Gender, attacco finale. Col contributo degli ex-combattenti
A cose già fatte si convocano alla Camera varie associazioni pro-vita e pro-famiglia. Che cascano nella rete, come ProVita Onlus che, convertita al “dialogo”, produce uno stupefacente documento. Prima di esaminarlo, domani, nel dettaglio, riassumiamo la storia surreale del “gender”, un maledetto imbroglio ultraventennale. Forse questo riassunto sarà utile anche ai “dialogatori”…
di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
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I nostri legislatori, dopo aver introdotto l’insegnamento curricolare obbligatorio al pansessualismo, all’indifferentismo sessuale e all’omoerotismo attraverso la “buona scuola”, si stanno impegnando senza distinzione di schieramento a presentare disegni di legge specifici sulla “educazione di genere” (allo stato sono ben otto), interpretativi a scanso di equivoci di ciò che già risulta statuito grazie alla ormai nota matrioska normativa con cui si è riformato, fraudolentemente, il sistema di istruzione: la legge 107/2015, che rinvia alla legge sul femminicidio (l.119/2013, applicativa della Convenzione di Istanbul del 2011), la quale recepisce in blocco il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che «deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione dell’Unione Europea».
Una riforma “multistrato”, predisposta per inglobare nell’ordinamento interno tutto quanto viene architettato e sfornato in sede sovranazionale.
Stavolta però, visto che i giochi sono ormai fatti e non ci sono più rischi che la micidiale macchina da guerra si inceppi sul suolo italico, i legislatori, essendo democratici, hanno pensato di tributare un tardivo omaggio al pluralismo, invitando a consultazioni “post factum” anche quanti erano stati esclusi dall’iter relativo alla legge 107, oltre che dalla elaborazione delle famose “linee guida” di imminente pubblicazione.
Così, varie associazioni che ruotano nell’orbita pro vita e pro famiglia sono state convocate in audizione presso la Camera dei Deputati e hanno potuto depositare le loro memorie.
Forse per la premura di non scontentare l’ospite, forse complice un po’ di vanità da passerella, si sono dimostrate subito disponibili ad imbastire un dialogo con gli ex nemici per arrivare a una soluzione condivisa, grazie alla quale il tiranno non sarà più costretto a imporre ai sudditi le proprie angherie perché questi si immoleranno spontaneamente firmando il consenso all’eutanasia collettiva.
Risulta significativo a questo proposito il documento presentato dall’Associazione ProVita Onlus, che una volta combatteva ilgender, l’omosessualismo, l’educazione sessuale obbligatoria. E che oggi con essi dialoga; aderendo, evidentemente, a quella dialettica innovativa tanto in voga per cui non ci si preoccupa più di dimostrare la propria tesi e di dare la maggior forza possibile a un ragionamento compiuto, ma ci si sforza di cercare in quello che si dovrebbe combattere e confutare quali siano gli elementi condivisibili. Così, possono essere ripetute all’infinito formule vuote di significato pratico quali “difendiamo questo o quello” senza dire perché e per come, senza indicare quale sia il proprio piano e come si pensa di realizzarlo.
Insomma, viene portata una inaspettata e decisiva acqua al mulino di quelli che dovrebbero essere gli avversari e che sono diventati, invece, interlocutori da intrattenere e da interessare al proprio (presuntamente) diverso punto di vista.
A riprova di ciò, cerchiamo dunque anzitutto di riassumere in modo schematico, e per l’ennesima volta, la storia surreale delgender, cioè della devastante follia che è stata inoculata nel “pensiero” collettivo come il veleno nell’orecchio al padre dormiente di Amleto.
E per capire con quale idra vorace abbiamo a che fare quando parliamo di “genere”, basta sfogliare il perfetto, chiaro, esauriente libretto di istruzioni di Dale O’ Leary, tradotto e prefatto da Dina Nerozzi nella edizione italiana, che spiegava già nel 1997, per chi non vuole far la fatica di pensare e di indagare, come è nata questa invenzione, quali gli obiettivi degli inventori.
Mentre, per gli effetti della sua immissione sul mercato, chiunque non abbia ancora messo la testa sul comodino a mo’ di soprammobile muto, dovrebbe fare lo sforzo non sovrumano di comprenderli da solo.
Attingiamo dunque all’illuminante libro di Dale O’Leary, The Gender Agenda. Redefining Equality, Vital Issues Press, 1997; in italiano Maschi o femmine? La guerra del genere, Rubbettino, 2006.
1) L’agenda di genere viene apparecchiata già dal tardo dopoguerra dalle femministe radicali, cioè non quelle che chiedevano condizioni migliori di lavoro un secolo fa, ma quelle che rivendicano l’indifferentismo sessuale come conquista da realizzare con tutti i mezzi.
Sono invariabilmente lesbiche ed esorcizzano il proprio disagio esistenziale e psichico puntando alla decostruzione della famiglia, causa prima di oppressione, secondo il piano ideologico di Engels che sosteneva: «la famiglia individuale moderna è fondata sulla schiavitù, aperta o nascosta, della moglie».
Odiano il maschio («gli uomini sono dei mostri e le donne sono tutte oppresse, sempre e ovunque») e declinano la lotta tra i sessi sulla falsariga della lotta di classe. «La prima lotta di classe – secondo Engels – avviene dentro la famiglia e la prima divisione del lavoro è quella tra uomo e donna per la riproduzione dei bambini». (Vedi “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato”).
Bisogna dunque distruggere la famiglia. Siccome la famiglia è fondata sulla complementarietà dei sessi, la via da percorrere è quella di superare la distinzione tra maschio e femmina (indifferentismo sessuale). Ma c’è lo scoglio di una realtà oggettiva che appare disegnata dalla natura stessa, ed ecco allora la trovata risolutiva: il dato biologico è irrilevante, le diversità esistenti tra uomini e donne non sono naturali ma costruite, e pertanto possono e devono essere cambiate.
Il “genere” è la chiave per attuare la nuova rivoluzione. La rivoluzione avrebbe portato con sè anche la liberazione sessuale totale e la liberazione dalle restrizioni del matrimonio e della famiglia.
L’agenda di genere è fondata sull’assunto che la mascolinità e la femminilità, l’uomo e la donna, la maternità e la paternità, l’eterosessualità, siano ruoli artificiali, arbitrari e creati culturalmente. Questo concetto innovativo viene formalizzato nel 1995 in un documento dell’ONU che recita testualmente: «adottare una prospettiva di genere significa distinguere tra quello che è naturale e biologico e quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare i confini tra il naturale e la sua relativa inflessibilità e il sociale e la sua relativa modificabilità».
Se il sistema sovietico controllava le strutture economiche e politiche, le femministe vogliono dunque controllare i rapporti intimi e la famiglia.
L’idea militante femminista è infatti quella di distruggere la famiglia, promuovere la liberazione sessuale, difendere l’aborto su richiesta.
