’impostazione priva di base scientifica, con riferimenti al concetto di “sesso”…».
Un’idea straordinaria, che è un peccato non sia stata esposta nella prima riga della memoria, perché avrebbe risparmiato all’autore, e al lettore, la fatica delle 15 pagine successive.
Ma forse all’associazione ProVita Onlus può riuscire oggi ciò che non riuscì ai pro family di tutto il mondo vent’anni fa..
Infatti, è opportuno ripetere (vedi punto 5 del precedente articolo), come abbia reagito il gruppo egemone femminista/omosessualista di fronte al tentativo disperato dei pro-family di bloccare l’agenda di genere costruita in vista della conferenza di Pechino: «nessuno ci obbligherà a tornare indietro al concetto di “la biologia è destino” che cerca di definire, confinare e ridurre le donne alle loro caratteristiche fisiche», perché «la definizione di genere è già entrata nell’attuale discorso sociale, politico e legale e si è evoluta come differenziata dalla parola sesso, per esprimere la realtà che i ruoli delle donne e degli uomini e i loro status sono costruiti socialmente e soggetti a cambiamento».
La nozione di genere proposta è stata espressamente definita “non-negoziabile”, e si è affermato che «il tentativo messo in atto da alcuni Stati membri (come ad esempio l’Honduras) di eliminare la parola gender dalla piattaforma di azione ripristinando la parola sesso è un qualcosa di ingiurioso e svilente».
Insomma, se ci domandassimo in che modo i pro family ammessi nelle stanze della politica maneggino oggi il gender, dovremmo rispondere quello che diceva Pippo Franco quando gli chiedevano come avvenisse secondo lui l’accoppiamento dell’istrice: “con attenzione, con molta attenzione…”.
Resta invece irrisolto il mistero se l’intervento di ProVita Onlus sia da ritenersi doloso, colposo o preterintenzionale.
Qual è dunque la morale di tutta questa storia?
A forza di nominarlo, il gender o genere che dir si voglia è stato evocato come si evocano dal nulla gli spiriti, e a forza di parlarne senza sapere di cosa si sta parlando, tutti ora pensano anche di poterlo afferrare, di tirargli il lenzuolo, operazione indispensabile per giustificare il fatto che ci si è messi in una stanza per parlare con lui. Che i fantasmi non possano essere afferrati, per il semplice motivo che non esistono in rerum natura, nessuno sembra più curarsi. E in tanti danno per scontato di vederli, mentre gli altri li credono sulla parola perché un tale atto di fede non costa troppa fatica.
Insomma, è un po’ come la vecchia storia del Sarchiapone che si aggirava qualche decennio fa per gli studi televisivi.
Fino a pochi anni fa, il “genere” era una entità linguistica, la parola che indicava il criterio per distinguere categorie di persone, animali o cose. Poi improvvisamente qualcuno le ha affidato un compito inaspettato, di rango politico e di straordinaria capacità illusionistica, l’ha dotata del potere magico di creare una realtà a sé stante, inedita, di fantasia.
Il gender o genere è dunque il capolavoro di un nulla sbozzato prima e perfezionato progressivamente a partire dai fasti sessantottini, materializzato al punto che nessuno mette più in discussione la sua esistenza.
La parola ha preso quota. Ha cominciato a risuonare nelle sale accademiche come nei comizi delle politicanti, nelle conferenze alle università come negli incontri parrocchiali, ma soprattutto nelle aule di ogni consesso politico occidentale nazionale e sovranazionale e, avendo messo le tende ovunque, ora ospita a pranzo e a cena quelli che sulla carta e nel biglietto da visita si presentano nella veste composta di difensori della famiglia, dei figli, della sana educazione, magari cattolica, e preparano insieme ai propri ospiti il suicidio assistito di tutta la società. Cioè, per dirla in termini oggi divenuti familiari, la sua dolce morte.
E si capisce così perché oggi ormai nessuno si chieda più da dove venga la “cosa”. Abituati a percepirla ad orecchio, anche quelli che si erano assunti il compito di neutralizzarne il pericolo, oggi afferrano lo stesso fantasma convinti che la propria sacrosanta missione sia quella di aggiustargli il lenzuolo, di metterlo un po’ in ordine come il panneggio di una bella statua antica.
