Lo strano caso dell’«educazione di genere». Di cui nessuno sa dimostrare l’utilità
«Si cerca solo di lottare contro le discriminazioni e il bullismo di cui sono vittime innocenti le persone omosessuali e trans, che non hanno scelto niente, appunto, esattamente come le persone eterosessuali», ha scritto ieri su Repubblica Michela Marzano, filosofa eletta parlamentare tra le file del Pd, in risposta alle recenti e pesantissime critiche di Papa Francesco alla teoria del gender.
Analogamente, qualche tempo fa, sempre a difesa dell’«educazione di genere», Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, aveva dichiarato che «educazione di genere significa educare al rispetto delle differenze per prevenire violenza o discriminazione». Ora, tanta enfasi sull’argomento lascia intendere che davvero l’«educazione di genere», non a caso oggetto di diverse proposte di legge parlamentari, abbia risvolti se non propriamente miracolosi quanto meno d’indubbia efficacia; peccato che la realtà sia che finora, nonostante molteplici sperimentazioni, non si è stati in grado di stabilirne l’effettiva utilità.
Al punto che, ogni volta che si tenta di saperne di più sui risultati raggiunti con queste lezioni all’avanguardia, difficilmente se ne cava qualcosa. Significativo, a questo riguardo, è il caso del Trentino dove, – dopo aver promosso, lo scorso anno, percorsi di educazione alla relazione di genere in una ventina di scuole – la Provincia ha scelto, per l’anno scolastico 2016/2017, di sostenere nuovamente l’iniziativa dato che, come si legge nella Deliberazione di Giunta provinciale n° 712 del 6/5/2016, è emersa chiaramente l’«efficacia dei percorsi». Quando però un Consigliere dell’opposizione, Claudio Civettini (Civica Trentina), ha pensato di formulare un’Interrogazione – la n. 3085/XV – per sapere «sulla base di quali rilievi empirici, studi, ricerche o valutazioni rigorosamente non soggettive si è potuta riscontrare l’”efficacia dei percorsi” riproposti», si è visto sostanzialmente ignorato benché, all’atto ispettivo, abbia fatto seguire pure un sollecito di risposta. E pensare che non si trattava di chissà quale minaccioso quesito, ma solo di una pacata richiesta d’informazioni.
Ad ogni modo, per iniziare a sospettare che l’osannata «educazione di genere» sia fuffa ideologica e nei fatti serva a poco, al di là degli enormi dubbi che comunque solleva nel momento in cui viene impartita, come non di rado è accaduto, in assenza di preventivo consenso da parte dei genitori, basta dare un’occhiata alle relazioni di coloro che ne hanno messo in pratica alcuni assaggi. Per esempio, leggendo quanto riferito da un’insegnante che ha seguito lo svolgimento di un gioco presso la Scuola dell’infanzia Andrea del Sarto (Fi), durante il quale maschi e femmine si sono scambiati i grembiuli rispettivamente azzurri e rosa, si scopre quanto parziali ed evanescenti siano stati gli esiti di quell’esperimento: «Non tutti sono d’accordo, alcuni decidono di tenersi il proprio […] Si guardano, si sorridono e si compiacciono…poi dopo un po’ qualcuno si stanca e tutto ritorna come prima» (Educazione alla cura e contrasto degli stereotipi. Inizio di una sperimentazione, Firenze 2008, p. 41).
Curiosamente, che l’«educazione di genere» e la lotta agli stereotipi sessisti, in prospettiva oltre che in tempi brevi, abbiano un’utilità molto dubbia è ammesso dagli stessi studiosi dell’argomento. La psicologa Cordelia Fine, per esempio, ha dedicato alla demolizione dell’idea che esistano differenze significative tra uomini e donne un intero volume, la cui edizione italiana è significativamente intitolata Maschi=Femmine (Ponte Alle Grazie, 2011). Pure lei, tuttavia, ha dovuto ammettere che allo stato «non esistono ricerche che riconducano il mercato dei giocattoli e dei libri di genere alla successiva discriminazione occupazionale o alla condivisione delle faccende domestiche» (Internazionale, 1049, 1.5.2014, p.94). Sulla stessa scia si colloca un altro fatto significativo vale a dire il dietrofront norvegese sull’«educazione di genere», concretizzatosi con la sospensione dei finanziamenti del Nordic Council of Ministers al Nordic Gender Institute. Accanto questo, c’è da considerare un altro dato interessante, che vede la percentuale di giovani italiani tra gli 11 ed i 15 vittima di bullismo (5%) assai più bassa della media europea (11%) e ai livelli della Svezia.