Le femministe radicali si formano anche all’idea del controllo della riproduzione; la liberazione richiedeva il controllo assoluto sulla gravidanza e sulla nascita, incluso l’accesso alla contraccezione e all’aborto.
2) Paladina e simbolo della prospettiva di genere è Shulamith Firestone, la femminista lesbica morta suicida nel 2012, del cui pensiero è utile fornire un breve florilegio.
La Firestone sostiene che la rivoluzione, sulla falsariga del marxismo, deve portare alla cancellazione della distinzione in classi sessuali, e la chiave per raggiungere questo risultato è il controllo della riproduzione. Il cuore della agenda di genere, di conseguenza, è l’eliminazione della distinzione sessuale e il controllo della riproduzione.
Il primo obiettivo della rivoluzione, per la Firestone, dovrebbe essere quello di liberare le donne dal peso di far nascere i figli. Ritiene che, se le donne si rifiutassero di fare figli, gli uomini sarebbero costretti a inventarsi una soluzione tecnologica del problema: «se la riproduzione della specie da parte di un sesso a beneficio di entrambi venisse rimpiazzata dalla riproduzione artificiale, i bambini nascerebbero uguali in entrambi i sessi…e la tirannia della famiglia biologica sarebbe finalmente spezzata» (come si vede, la signora ha preconizzato in tempi ancora non sospetti gli esiti attuali del processo di fabbricazione dell’uomo in laboratorio – ndr).
La eliminazione della famiglia deve essere accompagnata dalla liberazione della sessualità da ogni restrizione riguardante il numero, il sesso, l’età, i rapporti biologici, o lo stato maritale dei partecipanti. Occorre «un ritorno al pansessualismo senza ostacoli, la perversità polimorfa freudiana sostituirà la etero omo o bi sessualità». Su questa base, la Firestone reclama anche la totale liberazione sessuale dei bambini e la abolizione virtuale dell’infanzia: «dobbiamo includere anche l’oppressione dei bambini in ogni programma della rivoluzione femminista…il nostro passo finale deve essere la eliminazione della nostra condizione di femminilità e infanzia». «Il tabù dell’incesto – dice – attualmente serve solo a preservare la famiglia: se ci sbarazzassimo della famiglia ci sbarazzeremmo anche delle repressioni che vedono la sessualità posta in formazioni specifiche. Una volta che tutto sia livellato in parità, la maggior parte della gente potrebbe ancora preferire il sesso opposto semplicemente perché è fisicamente più conveniente» (sic!). E «Una volta eliminato il tabù dell’incesto, non ci sarebbe niente di male se un bambino avesse dei rapporti sessuali con la madre». (Cfr. “La dialettica dei sessi”, New York, 1972). Anche in questo bisogna riconoscere la lungimiranza della signora: auspicava allora la legalizzazione dell’incesto e della pedofilia, che si intravede ora come traguardo prossimo venturo.
3) Su tale sostrato ideologico modellato dalle femministe radicali, si inserisce il movimento omosessualista, che vi trova una piattaforma utile a lanciare le proprie rivendicazioni.
La cultura gay-lesbica, d’altro canto, è vista come una forza sovversiva capace di sfidare la natura egemonica dell’idea della famiglia. Questa idea di ridefinire la famiglia torna a galla continuamente nella cultura femminista e omosessualista. Pubblicamente le femministe e gli omosessuali si dichiarano per la famiglia. Non vogliono eliminare la famiglia bensì ridisegnarla, in base ai canoni suggeriti dalla cultura gay e lesbica. Usano la parola famiglia ma ne cambiano il significato. La “famiglia” femminista è presentata prima come quella formata da due femmine e un cane e, oggi, da due lesbiche e un bambino prodotto in laboratorio.
Un esempio perfetto di questo inganno – dice la O’ Leary – è il libro di Hillary Clinton It takes a village (del 1996), che è apparentemente pieno di saggezza pro-famiglia. In realtà vi si ritrova l’intera ideologia femminista di genere allo stato puro.
Forse la signora Clinton è stata una allieva della signora Firestone. Al pari di suo marito.
4) L’invenzione del “genere” è dunque l’arma letale a servizio della agognata rivoluzione. Quel primo nucleo di combattimento che l’ha ideata si ingrossa successivamente di enormi contingenti collegati tra loro da interessi distinti ma sovrapponibili, e tutti insieme promuovono l’agenda di genere.
Un supporto fondamentale è offerto da: il gruppo che si occupa del controllo della popolazione; quello dei libertari della sessualità; gli attivisti dei diritti degli omosessuali; i promotori multiculturali del politically correct; la componente estremista degli ambientalisti; i neo-marxisti progressisti; i decostruzionisti postmodernisti; i grandi liberal governativi; molte corporazioni multinazionali. Tutti impegnati a infondere la prospettiva di genere in ogni programma politico che investa sia il settore pubblico che quello privato.
Secondo la O’ Leary «questi gruppi sono interessati a stabilire il principio secondo il quale il genere deve diventare la forza di governo del mondo».
La penetrazione capillare in organismi potentissimi e già consacrati al dominio della popolazione (ONU e ong collegate) ha fornito i mezzi per organizzare un enorme esercito ben equipaggiato capace di imporre la strategia di combattimento e la realizzazione del programma rivoluzionario. Provenendo tutti, quali profughi del sessantotto, dal marxismo (borghese) di lotta e di governo, sono anche esperti nel maneggiare gli strumenti del totalitarismo.
5) Il programma completo della agenda di genere viene esposto per la prima volta in modo dettagliato nella conferenza di Pechino sulla donna (1995), ma questa era stata preceduta da una serie di conferenze regionali preparatorie dominate dai gruppi femministi e omosessualisti incardinati nelle strutture burocratiche dell’ONU.
Le organizzazioni pro famiglia non venivano nè informate delle conferenze preparatorie nè ad esse invitate e soltanto casualmente alcuni loro membri riuscirono a scoprire che si stava alimentando questa “prospettiva di genere”, e che essa era volta a promuovere l’ideologia femminista radicale e l’omosessualità.
Del resto, si trattava di una esclusione preordinata, infatti era stata impartita la direttiva di “monitorare e opporsi all’internazionalizzazione dei movimenti anti-abortisti e fondamentalisti…contrastare gli estremisti e il fondamentalismo religioso e ridurre le preoccupazioni morali spazio/famiglia valori/famiglia”. Laddove per fondamentalisti si intendevano “i cattolici, i cristiano-evangelici, i cristiano-ortodossi, i musulmani, quanti si dichiaravano a favore della vita, quanti credevano nella complementarietà tra uomo e donna, e quanti consideravano la maternità una vocazione speciale della donna”.
L’ONU infatti rifiutò l’accreditamento dei gruppi pro famiglia adducendo che aveva senso ammettere solo i gruppi “le cui attività risultavano interessanti per la conferenza, e di conseguenza fu accettato il Catholic for a Free Choice, un’organizzazione senza aderenti, con 14 impiegati sostenuta economicamente da ricche fondazioni” (Soros su tutti).