Forse non era mai successo che il nome dato a un fantasma abbia trasformato questo in una massa che tutti vedono come una pasta soda e che si sono messi a manipolare, senza sospettare di essere in preda a delle allucinazioni.
Siamo di fronte ad un fenomeno di illusionismo collettivo, realizzato dai professionisti del gioco di prestigio ideologico imparato sui banchi del marxismo di lotta e di “couture” (leggi: alta moda cattoborghese).
Nessuno si chiede più da dove e quando sia spuntato fuori questo fantasma, che se la ride di avere accumulato tanta selvaggina senza troppo sforzo venatorio.
Con notevole acume speculativo, sul “genere” si è dunque costruita una teoria bislacca e ondivaga, adeguata al suo sfuggente presupposto. E qui vale la pena di ricordare come non più di un anno fa, quando qualcuno si è accorto che il grande bluff sarebbe diventato materia di insegnamento ed è scattato spontaneamente un forte allarme tra le famiglie, laministra si sia precipitata a dire che la teoria del gender non esiste e le hanno fatto eco prontamente i pensatori della diocesi di Padova. Per tutti loro infatti, il gender lo possiamo e dobbiamo insegnare a scuola – e a questo assunto pare ispirarsi la memoria di cui sopra – ma non esiste la teoria che lo ha elaborato.
Come dire che le scarpette di vetro di Cenerentola le troviamo in qualunque calzaturificio, ma non c’è nessuna favola che ne parli.
Tuttavia, chi non ha un desiderio impellente di andare incontro a questo destino tenendo per mano figli piccoli e nipoti, ha il dovere di svegliarsi dal coma e dissipare la nube tossica che incombe sulla realtà comune e penetra anche nelle fessure di casa sua.
È palese che siamo in balia di una associazione a delinquere planetaria formata da dementi. E la novità sta nel fatto che normalmente i dementi non hanno qualità propriamente razionali per costituire associazioni di sorta. Invece le organizzazioni internazionali, attraverso l’autorevolezza delle strutture, sono capaci di trasformare la demenza dei propri attivisti in una forza impositiva straordinaria e di farne il carburante per un enorme schiacciasassi, capace di uccidere, insieme alla ragione, le esistenze concrete di tutti noi sudditi involontari.
È in fondo lo stesso miracoloso meccanismo per cui individui senza doti intellettuali, senza cultura, senza capacità di alcun genere, assumono posizioni di responsabilità e compiti decisionali, vanno a ricoprire alte cariche negli stessi organismi internazionali o all’interno degli stati nazionali affiliati.
Come si creano dal nulla figuranti con poteri di enorme peso politico, così si possono creare dal nulla idee capaci di stravolgere persino la realtà e di indurre milioni di persone a vivere dentro vere e proprie allucinazioni.
Ora, ad essere realisti, bisogna purtroppo riconoscere che i giochi ormai sono fatti, e che ci vorrebbe davvero un miracolo per uscire da questo incubo. Ma ciò non ci esonera dal prendere in mano il nostro piccolo ago e tentare di bucare il pallone gonfiato dal quale stiamo per essere soffocati.
La storia vera di questa messinscena planetaria non può essere taciuta, va fatta conoscere a quante più persone siano disposte ad ascoltarla. Perché domani, tra vent’anni, tra tre secoli, o oltre ancora, qualcuno forse potrà ricostruire qualcosa sulle macerie di una società rimasta senza più principi, senza più morale, senza più forza di ragione.
.