Chiaramente anche un solo caso di bullismo rappresenta qualcosa di inaccettabile e nessuno intende, qui, discutere l’importanza dell’educazione al rispetto tra i giovanissimi. Ma siamo sicuri che questa spetti anzitutto alla scuola anziché alle famiglie? E soprattutto, che senso ha intestardirsi con l’«educazione di genere» in assenza di ogni minimo riscontro sulla sua reale efficacia in termini di prevenzione alla violenza? Non sarebbe più saggio e lungimirante ripensare il tutto alla luce delle evidenze poc’anzi riportate? La sensazione è che vi sia un certo imbarazzo, quasi un senso di fastidio da parte dei sostenitori dell’«educazione di genere» ogni volta che vengono avanzate delle semplici domande. Come se non le idee ma i fatti stessi, nel momento in cui essi dimostrano l’infondatezza di alcune iniziative, svelandone il retroterra ideologico, fossero scomodi. Viene in mente una celebre frase di Hegel (1770-1831): «Se i fatti non si accordano alla teoria, tanto peggio per i fatti».
6 ottobre 2016

«Si cerca solo di lottare contro le discriminazioni e il bullismo di cui sono vittime innocenti le persone omosessuali e trans, che non hanno scelto niente, appunto, esattamente come le persone eterosessuali», ha scritto ieri su Repubblica Michela Marzano, filosofa eletta parlamentare tra le file del Pd, in risposta alle recenti e pesantissime critiche di Papa Francesco alla teoria del gender.
Analogamente, qualche tempo fa, sempre a difesa dell’«educazione di genere», Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione, aveva dichiarato che «educazione di genere significa educare al rispetto delle differenze per prevenire violenza o discriminazione». Ora, tanta enfasi sull’argomento lascia intendere che davvero l’«educazione di genere», non a caso oggetto di diverse proposte di legge parlamentari, abbia risvolti se non propriamente miracolosi quanto meno d’indubbia efficacia; peccato che la realtà sia che finora, nonostante molteplici sperimentazioni, non si è stati in grado di stabilirne l’effettiva utilità.
Al punto che, ogni volta che si tenta di saperne di più sui risultati raggiunti con queste lezioni all’avanguardia, difficilmente se ne cava qualcosa. Significativo, a questo riguardo, è il caso del Trentino dove, – dopo aver promosso, lo scorso anno, percorsi di educazione alla relazione di genere in una ventina di scuole – la Provincia ha scelto, per l’anno scolastico 2016/2017, di sostenere nuovamente l’iniziativa dato che, come si legge nella Deliberazione di Giunta provinciale n° 712 del 6/5/2016, è emersa chiaramente l’«efficacia dei percorsi». Quando però un Consigliere dell’opposizione, Claudio Civettini (Civica Trentina), ha pensato di formulare un’Interrogazione – la n. 3085/XV – per sapere «sulla base di quali rilievi empirici, studi, ricerche o valutazioni rigorosamente non soggettive si è potuta riscontrare l’”efficacia dei percorsi” riproposti», si è visto sostanzialmente ignorato benché, all’atto ispettivo, abbia fatto seguire pure un sollecito di risposta. E pensare che non si trattava di chissà quale minaccioso quesito, ma solo di una pacata richiesta d’informazioni.
Ad ogni modo, per iniziare a sospettare che l’osannata «educazione di genere» sia fuffa ideologica e nei fatti serva a poco, al di là degli enormi dubbi che comunque solleva nel momento in cui viene impartita, come non di rado è accaduto, in assenza di preventivo consenso da parte dei genitori, basta dare un’occhiata alle relazioni di coloro che ne hanno messo in pratica alcuni assaggi. Per esempio, leggendo quanto riferito da un’insegnante che ha seguito lo svolgimento di un gioco presso la Scuola dell’infanzia Andrea del Sarto (Fi), durante il quale maschi e femmine si sono scambiati i grembiuli rispettivamente azzurri e rosa, si scopre quanto parziali ed evanescenti siano stati gli esiti di quell’esperimento: «Non tutti sono d’accordo, alcuni decidono di tenersi il proprio […] Si guardano, si sorridono e si compiacciono…poi dopo un po’ qualcuno si stanca e tutto ritorna come prima» (Educazione alla cura e contrasto degli stereotipi. Inizio di una sperimentazione, Firenze 2008, p. 41).