Quando la Coalizione per le donne e la famiglia, organizzatasi autonomamente in extremis per cercare di contrastare l’ingranaggio, al termine dei lavori preparatori sollevò delle obiezioni sul significato della parola genere (ripetuta più di 200 volte nel testo senza precisazioni), si sentì rispondere: «nessuno ci obbligherà a tornare indietro al concetto di “la biologia è destino” che cerca di definire, confinare e ridurre le donne alle loro caratteristiche fisiche», perché «la definizione di genere è già entrata nell’attuale discorso sociale, politico e legale e si è evoluta come differenziata dalla parola sesso, per esprimere la realtà che i ruoli delle donne e degli uomini e i loro status sono costruiti socialmente e soggetti a cambiamento».
La nozione di genere proposta è stata espressamente definita “non-negoziabile”, e si è affermato che «il tentativo messo in atto da alcuni Stati membri (come ad esempio l’Honduras) di eliminare la parola gender dalla piattaforma di azione ripristinando la parola sesso è un qualcosa di ingiurioso e svilente».
Alla fine, senza alcuna remora, le femministe ammettono apertamente che «l’inclusione della prospettiva di genere in tutti gli aspetti delle attività dell’ONU è un impegno fondamentale approvato già nelle precedenti conferenze e pertanto doveva essere riaffermato e rafforzato nella quarta conferenza internazionale sulle donne».
A Pechino viene dunque presentata una ponderosa piattaforma di azione, risultato di capillari lavori preparatori, che i rappresentanti pro famiglia non erano stati in grado di conoscere per tempo e che comunque risultava loro in gran parte indecifrabile, soprattutto per chi proveniva dall’Africa francofona e dal Sudamerica, perché tradotta esclusivamente in lingua inglese. I loro sforzi disperati di far sentire un controcanto si sono infranti contro un muro impenetrabile.
In quella sede, nel 1995, non si è fatto altro che ratificare tutto un poderoso lavorio pregresso e sommerso, paragonabile a quello di un sottomarino destinato ad emergere in superficie al momento stabilito.
Sta di fatto – dice la O’ Leary – che erano ignorati completamente i bisogni delle donne che lavorano a casa e nulla di positivo era detto sul matrimonio, sulla vita famigliare, sulla maternità, sui diritti dei genitori, e sulla religione.
Tutti gli organismi attivi all’ONU formalmente istituiti per le donne – continua – non hanno mai dimostrato alcun interesse ad aiutare le donne a risolvere i loro problemi reali, anzi scoraggiano questo tipo di aiuto perché “potrebbe mantenerle nella loro condizione di mogli e di madri”. Del resto, la mistica di riferimento per tutte le femministe radicali rimane Simone de Beauvoir, secondo la quale «a nessuna donna dovrebbe essere consentito di stare a casa a badare ai figli…Le donne non dovrebbero avere questa possibilità di scelta, per il semplice fatto che se esistesse una tale opzione sarebbero in troppe a sceglierla».
Dunque, alla fine, l’agenda di genere si rivolge in realtà non tanto contro il maschio, quanto contro le donne stesse, tutte quelle che pongono al centro del proprio orizzonte la maternità e la famiglia.
6) Del resto – per Dale O’ Leary – l’ONU è popolato di persone che credono che il mondo abbia bisogno di quattro cose fondamentali: A) meno gente; B) più piacere sessuale; C) l’eliminazione delle differenze tra uomo e donna; D) niente madri a tempo pieno.
La loro ricetta per salvaguardare il mondo – dice – è la prospettiva di genere, che deve essere diffusa in ogni programma, ad ogni livello in tutti i paesi, ed è sintetizzabile così: 1. Contraccezione e aborto libero; 2. Promozione della omosessualità (sesso senza figli); 3. Corsi di educazione sessuale che incoraggiano la sperimentazione sessuale tra i bambini e corsi in cui si dice che l’omosessualità è normale e che gli uomini e le donne sono la stessa cosa; 4. Eliminazione dei diritti dei genitori in modo che i genitori non possano impedire ai bambini di fare sesso, educazione sessuale, contraccezione o aborti; 5. Quote 50% maschi/femmine; 6. Tutte le donne come forza lavoro; 6. Screditare tutte le religioni che si oppongono all’Agenda.
A Pechino – continua l’Autrice – si sono convinti di aver ricevuto il mandato di imporre la loro agenda a ogni famiglia nel mondo.
E tuttavia “non sono abbastanza pazzi da credere di poter vendere questa agenda alla gente comune”. Pertanto “l’Agenda di Genere viene proposta dentro un pacco farcito di retorica sull’uguaglianza e sui diritti, in cui si parla anche di famiglie, di salute e di giustizia. Dicono di voler migliorare la qualità della vita delle donne, ma sono proprio le donne che prendono di mira, le donne che vogliono stare a casa a badare ai loro figli, le donne che vogliono proteggere i loro figli dallo sfruttamento sessuale, le donne che vogliono fare i lavori tradizionali, le donne che non vogliono che femministe radicali e lesbiche parlino in loro nome, le donne che credono che Dio sia il loro padre amorevole che sta nei cieli”.
7) Cosa si può fare, allora per fermare l’Agenda di Genere?
Lasciamo ancora una volta la parola a Dale O’ Leary.
“Il primo passo – afferma l’autrice – certamente è quello di esporsi. Le femministe di genere hanno lasciato tracce di carta, bisogna far rimangiare loro le loro stesse parole”.
“La cosa più deprecabile dei propugnatori della rivoluzione sessuale è il fatto che essi hanno preso di mira i bambini, sperano di condizionare gli innocenti all’autoerotismo, li espongono ai predatori e a comportamenti dannosi. Noi abbiamo consegnato i bambini nelle mani di molestatori sessuali e di esibizionisti che si mascherano da educatori del sesso”.
E ancora: “gli adulti non dovrebbero mentire ai bambini. L’uguaglianza statistica non è un fine nobile, ma uno schema totalitario di cambio di potere, che passa non alle donne ordinarie, ma alle élite delle femministe che diventerebbero le tiranne del nuovo ordine del mondo”.
Ecco dunque la sua conclusione: “l’Agenda di Genere non potrà essere sconfitta fintanto che la gente non deciderà di alzarsi e di dire «basta linguaggi inclusivi, basta con il politicamente corretto». Ci dobbiamo rifiutare di dire ‘genere’ quando vogliamo dire ‘sesso’. Coloro che si sentono offesi dalla realtà e dalla natura umana dovranno convivere con questo sentimento e farsene una ragione”.