P.S. In ogni caso, per chi volesse trovare una immediata chiave di lettura di questo interessante fenomeno per cui tanti pro family si stanno impegnando a promuovere, nei limiti delle loro possibilità morali, culturali e intellettuali, la prospettiva di genere, potranno attingere alla esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, in particolare al n. 286:
«Non si può nemmeno ignorare che nella configurazione del proprio modo di essere, femminile o maschile, non confluiscono solamente fattori biologici o genetici, ma anche molteplici elementi relativi al temperamento, alla storia familiare, alla cultura, alle esperienze vissute, alla formazione ricevuta, alle influenze di amici, familiari e persone ammirate, e ad altre circostanze concrete che esigono uno sforzo di adattamento. È vero che non possiamo separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare. Però è anche vero che il maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido. Perciò è possibile, ad esempio, che il modo di essere maschile del marito possa adattarsi con flessibilità alla condizione lavorativa della moglie. Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno maschile, né significano un fallimento, un cedimento o una vergogna. Bisogna aiutare i bambini ad accettare come normali questi sani “interscambi”, che non tolgono alcuna dignità alla figura paterna. La rigidità diventa una esagerazione del maschile o del femminile, e non educa i bambini e i giovani alla reciprocità incarnata nelle condizioni reali del matrimonio. Questa rigidità, a sua volta, può impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno, fino al punto di arrivare a considerare come poco maschile dedicarsi all’arte o alla danza e poco femminile svolgere un incarico di guida. Questo, grazie a Dio, è cambiato, ma in alcuni luoghi certe concezioni inadeguate continuano a condizionare la legittima libertà e a mutilare l’autentico sviluppo dell’identità concreta dei figli e delle loro potenzialità».
Amen
di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
per leggere il precedente articolo, “Gender, attacco finale. Col contributo degli ex-combattenti”, clicca qui
.
Chi abbia intuito quali siano le ricadute della straordinaria macchina da guerra messa in moto dalla armata omo-femminista e senta il dovere di opporvisi, dovrebbe preoccuparsi anzitutto di smascherare la truffa planetaria che vi è sottesa, e denunciare il grande inganno. Dovrebbe smontare il castello di cartapesta che è stato costruito per renderlo inattaccabile.
Invece, a sorpresa, ormai quasi nessuno si preoccupa più di smontare l’artificio. Anzi, ormai tutti danno per scontato proprio quel presupposto fasullo del “genere” come categoria avulsa dalla realtà concreta, cioè dal sesso, e ci girano intorno preoccupati soltanto di trovarvi qualcosa di plausibile e di accettabile finendo per agevolarne, di fatto, una penetrazione più morbida e indolore nell’orizzonte del pensiero comune, e quindi nella vita quotidiana.
Insomma, ora sembra che un po’ tutti abbiano finito per adottare il linguaggio, utilizzare le formule dell’antico nemico e immedesimarsi nei suoi panni.
Alla luce di quanto ricordato per sommi capi nella prima parte del nostro lavoro, vediamo ora cosa dicono i rappresentanti della associazione ProVita Onlus nella memoria depositata – che consta di ben quindici cartelle – in vista della loro audizione alla Camera.
(per leggere il testo completo della Memoria, clicca qui – per leggere l’articolo di ProVita, che contiene anche il video dell’audizione alla Camera, clicca qui.)
In questa memoria ci si dilunga sulla possibilità di declinare il genere secondo diversi gradi di accettabilità, ammettendo – coraggiosamente – che esso presenti alcune “criticità” (quali ad esempio «la promozione e normalizzazione della omogenitorialità, questione quanto mai controversa anche a livello della ricerca scientifica» sic!).
Dunque, si ammette ancora che il concetto tradisca una impostazione «perlomeno parzialmente ideologica», pari a quella, definita “caricaturale”, di quanti commetterebbero «l’errore diametralmente opposto», sostenendo che «la natura sessuata determini rigidi ruoli sociali e comportamenti tipicamente femminili o maschili». Ambedue queste posizioni sarebbero – per i nostri commentatori – grossolane semplificazioni.
Insomma, l’idea del gender di una Firestone e di una Fedeli è esagerata tanto quanto quella di chi crede che comportarsi da madre derivi dal fatto di essere sessuata come donna.
Invece – si legge ancora nella memoria in questione – è giusto parlare «di “influenza” e non di “determinazione” riguardo ai comportamenti “maschili” e “femminili” (le virgolette sono autentiche: ndr), sia privati che sociali (c.d. “ruoli di genere”)».