Curiosamente, che l’«educazione di genere» e la lotta agli stereotipi sessisti, in prospettiva oltre che in tempi brevi, abbiano un’utilità molto dubbia è ammesso dagli stessi studiosi dell’argomento. La psicologa Cordelia Fine, per esempio, ha dedicato alla demolizione dell’idea che esistano differenze significative tra uomini e donne un intero volume, la cui edizione italiana è significativamente intitolata Maschi=Femmine (Ponte Alle Grazie, 2011). Pure lei, tuttavia, ha dovuto ammettere che allo stato «non esistono ricerche che riconducano il mercato dei giocattoli e dei libri di genere alla successiva discriminazione occupazionale o alla condivisione delle faccende domestiche» (Internazionale, 1049, 1.5.2014, p.94). Sulla stessa scia si colloca un altro fatto significativo vale a dire il dietrofront norvegese sull’«educazione di genere», concretizzatosi con la sospensione dei finanziamenti del Nordic Council of Ministers al Nordic Gender Institute. Accanto questo, c’è da considerare un altro dato interessante, che vede la percentuale di giovani italiani tra gli 11 ed i 15 vittima di bullismo (5%) assai più bassa della media europea (11%) e ai livelli della Svezia.
Chiaramente anche un solo caso di bullismo rappresenta qualcosa di inaccettabile e nessuno intende, qui, discutere l’importanza dell’educazione al rispetto tra i giovanissimi. Ma siamo sicuri che questa spetti anzitutto alla scuola anziché alle famiglie? E soprattutto, che senso ha intestardirsi con l’«educazione di genere» in assenza di ogni minimo riscontro sulla sua reale efficacia in termini di prevenzione alla violenza? Non sarebbe più saggio e lungimirante ripensare il tutto alla luce delle evidenze poc’anzi riportate? La sensazione è che vi sia un certo imbarazzo, quasi un senso di fastidio da parte dei sostenitori dell’«educazione di genere» ogni volta che vengono avanzate delle semplici domande. Come se non le idee ma i fatti stessi, nel momento in cui essi dimostrano l’infondatezza di alcune iniziative, svelandone il retroterra ideologico, fossero scomodi. Viene in mente una celebre frase di Hegel (1770-1831): «Se i fatti non si accordano alla teoria, tanto peggio per i fatti».
6 ottobre 2016
Omosessuali si nasce. Chi lo dice?
1° Perchè non legalizzare la poligamia?- 2° La sana filosofia sulla legge naturale- 3° Gay si nasce o si diventa? 4° Come si cancella o si inserisce una malattia mentale nel manuale diagnostico?- 5° La parola agli psichiatri- 6° Cosa ci impedisce adesso di legalizzare anche la pedofilia e le altre aberranti pratiche sessuali?
A cura di Floriana Castro Agnello
1° PERCHE’ NON LEGALIZZARE LA POLIGAMIA?
Le unioni civili tra coppie dello stesso sesso introdotte dal governo Renzi come si diceva prima della loro approvazione sono state un fiasco tremendo: si contano sul palmo di una mano le coppie gay che subito dopo l’approvazione della legge hanno deciso di coronare il loro “sogno d’amore”, insomma pochi omosessuali, (per motivi che conosciamo tutti) decidono di rimanere assieme “finchè morte non li separi… Possiamo affermare che con l’approvazione della legge questo tabù è stato sdoganato e adesso agli occhi dello stato civile una coppia formata da individui dello stesso sesso ha acquisito i diritti di una coppia, composta uomo/donna, regolarmente sposata (acquisizione del cognome, diritti successori, assistenza morale e materiale, possibile comunione dei beni, alimenti in caso di scioglimento dell’unione, pensione di reversibilità e, per via giurisprudenziale, anche l’adozione dei figli del convivente grazie alla magistratura). La legge infatti serviva non tanto per far felici gli omosessuali, (che mai si sono privati della soddisfazione dei loro piaceri), ma tanto alla piena legittimazione di questo tipo di unione anche tra i più conservatori. Ma la guerra ai valori etici e morali dell’uomo non è finita, possiamo dire che è appena iniziata.