Il libro termina con le parole seguenti: “l’Agenda di Genere mi fa venire in mente un gigantesco pallone dentro una piccola stanza; fintanto che ciascuno tratta il pallone con rispetto questo continua a espandersi e, magari, potrà anche soffocare la gente che si trova nella stanza, ma tutto quello che serve per fermare questo pallone gonfiato è un piccolo ago. Questo libro vuole essere quel piccolo ago”.
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(1 – continua)
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I nostri legislatori, dopo aver introdotto l’insegnamento curricolare obbligatorio al pansessualismo, all’indifferentismo sessuale e all’omoerotismo attraverso la “buona scuola”, si stanno impegnando senza distinzione di schieramento a presentare disegni di legge specifici sulla “educazione di genere” (allo stato sono ben otto), interpretativi a scanso di equivoci di ciò che già risulta statuito grazie alla ormai nota matrioska normativa con cui si è riformato, fraudolentemente, il sistema di istruzione: la legge 107/2015, che rinvia alla legge sul femminicidio (l.119/2013, applicativa della Convenzione di Istanbul del 2011), la quale recepisce in blocco il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, che «deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione dell’Unione Europea».
Una riforma “multistrato”, predisposta per inglobare nell’ordinamento interno tutto quanto viene architettato e sfornato in sede sovranazionale.
Stavolta però, visto che i giochi sono ormai fatti e non ci sono più rischi che la micidiale macchina da guerra si inceppi sul suolo italico, i legislatori, essendo democratici, hanno pensato di tributare un tardivo omaggio al pluralismo, invitando a consultazioni “post factum” anche quanti erano stati esclusi dall’iter relativo alla legge 107, oltre che dalla elaborazione delle famose “linee guida” di imminente pubblicazione.
Così, varie associazioni che ruotano nell’orbita pro vita e pro famiglia sono state convocate in audizione presso la Camera dei Deputati e hanno potuto depositare le loro memorie.
Forse per la premura di non scontentare l’ospite, forse complice un po’ di vanità da passerella, si sono dimostrate subito disponibili ad imbastire un dialogo con gli ex nemici per arrivare a una soluzione condivisa, grazie alla quale il tiranno non sarà più costretto a imporre ai sudditi le proprie angherie perché questi si immoleranno spontaneamente firmando il consenso all’eutanasia collettiva.
Risulta significativo a questo proposito il documento presentato dall’Associazione ProVita Onlus, che una volta combatteva ilgender, l’omosessualismo, l’educazione sessuale obbligatoria. E che oggi con essi dialoga; aderendo, evidentemente, a quella dialettica innovativa tanto in voga per cui non ci si preoccupa più di dimostrare la propria tesi e di dare la maggior forza possibile a un ragionamento compiuto, ma ci si sforza di cercare in quello che si dovrebbe combattere e confutare quali siano gli elementi condivisibili. Così, possono essere ripetute all’infinito formule vuote di significato pratico quali “difendiamo questo o quello” senza dire perché e per come, senza indicare quale sia il proprio piano e come si pensa di realizzarlo.
Insomma, viene portata una inaspettata e decisiva acqua al mulino di quelli che dovrebbero essere gli avversari e che sono diventati, invece, interlocutori da intrattenere e da interessare al proprio (presuntamente) diverso punto di vista.
A riprova di ciò, cerchiamo dunque anzitutto di riassumere in modo schematico, e per l’ennesima volta, la storia surreale delgender, cioè della devastante follia che è stata inoculata nel “pensiero” collettivo come il veleno nell’orecchio al padre dormiente di Amleto.
E per capire con quale idra vorace abbiamo a che fare quando parliamo di “genere”, basta sfogliare il perfetto, chiaro, esauriente libretto di istruzioni di Dale O’ Leary, tradotto e prefatto da Dina Nerozzi nella edizione italiana, che spiegava già nel 1997, per chi non vuole far la fatica di pensare e di indagare, come è nata questa invenzione, quali gli obiettivi degli inventori.
Mentre, per gli effetti della sua immissione sul mercato, chiunque non abbia ancora messo la testa sul comodino a mo’ di soprammobile muto, dovrebbe fare lo sforzo non sovrumano di comprenderli da solo.
Attingiamo dunque all’illuminante libro di Dale O’Leary, The Gender Agenda. Redefining Equality, Vital Issues Press, 1997; in italiano Maschi o femmine? La guerra del genere, Rubbettino, 2006.
1) L’agenda di genere viene apparecchiata già dal tardo dopoguerra dalle femministe radicali, cioè non quelle che chiedevano condizioni migliori di lavoro un secolo fa, ma quelle che rivendicano l’indifferentismo sessuale come conquista da realizzare con tutti i mezzi.
Sono invariabilmente lesbiche ed esorcizzano il proprio disagio esistenziale e psichico puntando alla decostruzione della famiglia, causa prima di oppressione, secondo il piano ideologico di Engels che sosteneva: «la famiglia individuale moderna è fondata sulla schiavitù, aperta o nascosta, della moglie».
Odiano il maschio («gli uomini sono dei mostri e le donne sono tutte oppresse, sempre e ovunque») e declinano la lotta tra i sessi sulla falsariga della lotta di classe. «La prima lotta di classe – secondo Engels – avviene dentro la famiglia e la prima divisione del lavoro è quella tra uomo e donna per la riproduzione dei bambini». (Vedi “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato”).
Bisogna dunque distruggere la famiglia. Siccome la famiglia è fondata sulla complementarietà dei sessi, la via da percorrere è quella di superare la distinzione tra maschio e femmina (indifferentismo sessuale). Ma c’è lo scoglio di una realtà oggettiva che appare disegnata dalla natura stessa, ed ecco allora la trovata risolutiva: il dato biologico è irrilevante, le diversità esistenti tra uomini e donne non sono naturali ma costruite, e pertanto possono e devono essere cambiate.
Il “genere” è la chiave per attuare la nuova rivoluzione. La rivoluzione avrebbe portato con sè anche la liberazione sessuale totale e la liberazione dalle restrizioni del matrimonio e della famiglia.
L’agenda di genere è fondata sull’assunto che la mascolinità e la femminilità, l’uomo e la donna, la maternità e la paternità, l’eterosessualità, siano ruoli artificiali, arbitrari e creati culturalmente. Questo concetto innovativo viene formalizzato nel 1995 in un documento dell’ONU che recita testualmente: «adottare una prospettiva di genere significa distinguere tra quello che è naturale e biologico e quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare i confini tra il naturale e la sua relativa inflessibilità e il sociale e la sua relativa modificabilità».
Se il sistema sovietico controllava le strutture economiche e politiche, le femministe vogliono dunque controllare i rapporti intimi e la famiglia.
L’idea militante femminista è infatti quella di distruggere la famiglia, promuovere la liberazione sessuale, difendere l’aborto su richiesta.
Le femministe radicali si formano anche all’idea del controllo della riproduzione; la liberazione richiedeva il controllo assoluto sulla gravidanza e sulla nascita, incluso l’accesso alla contraccezione e all’aborto.