«Il sesso biologico dunque – continuano gli estensori – non solo gioca un ruolo fondamentale dal punto di vista della identità…ma può (sic!?!) anche giocare un ruolo importante come “tendenza” che influisce sui comportamenti…». Ancora: «questo non vuol dire che in tutti i comportamenti e in tutte le pratiche sociali specificamente attribuite a uomini o donne ci sia un’influenza del sesso biologico; tuttavia questa influenza non si può escludere (sic!?!) come fanno generalmente le prospettive di genere».
Seguono disquisizioni sui livelli di testosterone, sulla diversa lateralizzazione di alcune funzioni encefaliche e capacità di coordinamento motorio-spaziale.
Quanto alla scuola, troviamo ancora che «la prospettiva di genere nel sistema scolastico porta con sé le criticità sopra esposte relative alle sue ambiguità e alla dimensione ideologica». Che «naturalmente, le finalità che si propone questa prospettiva possono sembrare condivisibili, come il contrasto della violenza e del bullismo, ma non è lecito perseguire finalità buone attraverso mezzi che pongono rilevanti problemi, soprattutto quando si tratta di intervenire presso i più piccoli».
E ancora: «si potrebbe pensare, in fin dei conti, che la comunità scientifica è unanime su un certo tipo di interventi, e in particolare sulla decostruzione degli stereotipi già nella tenera età per prevenire violenza e discriminazione». Ma, dicono, «la domanda non è se esistano o meno cattivi stereotipi: su questo siamo tutti d’accordo…». «La vera domanda è: quali sono i veri stereotipi negativi? Non c’è una risposta condivisa a livello scientifico…».
Attendiamo dunque, con l’associazione ProVita Onlus, che la comunità scientifica si esprima a maggioranza sul punto e presenti un elenco ufficiale di stereotipi negativi da combattere.
La conclusione delle quindici pagine di elucubrazioni circolari è folgorante. «A prescindere da altri profili critici, si eviterebbero almeno l’incertezza nella applicazione e le problematiche esposte di natura ideologica, che tanto hanno preoccupato numerose famiglie, associazioni e professionisti in tutta Italia, sostituendo i riferimenti al “genere” e ad un’impostazione priva di base scientifica, con riferimenti al concetto di “sesso”…».
Un’idea straordinaria, che è un peccato non sia stata esposta nella prima riga della memoria, perché avrebbe risparmiato all’autore, e al lettore, la fatica delle 15 pagine successive.
Ma forse all’associazione ProVita Onlus può riuscire oggi ciò che non riuscì ai pro family di tutto il mondo vent’anni fa..
Infatti, è opportuno ripetere (vedi punto 5 del precedente articolo), come abbia reagito il gruppo egemone femminista/omosessualista di fronte al tentativo disperato dei pro-family di bloccare l’agenda di genere costruita in vista della conferenza di Pechino: «nessuno ci obbligherà a tornare indietro al concetto di “la biologia è destino” che cerca di definire, confinare e ridurre le donne alle loro caratteristiche fisiche», perché «la definizione di genere è già entrata nell’attuale discorso sociale, politico e legale e si è evoluta come differenziata dalla parola sesso, per esprimere la realtà che i ruoli delle donne e degli uomini e i loro status sono costruiti socialmente e soggetti a cambiamento».
La nozione di genere proposta è stata espressamente definita “non-negoziabile”, e si è affermato che «il tentativo messo in atto da alcuni Stati membri (come ad esempio l’Honduras) di eliminare la parola gender dalla piattaforma di azione ripristinando la parola sesso è un qualcosa di ingiurioso e svilente».
Insomma, se ci domandassimo in che modo i pro family ammessi nelle stanze della politica maneggino oggi il gender, dovremmo rispondere quello che diceva Pippo Franco quando gli chiedevano come avvenisse secondo lui l’accoppiamento dell’istrice: “con attenzione, con molta attenzione…”.
Resta invece irrisolto il mistero se l’intervento di ProVita Onlus sia da ritenersi doloso, colposo o preterintenzionale.