Sin dall’indomani dell’approvazione delle leggi sulle unioni inCivili la comunità musulmana dei poligami di tutta Italia si chiede, anche legittimamente a questo punto: perchè gli omosessuali possono sposarsi, mentre i poligami sono perseguiti per legge se hanno più di una consorte? Una domanda che, effettivamente meriterebbe una risposta. Sul fronte delriconoscimento della poligamia, ribattezzata “Poliamore” abbiamo in Italia Hamza Piccardo, fondatore dell’Unione delle comunità islamiche italiane (Ucoii) e padre di Davide Piccardo, figura di spicco del Coordinamento delle Associazioni Islamiche di Milano (Caim). (1) Uno dei primi combattenti per il riconoscimento dei diritti dei poligami – ispirato dalla sentenza che ha legalizzato i matrimoni gay- è stato Nathan Collier, 46 anni, un americano mormone e poligamo del Montana,
che subito dopo il riconoscimento delle coppie gay in USA, si è dichiarato pronto a fare causa allo Stato se dovesse rifiutare di di riconoscere la sua situazione poligamica. Sposato regolarmente con Victoria dal 2000, nel 2007 si è sposato anche con Christine con una funzione religiosa, senza chiedere il riconoscimento civile dell’unione per non essere accusato di poligamia. I tre hanno in tutto sette figli. Quando lo stato poligamico di Collier divenne noto, i mormoni l’hanno scomunicato e ora l’uomo non appartiene a nessuna chiesa riconosciuta.Secondo Collier, infatti, è un problema di «uguaglianza». “Ispirato” dall’ultima sentenza della Corte suprema», che ha legalizzato il matrimonio gay in tutti gli Stati Uniti, Collier ha deciso di battersi perché venga riconosciuta la poligamia. (2)
2° LA SANA FILOSOFIA SULLA LEGGE NATURALE
3° GAY SI NASCE O SI DIVENTA?
L’emblematico video in basso, girato in occasione del gaypride in Brasile -oramai introvabile e più volte e rimosso da youtube mostra un bambino dell’età di circa 7/8 anni “twerkare” con movenze omosessuali. Tale atteggiamento mostra chiaramente che si può benissimo educare un ragazzino ad avere inclinazioni omosessuali. La comunità gay insorse affermando che il video fu in realtà girato al Carnevale di Rio de Janeiro. Giudicate voi…
Anche Sally Kohn, una commentatrice lesbica della CNN che da anni convive con la compagna Sarah Hansen e una bambina, Willa di sei anni, ha espresso il desiderio che sua figlia possa diventare omosessuale!
Oggi ciò alla quale mirano coloro che tirano i fili del potere è un progetto molto ambizioso, ma ormai di facile realizzazione:ottenere in 20 anni un omosessuale su 2. Non vi è alcun dubbio: mentre le masse sono state convinte che la condizione omosessuale non sia modificabile, i potentati sono invece convinti del contrario.
Il vescovo di Cordoba, Demetrio Fernandez ha affermato nel suo sermone che il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia del Vaticano, gli aveva detto “pochi giorni fa a Saragozza che l’Unesco ha previsto per i prossimi 20 anni di ottenere che la metà della popolazione mondiale sia omosessuale”. E, secondo il curioso ragionamento di Fernandez, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura utilizza “vari programmi” per “introdurre l’ideologia di genere, che è già presente nelle nostre scuole”. (5) L’obiettivo di ogni lobby gay, presuppone l’eliminazione delle nazioni identificando i gay con il One World Order. L’LGBT è fortemente coinvolta nel minare il concetto di famiglia, di patria, e le radici di ogni credo (spirituale e religioso)….
L’attivismo gay è un burattino nelle mani delle lobby ebraiche e dei massoni. La formula è matematica; più potenti sono le lobby ebraiche e massoniche, più forte è la lobby gay, e la promozione della bisessualità, dell’ideologia femminista, dell’aborto, dell’immigrazione e così via. In altre parole, vi è un attacco di vastissima portata alla salute delle società e alla loro coesione.
4° COME SI CANCELLA O SI INSERISCE UNA MALATTIA MENTALE NEL MANUALE DIAGNOSTICO?
- “se non è malattia allora è normale”,
- “quindi tra omosessuali ed eterosessuali non ci sono differenze”,
- “ma se non ci sono differenze ne consegue che tutte le tipologie di coppie possono accedere al matrimonio”,
- “e se tutti possono accedere al matrimonio, formando una famiglia, allora significa che i bambini non hanno più bisogno di un padre e una madre”. Questo, in evidente accordo con uno degli assunti più eclatanti dell’ideologia gender: tra uomini e donne le differenze sono solo culturali (dal che deriverebbe che per un bambino essere allevato da un padre e una madre o da due uomini o due donne sarebbe la stessa cosa, quello che conta è solo un generico “amore”)
5° LA PAROLA AGLI PSICHIATRI
6° COSA CI IMPEDISCE ADESSO DI LEGALIZZARE ANCHE LA PEDOFILIA E LE ALTRE PRATICHE SESSUALI?