2) Paladina e simbolo della prospettiva di genere è Shulamith Firestone, la femminista lesbica morta suicida nel 2012, del cui pensiero è utile fornire un breve florilegio.
La Firestone sostiene che la rivoluzione, sulla falsariga del marxismo, deve portare alla cancellazione della distinzione in classi sessuali, e la chiave per raggiungere questo risultato è il controllo della riproduzione. Il cuore della agenda di genere, di conseguenza, è l’eliminazione della distinzione sessuale e il controllo della riproduzione.
Il primo obiettivo della rivoluzione, per la Firestone, dovrebbe essere quello di liberare le donne dal peso di far nascere i figli. Ritiene che, se le donne si rifiutassero di fare figli, gli uomini sarebbero costretti a inventarsi una soluzione tecnologica del problema: «se la riproduzione della specie da parte di un sesso a beneficio di entrambi venisse rimpiazzata dalla riproduzione artificiale, i bambini nascerebbero uguali in entrambi i sessi…e la tirannia della famiglia biologica sarebbe finalmente spezzata» (come si vede, la signora ha preconizzato in tempi ancora non sospetti gli esiti attuali del processo di fabbricazione dell’uomo in laboratorio – ndr).
La eliminazione della famiglia deve essere accompagnata dalla liberazione della sessualità da ogni restrizione riguardante il numero, il sesso, l’età, i rapporti biologici, o lo stato maritale dei partecipanti. Occorre «un ritorno al pansessualismo senza ostacoli, la perversità polimorfa freudiana sostituirà la etero omo o bi sessualità». Su questa base, la Firestone reclama anche la totale liberazione sessuale dei bambini e la abolizione virtuale dell’infanzia: «dobbiamo includere anche l’oppressione dei bambini in ogni programma della rivoluzione femminista…il nostro passo finale deve essere la eliminazione della nostra condizione di femminilità e infanzia». «Il tabù dell’incesto – dice – attualmente serve solo a preservare la famiglia: se ci sbarazzassimo della famiglia ci sbarazzeremmo anche delle repressioni che vedono la sessualità posta in formazioni specifiche. Una volta che tutto sia livellato in parità, la maggior parte della gente potrebbe ancora preferire il sesso opposto semplicemente perché è fisicamente più conveniente» (sic!). E «Una volta eliminato il tabù dell’incesto, non ci sarebbe niente di male se un bambino avesse dei rapporti sessuali con la madre». (Cfr. “La dialettica dei sessi”, New York, 1972). Anche in questo bisogna riconoscere la lungimiranza della signora: auspicava allora la legalizzazione dell’incesto e della pedofilia, che si intravede ora come traguardo prossimo venturo.
3) Su tale sostrato ideologico modellato dalle femministe radicali, si inserisce il movimento omosessualista, che vi trova una piattaforma utile a lanciare le proprie rivendicazioni.
La cultura gay-lesbica, d’altro canto, è vista come una forza sovversiva capace di sfidare la natura egemonica dell’idea della famiglia. Questa idea di ridefinire la famiglia torna a galla continuamente nella cultura femminista e omosessualista. Pubblicamente le femministe e gli omosessuali si dichiarano per la famiglia. Non vogliono eliminare la famiglia bensì ridisegnarla, in base ai canoni suggeriti dalla cultura gay e lesbica. Usano la parola famiglia ma ne cambiano il significato. La “famiglia” femminista è presentata prima come quella formata da due femmine e un cane e, oggi, da due lesbiche e un bambino prodotto in laboratorio.
Un esempio perfetto di questo inganno – dice la O’ Leary – è il libro di Hillary Clinton It takes a village (del 1996), che è apparentemente pieno di saggezza pro-famiglia. In realtà vi si ritrova l’intera ideologia femminista di genere allo stato puro.
Forse la signora Clinton è stata una allieva della signora Firestone. Al pari di suo marito.
4) L’invenzione del “genere” è dunque l’arma letale a servizio della agognata rivoluzione. Quel primo nucleo di combattimento che l’ha ideata si ingrossa successivamente di enormi contingenti collegati tra loro da interessi distinti ma sovrapponibili, e tutti insieme promuovono l’agenda di genere.
Un supporto fondamentale è offerto da: il gruppo che si occupa del controllo della popolazione; quello dei libertari della sessualità; gli attivisti dei diritti degli omosessuali; i promotori multiculturali del politically correct; la componente estremista degli ambientalisti; i neo-marxisti progressisti; i decostruzionisti postmodernisti; i grandi liberal governativi; molte corporazioni multinazionali. Tutti impegnati a infondere la prospettiva di genere in ogni programma politico che investa sia il settore pubblico che quello privato.
Secondo la O’ Leary «questi gruppi sono interessati a stabilire il principio secondo il quale il genere deve diventare la forza di governo del mondo».
La penetrazione capillare in organismi potentissimi e già consacrati al dominio della popolazione (ONU e ong collegate) ha fornito i mezzi per organizzare un enorme esercito ben equipaggiato capace di imporre la strategia di combattimento e la realizzazione del programma rivoluzionario. Provenendo tutti, quali profughi del sessantotto, dal marxismo (borghese) di lotta e di governo, sono anche esperti nel maneggiare gli strumenti del totalitarismo.
5) Il programma completo della agenda di genere viene esposto per la prima volta in modo dettagliato nella conferenza di Pechino sulla donna (1995), ma questa era stata preceduta da una serie di conferenze regionali preparatorie dominate dai gruppi femministi e omosessualisti incardinati nelle strutture burocratiche dell’ONU.
Le organizzazioni pro famiglia non venivano nè informate delle conferenze preparatorie nè ad esse invitate e soltanto casualmente alcuni loro membri riuscirono a scoprire che si stava alimentando questa “prospettiva di genere”, e che essa era volta a promuovere l’ideologia femminista radicale e l’omosessualità.
Del resto, si trattava di una esclusione preordinata, infatti era stata impartita la direttiva di “monitorare e opporsi all’internazionalizzazione dei movimenti anti-abortisti e fondamentalisti…contrastare gli estremisti e il fondamentalismo religioso e ridurre le preoccupazioni morali spazio/famiglia valori/famiglia”. Laddove per fondamentalisti si intendevano “i cattolici, i cristiano-evangelici, i cristiano-ortodossi, i musulmani, quanti si dichiaravano a favore della vita, quanti credevano nella complementarietà tra uomo e donna, e quanti consideravano la maternità una vocazione speciale della donna”.
L’ONU infatti rifiutò l’accreditamento dei gruppi pro famiglia adducendo che aveva senso ammettere solo i gruppi “le cui attività risultavano interessanti per la conferenza, e di conseguenza fu accettato il Catholic for a Free Choice, un’organizzazione senza aderenti, con 14 impiegati sostenuta economicamente da ricche fondazioni” (Soros su tutti).