Qual è dunque la morale di tutta questa storia?
A forza di nominarlo, il gender o genere che dir si voglia è stato evocato come si evocano dal nulla gli spiriti, e a forza di parlarne senza sapere di cosa si sta parlando, tutti ora pensano anche di poterlo afferrare, di tirargli il lenzuolo, operazione indispensabile per giustificare il fatto che ci si è messi in una stanza per parlare con lui. Che i fantasmi non possano essere afferrati, per il semplice motivo che non esistono in rerum natura, nessuno sembra più curarsi. E in tanti danno per scontato di vederli, mentre gli altri li credono sulla parola perché un tale atto di fede non costa troppa fatica.
Insomma, è un po’ come la vecchia storia del Sarchiapone che si aggirava qualche decennio fa per gli studi televisivi.
Fino a pochi anni fa, il “genere” era una entità linguistica, la parola che indicava il criterio per distinguere categorie di persone, animali o cose. Poi improvvisamente qualcuno le ha affidato un compito inaspettato, di rango politico e di straordinaria capacità illusionistica, l’ha dotata del potere magico di creare una realtà a sé stante, inedita, di fantasia.
Il gender o genere è dunque il capolavoro di un nulla sbozzato prima e perfezionato progressivamente a partire dai fasti sessantottini, materializzato al punto che nessuno mette più in discussione la sua esistenza.
La parola ha preso quota. Ha cominciato a risuonare nelle sale accademiche come nei comizi delle politicanti, nelle conferenze alle università come negli incontri parrocchiali, ma soprattutto nelle aule di ogni consesso politico occidentale nazionale e sovranazionale e, avendo messo le tende ovunque, ora ospita a pranzo e a cena quelli che sulla carta e nel biglietto da visita si presentano nella veste composta di difensori della famiglia, dei figli, della sana educazione, magari cattolica, e preparano insieme ai propri ospiti il suicidio assistito di tutta la società. Cioè, per dirla in termini oggi divenuti familiari, la sua dolce morte.
E si capisce così perché oggi ormai nessuno si chieda più da dove venga la “cosa”. Abituati a percepirla ad orecchio, anche quelli che si erano assunti il compito di neutralizzarne il pericolo, oggi afferrano lo stesso fantasma convinti che la propria sacrosanta missione sia quella di aggiustargli il lenzuolo, di metterlo un po’ in ordine come il panneggio di una bella statua antica.
Forse non era mai successo che il nome dato a un fantasma abbia trasformato questo in una massa che tutti vedono come una pasta soda e che si sono messi a manipolare, senza sospettare di essere in preda a delle allucinazioni.
Siamo di fronte ad un fenomeno di illusionismo collettivo, realizzato dai professionisti del gioco di prestigio ideologico imparato sui banchi del marxismo di lotta e di “couture” (leggi: alta moda cattoborghese).
Nessuno si chiede più da dove e quando sia spuntato fuori questo fantasma, che se la ride di avere accumulato tanta selvaggina senza troppo sforzo venatorio.
Con notevole acume speculativo, sul “genere” si è dunque costruita una teoria bislacca e ondivaga, adeguata al suo sfuggente presupposto. E qui vale la pena di ricordare come non più di un anno fa, quando qualcuno si è accorto che il grande bluff sarebbe diventato materia di insegnamento ed è scattato spontaneamente un forte allarme tra le famiglie, laministra si sia precipitata a dire che la teoria del gender non esiste e le hanno fatto eco prontamente i pensatori della diocesi di Padova. Per tutti loro infatti, il gender lo possiamo e dobbiamo insegnare a scuola – e a questo assunto pare ispirarsi la memoria di cui sopra – ma non esiste la teoria che lo ha elaborato.
Come dire che le scarpette di vetro di Cenerentola le troviamo in qualunque calzaturificio, ma non c’è nessuna favola che ne parli.
Tuttavia, chi non ha un desiderio impellente di andare incontro a questo destino tenendo per mano figli piccoli e nipoti, ha il dovere di svegliarsi dal coma e dissipare la nube tossica che incombe sulla realtà comune e penetra anche nelle fessure di casa sua.