Molte associazioni omosessuali si sono alleate con i pedofili? Pensiamo al COC (omosessuali olandesi) che hanno chiesto ed ottenuto la legalizzazione del rapporto adulti-minorenni (PEDOFILIA DI STATO). La potentissima lobby omosessuale ILGA (Internatinal lesbian and gay association) la più importante lobby-gay mondiale che unisce più di 400 organizzazioni di 90 paesi in tutto il mondo fra le quali l’Arcigay – la principale organizzazione gay italiana, fondata a Bologna nel 1985 – ha collaborato per 10 anni con i pedofili americani NAMBLA (North American man – Boy Love Association) che hanno come SCOPO la diffusione della PEDOFILIA. Addirittura i rappresentanti del NAMBLA hanno collaborato alla costituzione dell’ILGA. (10) Forse non è ancora arrivato il momento per discutere sul tema della pedofilia nei talk-show e sui grandi canali di intrattenimento, ma i progetto esiste già ed è in fase di attuazione, ma secondo la finestra di Overton -uno dei più grandi progetti di ingegneria sociale- l’idea da diffondere e infine legalizzare e imporre è composta da 5 fasi che partono da IMPENSABILE fino ad arrivare ad essere LEGALIZZATA
E’ il progetto della cosiddetta “rana bollita” che messa in pentola con acqua bollente schizzerà via salvandosi, a meno chè la rana non si ponga in una pentola con acqua tiepida e si alzi gradualmente la temperatura. Anche i bambini dovranno avere i loro “diritti” o meglio i grandi devono avere il diritto di violentarli. Non vi meravigliate se un giorno anche voi potreste cambiare idea: la propaganda sa come lavorare, e come piazzare gli “esperti” della materia al momento giusto in modo da manipolare la vostra mente senza che voi nemmeno ve ne accorgiate. Eccoli già i titoloni su Huffington Post e Vanity Fair minimizzare il grave disturbo mentale dei pedofili: “Sono un pedofilo, ma non sono un mostro. Non tutti facciamo del male” Inizia così la lettera che Todd Nickerson, un graphic designer americano, ha pubblicato sul sito Salon.com:
“Sono attratto dai bambini, ma non li ho mai sfiorati. Prima di giudicarmi duramente, riuscireste a sentire cosa ho da dire?”
E ancora continua Nickerson: “Confessare un’attrazione sessuale verso i bambini è come confessare di appartenere ad una delle categorie più infime della Terra, quella che ti preclude ogni possibilità di vivere una vita normale. Eppure non sono il mostro che pensate che io sia”. Nickerson va avanti e ci spiega l’etimologia del temine pedofilo:
“Ma la definizione di pedofilo, chiederete, non è quella di “chi molesta i bambini”? Non è proprio così. Nonostante “pedofilo” e “molestatore di bambini” siano spesso utilizzati come sinonimi dai media, di base un pedofilo è qualcuno che è sessualmente attratto da un bambino. Tutto qui. Dal momento che il potere del tabù ci fa rimanere nell’ombra, è impossibile sapere quanti pedofili non offensivi ci siano lì fuori, di sicuro sono molti e soffrono in silenzio. Ecco perché ho deciso di parlare”. (11)
Avete compreso la sofferenza di questo povero uomo? Non è un uomo pericoloso, non vuole far del male a nessuno. Cosa ci può fare se si sente attratto dai bambini, non è mica colpa sua… è una condizione della natura! Chi siete voi per giudicare?Chi potrà ribellarsi a questo nuovo dogma sociale senza essere considerato un pericoloso “pedofobo” da sbattere ai margini della società perchè reo di opporsi ai sacrosanti diritti dei bambini e dei poveri adulti che non hanno nessuna colpa perchè sono nati così e i pedofobi li giudicano?! E del resto se la Parola di Dio e con essa la Legge Naturale che si oppongono alle relazioni omosessuali viene messa al bando perchè disapprovare la poligamia, la pedofilia, la zoofilia ecc. su quale principio ci si potrà allora basare per stabilire ciò che è bene da ciò che è male? La coscienza, forse eretta al grado di divinità da alcuni decenni a questa parte? No, essa è in mano dei vostri manipolatori, solo la fede nella Verità potrà rendervi consapevoli.
“Fa ciò che vuoi, questa sarà la legge” -The Satanic Bible-
– Floriana Castro Agnello- Antimassoneria.altervista.org Copyright © 2016
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