Quando la Coalizione per le donne e la famiglia, organizzatasi autonomamente in extremis per cercare di contrastare l’ingranaggio, al termine dei lavori preparatori sollevò delle obiezioni sul significato della parola genere (ripetuta più di 200 volte nel testo senza precisazioni), si sentì rispondere: «nessuno ci obbligherà a tornare indietro al concetto di “la biologia è destino” che cerca di definire, confinare e ridurre le donne alle loro caratteristiche fisiche», perché «la definizione di genere è già entrata nell’attuale discorso sociale, politico e legale e si è evoluta come differenziata dalla parola sesso, per esprimere la realtà che i ruoli delle donne e degli uomini e i loro status sono costruiti socialmente e soggetti a cambiamento».
La nozione di genere proposta è stata espressamente definita “non-negoziabile”, e si è affermato che «il tentativo messo in atto da alcuni Stati membri (come ad esempio l’Honduras) di eliminare la parola gender dalla piattaforma di azione ripristinando la parola sesso è un qualcosa di ingiurioso e svilente».
Alla fine, senza alcuna remora, le femministe ammettono apertamente che «l’inclusione della prospettiva di genere in tutti gli aspetti delle attività dell’ONU è un impegno fondamentale approvato già nelle precedenti conferenze e pertanto doveva essere riaffermato e rafforzato nella quarta conferenza internazionale sulle donne».
A Pechino viene dunque presentata una ponderosa piattaforma di azione, risultato di capillari lavori preparatori, che i rappresentanti pro famiglia non erano stati in grado di conoscere per tempo e che comunque risultava loro in gran parte indecifrabile, soprattutto per chi proveniva dall’Africa francofona e dal Sudamerica, perché tradotta esclusivamente in lingua inglese. I loro sforzi disperati di far sentire un controcanto si sono infranti contro un muro impenetrabile.
In quella sede, nel 1995, non si è fatto altro che ratificare tutto un poderoso lavorio pregresso e sommerso, paragonabile a quello di un sottomarino destinato ad emergere in superficie al momento stabilito.
Sta di fatto – dice la O’ Leary – che erano ignorati completamente i bisogni delle donne che lavorano a casa e nulla di positivo era detto sul matrimonio, sulla vita famigliare, sulla maternità, sui diritti dei genitori, e sulla religione.
Tutti gli organismi attivi all’ONU formalmente istituiti per le donne – continua – non hanno mai dimostrato alcun interesse ad aiutare le donne a risolvere i loro problemi reali, anzi scoraggiano questo tipo di aiuto perché “potrebbe mantenerle nella loro condizione di mogli e di madri”. Del resto, la mistica di riferimento per tutte le femministe radicali rimane Simone de Beauvoir, secondo la quale «a nessuna donna dovrebbe essere consentito di stare a casa a badare ai figli…Le donne non dovrebbero avere questa possibilità di scelta, per il semplice fatto che se esistesse una tale opzione sarebbero in troppe a sceglierla».
Dunque, alla fine, l’agenda di genere si rivolge in realtà non tanto contro il maschio, quanto contro le donne stesse, tutte quelle che pongono al centro del proprio orizzonte la maternità e la famiglia.
6) Del resto – per Dale O’ Leary – l’ONU è popolato di persone che credono che il mondo abbia bisogno di quattro cose fondamentali: A) meno gente; B) più piacere sessuale; C) l’eliminazione delle differenze tra uomo e donna; D) niente madri a tempo pieno.
La loro ricetta per salvaguardare il mondo – dice – è la prospettiva di genere, che deve essere diffusa in ogni programma, ad ogni livello in tutti i paesi, ed è sintetizzabile così: 1. Contraccezione e aborto libero; 2. Promozione della omosessualità (sesso senza figli); 3. Corsi di educazione sessuale che incoraggiano la sperimentazione sessuale tra i bambini e corsi in cui si dice che l’omosessualità è normale e che gli uomini e le donne sono la stessa cosa; 4. Eliminazione dei diritti dei genitori in modo che i genitori non possano impedire ai bambini di fare sesso, educazione sessuale, contraccezione o aborti; 5. Quote 50% maschi/femmine; 6. Tutte le donne come forza lavoro; 6. Screditare tutte le religioni che si oppongono all’Agenda.
A Pechino – continua l’Autrice – si sono convinti di aver ricevuto il mandato di imporre la loro agenda a ogni famiglia nel mondo.
E tuttavia “non sono abbastanza pazzi da credere di poter vendere questa agenda alla gente comune”. Pertanto “l’Agenda di Genere viene proposta dentro un pacco farcito di retorica sull’uguaglianza e sui diritti, in cui si parla anche di famiglie, di salute e di giustizia. Dicono di voler migliorare la qualità della vita delle donne, ma sono proprio le donne che prendono di mira, le donne che vogliono stare a casa a badare ai loro figli, le donne che vogliono proteggere i loro figli dallo sfruttamento sessuale, le donne che vogliono fare i lavori tradizionali, le donne che non vogliono che femministe radicali e lesbiche parlino in loro nome, le donne che credono che Dio sia il loro padre amorevole che sta nei cieli”.
7) Cosa si può fare, allora per fermare l’Agenda di Genere?
Lasciamo ancora una volta la parola a Dale O’ Leary.
“Il primo passo – afferma l’autrice – certamente è quello di esporsi. Le femministe di genere hanno lasciato tracce di carta, bisogna far rimangiare loro le loro stesse parole”.
“La cosa più deprecabile dei propugnatori della rivoluzione sessuale è il fatto che essi hanno preso di mira i bambini, sperano di condizionare gli innocenti all’autoerotismo, li espongono ai predatori e a comportamenti dannosi. Noi abbiamo consegnato i bambini nelle mani di molestatori sessuali e di esibizionisti che si mascherano da educatori del sesso”.
E ancora: “gli adulti non dovrebbero mentire ai bambini. L’uguaglianza statistica non è un fine nobile, ma uno schema totalitario di cambio di potere, che passa non alle donne ordinarie, ma alle élite delle femministe che diventerebbero le tiranne del nuovo ordine del mondo”.
Ecco dunque la sua conclusione: “l’Agenda di Genere non potrà essere sconfitta fintanto che la gente non deciderà di alzarsi e di dire «basta linguaggi inclusivi, basta con il politicamente corretto». Ci dobbiamo rifiutare di dire ‘genere’ quando vogliamo dire ‘sesso’. Coloro che si sentono offesi dalla realtà e dalla natura umana dovranno convivere con questo sentimento e farsene una ragione”.
Il libro termina con le parole seguenti: “l’Agenda di Genere mi fa venire in mente un gigantesco pallone dentro una piccola stanza; fintanto che ciascuno tratta il pallone con rispetto questo continua a espandersi e, magari, potrà anche soffocare la gente che si trova nella stanza, ma tutto quello che serve per fermare questo pallone gonfiato è un piccolo ago. Questo libro vuole essere quel piccolo ago”.