È palese che siamo in balia di una associazione a delinquere planetaria formata da dementi. E la novità sta nel fatto che normalmente i dementi non hanno qualità propriamente razionali per costituire associazioni di sorta. Invece le organizzazioni internazionali, attraverso l’autorevolezza delle strutture, sono capaci di trasformare la demenza dei propri attivisti in una forza impositiva straordinaria e di farne il carburante per un enorme schiacciasassi, capace di uccidere, insieme alla ragione, le esistenze concrete di tutti noi sudditi involontari.
È in fondo lo stesso miracoloso meccanismo per cui individui senza doti intellettuali, senza cultura, senza capacità di alcun genere, assumono posizioni di responsabilità e compiti decisionali, vanno a ricoprire alte cariche negli stessi organismi internazionali o all’interno degli stati nazionali affiliati.
Come si creano dal nulla figuranti con poteri di enorme peso politico, così si possono creare dal nulla idee capaci di stravolgere persino la realtà e di indurre milioni di persone a vivere dentro vere e proprie allucinazioni.
Ora, ad essere realisti, bisogna purtroppo riconoscere che i giochi ormai sono fatti, e che ci vorrebbe davvero un miracolo per uscire da questo incubo. Ma ciò non ci esonera dal prendere in mano il nostro piccolo ago e tentare di bucare il pallone gonfiato dal quale stiamo per essere soffocati.
La storia vera di questa messinscena planetaria non può essere taciuta, va fatta conoscere a quante più persone siano disposte ad ascoltarla. Perché domani, tra vent’anni, tra tre secoli, o oltre ancora, qualcuno forse potrà ricostruire qualcosa sulle macerie di una società rimasta senza più principi, senza più morale, senza più forza di ragione.
.
P.S. In ogni caso, per chi volesse trovare una immediata chiave di lettura di questo interessante fenomeno per cui tanti pro family si stanno impegnando a promuovere, nei limiti delle loro possibilità morali, culturali e intellettuali, la prospettiva di genere, potranno attingere alla esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, in particolare al n. 286:
«Non si può nemmeno ignorare che nella configurazione del proprio modo di essere, femminile o maschile, non confluiscono solamente fattori biologici o genetici, ma anche molteplici elementi relativi al temperamento, alla storia familiare, alla cultura, alle esperienze vissute, alla formazione ricevuta, alle influenze di amici, familiari e persone ammirate, e ad altre circostanze concrete che esigono uno sforzo di adattamento. È vero che non possiamo separare ciò che è maschile e femminile dall’opera creata da Dio, che è anteriore a tutte le nostre decisioni ed esperienze e dove ci sono elementi biologici che è impossibile ignorare. Però è anche vero che il maschile e il femminile non sono qualcosa di rigido. Perciò è possibile, ad esempio, che il modo di essere maschile del marito possa adattarsi con flessibilità alla condizione lavorativa della moglie. Farsi carico di compiti domestici o di alcuni aspetti della crescita dei figli non lo rendono meno maschile, né significano un fallimento, un cedimento o una vergogna. Bisogna aiutare i bambini ad accettare come normali questi sani “interscambi”, che non tolgono alcuna dignità alla figura paterna. La rigidità diventa una esagerazione del maschile o del femminile, e non educa i bambini e i giovani alla reciprocità incarnata nelle condizioni reali del matrimonio. Questa rigidità, a sua volta, può impedire lo sviluppo delle capacità di ciascuno, fino al punto di arrivare a considerare come poco maschile dedicarsi all’arte o alla danza e poco femminile svolgere un incarico di guida. Questo, grazie a Dio, è cambiato, ma in alcuni luoghi certe concezioni inadeguate continuano a condizionare la legittima libertà e a mutilare l’autentico sviluppo dell’identità concreta dei figli e delle loro potenzialità».
Amen
– di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
30/9/2016
http://www.riscossacristiana.it/gender-attacco-finale-come-si-diventa-collaborazionisti-di-elisabetta-frezza-e-patrizia-fermani/
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30-09-2016
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