– di Elisabetta Frezza e Patrizia Fermani
29/9/2016(1 – continua)
http://www.riscossacristiana.it/gender-attacco-finale-col-contributo-degli-ex-combattenti-di-elisabetta-frezza-e-patrizia-fermani/
COSA C'È VERAMENTE DIETRO LA TEORIA "GENDER"?
29.09.2016
Le ragioni per resistere all'attacco totalitario sferrato dalle élites globali all'istituto familiare
E’ tra il 2013 e il 2014 che in Italia si inizia a parlare con una certa insistenza di "rottamazione" della Famiglia. In un'Europa nella quale pronunciare il nome di Cristo ed agire nel solco da lui tracciato diventava sempre più pericoloso, occorreva concentrare l'offensiva contro l'ultimo baluardo in difesa dell'essere umano, rappresentato appunto dalla Famiglia.
E l’Italia era molto indietro rispetto a Paesi europei più “avanzati” su questo terreno. Occorreva recuperare il gap. L'assalto è quindi iniziato su più fronti, non soltanto su quello legislativo.
E' infatti dalla manipolazione sistematica e sistemica dell'Informazione che è arrivato l'affondo più forte al concetto di Famiglia cosiddetta "naturale", quando cioè in modo subdolo si è tentato di far passare il falso storico che la Famiglia naturale fosse un costrutto sociale inventato dai cattolici. Cosa non vera, se si pensa che la Famiglia naturalmente intesa c’era già prima di Cristo.
L’azione della quasi totalità dei media asserviti al potere, poi, ha fatto il resto.
E l’Italia era molto indietro rispetto a Paesi europei più “avanzati” su questo terreno. Occorreva recuperare il gap. L'assalto è quindi iniziato su più fronti, non soltanto su quello legislativo.
E' infatti dalla manipolazione sistematica e sistemica dell'Informazione che è arrivato l'affondo più forte al concetto di Famiglia cosiddetta "naturale", quando cioè in modo subdolo si è tentato di far passare il falso storico che la Famiglia naturale fosse un costrutto sociale inventato dai cattolici. Cosa non vera, se si pensa che la Famiglia naturalmente intesa c’era già prima di Cristo.
L’azione della quasi totalità dei media asserviti al potere, poi, ha fatto il resto.
Proprio nel 2014, infatti, Papa Francesco intervenne dinanzi all’Europarlamento ed ai leader europei, quasi tutti sostenitori dell’ideologia gender e dell’arcipelago Lgbt, ribadendo il proprio “rammarico” per il “prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico”.
“L’essere umano – affermò Francesco - rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare. Così che, quando la vita non è funzionale a tale meccanismo, viene scartata senza troppe remore come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere”. E concluse, tra gli applausi della maggioranza dell’emiciclo parlamentare: "Affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande, benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla cultura dello scarto”.
Le parole del Pontefice furono sintetizzate banalmente da quasi tutti i media e i passaggi maggiormente significativi del discorso di Francesco censurati senza remore.
“L’essere umano – affermò Francesco - rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare. Così che, quando la vita non è funzionale a tale meccanismo, viene scartata senza troppe remore come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere”. E concluse, tra gli applausi della maggioranza dell’emiciclo parlamentare: "Affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande, benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla cultura dello scarto”.
Le parole del Pontefice furono sintetizzate banalmente da quasi tutti i media e i passaggi maggiormente significativi del discorso di Francesco censurati senza remore.
E’ però attraverso l’introduzione della teoria gender che si è concretizzato l’affondo per modificare la società dalle sue radici e renderla così “fluida”, manipolabile, assoggettabile cioè al volere del mercato.
Ma che cos’è in realtà la teoria del gender?
Secondo i leader della comunità Lgbt “l’ideologia gender non esiste”, è “una invenzione”. Secondo Papa Francesco, invece, è “uno sbaglio della mente umana”.
I "gender studies" iniziarono negli anni '70 ad affermare quelle teorie che, partendo dalla emancipazione della donna, sostenevano l’indifferenzialismo sessuale tra maschile e femminile. Da qui, negli anni ’80, la definizione dei generi “lesbian, gay, bisexual, transgender, queer and intersexual” (LGBTQI) con l’obiettivo di liberare l’essere umano da categorie intese come “gabbie della mente” volute da una società sessista e maschilista. Al contrario, andava radicato nell’opinione pubblica il concetto di uguaglianza assoluta tra uomo e donna. Basta con la distinzione tra mestieri tipicamente maschili e mestieri più propriamente femminili e soprattutto stop al superato concetto di "mamma", ruolo che invece può essere ricoperto anche dell'uomo. Lo scopo è evidente: scardinare l'asse portante della Famiglia retta appunto da una donna, demolendo così definitivamente l'architrave che regge l'unione affettiva di persone intesa nel costrutto sessista e maschilista, che è appunto la Famiglia naturale tradizionalmente intesa.
L’ideologia gender vede quindi il sesso biologico come un dato originario modificabile, "fluido", "liquido". L'individuo deve poter scegliere in quale "genere" identificarsi, deve potersi "autodeterminare" adeguandosi, anche burocraticamente, ad infinite modalità di espressione della propria sessualità la catalogazione delle quali oggi risulterebbe davvero difficile.
Ma che cos’è in realtà la teoria del gender?
Secondo i leader della comunità Lgbt “l’ideologia gender non esiste”, è “una invenzione”. Secondo Papa Francesco, invece, è “uno sbaglio della mente umana”.
I "gender studies" iniziarono negli anni '70 ad affermare quelle teorie che, partendo dalla emancipazione della donna, sostenevano l’indifferenzialismo sessuale tra maschile e femminile. Da qui, negli anni ’80, la definizione dei generi “lesbian, gay, bisexual, transgender, queer and intersexual” (LGBTQI) con l’obiettivo di liberare l’essere umano da categorie intese come “gabbie della mente” volute da una società sessista e maschilista. Al contrario, andava radicato nell’opinione pubblica il concetto di uguaglianza assoluta tra uomo e donna. Basta con la distinzione tra mestieri tipicamente maschili e mestieri più propriamente femminili e soprattutto stop al superato concetto di "mamma", ruolo che invece può essere ricoperto anche dell'uomo. Lo scopo è evidente: scardinare l'asse portante della Famiglia retta appunto da una donna, demolendo così definitivamente l'architrave che regge l'unione affettiva di persone intesa nel costrutto sessista e maschilista, che è appunto la Famiglia naturale tradizionalmente intesa.
L’ideologia gender vede quindi il sesso biologico come un dato originario modificabile, "fluido", "liquido". L'individuo deve poter scegliere in quale "genere" identificarsi, deve potersi "autodeterminare" adeguandosi, anche burocraticamente, ad infinite modalità di espressione della propria sessualità la catalogazione delle quali oggi risulterebbe davvero difficile.
Se la Famiglia si sgretola perché considerata appartenente ad un modello culturale e sociale stantio, vecchio, superato allora non esiste più la famiglia ma esistono “le famiglie”. Per la teoria gender, quindi, ogni aggregato sociale fondato su un generico “amore” è famiglia.
Se tutto è famiglia, allora, occorre una “desessualizzazione” della genitorialità: per fare un figlio non serve più l’unione sessuale tra un uomo e una donna. E non serve nemmeno una famiglia: chiunque, unito o meno ad un altro soggetto di altro sesso o del medesimo, può avere un progetto di genitorialità. L’assunto dal quale si parte è “purché ci sia amore”.
Ecco che la desessualizzazione passa per l’imposizione con forza di metodi alternativi di procreazione come la fecondazione assistita omologa e soprattutto eterologa, modalità prive di vincoli nei rapporti e per questo esempio di una liberalizzazione dell’uomo dai vecchi schemi del passato. L’utero in affitto, che ne incarna la più alta forma, diventa quindi la nuova frontiera di un business camuffato come “atto d’amore” verso il prossimo. Tutto questo passa ovviamente per una idealizzazione dell’omosessualità proposta come modello di liberazione da condizioni sociali oppressive.
Se tutto è famiglia, allora, occorre una “desessualizzazione” della genitorialità: per fare un figlio non serve più l’unione sessuale tra un uomo e una donna. E non serve nemmeno una famiglia: chiunque, unito o meno ad un altro soggetto di altro sesso o del medesimo, può avere un progetto di genitorialità. L’assunto dal quale si parte è “purché ci sia amore”.
Ecco che la desessualizzazione passa per l’imposizione con forza di metodi alternativi di procreazione come la fecondazione assistita omologa e soprattutto eterologa, modalità prive di vincoli nei rapporti e per questo esempio di una liberalizzazione dell’uomo dai vecchi schemi del passato. L’utero in affitto, che ne incarna la più alta forma, diventa quindi la nuova frontiera di un business camuffato come “atto d’amore” verso il prossimo. Tutto questo passa ovviamente per una idealizzazione dell’omosessualità proposta come modello di liberazione da condizioni sociali oppressive.
La “colonizzazione ideologica” denunciata da Papa Francesco si completa quindi con il controllo dell’educazione e della comunicazione: formare le menti dei bambini, forgiare le giovani generazioni inculcando loro l’idea che la famiglia naturale sia soltanto uno stereotipo, penetrare la scuola pubblica attraverso il condivisibile intento di lottare contro le “discriminazioni di genere” e il “bullismo omo-transfobico”, governando nel contempo i centri nevralgici della comunicazione per filtrare il messaggio del pensiero unico dominante.
Infine, dipingere gli oppositori come pericolosi retrogradi limitatori delle libertà altrui, spinti soltanto da odio generato dalla paura verso il diverso.
La conseguenza? Legislazioni punitive, arresti di oppositori e obiettori di coscienza, linciaggio mediatico di chi non si adegua la nuovo diktat ideologico.
Infine, dipingere gli oppositori come pericolosi retrogradi limitatori delle libertà altrui, spinti soltanto da odio generato dalla paura verso il diverso.
La conseguenza? Legislazioni punitive, arresti di oppositori e obiettori di coscienza, linciaggio mediatico di chi non si adegua la nuovo diktat ideologico.
Ma qual è il vero scopo di questa mutazione genetica della società contemporanea in nome di un presunto progresso osannato ed auspicato da tutto il “mondo libero”, che si unisce in questo anelito di libertà allo spot pro lgbt di Obama “Love is love”?
E’ presto detto. E la presenza di alcune tra le più grandi corporazioni multinazionali - Apple, Coca-Cola, Nike, le holding di George Soros, le fondazioni MacArthur, Ford, Goldman e Rockefeller - alle spalle del “clan lgbt” lo testimonia in pieno: disintegrare i “corpi intermedi”” come la famiglia e lasciare in questo modo l’essere umano sempre più solo, pronto a diventare un consumatore e un cittadino in grado di obbedire alla mutevolezza dei mercati e dei sistemi politici attraverso il consumo compulsivo che è l’unica risposta possibile al vuoto della propria esistenza, priva di punti cardine storici rappresentati da valori e stili di vita tramandati di padre in figlio. Senza una “comunità”, peraltro, l’individuo perde anche la sua capacità di organizzare il dissenso. L’uomo, così, è reso pressoché inoffensivo.
E’ presto detto. E la presenza di alcune tra le più grandi corporazioni multinazionali - Apple, Coca-Cola, Nike, le holding di George Soros, le fondazioni MacArthur, Ford, Goldman e Rockefeller - alle spalle del “clan lgbt” lo testimonia in pieno: disintegrare i “corpi intermedi”” come la famiglia e lasciare in questo modo l’essere umano sempre più solo, pronto a diventare un consumatore e un cittadino in grado di obbedire alla mutevolezza dei mercati e dei sistemi politici attraverso il consumo compulsivo che è l’unica risposta possibile al vuoto della propria esistenza, priva di punti cardine storici rappresentati da valori e stili di vita tramandati di padre in figlio. Senza una “comunità”, peraltro, l’individuo perde anche la sua capacità di organizzare il dissenso. L’uomo, così, è reso pressoché inoffensivo.
Dinanzi a questo scenario catastrofico, cosa può fare l’Umanità?
Resistere. E’ questo l’unico imperativo. L’uomo deve resistere. Ed aspettare le condizioni migliori perché si intraveda l’alternativa a questo “mondo post genere” abitato da “cyborg senza storia, senza origini e senza identità”. La risposta può e deve essere una sola: il recupero di un’azione politica indipendente che sappia rimettere al centro del proprio agire l’intransigente posizione, decisamente contraria al buonismo del “politically correct”, di pretendere il riposizionamento delle società su modelli culturali tradizionali che sappiano rimettere al centro la Famiglia, la difesa della Vita fin dal concepimento, la condanna della cultura della dolce morte come scelta di libertà primaria intesa come diritto della persona ed, infine, il recupero dell’Identità della Persona come Soggetto e non come oggetto. Come Persona, appunto, non come cosa.
Resistere. E’ questo l’unico imperativo. L’uomo deve resistere. Ed aspettare le condizioni migliori perché si intraveda l’alternativa a questo “mondo post genere” abitato da “cyborg senza storia, senza origini e senza identità”. La risposta può e deve essere una sola: il recupero di un’azione politica indipendente che sappia rimettere al centro del proprio agire l’intransigente posizione, decisamente contraria al buonismo del “politically correct”, di pretendere il riposizionamento delle società su modelli culturali tradizionali che sappiano rimettere al centro la Famiglia, la difesa della Vita fin dal concepimento, la condanna della cultura della dolce morte come scelta di libertà primaria intesa come diritto della persona ed, infine, il recupero dell’Identità della Persona come Soggetto e non come oggetto. Come Persona, appunto, non come cosa.
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